[Pagina precedente]...elle generazioni mescolato co' succhi generativi. La vita si rinnova nell'alto, e questo pensiero scava il suo letto più profondo, e si abbarbica ne' cervelli, come quercia nel suolo, e non si move più, rimane incastrato, stagnante, passivo, rimane la mano morta della vita. Noi non siamo penetrati in questo pensiero, ci abbiamo solo sovrapposto il nostro pensiero, e prima abbiamo pesato troppo, e quello ha mosse le spalle e lo ha gittato giù. Poi, fatti savii e abili, vogliamo vivere in buona pace l'uno accanto all'altro, e gli diamo la libertà e gli diciamo: muoviti e cammina; e quello risponde con l'apatia, e se lo punzecchiate troppo, si moverà e camminerà contro di voi, ravviluppato più fieramente in sè stesso. La libertà non giova a quello, e non giova neppure a noi; perchè il nostro pensiero, come stanco della lunga produzione, non sa più qual uso farsene. Perciò la sua forza d' azione è divenuta inferiore a quella forza di resistenza. Quel pensiero è insieme volontà , abitudine, storia, tradizione, tutta la vita. Può dirsi il medesimo del vostro pensiero, nato ieri, appena e male assiso nel vostro intelletto, e che non è ancora in noi volontà , sentimento, fede, immaginazione, coraggio, iniziativa, disciplina, non è ancora energia? Quel pensiero voi potete schernirlo, ma è più forte di voi, perchè sente, immagina crede, fa quello che pensa. Dicono: lasciamo fare allo spirito del mondo. Abbiamo fede nel progresso. Il tempo e la libertà matura tutto. Certamente. Anche io ho fede nel progresso dell'umanità , ma non nel progresso delle nazioni, e se il processo è di dissoluzione, il tempo e la libertà non matura che la morte. E poniamo pure che la società sia sana ed abbia le sue forze intatte; ma dunque la scienza non è parte anche lei di questo spirito del mondo? Un tempo tutto era lei, e oggi sarà divenuta semplice spettatrice della storia, e abdicherà ad ogni suo potere sopra questa pianta che si chiama uomo, e la sua ultima conclusione sarà : lasciamo fare e lasciamo passare? Lei ha potuto costringere la natura a camminare più rapida, ha creato il vapore; e quando si tratta dell'uomo ora, che il movimento sociale è accelerato, ora che i secoli si chiamano decennii, attenderà tra noi che il tempo faccia il suo comodo e maturi quando gli viene?
La libertà di tutti o per tutti è oramai un punto acquisito, già oltrepassato dalla scienza, non contrastato più invocato anche dagli avversarii. La missione della scienza è oggi di dare a questa libertà un contenuto, di darle il suo contenuto, non invadendo le altre sfere della vita, ma lavorando ivi dentro e trasformandole. Abbiamo già un contenuto scientifico, un complesso d'idee, che chiamiamo lo spirito nuovo. Ciò che rimane è che sia davvero spirito. La scienza continuerà nelle sue alte regioni il suo processo di elaborazione e di formazione; ma ciò che urge, è che ella mi crei questo spirito nuovo. I milioni di analfabeti scossero un giorno le nostre fibre. Illuminiamo gl'intelletti, sentii dire; qui è il rimedio. Leggere e scrivere, far di conti, un libriccino de' doveri e delle creanze, storie e favolette, e la scienza penetrerà ne' più bassi fondi della vita e se li assimilerà . Or questa istruzione, mi contenta assai mediocremente. Credete voi, Signori, che i romani degeneri non avevano libri e scuole? o che loro mancavano trattati di morale, pratiche religiose, e storie dì uomini illustri? I giovani romani andavano in Atene ad imparare virtù e libertà , e tornavano retori e accademici. E gli accademici, come Cicerone, erano gli eclettici e i temperati di quel tempo, che tenendosi in bilico tra stoici ed epicurei rimanevano in quella mezzanità che meglio rispondeva alla bassa temperatura sociale, e lasciavano fare, e lasciavano passare insino a che vinto ogni ritegno, la società si chiarì epicurea e materialista. Questo non diceva loro il libro: anzi il libro parlava savio; il libro parlava, e la corrotta natura operava. Or questo è appunto il tarlo, che ha roso l'antica nostra società , e che noi chiamiamo la decadenza: altro pensare e altro fare. E noi che abbiamo tanta fede; nell'istruzione, dobbiamo domandarci, se siamo davvero tornati giovani, e se quella decadenza non ci ha lasciato niente nelle ossa e nel cuore, se noi serbiamo intatte le nostre forze fisiche e morali. Ma se il nostro male è l'anemia, se ci è bisogno una cura ricostituente e corroborante, l'istruzione può illuminare il nostro intelletto, non può sanare la nostra volontà . E poi, quando dentro è difetto di calore, già non produrremo noi nè scienza, nè istruzione. Avremo una scienza di riflesso, non figlia nostra, non forma del nostro cervello, ma venutaci, secondo la moda, di Francia e di Alemagna, e prima di fare noi, ci domanderemo: cosa fanno gl'inglesi, e cosa fanno gli americani. Non che sentire il pungolo della vergogna, ma ci consoleremo e ci applaudiremo, proclamando che la scienza non ha patria, e bisogna pigliarla dov'è, e quando altrove è bella e fatta, è inutile stillarci noi il cervello. E non è vero. La scienza non può germogliare senza una patria, che le dà la sua fisonomia e la sua originalità . E là dove cresce bastarda e presa ad imprestito, non ha fisonomia, e rimane fuori di noi, non opera in noi, non riscalda il cervello. Non produrremo la scienza e non produrremo l'istruzione. Accetteremo dal di fuori metodi e libri, costituzioni, ordinamenti e leggi, e spesso piglieremo un abito, quando là dov'è nato è già logoro e messo fra' cenci. Così tutto è mezzanità , mezza istruzione, mezze idee. La scienza. è sistema com'è la vita, le migliori verità sono falsità , se non sono nella mente coordinate e limitate. Idea intera è idea nel sistema; mezza idea è idea scappata dal centro, e presa per sè è cosi vera lei, come è vera l'opposta. Onde società e individui, divenute cervelli centrifughi, passano con facilità dall'una all'altra, e oggi gridano libertà , e domani gridano autorità . La nostra vita è a pezzi, a ritagli, con molto di nuovo nelle parole, con molto di vecchio ne' costumi e nelle opere, sicché dentro di noi non è serio nè quel nuovo, nè quel vecchio. Tale è la vita e tale è la scienza. E posso dire il contrario: tale la scienza, tale la vita; perché la scienza è la vita che si riflette nel cervello, è il prodotto della stessa materia, e se la vita è guasta, la scienza è guasta, e non che faccia miracoli, ma non può fare neppure il miracolo di avviarci alla vera scienza, a' sodi e serii studii. Piccola azione dunque avrà sulla vita questa scienza e questa istruzione. E quando pure sia istruzione soda e intera, già non guarirà il nostro male che ha la sua sede nella fiacchezza della fibra e nella debolezza delle forze morali. Conoscere non è potere. Vagheggiamo non so che enciclopedico nella gioventù, abbiamo aumentata la serie delle sue conoscenze e non perciò abbiamo aumentata nè la forza del cervello, nè la forza del carattere. Con questi preludii allarghiamo la nostra azione anche alle basse classi, vogliamo spandere i lumi del secolo, come si dice, spezzare a quelle il pane della scienza, ed è venuta su una letteratura popolare, tutta smancerie e tutta fiorentinerie, tutta diminutivi, e in una forma da commedia che chiamano lingua toscana un accozzame di roba filosofica e di roba cattolica, l'ateo e la suora di carità a braccetto. Così noi pensiamo fortiter et suaviter d'insinuarci nel cuore del popolo, come già il demonio nel cuore di Eva, e fargli gustare il frutto proibito senza troppe grida del babbo e del prete, e vogliamo insegnare la verità col mezzo della menzogna, inculchiamo negli altri certe idee, di cui ci beffiamo nel secreto della coscienza, e gridiamo contro i preti, e ci mettiamo sul capo il berretto del prete. Così fortificheremo la fibra, rialzeremo i caratteri e formeremo l'uomo. A questo gioco si corrompe maestro e scolare, borghesia e popolo, l'una ipocrita e beffarda, 1'altro che sopra un fondo vecchio metterà una vernice di nuovo. Quel fondo vecchio, quel pensiero secolare resisterà . Potete ben cacciare certe idee e mettercene altre, potete mutar nomi e forme, e quel figlio de' secoli metterà il capo fuori a traverso di quelle, e dirà a Bruto: ti facciamo Cesare, e dirà alla Ragione: ti facciamo una Dea.
Il motto della scienza era un giorno la libertà contro il limite; oggi è la ristaurazione del limite nella libertà . Noi abbiamo distrutti o indeboliti tutt'i limiti al dì fuori, e non li abbiamo ricreati dentro di noi. Nel furore della lotta li abbiamo odiati, disconosciuti, e perché al di fuori erano superstizione, oppressione; abbiamo ucciso dentro di noi anche il sentimento che li rigenera, e siamo rimasti nel vuoto. Quei limiti sono lo stimolo che sviluppa le forze organiche e creano la serietà e la moralità dalla vita, e ci toglie all'egoismo animale, e ci rende capaci del sacrifizio e del dovere. La scienza altro non è se non ricostituzione de' limiti nella coscienza, la riabilitazione di tutte le sfere della vita. L'uomo della scienza è il più alto e virile tipo d'uomo, che non ha bisogno di culto, perché ne ha dentro di sé il sentimento, e non ha bisogno di stimoli esterni, non di medaglie e di titoli, di pene e di premii, di stato e di leggi, perché quegli stimoli li sente più vivamente dentro di sé, e non ci è bandiera e non ci è gonfalone, che abbia la forza della sua coscienza. Quando questi stimoli interni operano, presto o tardi ci daranno la forza di ricostruirci anche un simile mondo esterno, la concordia sarà ristaurata tra la scienza e la vita. Ma dove operano mollemente, non hanno virtù organica, e caricando e beffeggiando si sentono soddisfatti, e altro è la scienza, altro è la vita. E allora chi vi dà il dritto di negare il Dio fuori di voi, quando vi manca virtù di ricreare Dio dentro di voi, e raggiarlo al di fuori? Chi vi dà il dritto di negare l'eredità e la solidarietà di famiglia, quando dentro di voi non ci è altro che il solitario Voi? Chi vi dà il dritto d'invocare nuove forme e nuove istituzioni, quando la materia, nonche altro, è guasta fino dentro di voi? Se la scienza non può ricostituire quest'uomo interno, meglio il di fuori, guasto e viziato com'è, che il vuoto. Questo sarà il grido di tutti, anche degli uomini colti, e questo spiega le reazioni. La società non può vivere lungamente sopra idee che non generano, non organizzano, e dopo varie oscillazioni si adagerà per stanchezza nel suo stato antico, quale l'hanno fatta i secoli.
Forse io carico le tinte. Ma trovo intorno a me apatia ne' fatti, prosunzione nelle parole. E pur bisogna sferzarla quest'apatia, umiliarla questa prosunzione. Le mie inquietudini sono oggi il tormento de' più elevati intelletti, il problema de' problemi, la missione urgente della scienza. Una volta tutto era filosofico, oggi tutto è sociale. Abbiamo la fisica sociale, la fisiologia sociale, l'economia sociale, antropologia, pedagogia, tutti sono intorno a questo grande malato. Ci è un cumulo di scienze che si potrebbero chiamare con una parola, la medicina sociale.
La grande medicina era un tempo l'istruzione, e ora che l'istruzione ha reso tutt'i suoi frutti in Germania, già non basta più, e Virchow impensierito invoca una educazione nazionale. La scienza dee organizzarmi questa educazione nazionale, dee imitarmi il cattolicismo, la cui potenza non è il catechismo, è l'uomo preso dalle fasce e tenuto stretto in pugno sino alla tomba, dee imitarmi quei suoi organismi di granito, su' quali ella picchia e ripicchia da secoli e ancora invano.
Ciascuna scienza ha la sua epoca. La vita corre là dove si sente riflessa, colta dal vero, come si trova, quella è la scienza vivente, che fa batterei cori, che ha un'azione sulla vita. Oggi la vita, si sente attinta da un malore incognito, la cui manifestazione è l'apatia, la noia, il vuoto, e corre per istinto colà dove si parla di materia e di forza e come ristaurare l'uomo fisico, e come rigenerare l'uomo morale. Letteratura e filosofia, scienze mediche e scienze morali, tutte prendono quel riflesso ...
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