LA SCIENZA E LA VITA, di Francesco De Sanctis - pagina 1
LA SCIENZA E LA VITA
di Francesco De Sanctis
Signori
Siamo nel tempio della scienza.
I panegirici sono usciti di moda, e se ci è cosa ch'io desideri è che escano di moda anche i discorsi inaugurali.
Essi mi paiono come i sonetti di obbligo che si ficcano in tutte le faccende della vita e fanno parte del rito.
E pensare che l'Italia in questi giorni è inondata di discorsi inaugurali, e che non ci è così umile scuola di villaggio che non avrà il suo.
Se poi la scuola renda buoni frutti, che importa? questo è un altro affare.
Ci è stato il discorso inaugurale, ci sono state le battute di mano, il pubblico va via contento, e non ci pensa più: se la vedano loro i maestri e gli scolari.
Queste erano le idee che mi passavano pel capo, quando seppi dell'incarico, che i miei dotti colleghi vollero a me affidare.
Non ci era verso di pigliare la cosa sul serio.
Se ci fosse qualche avvenimento straordinario, qualche grande occasione, che mettesse in moto il cervello, passi; ma fare un discorso, perchè in ciascun anno, il tal giorno, la tale ora, s'ha a fare un discorso, secondo l' articolo tale del regolamento, e la pagina tale del calendario scolastico, questo non mi entrava.
Se avessi avuto gli elementi di fatto, quest'oggi vi avrei letta una relazione sul valore degl'insegnamenti, sulla frequenza dei giovani, sul risultato degli esami, sui miglioramenti fatti, sulle lacune rimaste, sul programma insegnativo del nuovo anno, e son certo che voi avreste gradito più queste interessanti notizie, che un discorso accademico.
Ma poichè l'accademia non se ne vuole ire ancora, io che non voglio fare il ribelle, mi sottometto di buon grado al calendario, ed eccovi qua il mio discorso, confidando ch'esso sia l'ultimo discorso inaugurale, e che nell'avvenire penseranno gl'italiani meno a bene inaugurare e più a ben terminare.
Dicevo dunque che non voglio fare l'elogio della scienza.
I panegirici sono usciti di moda: e poi, che bisogno ha lei del mio panegirico? Oramai ella è incoronata, è la Regina riconosciuta de' popoli, sulla sua bandiera è scritto: in hoc signo vinces.
Le lotte l'hanno ritemprata, i suoi errori l'hanno ammaestrata, e non è valso incontro a lei scetticismo, nè indifferenze.
Giunta è oggi al sommo del suo potere, ed ha i suoi cortigiani e i suoi idolatri, che promettono in suo nome non solo maraviglie, ma miracoli.
È lei che rigenera i popoli e che li fa grandi, sento dire.
Io che mi sento poco disposto a' panegirici, voglio dire a lei la verità, come si dee fare co' Potenti, voglio misurare la sua forza, interrogarla: cosa puoi fare? Conoscere è veramente potere? La scienza è dessa la vita, tutta la vita? Può arrestare il corso della corruzione e della dissoluzione, rinnovare il sangue, rifare la tempra? Sento dire: le nazioni risorgono per la scienza.
Può la scienza fare questo miracolo?
Già, se guardiamo nelle antiche istorie, non pare.
La scienza greca non potè indugiare la dissoluzione del popolo greco, nè sanare la corruttela del mondo latino.
il rinascimento intellettuale in Italia fu in il principio della sua decadenza.
Maggiore era la coltura, e più vergognosa era la caduta.
Dinanzi a questi fatti si comprende Vico, e siamo tentati a seguirlo nelle sue meditazioni.
L'intelletto comparisce ultimo nella vita, e più conosce, più si fa adulto e più si sfibra il sentimento e l'immaginazione, le due forze onde vengono le grandi iniziative e i grandi entusiasmi.
La scienza è il prodotto dell'età matura, e non ha la forza di rifare il corso degli anni, di ricondurre la gioventù.
La maturità è certo l'età più splendida della vita, non il principio ma il risultato, e piuttosto la nobile corona della storia, che stimolo e inizio a una nuova storia.
Appresso a lei viene la vecchiezza e la dissoluzione: e prendono posto popoli nuovi, più giovani, eterna legge della natura: la dissoluzione degli uni è la generazione degli altri.
La scienza cresce a spese della vita.
Più dài al pensiero e più togli all'azione.
Conosci la vita, quando la ti fugge dinanzi, e te ne viene l'intelligenza, quando te n'è mancata la potenza.
Manca la fede, e nasce la filosofia.
Tramonta l'arte, e spunta la critica.
Finisce la storia, e compariscono gli storici.
La morale si corrompe, e vengon su i moralisti.
Lo stato rovina, e comincia la scienza dello stato.
Gli Iddii se ne vanno, e Socrate li accompagna della sua ironia; la repubblica declina, e Platone costruisce repubbliche ideali; l'arte se ne va, e Aristotile ne fa l'inventario, la vita pubblica si corrompe, e sorgono i grandi oratori; l'eloquenza delle parole succede alla eloquenza de' fatti.
Livio narra la storia di una grandezza che fu con un preludio che chiameresti quasi un elogio funebre.
E non so che funebre spira nello sguardo profondo e malinconico degli ultimi storici, Tucidide e Tacito.
La vita è sciolta, e Seneca aguzza sentenze morali.
La vita è morta, e Plutarco passeggia fra le tombe e raccoglie le memorie degli uomini illustri.
Può dunque la scienza, l'ultimo frutto della vita, ricreare l'albero della vita? Io conosco, e posso dire con verità: dunque, io posso? Anzi non sarebbe vero che la scienza è l'ultima produzione della forza vitale, l'ultimo io posso della vita, la vita ritirata nel cervello, dove ricomincia la sua storia, una nuova storia, piena di maraviglie, che pure è là sua coscienza, e non la sua potenza, mancate a lei tutte le forze produttive, vivendi causae, mancata al sentimento religioso la fede, alla morale la sincerità, all'arte l'ispirazione, all'azione l'iniziativa, la spontaneità, la freschezza della gioventù?
La scienza potè illustrare, ma non potè rigenerare la vita greca e la vita romana.
Non potè, e credette di poterlo, e questa fede fu la sua forza.
La verità ch'ella cercava, le sarebbe parsa cosa spregevole, se non avesse avuto fiducia di trasportarla nella vita.
Platone vede nella scienza un istrumento etico, e mira alla educazione della gioventù e alla prosperità dello stato, e perchè l'arte gli pare corruttrice, sbandisce l'arte.
Anche Aristotile pone l'etica a fine supremo della scienza, e perdona all'arte, perchè ci trova un fine etico, la purgazione delle passioni.
Socrate confida di potere ammaestrando la gioventù abbattere i sofisti e restaurare la vita patria.
Ma la sua scienza non era la vita, e la vita fa Alcibiade, il suo discepolo, che affrettò la patria dissoluzione.
Platone va in Siracusa, chiamatovi a rigenerare quel popolo, e la sua scienza non può ritardare di un minuto il corso della storia.
Più la vita si fa molle, e più la scienza si fa rigida; nel loro cammino si discostano sempre più, senz'alcuna reciprocanza d'azione; di rimpetto alla vasta corruzione dell'impero sorgono accigliati gli stoici.
Lo stoicismo potè guadagnare a sè individui, ma non potè formare o riformare alcuna società, anzi esso fu la scienza della disperazione, la consacrazione della dissoluzione sociale, il si salvi chi può, il Savio ritirato in sè stesso, impassibile alle vicissitudini del mondo esterno, disertore della società.
La scienza operava sopra un mondo già corrotto, dove la libertà divenuta licenza avea prodotto il dispotismo, e dove le varie stirpi erano unificate dalla conquista, venute meno le differenze e le energie focali.
Essa fu buona a sistemare e organare quel vasto insieme, e a introdurvi ordini e leggi stabili, che sono anche ogni documento dell'antica grandezza.
Un giorno la Scienza salì nella Reggia, si pose accanto a Luciano, ebbe in sua mano tutte le forze e non potè nè arrestare la dissoluzione della vita pagana, nè rallentare la formazione della vita cristiana.
Pure che orgoglio menava quella società della sua scienza! con qual disprezzo trattava i barbari! e come avrebbero sorriso, se qualche malaugurato profeta avesse lor detto, che que' barbari erano i predestinati loro eredi e loro padroni!
Cessata la barbarie, rinasce la fiducia nella scienza, e se ne attendono miracoli.
L'ideale è Beatrice, Fede che è scienza, e Scienza che è fede.
La vita é un inferno, che la scienza di grado in grado trasforma in paradiso.
E il Paradiso è la Monarchia universale, il regno della giustizia e della pace, dove la scienza riconosce sè stessa.
Venne il Risorgimento, e la scienza credette davvero di poter ristaurare la vita.
La scienza si chiamava Machiavelli, Campanella, Sarpi; e la vita fu Cesare Borgia, Leone decimo e Filippo Secondo.
I pensieri rimasero pensieri, e i fatti rimasero fatti.
Ultimo raggio di una vita gloriosa che rifletteva sè stessa nell'arte, produsse una forma limpida e bella, segnata qua e là di tristezza e d'ironia, come sentisse di essere non altro che forma, vuota di ogni contenuto e d'ogni organismo.
Quella che chiamò sua età dell'oro, fiorente di studi, di arti, di scienze, fu la splendida età del suo tramonto, fu il sonno di Michelangiolo e fu la tristezza di Machiavelli.
Più tardi, la scienza opera come religione, diviene un apostolato, si propaga ne' popoli, trova il suo centro di espansione nello spirito francese, e provoca un movimento memorabile, di cui oggi ancora continuano le oscillazioni.
Nasce una nuova società, si forma una nuova vita; la scienza ha anche lei i suoi apostoli, i suoi martiri, i suoi legislatori, il suo catechismo, e penetra dappertutto, nella religione nella morale, nel dritto, nell'arte, ne' sistemi politici, economici, amministrativi, s'infiltra in tutte le istituzioni sociali.
Ma era scienza, e operò come scienza.
Credette che rinnovare la vita fosso il medesimo, che rinnovare le idee, e conoscere fosse il medesimo che potere.
Applicò la sua logica alla vita, fatale e inesorabile, come una conseguenza, date le premesse.
Cercò le premesse ne' suoi principii e nelle sue formole, non nelle condizioni reali ed effettive della vita.
Avvezza a trattare il mondo meccanico come cosa sua, trattò l'organismo sociale come un meccanismo, e trattò gli uomini come pedine, ch'ella potesse disporre secondo il suo giuoco.
Concepì la vita come fosse ideale scientifico, e tutto guardando attraverso a quell'ideale, indebolì, volendo perfezionarli, tutti gli organismi sociali, religione, arte, società, e lo stato e la famiglia.
Quando la vita così conculcata reagì, ella in nome della libertà uccise la libertà, in nome della natura snaturò gli uomini, e volendo per forza renderli uguali e fratelli, era la scienza e divenne la forza, era la cima, e non si brigò della base, e la base un bel dì fè una scrollatina e s'inghiottì la cima.
Così sparve il regno della filosofia; la vita si vendicò e la chiamò per disprezzo ideologia; si credette un po' meno alle idee e un po' più alle cose.
Più viva era stata la fede nella scienza, più acerbo fu il disinganno.
E se ne cavò questa dura verità: la Scienza non è la vita.
Innanzi a questi esempii io mi raccolgo e mi domando: cosa è la vita di un popolo?
Un popolo vive, quando ha intatte tutte le su forze morali.
Queste forze non producono, se non quando trovano al di fuori stimoli alla produzione Più gagliardi sono gli stimoli, e maggiore è la loro intensità e vivacità.
Gli stimoli ti creano il limite, cioè a dire uno scopo, che le toglie dal vago della loro libertà, e le determina, dà loro un indirizzo.
In quanto la loro libertà è limitata, queste forze sono produttive.
L'uomo forte, quando pure voi gli togliate il limite, se lo crea lui, e se non può legittimo, se lo crea illegittimo: perchè la forza ha bisogno del limite, come il mezzo ha bisogno dello scopo.
Testimonio è il prete, il quale, negati a lui i figli, si sente con più tenace affetto legato a' nipoti.
Più il sentimento del limite è fiacco in un popolo, e più è debole, più è vicino alla dissoluzione: e per contrario la vita è più potente là dove è una coscienza più sviluppata del limite.
...
[Pagina successiva]