[Pagina precedente]... che s'era umiliato da sé. I rancori, irritati altre volte dal suo disprezzo e dalla paura degli altri, si dileguavano ora davanti a quella nuova umiltà : gli offesi avevano ottenuta, contro ogni aspettativa, e senza pericolo, una soddisfazione che non avrebbero potuta promettersi dalla più fortunata vendetta, la soddisfazione di vedere un tal uomo pentito de' suoi torti, e partecipe, per dir così, della loro indegnazione. Molti, il cui dispiacere più amaro e più intenso era stato per molt'anni, di non veder probabilità di trovarsi in nessun caso più forti di colui, per ricattarsi di qualche gran torto; incontrandolo poi solo, disarmato, e in atto di chi non farebbe resistenza, non s'eran sentiti altro impulso che di fargli dimostrazioni d'onore. In quell'abbassamento volontario, la sua presenza e il suo contegno avevano acquistato, senza che lui lo sapesse, un non so che di più alto e di più nobile; perché ci si vedeva, ancor meglio di prima, la noncuranza d'ogni pericolo. Gli odi, anche i più rozzi e rabbiosi, si sentivano come legati e tenuti in rispetto dalla venerazione pubblica per l'uomo penitente e benefico. Questa era tale, che spesso quell'uomo si trovava impicciato a schermirsi dalle dimostrazioni che gliene venivan fatte, e doveva star attento a non lasciar troppo trasparire nel volto e negli atti il sentimento interno di compunzione, a non abbassarsi troppo, per non esser troppo esaltato. S'era scelto nella chiesa l'ultimo luogo; e non c'era pericolo che nessuno glielo prendesse: sarebbe stato come usurpare un posto d'onore. Offender poi quell'uomo, o anche trattarlo con poco riguardo, poteva parere non tanto un'insolenza e una viltà , quanto un sacrilegio: e quelli stessi a cui questo sentimento degli altri poteva servir di ritegno, ne partecipavano anche loro, più o meno.
Queste medesime ed altre cagioni, allontanavano pure da lui le vendette della forza pubblica, e gli procuravano, anche da questa parte, la sicurezza della quale non si dava pensiero. Il grado e le parentele, che in ogni tempo gli erano state di qualche difesa, tanto più valevano per lui, ora che a quel nome già illustre e infame, andava aggiunta la lode d'una condotta esemplare, la gloria della conversione. I magistrati e i grandi s'eran rallegrati di questa, pubblicamente come il popolo; e sarebbe parso strano l'infierire contro chi era stato soggetto di tante congratulazioni. Oltre di ciò, un potere occupato in una guerra perpetua, e spesso infelice, contro ribellioni vive e rinascenti, poteva trovarsi abbastanza contento d'esser liberato dalla più indomabile e molesta, per non andare a cercar altro: tanto più, che quella conversione produceva riparazioni che non era avvezzo ad ottenere, e nemmeno a richiedere. Tormentare un santo, non pareva un buon mezzo di cancellar la vergogna di non aver saputo fare stare a dovere un facinoroso: e l'esempio che si fosse dato col punirlo, non avrebbe potuto aver altro effetto, che di stornare i suoi simili dal divenire inoffensivi. Probabilmente anche la parte che il cardinal Federigo aveva avuta nella conversione, e il suo nome associato a quello del convertito, servivano a questo come d'uno scudo sacro. E in quello stato di cose e d'idee, in quelle singolari relazioni dell'autorità spirituale e del poter civile, ch'eran così spesso alle prese tra loro, senza mirar mai a distruggersi, anzi mischiando sempre alle ostilità atti di riconoscimento e proteste di deferenza, e che, spesso pure, andavan di conserva a un fine comune, senza far mai pace, poté parere, in certa maniera, che la riconciliazione della prima portasse con sé l'oblivione, se non l'assoluzione del secondo, quando quella s'era sola adoprata a produrre un effetto voluto da tutt'e due.
Così quell'uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero corsi a gara grandi e piccoli a calpestarlo; messosi volontariamente a terra, veniva risparmiato da tutti, e inchinato da molti.
È vero ch'eran anche molti a cui quella strepitosa mutazione dovette far tutt'altro che piacere: tanti esecutori stipendiati di delitti, tanti compagni nel delitto, che perdevano una così gran forza sulla quale erano avvezzi a fare assegnamento, che anche si trovavano a un tratto rotti i fili di trame ordite da un pezzo, nel momento forse che aspettavano la nuova dell'esecuzione. Ma già abbiam veduto quali diversi sentimenti quella conversione facesse nascere negli sgherri che si trovavano allora con lui, e che la sentirono annunziare dalla sua bocca: stupore, dolore, abbattimento, stizza; un po' di tutto, fuorché disprezzo né odio. Lo stesso accadde agli altri che teneva sparsi in diversi posti, lo stesso a' complici di più alto affare, quando riseppero la terribile nuova, e a tutti per le cagioni medesime. Molt'odio, come trovo nel luogo, altrove citato, del Ripamonti, ne venne piuttosto al cardinal Federigo. Riguardavan questo come uno che s'era mischiato ne' loro affari, per guastarli; l'innominato aveva voluto salvar l'anima sua: nessuno aveva ragion di lagnarsene.
Di mano in mano poi, la più parte degli sgherri di casa, non potendo accomodarsi alla nuova disciplina, né vedendo probabilità che s'avesse a mutare, se n'erano andati. Chi avrà cercato altro padrone, e fors'anche tra gli antichi amici di quello che lasciava; chi si sarà arrolato in qualche terzo, come allora dicevano, di Spagna o di Mantova, o di qualche altra parte belligerante; chi si sarà messo alla strada, per far la guerra a minuto, e per conto suo; chi si sarà anche contentato d'andar birboneggiando in libertà . E il simile avranno fatto quegli altri che stavano prima a' suoi ordini, in diversi paesi. Di quelli poi che s'eran potuti avvezzare al nuovo tenor di vita, o che lo avevano abbracciato volentieri, i più, nativi della valle, eran tornati ai campi, o ai mestieri imparati nella prima età , e poi abbandonati; i forestieri eran rimasti nel castello, come servitori: gli uni e gli altri, quasi ribenedetti nello stesso tempo che il loro padrone, se la passavano, al par di lui, senza fare né ricever torti, inermi e rispettati.
Ma quando, al calar delle bande alemanne, alcuni fuggiaschi di paesi invasi o minacciati capitarono su al castello a chieder ricovero, l'innominato, tutto contento che quelle sue mura fossero cercate come asilo da' deboli, che per tanto tempo le avevan guardate da lontano come un enorme spauracchio, accolse quegli sbandati, con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia; fece sparger la voce, che la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare, e pensò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in istato di difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero provarsi di venirci a far delle loro. Radunò i servitori che gli eran rimasti, pochi e valenti, come i versi di Torti; fece loro una parlata sulla buona occasione che Dio dava loro e a lui, d'impiegarsi una volta in aiuto del prossimo, che avevan tanto oppresso e spaventato; e, con quel tono naturale di comando, ch'esprimeva la certezza dell'ubbidienza, annunziò loro in generale ciò che intendeva che facessero, e soprattutto prescrisse come dovessero contenersi, perché la gente che veniva a ricoverarsi lassù, non vedesse in loro che amici e difensori. Fece poi portar giù da una stanza a tetto l'armi da fuoco, da taglio, in asta, che da un pezzo stavan lì ammucchiate, e gliele distribuì; fece dire a' suoi contadini e affittuari della valle, che chiunque si sentiva, venisse con armi al castello; a chi non n'aveva, ne diede; scelse alcuni, che fossero come ufiziali, e avessero altri sotto il loro comando; assegnò i posti all'entrature e in altri luoghi della valle, sulla salita, alle porte del castello; stabilì l'ore e i modi di dar la muta, come in un campo, o come già s'era costumato in quel castello medesimo, ne' tempi della sua vita disperata.
In un canto di quella stanza a tetto, c'erano in disparte l'armi che lui solo aveva portate; quella sua famosa carabina, moschetti, spade, spadoni, pistole, coltellacci, pugnali, per terra, o appoggiati al muro. Nessuno de' servitori le toccò; ma concertarono di domandare al padrone quali voleva che gli fossero portate. - Nessuna, - rispose; e, fosse voto, fosse proposito, restò sempre disarmato, alla testa di quella specie di guarnigione.
Nello stesso tempo, aveva messo in moto altr'uomini e donne di servizio, o suoi dipendenti, a preparar nel castello alloggio a quante più persone fosse possibile, a rizzar letti, a disporre sacconi e strapunti nelle stanze, nelle sale, che diventavan dormitòri. E aveva dato ordine di far venire provvisioni abbondanti, per ispesare gli ospiti che Dio gli manderebbe, e i quali infatti andavan crescendo di giorno in giorno. Lui intanto non istava mai fermo; dentro e fuori del castello, su e giù per la salita, in giro per la valle, a stabilire, a rinforzare, a visitar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e a tenere in regola, con le parole, con gli occhi, con la presenza. In casa, per la strada, faceva accoglienza a quelli che arrivavano; e tutti, o lo avessero già visto, o lo vedessero per la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un momento i guai e i timori che gli avevano spinti lassù; e si voltavano ancora a guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la sua strada.
CAPITOLO XXX
Quantunque il concorso maggiore non fosse dalla parte per cui i nostri tre fuggitivi s'avvicinavano alla valle, ma all'imboccatura opposta, con tutto ciò, cominciarono a trovar compagni di viaggio e di sventura, che da traverse e viottole erano sboccati o sboccavano nella strada. In circostanze simili, tutti quelli che s'incontrano, è come se si conoscessero. Ogni volta che il baroccio aveva raggiunto qualche pedone, si barattavan domande e risposte. Chi era scappato, come i nostri, senza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva sentiti i tamburi o le trombe; chi gli aveva visti coloro, e li dipingeva come gli spaventati soglion dipingere.
- Siamo ancora fortunati, - dicevan le due donne: - ringraziamo il cielo. Vada la roba; ma almeno siamo in salvo.
Ma don Abbondio non trovava che ci fosse tanto da rallegrarsi; anzi quel concorso, e più ancora il maggiore che sentiva esserci dall'altra parte, cominciava a dargli ombra. - Oh che storia! - borbottava alle donne, in un momento che non c'era nessuno d'intorno: - oh che storia! Non capite, che radunarsi tanta gente in un luogo è lo stesso che volerci tirare i soldati per forza? Tutti nascondono, tutti portan via; nelle case non resta nulla; crederanno che lassù ci siano tesori. Ci vengono sicuro: sicuro ci vengono. Oh povero me! dove mi sono imbarcato!
- Oh! voglion far altro che venir lassù, - diceva Perpetua: - anche loro devono andar per la loro strada. E poi, io ho sempre sentito dire che, ne' pericoli, è meglio essere in molti.
- In molti? in molti? - replicava don Abbondio: - povera donna! Non sapete che ogni lanzichenecco ne mangia cento di costoro? E poi, se volessero far delle pazzie, sarebbe un bel gusto, eh? di trovarsi in una battaglia. Oh povero me! Era meno male andar su per i monti. Che abbian tutti a voler cacciarsi in un luogo!... Seccatori! - borbottava poi, a voce più bassa: - tutti qui: e via, e via, e via; l'uno dietro l'altro, come pecore senza ragione.
- A questo modo, - disse Agnese, - anche loro potrebbero dir lo stesso di noi.
- Chetatevi un po', - disse don Abbondio: - ché già le chiacchiere non servono a nulla. Quel ch'è fatto è fatto: ci siamo, bisogna starci. Sarà quel che vorrà la Provvidenza: il cielo ce la mandi buona.
Ma fu ben peggio quando, all'entrata della valle, vide un buon posto d'armati, parte sull'uscio d'una casa, e parte nelle stanze terrene: pareva una caserma. Li guardò con la coda dell'occhio: non eran quelle facce che gli era toccato a vedere nell'altra dolorosa sua gita, o se ce n'era di quelle, erano ben cambiate; ma con tutto ciò, non si può dire che noia gli desse quella vista. " Oh povero me! - pensava: - ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere altrimenti:...
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