[Pagina precedente]...ggio, deciso nel consiglio de' decurioni, di ricorrer per aiuto al governatore. E, il 22, furono spediti al campo due di quel corpo, che gli rappresentassero i guai e le strettezze della città : le spese enormi, le casse vote, le rendite degli anni avvenire impegnate, le imposte correnti non pagate, per la miseria generale, prodotta da tante cause, e dal guasto militare in ispecie; gli mettessero in considerazione che, per leggi e consuetudini non interrotte, e per decreto speciale di Carlo V, le spese della peste dovevan essere a carico del fisco: in quella del 1576 avere il governatore, marchese d'Ayamonte, non solo sospese tutte le imposizioni camerali, ma data alla città una sovvenzione di quaranta mila scudi della stessa Camera; chiedessero finalmente quattro cose: che l'imposizioni fossero sospese, come s'era fatto allora; la Camera desse danari; il governatore informasse il re, delle miserie della città e della provincia; dispensasse da nuovi alloggiamenti militari il paese già rovinato dai passati. Il governatore scrisse in risposta condoglianze, e nuove esortazioni: dispiacergli di non poter trovarsi nella città , per impiegare ogni sua cura in sollievo di quella; ma sperare che a tutto avrebbe supplito lo zelo di que' signori: questo essere il tempo di spendere senza risparmio, d'ingegnarsi in ogni maniera. In quanto alle richieste espresse, proueeré en el mejor modo que el tiempo y necesidades presentes permitieren. E sotto, un girigogolo, che voleva dire Ambrogio Spinola, chiaro come le sue promesse. Il gran cancelliere Ferrer gli scrisse che quella risposta era stata letta dai decurioni, con gran desconsuelo; ci furono altre andate e venute, domande e risposte; ma non trovo che se ne venisse a più strette conclusioni. Qualche tempo dopo, nel colmo della peste, il governatore trasferì, con lettere patenti, la sua autorità a Ferrer medesimo, avendo lui, come scrisse, da pensare alla guerra. La quale, sia detto qui incidentemente, dopo aver portato via, senza parlar de' soldati, un milion di persone, a dir poco, per mezzo del contagio, tra la Lombardia, il Veneziano, il Piemonte, la Toscana, e una parte della Romagna; dopo aver desolati, come s'è visto di sopra, i luoghi per cui passò, e figuratevi quelli dove fu fatta; dopo la presa e il sacco atroce di Mantova; finì con riconoscerne tutti il nuovo duca, per escludere il quale la guerra era stata intrapresa. Bisogna però dire che fu obbligato a cedere al duca di Savoia un pezzo del Monferrato, della rendita di quindici mila scudi, e a Ferrante duca di Guastalla altre terre, della rendita di sei mila; e che ci fu un altro trattato a parte e segretissimo, col quale il duca di Savoia suddetto cedé Pinerolo alla Francia: trattato eseguito qualche tempo dopo, sott'altri pretesti, e a furia di furberie.
Insieme con quella risoluzione, i decurioni ne avevan presa un'altra: di chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di san Carlo.
Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. Gli dispiaceva quella fiducia in un mezzo arbitrario, e temeva che, se l'effetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cambiasse in iscandolo (Memoria delle cose notabili successe in Milano intorno al mal contaggioso l'anno 1630, ec. raccolte da D. Pio la Croce, Milano, 1730. È tratta evidentemente da scritto inedito d'autore vissuto al tempo della pestilenza: se pure non è una semplice edizione, piuttosto che una nuova compilazione.). Temeva di più, che, se pur c'era di questi untori, la processione fosse un'occasion troppo comoda al delitto: se non ce n'era, il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale (Si unguenta scelerata et unctores in urbe essent... Si non essent... Certiusque adeo malum. Ripamonti, pag 185.). Ché il sospetto sopito dell'unzioni s'era intanto ridestato, più generale e più furioso di prima.
S'era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d'edifizi pubblici, usci di case, martelli. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca; e, come accade più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva l'effetto del vedere. Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali, irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: ché la collera aspira a punire: e, come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d'ingegno (P. Verri, Osservazioni sulla tortura: Scrittori italiani d'economia politica: parte moderna, tom. 17, pag. 203.), le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi. Un veleno squisito, istantaneo, penetrantissimo, eran parole più che bastanti a spiegar la violenza, e tutti gli accidenti più oscuri e disordinati del morbo. Si diceva composto, quel veleno, di rospi, di serpenti, di bava e di materia d'appestati, di peggio, di tutto ciò che selvagge e stravolte fantasie sapessero trovar di sozzo e d'atroce. Vi s'aggiunsero poi le malìe, per le quali ogni effetto diveniva possibile, ogni obiezione perdeva la forza, si scioglieva ogni difficoltà . Se gli effetti non s'eran veduti subito dopo quella prima unzione, se ne capiva il perché; era stato un tentativo sbagliato di venefici ancor novizi: ora l'arte era perfezionata, e le volontà più accanite nell'infernale proposito. Ormai chi avesse sostenuto ancora ch'era stata una burla, chi avesse negata l'esistenza d'una trama, passava per cieco, per ostinato; se pur non cadeva in sospetto d'uomo interessato a stornar dal vero l'attenzion del pubblico, di complice, d'untore: il vocabolo fu ben presto comune, solenne, tremendo. Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva scoprire, quasi infallibilmente: tutti gli occhi stavano all'erta; ogni atto poteva dar gelosia. E la gelosia diveniva facilmente certezza, la certezza furore.
Due fatti ne adduce in prova il Ripamonti, avvertendo d'averli scelti, non come i più atroci tra quelli che seguivano giornalmente, ma perché dell'uno e dell'altro era stato pur troppo testimonio.
Nella chiesa di sant'Antonio, un giorno di non so quale solennità , un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la panca. - Quel vecchio unge le panche! - gridarono a una voce alcune donne che vider l'atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi com'erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla prigione, ai giudici, alle torture. " Io lo vidi mentre lo strascinavan così, - dice il Ripamonti: - e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potuto sopravvivere più di qualche momento ".
L'altro caso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente strano, ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi, un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder l'Italia, per istudiarvi le antichità , e per cercarvi occasion di guadagno, s'erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan lì guardando attentamente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d'occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch'era peggio, di francesi. Come per accertarsi ch'era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondati, afferrati, malmenati, spinti, a furia di percosse, alle carceri. Per buona sorte, il palazzo di giustizia è poco lontano dal duomo; e, per una sorte ancor più felice, furon trovati innocenti, e rilasciati.
Né tali cose accadevan soltanto in città : la frenesia s'era propagata come il contagio. Il viandante che fosse incontrato da de' contadini, fuor della strada maestra, o che in quella si dondolasse a guardar in qua e in là , o si buttasse giù per riposarsi; lo sconosciuto a cui si trovasse qualcosa di strano, di sospetto nel volto, nel vestito, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d'un ragazzo, si sonava a martello, s'accorreva; gl'infelici eran tempestati di pietre, o, presi, venivan menati, a furia di popolo, in prigione. Così il Ripamonti medesimo. E la prigione, fino a un certo tempo, era un porto di salvamento.
Ma i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio prelato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pubblico secondava rumorosamente. Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli; questo è quello che poté il senno d'un uomo, contro la forza de' tempi, e l'insistenza di molti. In quello stato d'opinioni, con l'idea del pericolo, confusa com'era allora, contrastata, ben lontana dall'evidenza che ci si trova ora, non è difficile a capire come le sue buone ragioni potessero, anche nella sua mente, esser soggiogate dalle cattive degli altri. Se poi, nel ceder che fece, avesse o non avesse parte un po' di debolezza della volontà , sono misteri del cuore umano. Certo, se in alcun caso par che si possa dare in tutto l'errore all'intelletto, e scusarne la coscienza, è quando si tratti di que' pochi (e questo fu ben del numero), nella vita intera de' quali apparisca un ubbidir risoluto alla coscienza, senza riguardo a interessi temporali di nessun genere. Al replicar dell'istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov'eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull'altar maggiore del duomo.
Non trovo che il tribunale della sanità , né altri, facessero rimostranza né opposizione di sorte alcuna. Soltanto, il tribunale suddetto ordinò alcune precauzioni che, senza riparare al pericolo, ne indicavano il timore. Prescrisse più strette regole per l'entrata delle persone in città ; e, per assicurarne l'esecuzione, fece star chiuse le porte: come pure, affine d'escludere, per quanto fosse possibile, dalla radunanza gli infetti e i sospetti, fece inchiodar gli usci delle case sequestrate: le quali, per quanto può valere, in un fatto di questa sorte, la semplice affermazione d'uno scrittore, e d'uno scrittore di quel tempo, eran circa cinquecento (Alleggiamento dello Stato di Milano etc. di C. G. Cavatio della Somaglia. Milano, 1653, pag. 482.).
Tre giorni furono spesi in preparativi: l'undici di giugno, ch'era il giorno stabilito, la processione uscì, sull'alba, dal duomo. Andava dinanzi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il volto d'ampi zendali, molte scalze, e vestite di sacco. Venivan poi l'arti, precedute da' loro gonfaloni, le confraternite, in abiti vari di forme e di colori; poi le fraterie, poi il clero secolare, ognuno con l'insegne del grado, e con una candela o un torcetto in mano. Nel mezzo, tra il chiarore di più fitti lumi, tra un rumor più alto di canti, sotto un ricco baldacchino, s'avanzava la cassa, portata da quattro canonici, parati in gran pompa, che si cambiavano ogni tanto. Dai cristalli traspariva il venerato cadavere, vestito di splendidi abiti pontificali, e mitrato il teschio; e nelle forme mutilate e scomposte, si poteva ancora distinguere qualche vestigio dell'antico sembiante, quale lo rappresentano l'immagini, quale alcuni si ricordavan d'averlo visto e onorato in vita. Dietro la spoglia del morto pastore (dice il Ripamonti, da cui principalmente prendiamo questa descrizione), e vicino a lui, come di meriti e di sangue e di dignità , così ora anche di persona, veniva l'arcivescovo Federigo. Seguiva l'altra parte del clero; poi i magistrati, con gli abiti di maggior cerimonia; poi i nobili, quali vestiti sfarzosamente, come a dimostrazione solenne di culto, quali, in segno di penitenza, abbrunati, o scalzi e incappati, con la buffa sul viso; tutti con torcetti. Finalment...
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