AMINTA, di Torquato Tasso - pagina 1
Torquato Tasso
Interlocutori
Dafne, compagna di Silvia;
Silvia, amata da Aminta;
Aminta, innamorato di Silvia;
Satiro, innamorato di Silvia;
Nerina, messaggera;
Elpino, pastore;
Coro de' pastori.
PROLOGO
Amore in abito pastorale
e sotto queste pastorali spoglie
fosse nascosto un Dio? non mica un Dio
selvaggio, o de la plebe de gli Dei,
5 ma tra' grandi e celesti il più potente,
che fa spesso cader di mano a Marte
la sanguinosa spada, ed a Nettuno
scotitor de la terra il gran tridente,
ed i folgori eterni al sommo Giove.
10 In questo aspetto, certo, e in questi panni
non riconoscerà sì di leggiero
Venere madre me suo figlio Amore.
Io da lei son constretto di fuggire
e celarmi da lei, perch'ella vuole
15 ch'io di me stesso e de le mie saette
faccia a suo senno; e, qual femina, e quale
vana ed ambiziosa, mi rispinge
e quivi vuol che impieghi ogni mia prova,
20 e solo al volgo de' ministri miei,
miei minori fratelli, ella consente
l'albergar tra le selve ed oprar l'armi
ne' rozzi petti.
Io, che non son fanciullo,
se ben ho volto fanciullesco ed atti,
ch'a me fu, non a lei, concessa in sorte
Però spesso celandomi, e fuggendo
l'imperio no, che in me non ha, ma i preghi,
30 c'han forza porti da importuna madre,
ricovero ne' boschi, e ne le case
de le genti minute; ella mi segue,
dar promettendo, a chi m'insegna a lei,
o dolci baci, o cosa altra più cara:
35 quasi io di dare in cambio non sia buono,
a chi mi tace, o mi nasconde a lei,
o dolci baci, o cosa altra più cara.
Questo io so certo almen: che i baci miei
saran sempre più cari a le fanciulle,
40 se io, che son l'Amor, d'amor m'intendo;
onde sovente ella mi cerca in vano,
che rivelarmi altri non vuole, e tace.
Ma per istarne anco più occulto, ond'ella
ritrovar non mi possa ai contrasegni,
45 deposto ho l'ali, la faretra e l'arco.
Non però disarmato io qui ne vengo,
ché questa, che par verga, è la mia face
(così l'ho trasformata), e tutta spira
d'invisibili fiamme; e questo dardo,
50 se bene egli non ha la punta d'oro,
è di tempre divine, e imprime amore
dovunque fiede.
Io voglio oggi con questo
far cupa e immedicabile ferita
nel duro sen de la più cruda ninfa
55 che mai seguisse il coro di Diana.
Né la piaga di Silvia fia minore
(ché questo è 'l nome de l'alpestre ninfa)
che fosse quella che pur feci io stesso
nel molle sen d'Aminta, or son molt'anni,
60 quando lei tenerella ei tenerello
seguiva ne le caccie e ne i diporti.
E, perché il colpo mio più in lei s'interni,
aspetterò che la pietà mollisca
quel duro gelo che d'intorno al core
65 l'ha ristretto il rigor de l'onestate
e del virginal fasto; ed in quel punto
ch'ei fia più molle, lancerogli il dardo.
E, per far sì bell'opra a mio grand'agio,
io ne vo a mescolarmi infra la turba
70 de' pastori festanti e coronati,
che già qui s'è inviata, ove a diporto
si sta ne' dì solenni, esser fingendo
uno di loro schiera: e in questo luogo,
in questo luogo a punto io farò il colpo,
75 che veder non potrallo occhio mortale.
Queste selve oggi ragionar d'Amore
s'udranno in nuova guisa; e ben parrassi
che la mia deità sia qui presente
in se medesma, e non ne' suoi ministri.
80 Spirerò nobil sensi a' rozzi petti,
raddolcirò de le lor lingue il suono;
perché, ovunque i' mi sia, io sono Amore,
ne' pastori non men che ne gli eroi,
e la disagguaglianza de' soggetti
85 come a me piace agguaglio; e questa è pure
suprema gloria e gran miracol mio:
render simili a le più dotte cetre
le rustiche sampogne; e, se mia madre,
che si sdegna vedermi errar fra' boschi,
90 ciò non conosce, è cieca ella, e non io,
cui cieco a torto il cieco volgo appella.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Dafne, Silvia
[DAFNE] Vorrai dunque pur, Silvia,
dai piaceri di Venere lontana
menarne tu questa tua giovinezza?
Né 'l dolce nome di madre udirai,
5 né intorno ti vedrai vezzosamente
scherzar i figli pargoletti? Ah, cangia,
cangia, prego, consiglio,
pazzarella che sei.
[SILVIA] Altri segua i diletti de l'amore,
10 se pur v'è ne l'amor alcun diletto:
me questa vita giova, e 'l mio trastullo
è la cura de l'arco e de gli strali;
seguir le fere fugaci, e le forti
atterrar combattendo; e, se non mancano
15 saette a la faretra, o fere al bosco,
non tem'io che a me manchino diporti.
[DAFNE] Insipidi diporti veramente,
ed insipida vita: e, s'a te piace,
è sol perché non hai provata l'altra.
20 Così la gente prima, che già visse
nel mondo ancora semplice ed infante,
stimò dolce bevanda e dolce cibo
l'acqua e le ghiande, ed or l'acqua e le ghiande
sono cibo e bevanda d'animali,
25 poi che s'è posto in uso il grano e l'uva.
Forse, se tu gustassi anco una volta
la millesima parte de le gioie
che gusta un cor amato riamando,
diresti, ripentita, sospirando:
30 "Perduto è tutto il tempo,
che in amar non si spende".
O mia fuggita etate,
quante vedove notti,
quanti dì solitari
35 ho consumati indarno,
che si poteano impiegar in quest'uso,
il qual più replicato è più soave!
Cangia, cangia consiglio,
pazzarella che sei,
40 ché 'l pentirsi da sezzo nulla giova.
[SILVIA] Quando io dirò, pentita, sospirando,
queste parole che tu fingi ed orni
come a te piace, torneranno i fiumi,
a le lor fonti, e i lupi fuggiranno
45 da gli agni, e 'l veltro le timide lepri,
amerà l'orso il mare, e 'l delfin l'alpi.
[DAFNE] Conosco la ritrosa fanciullezza:
qual tu sei, tal io fui: così portava
la vita e 'l volto, e così biondo il crine,
50 e così vermigliuzza avea la bocca,
e così mista col candor la rosa
ne le guancie pienotte e delicate.
Era il mio sommo gusto (or me n'avveggio,
gusto di sciocca) sol tender le reti,
55 ed invescar le panie, ed aguzzare
il dardo ad una cote, e spiar l'orme
e 'l covil de le fere: e, se talora
vedea guatarmi da cupido amante,
chinava gli occhi rustica e selvaggia,
60 piena di sdegno e di vergogna, e m'era
mal grata la mia grazia, e dispiacente
quanto di me piaceva altrui: pur come
fosse mia colpa e mia onta e mio scorno
l'esser guardata, amata e desiata.
65 Ma che non puote il tempo? e che non puote,
servendo, meritando, supplicando,
fare un fedele ed importuno amante?
Fui vinta, io te 'l confesso, e furon l'armi
del vincitore umiltà, sofferenza,
70 pianti, sospiri, e dimandar mercede.
Mostrommi l'ombra d'una breve notte
allora quel che 'l lungo corso e 'l lume
di mille giorni non m'avea mostrato;
ripresi allor me stessa e la mia cieca
75 simplicitate, e dissi sospirando:
"Eccoti, Cinzia, il corno, eccoti l'arco,
ch'io rinunzio i tuoi strali e la tua vita".
Così spero veder ch'anco il tuo Aminta
pur un giorno domestichi la tua
80 rozza salvatichezza, ed ammollisca
questo tuo cor di ferro e di macigno.
Forse ch'ei non è bello? o ch'ei non t'ama?
o ch'altri lui non ama? o ch'ei si cambia
per l'amor d'altri? over per l'odio tuo?
85 forse ch'in gentilezza egli ti cede?
Se tu sei figlia di Cidippe, a cui
fu padre il Dio di questo nobil fiume,
ed egli è figlio di Silvano, a cui
Pane fu padre, il gran Dio de' pastori.
90 Non è men di te bella, se ti guardi
dentro lo specchio mai d'alcuna fonte,
la candida Amarilli; e pur ei sprezza
le sue dolci lusinghe, e segue i tuoi
dispettosi fastidi.
Or fingi (e voglia
95 pur Dio che questo fingere sia vano)
ch'egli, teco sdegnato, al fin procuri
ch'a lui piaccia colei cui tanto ei piace:
qual animo fia il tuo? o con quali occhi
il vedrai fatto altrui? fatto felice
100 ne l'altrui braccia, e te schernir ridendo?
[SILVIA] Faccia Aminta di sé e de' suoi amori
quel ch'a lui piace: a me nulla ne cale;
e, pur che non sia mio, sia di chi vuole;
ma esser non può mio, s'io lui non voglio;
105 né, s'anco egli mio fosse, io sarei sua.
[DAFNE] Onde nasce il tuo odio? [SILVIA] Dal suo amore.
[DAFNE] Piacevol padre di figlio crudele.
Ma quando mai dai mansueti agnelli
nacquer le tigri? o dai bei cigni i corvi?
110 O me inganni, o te stessa.
[SILVIA] Odio il suo amore,
ch'odia la mia onestate, ed amai lui,
mentr'ei volse di me quel ch'io voleva.
[DAFNE] Tu volevi il tuo peggio: egli a te brama
quel ch'a sé brama.
[SILVIA] Dafne, o taci, o parla
115 d'altro, se vuoi risposta.
[DAFNE] Or guata modi!
guata che dispettosa giovinetta!
Or rispondimi almen: s'altri t'amasse,
gradiresti il suo amore in questa guisa?
[SILVIA] In questa guisa gradirei ciascuno
120 insidiator di mia virginitate,
che tu dimandi amante, ed io nimico.
[DAFNE] Stimi dunque nemico
il monton de l'agnella?
de la giovenca il toro?
125 Stimi dunque nemico
il tortore a la fida tortorella?
Stimi dunque stagione
di nimicizia e d'ira
la dolce primavera,
130 ch'or allegra e ridente
riconsiglia ad amare
il mondo e gli animali
e gli uomini e le donne? e non t'accorgi
come tutte le cose
135 or sono innamorate
d'un amor pien di gioia e di salute?
Mira là quel colombo
con che dolce susurro lusingando
bacia la sua compagna.
140 Odi quell'usignuolo
che va di ramo in ramo
cantando: "Io amo, io amo"; e, se no 'l sai,
la biscia lascia il suo veleno e corre
cupida al suo amatore;
145 van le tigri in amore;
ama il leon superbo; e tu sol, fiera
più che tutte le fere,
albergo gli dineghi nel tuo petto.
Ma che dico leoni e tigri e serpi,
150 che pur han sentimento? amano ancora
gli alberi.
Veder puoi con quanto affetto
e con quanti iterati abbracciamenti
la vite s'avviticchia al suo marito;
l'abete ama l'abete, il pino il pino,
155 l'orno per l'orno e per la salce il salce
e l'un per l'altro faggio arde e sospira.
Quella quercia, che pare
sì ruvida e selvaggia,
sent'anch'ella il potere
160 de l'amoroso foco; e, se tu avessi
spirto e senso d'amore, intenderesti
i suoi muti sospiri.
Or tu da meno
esser vuoi de le piante,
per non esser amante?
165 Cangia, cangia consiglio,
pazzarella che sei.
[SILVIA] Or su, quando i sospiri
udirò de le piante,
io son contenta allor d'esser amante.
170 [DAFNE] Tu prendi a gabbo i miei fidi consigli
e burli mie ragioni? O in amore
sorda non men che sciocca! Ma va pure,
ché verrà tempo che ti pentirai
non averli seguiti.
E già non dico
175 allor che fuggirai le fonti, ov'ora
spesso ti specchi e forse ti vagheggi,
allor che fuggirai le fonti, solo
per tema di vederti crespa e brutta;
questo averratti ben; ma non t'annuncio
180 già questo solo, ché, bench'è gran male,
è però mal commune.
Or non rammenti
ciò che l'altr'ieri Elpino raccontava,
il saggio Elpino a la bella Licori,
Licori ch'in Elpin puote con gli occhi
185 quel ch'ei potere in lei dovria col canto,
se 'l dovere in amor si ritrovasse?
E 'l raccontava udendo Batto e Tirsi
gran maestri d'amore, e 'l raccontava
ne l'antro de l'Aurora, ove su l'uscio
190 è scritto: "Lungi, ah lungi ite, profani".
Diceva egli, e diceva che glie 'l disse
quel grande che cantò l'armi e gli amori,
ch'a lui lasciò la fistola morendo,
che là giù ne lo 'nferno è un nero speco,
195 là dove essala un fumo pien di puzza
da le triste fornaci d'Acheronte;
e che quivi punite eternamente
in tormenti di tenebre e di pianto
son le femine ingrate e sconoscenti.
200 Quivi aspetta ch'albergo s'apparecchi
a la tua feritate;
e dritto è ben ch'il fumo
tragga mai sempre il pianto da quegli occhi,
onde trarlo giamai
205 non poté la pietate.
Segui, segui tuo stile,
ostinata che sei.
[SILVIA] Ma che fe' allor Licori? e com' rispose
a queste cose? [DAFNE] Tu de' fatti propri
210 nulla ti curi, e vuoi saper gli altrui.
Con gli occhi gli rispose.
[SILVIA] Come risponder sol poté con gli occhi?
[DAFNE] Risposer questi con dolce sorriso,
volti ad Elpino: "Il core e noi siam tuoi;
215 tu bramar più non déi: costei non puote
più darti".
E tanto solo basterebbe
per intiera mercede al casto amante,
se stimasse veraci come belli
quegli occhi, e lor prestasse intera fede.
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