AMINTA, di Torquato Tasso - pagina 3
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E se ben poi (come altrui piacque) feci
ritorno a queste selve, io pur ritenni
parte di quello spirto; né già suona
la mia sampogna umil come soleva,
305 ma di voce più altera e più sonora
emula de le trombe, empie le selve.
Udimmi Mopso poscia, e con maligno
guardo mirando, affascinommi; ond'io
roco divenni, e poi gran tempo tacqui:
310 quando i pastor credean ch'io fossi stato
visto dal lupo, e 'l lupo era costui.
Questo t'ho detto, acciò che sappi quanto
il parlar di costui di fede è degno;
e déi bene sperar, sol perché ei vuole
315 che nulla speri.
[AMINTA] Piacemi d'udire
quanto mi narri.
A te dunque rimetto
la cura di mia vita.
[TIRSI] Io n'avrò cura.
Tu fra mezz'ora qui trovar ti lassa.
320 non già perché di latte
sen' corse il fiume e stillò mele il bosco;
non perché i frutti loro
dier da l'aratro intatte
le terre, e gli angui errar senz'ira o tosco;
325 non perché nuvol fosco
non spiegò allor suo velo,
ma in primavera eterna,
ch'ora s'accende e verna,
rise di luce e di sereno il cielo;
330 né portò peregrino
o guerra o merce agli altrui lidi il pino;
ma sol perché quel vano
nome senza soggetto,
quell'idolo d'errori, idol d'inganno,
335 quel che dal volgo insano
onor poscia fu detto,
che di nostra natura 'l feo tiranno,
non mischiava il suo affanno
fra le liete dolcezze
340 de l'amoroso gregge;
né fu sua dura legge
nota a quell'alme in libertate avvezze,
ma legge aurea e felice
che natura scolpì: "S'ei piace, ei lice".
345 Allor tra fiori e linfe
traen dolci carole
gli Amoretti senz'archi e senza faci;
sedean pastori e ninfe
meschiando a le parole
350 vezzi e susurri, ed ai susurri i baci
strettamente tenaci;
la verginella ignude
scopria sue fresche rose,
ch'or tien nel velo ascose,
355 e le poma del seno acerbe e crude;
e spesso in fonte o in lago
scherzar si vide con l'amata il vago.
Tu prima, Onor, velasti
la fonte dei diletti,
360 negando l'onde a l'amorosa sete;
tu a' begli occhi insegnasti
di starne in sé ristretti,
e tener lor bellezze altrui secrete;
tu raccogliesti in rete
365 le chiome a l'aura sparte;
tu i dolci atti lascivi
festi ritrosi e schivi;
ai detti il fren ponesti, ai passi l'arte;
opra è tua sola, o Onore,
370 che furto sia quel che fu don d'Amore.
E son tuoi fatti egregi
le pene e i pianti nostri.
Ma tu, d'Amore e di Natura donno,
tu domator de' Regi,
375 che fai tra questi chiostri,
che la grandezza tua capir non ponno?
Vattene, e turba il sonno
agl'illustri e potenti:
noi qui, negletta e bassa
380 turba, senza te lassa
viver ne l'uso de l'antiche genti.
s'asconde, e 'l sonno eterna notte adduce.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Satiro solo
[SATIRO] Picciola è l'ape, e fa col picciol morso
pur gravi e pur moleste le ferite;
ma qual cosa è più picciola d'Amore,
se in ogni breve spazio entra, e s'asconde
5 in ogni breve spazio? or sotto a l'ombra
de le palpebre, or tra' minuti rivi
d'un biondo crine, or dentro le pozzette
che forma un dolce riso in bella guancia;
e pur fa tanto grandi e sì mortali
10 e così immedicabili le piaghe.
Ohimè, che tutte piaga e tutte sangue
son le viscere mie; e mille spiedi
ha ne gli occhi di Silvia il crudo Amore.
Crudel Amor, Silvia crudele ed empia
15 più che le selve! Oh come a te confassi
tal nome, e quanto vide chi te 'l pose!
Celan le selve angui, leoni ed orsi,
dentro il lor verde: e tu dentro al bel petto
nascondi odio, disdegno ed impietate,
20 fere peggior ch'angui, leoni ed orsi
ché si placano quei, questi placarsi
non possono per prego né per dono.
Ohimè, quando ti porto i fior novelli,
tu li ricusi, ritrosetta, forse
25 perché fior via più belli hai nel bel volto.
Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,
tu li rifiuti, disdegnosa, forse
perché pomi più vaghi hai nel bel seno.
Lasso, quand'io t'offrisco il dolce mele,
30 tu lo disprezzi, dispettosa, forse
perché mel via più dolce hai ne le labra.
Ma, se mia povertà non può donarti
cosa ch'in te non sia più bella e dolce,
me medesmo ti dono.
Or perché iniqua
35 scherni e abborri il dono? non son io
da disprezzar, se ben me stesso vidi
nel liquido del mar, quando l'altr'ieri
taceano i venti ed ei giacea senz'onda.
Questa mia faccia di color sanguigno,
40 queste mie spalle larghe, e queste braccia
torose e nerborute, e questo petto
setoso, e queste mie velate coscie
son di virilità, di robustezza
indicio; e, se no 'l credi, fanne prova.
45 Che vuoi tu far di questi tenerelli,
che di molle lanugine fiorite
hanno a pena le guancie? e che con arte
dispongono i capelli in ordinanza?
Femine nel sembiante e ne le forze
50 sono costoro.
Or di' ch'alcun ti segua
per le selve e pei monti, e 'ncontra gli orsi
ed incontra i cinghiai per te combatta.
Non sono io brutto, no, né tu mi sprezzi
perché sì fatto io sia, ma solamente
55 perché povero sono.
Ahi, ché le ville
seguon l'essempio de le gran cittadi!
e veramente il secol d'oro è questo,
poiché sol vince l'oro e regna l'oro.
O chiunque tu fosti, che insegnasti
60 primo a vender l'amor, sia maledetto
il tuo cener sepolto e l'ossa fredde,
e non si trovi mai pastore o ninfa
che lor dica passando: "Abbiate pace";
ma le bagni la pioggia e mova il vento,
65 e con piè immondo la greggia il calpesti
e 'l peregrin.
Tu prima svergognasti
la nobiltà d'amor; tu le sue liete
dolcezze inamaristi.
Amor venale,
amor servo de l'oro è il maggior mostro
70 ed il più abominabile e il più sozzo,
che produca la terra o 'l mar fra l'onde.
Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno
quell'armi che gli ha date la natura
per sua salute: il cervo adopra il corso,
75 il leone gli artigli, ed il bavoso
cinghiale il dente; e son potenza ed armi
de la donna bellezza e leggiadria;
io, perché non per mia salute adopro
la violenza, se mi fe' natura
80 atto a far violenza ed a rapire?
Sforzerò, rapirò quel che costei
mi niega, ingrata, in merto de l'amore;
che, per quanto un caprar testé mi ha detto,
ch'osservato ha suo stile, ella ha per uso
85 d'andar sovente a rinfrescarsi a un fonte;
e mostrato m'ha il loco.
Ivi io disegno
tra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti,
ed aspettar fin che vi venga; e, come
veggia l'occasion, correrle addosso.
90 Qual contrasto col corso o con le braccia
potrà fare una tenera fanciulla
contra me sì veloce e sì possente?
Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzo
di pietà, di bellezza: che, s'io posso
95 questa mano ravvoglierle nel crine,
indi non partirà, ch'io pria non tinga
l'armi mie per vendetta nel suo sangue.
SCENA SECONDA
Dafne, Tirsi
[DAFNE] Tirsi, com'io t'ho detto, io m'era accorta
ch'Aminta amava Silvia; e Dio sa quanti
buoni officii n'ho fatti, e son per farli
tanto più volontier, quant'or vi aggiungi
5 le tue preghiere; ma torrei più tosto
a domar un giuvenco, un orso, un tigre,
che a domar una semplice fanciulla:
fanciulla tanto sciocca quanto bella,
che non s'avveggia ancor come sian calde
10 l'armi di sua bellezza e come acute,
ma ridendo e piangendo uccida altrui,
e l'uccida e non sappia di ferire.
[TIRSI] Ma quale è così semplice fanciulla
che, uscita da le fascie, non apprenda
15 l'arte del parer bella e del piacere,
de l'uccider piacendo, e del sapere
qual arme fera, e qual dia morte, e quale
sani e ritorni in vita? [DAFNE] Chi è 'l mastro
di cotant'arte? [TIRSI] Tu fingi, e mi tenti:
20 quel che insegna agli augelli il canto e 'l volo,
a' pesci il nuoto ed a' montoni il cozzo,
al toro usar il corno, ed al pavone
spiegar la pompa de l'occhiute piume.
[DAFNE] Come ha nome 'l gran mastro? [TIRSI] Dafne ha nome.
25 [DAFNE] Lingua bugiarda! [TIRSI] E perché? tu non sei
atta a tener mille fanciulle a scola?
Benché, per dir il ver, non han bisogno
di maestro: maestra è la natura,
ma la madre e la balia anco v'han parte.
30 [DAFNE] In somma, tu sei goffo insieme e tristo.
Ora, per dirti il ver, non mi risolvo
se Silvia è semplicetta come pare
a le parole, a gli atti.
Ier vidi un segno
che me ne mette in dubbio.
Io la trovai
35 là presso la cittade in quei gran prati
ove fra stagni giace un'isoletta,
sovra essa un lago limpido e tranquillo,
tutta pendente in atto che parea
vagheggiar se medesma, e 'nsieme insieme
40 chieder consiglio a l'acque in qual maniera
dispor dovesse in su la fronte i crini,
e sovra i crini il velo, e sovra 'l velo
i fior che tenea in grembo; e spesso spesso
or prendeva un lingustro, or una rosa,
45 e l'accostava al bel candido collo,
a le guancie vermiglie, e de' colori
fea paragone; e poi, sì come lieta
de la vittoria, lampeggiava un riso
che parea che dicesse: "Io pur vi vinco,
50 né porto voi per ornamento mio,
ma porto voi sol per vergogna vostra,
perché si veggia quanto mi cedete".
Ma, mentre ella s'ornava e vagheggiava,
rivolse gli occhi a caso, e si fu accorta
55 ch'io di lei m'era accorta, e vergognando
rizzossi tosto, e fior lasciò cadere.
In tanto io più ridea del suo rossore,
ella più s'arrossia del riso mio.
Ma, perché accolta una parte de' crini
60 e l'altra aveva sparsa, una o due volte
con gli occhi al fonte consiglier ricorse,
e si mirò quasi di furto, pure
temendo ch'io nel suo guatar guatassi;
ed incolta si vide, e si compiacque
65 perché bella si vide ancor che incolta.
Io me n'avvidi, e tacqui.
[TIRSI] Tu mi narri
quel ch'io credeva a punto.
Or non m'apposi?
[DAFNE] Ben t'apponesti; ma pur odo dire
che non erano pria le pastorelle,
70 né le ninfe sì accorte; né io tale
fui in mia fanciullezza.
Il mondo invecchia,
e invecchiando intristisce.
[TIRSI] Forse allora
non usavan sì spesso i cittadini
ne le selve e ne i campi, né sì spesso
75 le nostre forosette aveano in uso
d'andare a la cittade.
Or son mischiate
schiatte e costumi.
Ma lasciam da parte
questi discorsi; or non farai ch'un giorno
Silvia contenta sia che le ragioni
80 Aminta, o solo, o almeno in tua presenza?
[DAFNE] Non so.
Silvia è ritrosa fuor di modo.
[TIRSI] E costui rispettoso è fuor di modo.
[DAFNE] È spacciato un amante rispettoso:
consiglial pur che faccia altro mestiero,
85 poich'egli è tal.
Chi imparar vuol d'amare,
disimpari il rispetto: osi, domandi,
solleciti, importuni, al fine involi;
e se questo non basta, anco rapisca.
Or non sai tu com'è fatta la donna?
90 Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga;
niega, e negando vuol ch'altri si toglia;
pugna, e pugnando vuol ch'altri la vinca.
Ve', Tirsi, io parlo teco in confidenza:
non ridir ch'io ciò dica.
E sovra tutto
95 non porlo in rime.
Tu sai s'io saprei
renderti poi per versi altro che versi.
[TIRSI] Non hai cagion di sospettar ch'io dica
cosa giamai che sia contra tuo grado.
Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolce
100 memoria di tua fresca giovanezza,
che tu m'aiti ad aitar Aminta
miserel, che si muore.
[DAFNE] Oh che gentile
scongiuro ha ritrovato questo sciocco
di rammentarmi la mia giovanezza,
105 il ben passato e la presente noia!
Ma che vuoi tu ch'io faccia? [TIRSI] A te non manca
né saper, né consiglio.
Basta sol che
ti disponga a voler.
[DAFNE] Or su, dirotti:
debbiamo in breve andare Silvia ed io
110 al fonte che s'appella di Diana,
là dove a le dolci acque fa dolce ombra
quel platano ch'invita al fresco seggio
le ninfe cacciatrici.
Ivi so certo
che tufferà le belle membra ignude.
115 [TIRSI] Ma che però? [DAFNE] Ma che però? Da poco
intenditor! s'hai senno, tanto basti.
[TIRSI] Intendo; ma non so s'egli avrà tanto
d'ardir.
[DAFNE] S'ei non l'avrà, stiasi, ed aspetti
ch'altri lui cerchi.
[TIRSI] Egli è ben tal che 'l merta.
120 [DAFNE] Ma non vogliamo noi parlar alquanto
di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoi
tu inamorarti? sei giovane ancora,
né passi di quattr'anni il quinto lustro,
se ben sovviemmi quando eri fanciullo;
125 vuoi viver neghittoso e senza gioia?
ché sol amando uom sa che sia diletto.
[TIRSI] I diletti di Venere non lascia
l'uom che schiva l'amor, ma coglie e gusta
le dolcezze d'amor senza l'amaro.
130 [DAFNE] Insipido è quel dolce che condito
non è di qualche amaro, e tosto sazia.
[TIRSI] È meglio saziarsi, ch'esser sempre
famelico nel cibo e dopo 'l cibo.
[DAFNE] Ma non, se 'l cibo si possede e piace,
135 e gustato a gustar sempre n'invoglia.
[TIRSI] Ma chi possede sì quel che gli piace
che l'abbia sempre presso a la sua fame?
[DAFNE] Ma chi ritrova il ben, s'egli no 'l cerca?
[TIRSI] Periglioso è cercar quel che trovato
140 trastulla sì, ma più tormenta assai
non ritrovato.
Allor vedrassi amante
Tirsi mai più, ch'Amor nel seggio suo
non avrà più né pianti né sospiri.
A bastanza ho già pianto e sospirato.
145 Faccia altri la sua parte.
[DAFNE] Ma non hai
già goduto a bastanza.
[TIRSI] Né desio
goder, se così caro egli si compra.
[DAFNE] Sarà forza l'amar, se non fia voglia.
[TIRSI] Ma non si può sforzar chi sta lontano.
150 [DAFNE] Ma chi lung'è d'Amor? [TIRSI] Chi teme e fugge.
[DAFNE] E che giova fuggir da lui, c'ha l'ali?
[TIRSI] Amor nascente ha corte l'ali: a pena
può su tenerle, e non le spiega a volo.
[DAFNE] Pur non s'accorge l'uom quand'egli nasce;
155 e, quando uom se n'accorge, è grande, e vola.
[TIRSI] Non, s'altra volta nascer non l'ha visto.
[DAFNE] Vedrem, Tirsi, s'avrai la fuga e gli occhi
come tu dici.
Io ti protesto, poi
che fai del corridore e del cerviero,
160 che, quando ti vedrò chieder aita,
non moverei, per aiutarti, un passo,
un dito, un detto, una palpebra sola.
[TIRSI] Crudel, daratti il cor vedermi morto?
Se vuoi pur ch'ami, ama tu me: facciamo
165 l'amor d'accordo.
[DAFNE] Tu mi scherni, e forse
non merti amante così fatta: ahi quanti
n'inganna il viso colorito e liscio!
[TIRSI] Non burlo io, no; ma tu con tal protesto
non accetti il mio amor, pur come è l'uso
170 di tutte quante; ma, se non mi vuoi,
viverò senza amor.
[DAFNE] Contento vivi
più che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi:
ché ne l'ozio l'amor sempre germoglia.
[TIRSI] O Dafne, a me quest'ozii ha fatto Dio:
175 colui che Dio qui può stimarsi; a cui
si pascon gli ampi armenti e l'ampie greggie
da l'uno a l'altro mare, e per li lieti
colti di fecondissime campagne,
e per gli alpestri dossi d'Apennino.
180 Egli mi disse, allor che suo mi fece:
"Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardi
i miei murati ovili; altri comparta
le pene e i premii a' miei ministri; ed altri
pasca e curi le greggi; altri conservi
185 le lane e 'l latte, ed altri le dispensi:
tu canta, or che se' 'n ozio".
Ond'è ben giusto
che non gli scherzi di terreno amore,
ma canti gli avi del mio vivo e vero
non so s'io lui mi chiami Apollo o Giove,
190 ché ne l'opre e nel volto ambi somiglia,
gli avi più degni di Saturno o Celo:
agreste Musa a regal merto; e pure,
chiara o roca che suoni, ei non la sprezza.
Non canto lui, però che lui non posso
195 degnamente onorar, se non tacendo
e riverendo; ma non fian giamai
gli altari suoi senza i miei fiori, e senza
soave fumo d'odorati incensi:
ed allor questa semplice e devota
200 religion mi si torrà dal core,
che d'aria pasceransi in aria i cervi,
e che, mutando i fiumi e letto e corso,
il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.
[DAFNE] Oh, tu vai alto; or su, discendi un poco
205 al proposito nostro.
[TIRSI] Il punto è questo:
che tu, in andando al fonte con colei,
cerchi d'intenerirla: ed io fra tanto
procurerò ch'Aminta là ne venga.
Né la mia forse men difficil cura
210 sarà di questa tua.
Or vanne.
[DAFNE] Io vado,
ma il proposito nostro altro intendeva.
[TIRSI] Se ben ravviso di lontan la faccia,
Aminta è quel che di là spunta.
È desso.
SCENA TERZA
Aminta, Tirsi
[AMINTA] Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto:
e, s'avrà fatto nulla,
prima ch'io vada in nulla,
uccider vo' me stesso inanzi a gli occhi
5 de la crudel fanciulla.
A lei, cui tanto piace
la piaga del mio core,
colpo de' suoi begli occhi,
altrettanto piacer devrà per certo
10 la piaga del mio petto,
colpo de la mia mano.
[TIRSI] Nove, Aminta, t'annuncio di conforto:
lascia omai questo tanto lamentarti.
[AMINTA] Ohimè, che di'? che porte?
15 O la vita o la morte?
[TIRSI] Porto salute e vita, s'ardirai
di farti loro incontra; ma fa d'uopo
d'esser un uom, Aminta, un uom ardito.
[AMINTA] Qual ardir mi bisogna, e 'ncontra a cui?
20 [TIRSI] Se la tua donna fosse in mezz'un bosco,
che, cinto intorno d'altissime rupi,
desse albergo a le tigri ed a' leoni,
v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei sicuro e baldo
più che di festa villanella al ballo.
25 [TIRSI] E s'ella fosse tra ladroni ed armi,
v'andresti tu? [AMINTA] V'andrei più lieto e pronto
che l'assetato cervo a la fontana.
[TIRSI] Bisogna a maggior prova ardir più grande.
[AMINTA] Andrò per mezzo i rapidi torrenti,
30 quando la neve si discioglie e gonfi
li manda al mare; andrò per mezzo 'l foco
e ne l'inferno, quando ella vi sia,
s'esser può inferno ov'è cosa sì bella.
Orsù, scuoprimi il tutto.
[TIRSI] Odi.
[AMINTA] Di' tosto.
35 [TIRSI] Silvia t'attende a un fonte, ignuda e sola.
Ardirai tu d'andarvi? [AMINTA] Oh, che mi dici?
Silvia m'attende ignuda e sola? [TIRSI] Sola,
se non quanto v'è Dafne, ch'è per noi.
[AMINTA] Ignuda ella m'aspetta? [TIRSI] Ignuda: ma...
40 [AMINTA] Ohimè, che "ma"? Tu taci; tu m'uccidi.
[TIRSI] Ma non sa già che tu v'abbi d'andare.
[AMINTA] Dura conclusion, che tutte attosca
le dolcezze passate.
Or, con qual arte,
crudel, tu mi tormenti?
45 Poco dunque ti pare
che infelice io sia,
che a crescer vieni la miseria mia?
[TIRSI] S'a mio senno farai, sarai felice.
[AMINTA] E che consigli? [TIRSI] Che tu prenda quello
50 che la fortuna amica t'appresenta.
[AMINTA] Tolga Dio che mai faccia
cosa che le dispiaccia;
cosa io non feci mai che le spiacesse,
fuor che l'amarla: e questo a me fu forza,
55 forza di sua bellezza, e non mia colpa.
Non sarà dunque ver ch'in quanto io posso,
non cerchi compiacerla.
[TIRSI] Ormai rispondi:
se fosse in tuo poter di non amarla,
lasciaresti d'amarla, per piacerle?
60 [AMINTA] Né questo mi consente Amor ch'io dica,
né ch'imagini pur d'aver già mai
a lasciar il suo amor, bench'io potessi.
[TIRSI] Dunque tu l'ameresti al suo dispetto,
quando potessi far di non amarla.
65 [AMINTA] Al suo dispetto no, ma l'amerei.
[TIRSI] Dunque fuor di sua voglia.
[AMINTA] Sì per certo.
[TIRSI] Perché dunque non osi oltra sua voglia
prenderne quel che, se ben grava in prima,
al fin, al fin le sarà caro e dolce
70 che l'abbi preso? [AMINTA] Ahi, Tirsi, Amor risponda
per me; ché quanto a mezz'il cor mi parla,
non so ridir.
Tu troppo scaltro sei
già per lungo uso a ragionar d'amore:
a me lega la lingua
75 quel che mi lega il core.
[TIRSI] Dunque andar non vogliamo? [AMINTA] Andare io voglio,
ma non dove tu stimi.
[TIRSI] E dove? [AMINTA] A morte,
s'altro in mio pro' non hai fatto che quanto
ora mi narri.
[TIRSI] E poco parti questo?
80 Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafne
consigliasse l'andar, se non vedesse
in parte il cor di Silvia? E forse ch'ella
il sa, né però vuol ch'altri risappia
ch'ella ciò sappia.
Or, se 'l consenso espresso
85 cerchi di lei, non vedi che tu cerchi
quel che più le dispiace? Or dove è dunque
questo tuo desiderio di piacerle?
E s'ella vuol che 'l tuo diletto sia
tuo furto o tua rapina, e non suo dono
90 né sua mercede, a te, folle, che importa
più l'un modo che l'altro? [AMINTA] E chi m'accerta
che il suo desir sia tale? [TIRSI] Oh mentecatto!
Ecco, tu chiedi pur quella certezza
ch'a lei dispiace, e dispiacer le deve
95 dirittamente, e tu cercar non déi.
Ma chi t'accerta ancor che non sia tale?
Or s'ella fosse tale, e non v'andassi?
Eguale è il dubbio e 'l rischio.
Ahi, pur è meglio
come ardito morir, che come vile.
100 Tu taci, tu sei vinto.
Ora confessa
questa perdita tua, che fia cagione
di vittoria maggiore.
Andianne.
[AMINTA] Aspetta.
[TIRSI] Che "Aspetta"? non sai ben che 'l tempo fugge?
[AMINTA] Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come.
105 [TIRSI] Per strada penserem ciò che vi resta;
ma nulla fa chi troppe cose pensa.
[CORO] Amore, in quale scola,
da qual mastro s'apprende
la tua sì lunga e dubbia arte d'amare?
110 Chi n'insegna a spiegare
ciò che la mente intende,
mentre con l'ali tue sovra il ciel vola?
Non già la dotta Atene,
né 'l Liceo ne 'l dimostra;
115 non Febo in Elicona,
che sì d'Amor ragiona
come colui ch'impara:
freddo ne parla, e poco;
non ha voce di foco,
120 come a te si conviene;
non alza i suoi pensieri
a par de' tuoi misteri.
Amor, degno maestro
sol tu sei di te stesso,
125 e sol tu sei da te medesmo espresso;
tu di legger insegni
ai più rustici ingegni
quelle mirabil cose
che con lettre amorose
130 scrivi di propria man negli occhi altrui;
tu in bei facondi detti
sciogli la lingua de' fedeli tuoi;
e spesso (oh strana e nova
eloquenza d'Amore!)
135 spesso in un dir confuso
e 'n parole interrotte
meglio si esprime il core,
e più par che si mova,
che non si fa con voci adorne e dotte;
140 e 'l silenzio ancor suole
aver prieghi e parole.
Amor, leggan pur gli altri
le socratiche carte,
ch'io in due begli occhi apprenderò quest'arte;
145 e perderan le rime
de le penne più saggie
appo le mie selvaggie,
che rozza mano in rozza scorza imprime.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Tirsi, coro
[TIRSI] Oh crudeltate estrema, oh ingrato core,
oh donna ingrata, oh tre fiate e quattro
ingratissimo sesso! E tu, natura,
negligente maestra, perché solo
5 a le donne nel volto e in quel di fuori
ponesti quanto in loro è di gentile,
di mansueto e di cortese, e tutte
l'altre parti obliasti? Ahi, miserello,
forse ha se stesso ucciso; ei non appare;
10 io l'ho cerco e ricerco omai tre ore
nel loco ov'io il lasciai e nei contorni:
né trovo lui né orme de' suoi passi.
Ahi, che s'è certo ucciso! Io vo' novella
chiederne a que' pastor che colà veggio.
15 Amici, avete visto Aminta, o inteso
novella di lui forse? [CORO] Tu mi pari
così turbato: e qual cagion t'affanna?
Ond'è questo sudor, e questo ansare?
Havvi nulla di mal? fa che 'l sappiamo.
20 [TIRSI] Temo del mal d'Aminta: avetel visto?
[CORO] Noi visto non l'abbiam dapoi che teco,
buona pezza, partì; ma che ne temi?
[TIRSI] Ch'egli non s'abbia ucciso di sua mano.
[CORO] Ucciso di sua mano? or perché questo?
25 che ne stimi cagione? [TIRSI] Odio ed Amore.
[CORO] Duo potenti inimici, insieme aggiunti,
che far non ponno? Ma parla più chiaro.
[TIRSI] L'amar troppo una ninfa, e l'esser troppo
odiato da lei.
[CORO] Deh, narra il tutto;
30 questo è luogo di passo, e forse intanto
alcun verrà che nova di lui rechi:
forse arrivar potrebbe anch'egli istesso.
[TIRSI] Dirollo volontier, ché non è giusto,
che tanta ingratitudine e sì strana
35 senza l'infamia debita si resti.
Presentito avea Aminta (ed io fui lasso,
colui che riferì'lo e che 'l condussi:
or me ne pento) che Silvia dovea
con Dafne ire a lavarsi ad una fonte.
40 Là dunque s'inviò dubbio ed incerto,
mosso non dal suo cor, ma sol dal mio
stimolar importuno; e spesso in forse
fu di tornar indietro, ed io 'l sospinsi,
pur mal suo grado, inanzi.
Or quando omai
45 c'era il fonte vicino, ecco, sentiamo
un feminil lamento; e quasi a un tempo
Dafne veggiam, che battea palma a palma;
la qual, come ci vide, alzò la voce:
"Ah, correte," gridò "Silvia è sforzata".
50 L'inamorato Aminta, che ciò intese,
si spiccò com'un pardo, ed io seguì'lo;
ecco miriamo a un'arbore legata
la giovinetta, ignuda come nacque,
ed a legarla fune era il suo crine:
55 il suo crine medesmo in mille nodi
a la pianta era avvolto; e 'l suo bel cinto,
che del sen virginal fu pria custode,
di quello stupro era ministro, ed ambe
le mani al duro tronco le stringea;
60 e la pianta medesma avea prestati
legami contra lei: ch'una ritorta
d'un pieghevole ramo avea a ciascuna
de le tenere gambe.
A fronte a fronte
un satiro villan noi le vedemmo,
65 che di legarla pur allor finia.
Ella quanto potea faceva schermo;
ma che potuto avrebbe a lungo andare?
Aminta, con un dardo che tenea
ne la man destra, al satiro avventossi
70 come un leone, ed io fra tanto pieno
m'avea di sassi il grembo, onde fuggissi.
Come la fuga de l'altro concesse
spazio a lui di mirare, egli rivolse
i cupidi occhi in quelle membra belle,
75 che, come suole tremolare il latte
ne' giunchi, sì parean morbide e bianche.
E tutto 'l vidi sfavillar nel viso;
poscia accostossi pianamente a lei
tutto modesto, e disse: "O bella Silvia,
80 perdona a queste man, se troppo ardire
è l'appressarsi a le tue dolci membra,
perché necessità dura le sforza:
necessità di scioglier questi nodi;
né questa grazia, che fortuna vuole
85 conceder loro, tuo mal grado sia".
[CORO] Parole d'ammollir un cor di sasso.
Ma che rispose allor? [TIRSI] Nulla rispose,
ma disdegnosa e vergognosa a terra
chinava il viso, e 'l delicato seno,
90 quanto potea torcendosi, celava.
Egli, fattosi inanzi, il biondo crine
cominciò a sviluppare, e disse in tanto:
"Già di nodi sì bei non era degno
così ruvido tronco: or, che vantaggio
95 hanno i servi d'Amor, se lor commune
è con le piante il prezioso laccio?
Pianta crudel, potesti quel bel crine
offender tu, ch'a te feo tanto onore?"
Quinci con le sue man le man le sciolse,
100 in modo tal che parea che temesse
pur di toccarle, e desiasse insieme;
si chinò poi per islegarle i piedi;
ma come Silvia in libertà le mani
si vide, disse in atto dispettoso:
105 "Pastor, non mi toccar: son di Diana;
per me stessa saprò sciogliermi i piedi".
[CORO] Or tanto orgoglio alberga in cor di ninfa?
Ahi d'opra graziosa ingrato merto!
[TIRSI] Ei si trasse in disparte riverente,
110 non alzando pur gli occhi per mirarla,
negando a se medesmo il suo piacere,
per tôrre a lei fatica di negarlo.
Io, che m'era nascoso, e vedea il tutto
ed udia il tutto, allor fui per gridare;
115 pur mi ritenni.
Or odi strana cosa.
Dopo molta fatica ella si sciolse;
e, sciolta a pena, senza dire "A Dio",
a fuggir cominciò com'una cerva;
e pur nulla cagione avea di tema,
120 ché l'era noto il rispetto d'Aminta.
[CORO] Perché dunque fuggissi? [TIRSI] A la sua fuga
volse l'obligo aver, non a l'altrui
modesto amore.
[CORO] Ed in quest'anco è ingrata.
Ma che fe' 'l miserello allor? che disse?
125 [TIRSI] No 'l so, ch'io, pien di mal talento, corsi
per arrivarla e ritenerla, e 'nvano,
ch'io la smarrii; e poi tornando dove
lasciai Aminta al fonte, no 'l trovai;
ma presago è il mio cor di qualche male.
130 So ch'egli era disposto di morire,
prima che ciò avvenisse.
[CORO] È uso ed arte
di ciascun ch'ama minacciarsi morte;
ma rade volte poi segue l'effetto.
[TIRSI] Dio faccia ch'ei non sia tra questi rari.
135 [CORO] Non sarà, no.
[TIRSI] Io voglio irmene a l'antro
del saggio Elpino: ivi, s'è vivo, forse
sarà ridotto, ove sovente suole
raddolcir gli amarissimi martiri
al dolce suon de la sampogna chiara,
140 ch'ad udir trae dagli alti monti i sassi,
e correr fa di puro latte i fiumi,
e stillar mele da le dure scorze.
SCENA SECONDA
Aminta, Dafne, Nerina
[AMINTA] Dispietata pietate
fu la tua veramente, o Dafne, allora
che ritenesti il dardo;
però che 'l mio morire
5 più amaro sarà, quanto più tardo.
Ed or perché m'avvolgi
per sì diverse strade e per sì varii
ragionamenti in vano? di che temi?
ch'io non m'uccida? Temi del mio bene.
10 [DAFNE] Non disperar, Aminta,
ché, s'io lei ben conosco,
sola vergogna fu, non crudeltate,
quella che mosse Silvia a fuggir via.
[AMINTA] Ohimè, che mia salute
15 sarebbe il disperare,
poiché sol la speranza
è stata mia rovina; ed anco, ahi lasso,
tenta di germogliar dentr'al mio petto,
sol perché io viva: e quale è maggior male
20 de la vita d'un misero com'io?
[DAFNE] Vivi, misero, vivi
ne la miseria tua; e questo stato
sopporta sol per divenir felice,
quando che sia.
Fia premio de la speme,
25 se vivendo e sperando ti mantieni,
quel che vedesti ne la bella ignuda.
[AMINTA] Non pareva ad Amor e a mia fortuna
ch'a pien misero fossi, s'anco a pieno
non m'era dimostrato
30 quel che m'era negato.
[NERINA] Dunque a me pur convien esser sinistra
còrnice d'amarissima novella!
Oh per mai sempre misero Montano,
qual animo fia 'l tuo quando udirai
35 de l'unica tua Silvia il duro caso?
Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre!
[DAFNE] Odo una mesta voce.
[AMINTA] Io odo 'l nome
di Silvia, che gli orecchi e 'l cor mi fere;
ma chi è che la noma? [DAFNE] Ella è Nerina,
40 ninfa gentil che tanto a Cinzia è cara,
c'ha sì begli occhi e così belle mani
e modi sì avvenenti e graziosi.
[NERINA] E pur voglio che 'l sappi e che procuri
di ritrovar le reliquie infelici,
45 se nulla ve ne resta.
Ahi Silvia, ahi dura
infelice tua sorte!
[AMINTA] Ohimè, che fia? che costei dice? [NERINA] Dafne!
[DAFNE] Che parli fra te stessa, e perché nomi
tu Silvia, e poi sospiri? [NERINA] Ahi, ch'a ragione
50 sospiro l'aspro caso! [AMINTA] Ahi, di qual caso
può ragionar costei? Io sento, io sento
che mi s'agghiaccia il core e mi si chiude
lo spirto.
È viva?
[DAFNE] Narra, qual aspro caso è quel che dici?
55 [NERINA] O Dio, perché son io
la messaggiera? E pur convien narrarlo.
Venne Silvia al mio albergo ignuda; e quale
fosse l'occasion, saper la déi;
poi rivestita mi pregò che seco
60 ir volessi a la caccia che ordinata
era nel bosco c'ha nome da l'elci.
Io la compiacqui: andammo, e ritrovammo
molte ninfe ridotte; ed indi a poco
ecco, di non so d'onde, un lupo sbuca,
65 grande fuor di misura, e da le labra
gocciolava una bava sanguinosa;
Silvia un quadrello adatta su la corda
d'un arco ch'io le diedi, e tira e 'l coglie
a sommo 'l capo: ei si rinselva, ed ella,
70 vibrando un dardo, dentro 'l bosco il segue.
[AMINTA] Oh dolente principio; ohimè, qual fine
già mi s'annuncia? [NERINA] Io con un altro dardo
seguo la traccia, ma lontana assai,
ché più tarda mi mossi.
Come furo
75 dentro a la selva, più non la rividi:
ma pur per l'orme lor tanto m'avvolsi,
che giunsi nel più folto e più deserto;
quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,
né molto indi lontano un bianco velo,
80 ch'io stessa le ravvolsi al crine; e, mentre
mi guardo intorno, vidi sette lupi
che leccavan di terra alquanto sangue
sparto intorno a cert'ossa affatto nude;
e fu mia sorte ch'io non fui veduta
85 da loro, tanto intenti erano al pasto;
tal che, piena di tema e di pietate,
indietro ritornai; e questo è quanto
posso dirvi di Silvia; ed ecco 'l velo.
[AMINTA] Poco pàrti aver detto? Oh velo, oh sangue,
90 oh Silvia, tu se' morta! [DAFNE] Oh miserello,
tramortito è d'affanno, e forse morto.
[NERINA] Egli rispira pure: questo fia
un breve svenimento; ecco, riviene.
[AMINTA] Dolor, che sì mi crucii,
95 ché non m'uccidi omai? tu sei pur lento!
Forse lasci l'officio a la mia mano.
Io son, io son contento
ch'ella prenda tal cura,
poi che tu la ricusi, o che non puoi.
100 Ohimè, se nulla manca
a la certezza omai,
e nulla manca al colmo
de la miseria mia,
che bado? che più aspetto? O Dafne, o Dafne,
105 a questo amaro fin tu mi salvasti,
a questo fine amaro?
Bello e dolce morir fu certo allora
che uccidere io mi volsi.
Tu me 'l negasti, e 'l Ciel, a cui parea
110 ch'io precorressi col morir la noia
ch'apprestata m'avea.
Or che fatt'ha l'estremo
de la sua crudeltate,
ben soffrirà ch'io moia,
115 e tu soffrir lo dei.
[DAFNE] Aspetta a la tua morte,
sin che 'l ver meglio intenda.
[AMINTA] Ohimè, che vuoi ch'attenda?
Ohimè, che troppo ho atteso, e troppo inteso.
120 [NERINA] Deh, foss'io stata muta!
[AMINTA] Ninfa, dammi, ti prego,
quel velo ch'è di lei
solo e misero avanzo,
sì ch'egli m'accompagne
125 per questo breve spazio
e di via e di vita che mi resta,
e con la sua presenza
accresca quel martire,
ch'è ben picciol martire,
130 s'ho bisogno d'aiuto al mio morire.
[NERINA] Debbo darlo o negarlo?
La cagion perché 'l chiedi
fa ch'io debba negarlo.
[AMINTA] Crudel, sì picciol dono
135 mi nieghi al punto estremo?
E in questo anco maligno
mi si mostra il mio fato.
Io cedo, io cedo:
a te si resti; e voi restate ancora,
ch'io vo per non tornare.
140 [DAFNE] Aminta, aspetta, ascolta...
Ohimè, con quanta furia egli si parte!
[NERINA] Egli va sì veloce,
che fia vano il seguirlo; ond'è pur meglio
ch'io segua il mio viaggio; e forse è meglio
145 ch'io taccia e nulla conti
al misero Montano.
[CORO] Non bisogna la morte,
ch'a stringer nobil core
prima basta la fede, e poi l'amore.
150 Né quella che si cerca
è sì difficil fama
seguendo chi ben ama,
ch'amore è merce, e con amar si merca.
E cercando l'amor si trova spesso
155 gloria immortal appresso.
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Dafne, Silvia, Coro
[DAFNE] Ne porti il vento, con la ria novella,
che s'era di te sparta, ogni tuo male
e presente e futuro.
Tu sei viva
e sana, Dio lodato, ed io per morta
5 pur ora ti tenea: in tal maniera
m'avea Nerina il tuo caso dipinto.
Ahi, fosse stata muta, ed altri sordo!
[SILVIA] Certo 'l rischio fu grande, ed ella avea
giusta cagion di sospettarmi morta.
10 [DAFNE] Ma non giusta cagion avea di dirlo.
Or narra tu qual fosse 'l rischio, e come
tu lo fuggisti.
[SILVIA] Io, seguitando un lupo,
mi rinselvai nel più profondo bosco,
tanto ch'io ne perdei la traccia.
Or, mentre
15 cerco di ritornare onde mi tolsi,
il vidi, e riconobbi a un stral che fitto
gli aveva di mia man press'un orecchio.
Il vidi con molt'altri intorno a un corpo
d'un animal ch'avea di fresco ucciso,
20 ma non distinsi ben la forma.
Il lupo
ferito, credo, mi conobbe, e 'ncontro
mi venne con la bocca sanguinosa.
Io l'aspettava ardita, e con la destra
vibrava un dardo.
Tu sai ben s'io sono
25 maestra di ferire, e se mai soglio
far colpo in fallo.
Or, quando il vidi tanto
vicin, che giusto spazio mi parea
a la percossa, lanciai un dardo, e 'n vano:
ché, colpa di fortuna o pur mia colpa,
30 in vece sua colsi una pianta.
Allora
più ingordo incontro ei mi venia; ed io
che 'l vidi sì vicin, che stimai vano
l'uso de l'arco, non avendo altr'armi,
a la fuga ricorsi.
Io fuggo, ed egli
35 non resta di seguirmi.
Or odi caso:
un vel, ch'aveva involto intorno al crine,
si spiegò in parte, e giva ventilando,
sì ch'ad un ramo avviluppossi.
Io sento
che non so chi mi tien e mi ritarda.
40 Io, per la tema del morir, raddoppio
la forza al corso, e d'altra parte il ramo
non cede, e non mi lascia; al fin mi svolgo
del velo, e alquanto de' miei crini ancora
lascio svelti co 'l velo; e cotant'ali
45 m'impennò la paura ai piè fugaci,
ch'ei non mi giunse e salva uscii del bosco.
Poi, tornando al mio albergo, io t'incontrai
tutta turbata, e mi stupii vedendo
stupirti al mio apparir.
[DAFNE] Ohimè, tu vivi,
50 altri non già.
[SILVIA] Che dici? ti rincresce
forse ch'io viva sia? M'odii tu tanto?
[DAFNE] Mi piace di tua vita, ma mi duole
de l'altrui morte.
[SILVIA] E di qual morte intendi?
[DAFNE] De la morte d'Aminta.
[SILVIA] Ahi, come è morto?
55 [DAFNE] Il come non so dir, né so dir anco
s'è ver l'effetto; ma per certo il credo.
[SILVIA] Ch'è ciò che tu mi dici? ed a chi rechi
la cagion di sua morte? [DAFNE] A la tua morte.
[SILVIA] Io non t'intendo.
[DAFNE] La dura novella
60 de la tua morte, ch'egli udì e credette,
avrà porto al meschino il laccio o 'l ferro
od altra cosa tal che l'avrà ucciso.
[SILVIA] Vano il sospetto in te de la sua morte
sarà, come fu van de la mia morte;
65 ch'ognuno a suo poter salva la vita.
[DAFNE] O Silvia, Silvia, tu non sai né credi
quanto 'l foco d'amor possa in un petto,
che petto sia di carne e non di pietra,
com' è cotesto tuo: ché, se creduto
70 l'avessi, avresti amato chi t'amava
più che le care pupille degli occhi,
più che lo spirto de la vita sua.
Il credo io ben, anzi l'ho visto e sollo:
il vidi, quando tu fuggisti, o fera
75 più che tigre crudel, ed in quel punto,
ch'abbracciar lo dovevi, il vidi un dardo
rivolgere in se stesso, e quello al petto
premersi disperato, né pentirsi
poscia nel fatto, che le vesti ed anco
80 la pelle
...
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