AMINTA, di Torquato Tasso - pagina 6
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Il credo io ben, anzi l'ho visto e sollo:
il vidi, quando tu fuggisti, o fera
75 più che tigre crudel, ed in quel punto,
ch'abbracciar lo dovevi, il vidi un dardo
rivolgere in se stesso, e quello al petto
premersi disperato, né pentirsi
poscia nel fatto, che le vesti ed anco
80 la pelle trapassossi, e nel suo sangue
lo tinse; e 'l ferro saria giunto a dentro,
e passato quel cor che tu passasti
più duramente, se non ch'io gli tenni
il braccio, e l'impedii ch'altro non fesse.
85 Ahi lassa, e forse quella breve piaga
solo una prova fu del suo furore
e de la disperata sua costanza,
e mostrò quella strada al ferro audace,
che correr poi dovea liberamente.
90 [SILVIA] Oh, che mi narri? [DAFNE] Il vidi poscia, allora
ch'intese l'amarissima novella
de la tua morte, tramortir d'affanno,
e poi partirsi furioso in fretta,
per uccider se stesso; e s'avrà ucciso
95 veracemente.
[SILVIA] E ciò per fermo tieni?
[DAFNE] Io non v'ho dubbio.
[SILVIA] Ohimè, tu no 'l seguisti
per impedirlo? Ohimè, cerchiamo, andiamo,
che, poi ch'egli moria per la mia morte,
de' per la vita mia restare in vita.
100 [DAFNE] Io lo seguii, ma correa sì veloce
che mi sparì tosto dinanzi, e 'ndarno
poi mi girai per le sue orme.
Or dove
vuoi tu cercar, se non n'hai traccia alcuna?
[SILVIA] Egli morrà, se no 'l troviamo, ahi lassa;
105 e sarà l'omicida ei di se stesso.
[DAFNE] Crudel, forse t'incresce ch'a te tolga
la gloria di quest'atto? esser tu dunque
l'omicida vorresti? e non ti pare
che la sua cruda morte esser debb'opra
110 d'altri che di tua mano? Or ti consola,
ché, comunque egli muoia, per te muore,
e tu sei che l'uccidi.
[SILVIA] Ohimè, che tu m'accori, e quel cordoglio
ch'io sento del suo caso inacerbisce
115 con l'acerba memoria
de la mia crudeltate,
ch'io chiamava onestate; e ben fu tale,
ma fu troppo severa e rigorosa;
or me n'accorgo e pento.
[DAFNE] Oh, quel ch'io odo!
120 Tu sei pietosa, tu, tu senti al core
spirto alcun di pietate? oh che vegg'io?
tu piangi, tu, superba? Oh maraviglia!
Che pianto è questo tuo? pianto d'amore?
[SILVIA] Pianto d'amor non già, ma di pietate.
125 [DAFNE] La pietà messaggiera è de l'amore,
come 'l lampo del tuono.
[CORO] Anzi sovente
quando egli vuol ne' petti virginelli
occulto entrare, onde fu prima escluso
da severa onestà, l'abito prende,
130 prende l'aspetto de la sua ministra
e sua nuncia, pietate; e con tai larve
le semplici ingannando, è dentro accolto.
[DAFNE] Questo è pianto d'amor, ché troppo abonda.
Tu taci? ami tu, Silvia? ami, ma in vano.
135 Oh potenza d'Amor, giusto castigo
manda sovra costei.
Misero Aminta!
Tu, in guisa d'ape che ferendo muore
e ne le piaghe altrui lascia la vita,
con la tua morte hai pur trafitto al fine
140 quel duro cor, che non potesti mai
punger vivendo.
Or, se tu, spirto errante,
sì come io credo, e de le membra ignudo,
qui intorno sei, mira il suo pianto, e godi:
amante in vita, amato in morte; e s'era
145 tuo destin che tu fossi in morte amato,
e se questa crudel volea l'amore
venderti sol con prezzo così caro,
desti quel prezzo tu ch'ella richiese,
e l'amor suo col tuo morir comprasti.
150 [CORO] Caro prezzo a chi 'l diede; a chi 'l riceve
prezzo inutile, e infame.
[SILVIA] Oh potess'io
con l'amor mio comprar la vita sua;
anzi pur con la mia la vita sua,
s'egli è pur morto! [DAFNE] O tardi saggia, e tardi
155 pietosa, quando ciò nulla rileva!
SCENA SECONDA
Nuncio, Coro, Silvia, Dafne
[NUNCIO] Io ho sì pieno il petto di pietate
e sì pieno d'orror, che non rimiro
né odo alcuna cosa, ond'io mi volga,
la qual non mi spaventi e non m'affanni.
5 [CORO] Or ch'apporta costui,
ch'è sì turbato in vista ed in favella?
[NUNCIO] Porto l'aspra novella
de la morte d'Aminta.
[SILVIA] Ohimè, che dice?
[NUNCIO] Il più nobil pastor di queste selve,
10 che fu così gentil, così leggiadro,
così caro a le ninfe ed a le Muse,
ed è morto fanciullo, ahi, di che morte!
[CORO] Contane, prego, il tutto, acciò che teco
pianger possiam la sua sciagura e nostra.
15 [SILVIA] Ohimè, ch'io non ardisco
appressarmi ad udire
quel ch'è pur forza udire.
Empio mio core,
mio duro alpestre core,
di che, di che paventi?
20 Vattene incontra pure
a quei coltei pungenti
che costui porta ne la lingua, e quivi
mostra la tua fierezza.
Pastore, io vengo a parte
25 di quel dolor che tu prometti altrui,
ché a me ben si conviene
più che forse non pensi; ed io 'l ricevo
come dovuta cosa.
Or tu di lui
non mi sii dunque scarso.
30 [NUNCIO] Ninfa, io ti credo bene,
ch'io sentii quel meschino in su la morte
finir la vita sua
co 'l chiamar il tuo nome.
[DAFNE] Ora comincia omai
35 questa dolente istoria.
[NUNCIO] Io era a mezzo 'l colle, ove avea tese
certe mie reti, quanto assai vicino
vidi passar Aminta, in volto e in atti
troppo mutato da quel ch'ei soleva,
40 troppo turbato e scuro.
Io corsi, e corsi
tanto che 'l giunsi e lo fermai; ed egli
mi disse: "Ergasto, io vo' che tu mi faccia
un gran piacere: quest'è, che tu ne venga
meco per testimonio d'un mio fatto;
45 ma pria voglio da te che tu mi leghi
di stretto giuramento la tua fede
di startene in disparte e non por mano,
per impedirmi in quel che son per fare".
Io (chi pensato avria caso sì strano,
50 né sì pazzo furor?), com' egli volse,
feci scongiuri orribili, chiamando
e Pane e Pale e Priapo e Pomona,
ed Ecate notturna.
Indi si mosse,
e mi condusse ov'è scosceso il colle,
55 e giù per balzi e per dirupi incolti
strada non già, ché non v'è strada alcuna,
ma cala un precipizio in una valle.
Qui ci fermammo.
Io, rimirando a basso,
tutto sentii raccapricciarmi, e 'ndietro
60 tosto mi trassi; ed egli un cotal poco
parve ridesse, e serenossi in viso;
onde quell'atto più rassicurommi.
Indi parlommi sì: "Fa che tu conti
a le ninfe e ai pastor ciò che vedrai".
65 Poi disse, in giù guardando:
"Se presti a mio volere
così aver io potessi
la gola e i denti de gli avidi lupi,
com'ho questi dirupi,
70 sol vorrei far la morte
che fece la mia vita:
vorrei che queste mie membra meschine
sì fosser lacerate,
ohimè, come già foro
75 quelle sue delicate.
Poi che non posso, e 'l cielo
dinega al mio desire
gli animali voraci,
che ben verriano a tempo, io prender voglio
80 altra strada al morire:
prenderò quella via
che, se non la devuta,
almen fia la più breve.
Silvia, io ti seguo, io vengo
85 a farti compagnia,
se non la sdegnerai;
e morirei contento,
s'io fossi certo almeno
che 'l mio venirti dietro
90 turbar non ti dovesse,
e che fosse finita
l'ira tua con la vita.
Silvia, io ti seguo, io vengo".
Così detto,
precipitossi d'alto
95 co 'l capo in giuso; ed io restai di ghiaccio.
[DAFNE] Misero Aminta! [SILVIA] Ohimè!
[CORO] Perché non l'impedisti?
Forse ti fu ritegno a ritenerlo
il fatto giuramento?
100 [NUNCIO] Questo no, ché, sprezzando i giuramenti,
vani forse in tal caso,
quand'io m'accorsi del suo pazzo ed empio
proponimento, con la man vi corsi,
e, come volse la sua dura sorte,
105 lo presi in questa fascia di zendado
che lo cingeva; la qual, non potendo
l'impeto e 'l peso sostener del corpo,
che s'era tutto abandonato, in mano
spezzata mi rimase.
[CORO] E che divenne
110 de l'infelice corpo? [NUNCIO] Io no 'l so dire:
ch'era sì pien d'orrore e di pietate,
che non mi diede il cor di rimirarvi,
per non vederlo in pezzi.
[CORO] O strano caso!
[SILVIA] Ohimè, ben son di sasso,
115 poi che questa novella non m'uccide.
Ahi, se la falsa morte
di chi tanto l'odiava
a lui tolse la vita,
ben sarebbe ragione
120 che la verace morte
di chi tanto m'amava
togliesse a me la vita;
e vo' che la mi tolga,
se non potrò co 'l duol, almen co 'l ferro,
125 o pur con questa fascia,
che non senza cagione
non seguì le ruine
del suo dolce signore,
ma restò sol per fare in me vendetta
130 de l'empio mio rigore
e del suo amaro fine.
Cinto infelice, cinto
di signor più infelice,
non ti spiaccia restare
135 in sì odioso albergo,
ché tu vi resti sol per instrumento
di vendetta e di pena.
Dovea certo, io dovea
esser compagna al mondo
140 de l'infelice Aminta.
Poscia ch'allor non volsi,
sarò per opra tua
sua compagna a l'inferno.
[CORO] Consòlati, meschina,
145 che questo è di fortuna e non tua colpa.
[SILVIA] Pastor, di chi piangete?
Se piangete il mio affanno,
io non merto pietate,
ché non la seppi usare;
150 se piangete il morire
del misero innocente,
questo è picciolo segno
a sì alta cagione.
E tu rasciuga,
Dafne, queste tue lagrime, per Dio.
155 Se cagion ne son io,
ben ti voglio pregare,
non per pietà di me, ma per pietate
di chi degno ne fue,
che m'aiuti a cercare
160 l'infelici sue membra e a sepelirle.
Questo sol mi ritiene,
ch'or ora non m'uccida:
pagar vo' questo ufficio,
poi ch'altro non m'avanza,
165 a l'amor ch'ei portommi;
e se ben quest'empia
mano contaminare
potesse la pietà de l'opra, pure
so che gli sarà cara
170 l'opra di questa mano;
ché so certo ch'ei m'ama,
come mostrò morendo.
[DAFNE] Son contenta aiutarti in questo ufficio;
ma tu già non pensare
175 d'aver poscia a morire.
[SILVIA] Sin qui vissi a me stessa,
a la mia feritate: or, quel ch'avanza,
viver voglio ad Aminta;
e, se non posso a lui,
180 viverò al freddo suo
cadavero infelice.
Tanto, e non più, mi lice
restar nel mondo, e poi finir a un punto
e l'essequie e la vita.
185 Pastor, ma quale strada
ci conduce a la valle, ove il dirupo
va a terminare? [NUNCIO] Questa vi conduce;
e quinci poco spazio ella è lontana.
[DAFNE] Andiam, che verrò teco e guiderotti;
190 ché ben rammento il luogo.
[SILVIA] A Dio, pastori;
piagge, a Dio; a Dio, selve; e fiumi, a Dio.
[NUNCIO] Costei parla di modo, che dimostra
d'esser disposta a l'ultima partita.
[CORO] Ciò che morte rallenta, Amor, restringi,
195 amico tu di pace, ella di guerra,
e del suo trionfar trionfi e regni;
e mentre due bell'alme annodi e cingi,
così rendi sembiante al ciel la terra,
che d'abitarla tu non fuggi o sdegni.
200 Non sono ire là su: gli umani ingegni
tu placidi ne rendi, e l'odio interno
sgombri, signor, da' mansueti cori,
sgombri mille furori;
e quasi fai col tuo valor superno
205 de le cose mortali un giro eterno.
ATTO QUINTO
Elpino, Coro
[ELPINO] Veramente la legge con che Amore
il suo imperio governa eternamente
non è dura, né obliqua; e l'opre sue,
piene di providenza e di mistero,
5 altri a torto condanna.
Oh con quant'arte,
e per che ignote strade egli conduce
l'uom ad esser beato, e fra le gioie
del suo amoroso paradiso il pone,
quando ei più crede al fondo esser de' mali!
10 Ecco, precipitando, Aminta ascende
al colmo, al sommo d'ogni contentezza.
Oh fortunato Aminta, oh te felice
tanto più, quanto misero più fosti!
Or co 'l tuo essempio a me lice sperare,
15 quando che sia, che quella bella ed empia,
che sotto il riso di pietà ricopre
il mortal ferro di sua feritate,
sani le piaghe mie con pietà vera,
che con finta pietate al cor mi fece.
20 [CORO] Quel che qui viene è il saggio Elpino, e parla
così d'Aminta come vivo ei fosse,
chiamandolo felice e fortunato:
dura condizione degli amanti!
Forse egli stima fortunato amante
25 chi muore, e morto al fin pietà ritrova
nel cor de la sua ninfa; e questo chiama
paradiso d'Amore, e questo spera.
Di che lieve mercé l'alato Dio
i suoi servi contenta! Elpin, tu dunque
30 in sì misero stato sei, che chiami
fortunata la morte miserabile
de l'infelice Aminta? e un simil fine
sortir vorresti? [ELPINO] Amici, state allegri,
che falso è quel romor che a voi pervenne
35 de la sua morte.
[CORO] Oh che ci narri, e quanto
ci racconsoli! E non è dunque il vero
che si precipitasse? [ELPINO] Anzi è pur vero,
ma fu felice il precipizio, e sotto
40 una dolente imagine di morte
gli recò vita e gioia.
Egli or si giace
nel seno accolto de l'amata ninfa,
quanto spietata già, tanto or pietosa;
e le rasciuga da' begli occhi il pianto
45 con la sua bocca.
Io a trovar ne vado
Montano, di lei padre, ed a condurlo
colà dov'essi stanno; e solo il suo
volere è quel che manca, e che prolunga
il concorde voler d'ambidue loro.
50 [CORO] Pari è l'età, la gentilezza è pari,
e concorde il desio; e 'l buon Montano
vago è d'aver nipoti e di munire
di sì dolce presidio la vecchiaia,
sì che farà del lor volere il suo.
55 Ma tu, deh, Elpin, narra qual dio, qual sorte
nel periglioso precipizio Aminta
abbia salvato.
[ELPINO] Io son contento: udite,
udite quel che con quest'occhi ho visto.
Io era anzi il mio speco, che si giace
60 presso la valle, e quasi a piè del colle,
dove la costa face di sé grembo;
quivi con Tirsi ragionando andava
pur di colei che ne l'istessa rete
lui prima, e me dapoi, ravvolse e strinse,
65 e proponendo a la sua fuga, al suo
libero stato, il mio dolce servigio,
quando ci trasse gli occhi ad alto un grido:
e 'l veder rovinar un uom dal sommo,
e 'l vederlo cader sovra una macchia,
70 fu tutto un punto.
Sporgea fuor del colle,
poco di sopra a noi, d'erbe e di spini
e d'altri rami strettamente giunti
e quasi in un tessuti, un fascio grande.
Quivi, prima che urtasse in altro luogo,
75 a cader venne; e bench'egli co 'l peso
lo sfondasse, e più in giuso indi cadesse,
quasi su' nostri piedi, quel ritegno
tanto d'impeto tolse a la caduta,
ch'ella non fu mortal; fu nondimeno
80 grave così, ch'ei giacque un'ora e piue
stordito affatto e di se stesso fuori.
Noi muti di pietate e di stupore
restammo a lo spettacolo improviso,
riconoscendo lui; ma conoscendo
85 ch'egli morto non era, e che non era
per morir forse, mitighiam l'affanno.
Allor Tirsi mi diè notizia intiera
de' suoi secreti ed angosciosi amori.
Ma, mentre procuriam di ravvivarlo
90 con diversi argomenti, avendo in tanto
già mandato a chiamar Alfesibeo,
a cui Febo insegnò la medica arte,
allor che diede a me la cetra e 'l plettro,
sopragiunsero insieme Dafne e Silvia,
95 che, come intesi poi, givan cercando
quel corpo che credean di vita privo.
Ma, come Silvia il riconobbe, e vide
le belle guancie tenere d'Aminta
iscolorite in sì leggiadri modi,
100 che viola non è che impallidisca
sì dolcemente, e lui languir sì fatto
che parea già negli ultimi sospiri
essalar l'alma, in guisa di baccante
gridando e percotendosi il bel petto,
105 lasciò cadersi in su 'l giacente corpo,
e giunse viso a viso e bocca a bocca.
[CORO] Or non ritenne adunque la vergogna
lei, ch'è tanto severa e schiva tanto?
[ELPINO] La vergogna ritien debile amore:
110 ma debil freno è di potente amore.
Poi, sì come ne gli occhi avesse un fonte,
inaffiar cominciò co 'l pianto suo
il colui freddo viso, e fu quell'acqua
di cotanta virtù, ch'egli rivenne;
115 e gli occhi aprendo, un doloroso "ohimè"
spinse dal petto interno;
ma quell'"ohimè", ch'amaro
così dal cor partissi,
s'incontrò ne lo spirto
120 de la sua cara Silvia, e fu raccolto
da la soave bocca, e tutto quivi
subito raddolcissi.
Or chi potrebbe dir come in quel punto
rimanessero entrambi, fatto certo
125 ciascun de l'altrui vita, e fatto certo
Aminta de l'amor de la sua ninfa,
e vistosi con lei congiunto e stretto?
Chi è servo d'Amor, per sé lo stimi.
Ma non si può stimar, non che ridire.
130 [CORO] Aminta è sano sì, ch'egli sia fuori
del rischio de la vita? [ELPINO] Aminta è sano,
se non ch'alquanto pur graffiat'ha 'l viso,
ed alquanto dirotta la persona;
ma sarà nulla, ed ei per nulla il tiene.
135 Felice lui, che sì gran segno ha dato
d'amore, e de l'amor il dolce or gusta,
a cui gli affanni scorsi ed i perigli
fanno soave e dolce condimento;
ma restate con Dio, ch'io vo' seguire
140 il mio viaggio, e ritrovar Montano.
[CORO] Non so se il molto amaro,
che provato ha costui servendo, amando,
piangendo e disperando,
raddolcito puot'esser pienamente
145 d'alcun dolce presente;
ma, se più caro viene
e più si gusta dopo 'l male il bene,
io non ti cheggio, Amore,
questa beatitudine maggiore;
150 bea pur gli altri in tal guisa:
me la mia ninfa accoglia
dopo brevi preghiere e servir breve;
e siano i condimenti
de le nostre dolcezze
155 non sì gravi tormenti,
ma soavi disdegni
e soavi ripulse,
risse e guerre a cui segua,
reintegrando i cori, o pace o tregua.
EPILOGO.
AMOR FUGGITIVO
[VENERE] Scesa dal terzo cielo,
io che sono di lui regina e dea,
cerco il mio figlio fuggitivo Amore.
Quest'ier mentre sedea
5 nel mio grembo scherzando,
o fosse elezion o fosse errore,
con un suo strale aurato
mi punse il manco lato,
e poi fuggì da me ratto volando
10 per non esser punito;
né so dove sia gito.
Io che madre pur sono,
e son tenera e molle,
volta l'ira in pietate,
15 usat'ho poi per ritrovarlo ogn'arte.
Cerc'ho tutto il mio cielo in parte in parte,
e la sfera di Marte, e l'altre rote
e correnti ed immote;
né lá suso ne' cieli
20 è luogo alcuno ov'ei s'asconda o celi.
Tal ch'ora tra voi discendo,
mansueti mortali,
dove so che sovente e' fa soggiorno,
per aver da voi nova
25 se 'l fuggitivo mio qua giù si trova.
Né già trovarlo spero
tra voi, donne leggiadre,
perché, se ben d'intorno
al volto ed a le chiome
30 spesso vi scherza e vola,
e se ben spesso fiede
le porte di pietate
ed albergo vi chiede,
non è alcuna di voi che nel suo petto
35 dar li voglia ricetto,
ove sol feritate e sdegno siede.
Ma ben trovarlo spero
ne gli uomini cortesi,
de' qual nessun si sdegna
40 d'averlo in sua magione;
ed a voi mi rivolgo, amica schiera.
Ditemi, ov'è il mio figlio?
Chi di voi me l'insegna,
vo' che per guiderdone
45 da queste labbra prenda
un bacio quanto posso
condirlo più soave;
ma chi me 'l riconduce
dal volontario esiglio,.
50 altro premio n'attenda,
di cui non può maggiore
darli, la mia potenza,
se ben in don li desse
tutto 'l regno d'Amore;
55 e per lo Stige io giuro
che ferme servarò l'alte promesse.
Ditemi, ov'è il mio figlio?
Ma non risponde alcun: ciascun si tace.
Non l'avete veduto?
60 Forse ch'egli tra voi
dimora sconosciuto,
e dagli omeri suoi
spiccato aver de' l'ali
e deposto gli strali,
65 e la faretra ancor depost'e l'arco,
onde sempre va carco,
e gli altri arnesi alteri e trionfali.
Ma vi darò tai segni
che conoscer ai segni
70 facilmente il potrete,
ancor che di celarsi a voi s'ingegni.
Egli, ben che sia vecchio
e d'astuzia e d'etate,
picciolo è sì, ch'ancor fanciuilo sembra
75 al viso ed a le membra,
e 'n guisa di fanciullo
sempre instabil si move,
né par che luogo trove in cui s'appaghi,
ed ha giuoco e trastullo
80 di puerili scherzi;
ma il suo scherzar è pieno
di periglio e di danno.
Facilmente s'adira,
facilmente si placa; e nel suo viso
85 vedi quasi in un punto
e le lagrime e 'l riso.
Crespe ha le chiome e d'oro,
e 'n quella guisa appunto
che Fortuna si pinge,
90 ha lunghi e folti in su la fronte i crini,
ma nuda ha poi la testa
a gli opposti confini.
Il color del suo volto
più che fuoco è vivace;
95 ne la fronte dimostra
una lascivia audace;
gli occhi infiammati e pieni
d'un ingannevol riso
volge sovente in biechi; e pur sott'occhio
100 quasi di furto mira,
né mai con dritto guardo i lumi gira.
Con lingua che dal latte
par che si discompagni,
dolcemente favella, ed i suoi detti
105 forma tronchi e imperfetti;
di lusinghe e di vezzi
è pieno il suo parlare,
e son le voci sue sottili e chiare.
Ha sempre in bocca il ghigno,
110 e gl'inganni e la frode
sotto quel ghigno asconde,
come tra fronde e fior angue maligno.
Questi da prima altrui
tutto cortese e umìle
115 a i sembianti ed al volto,
qual povero peregrin albergo chiede
per grazia e per mercede;
ma poi che dentro è accolto,
a poco a poco insuperbisce, e fassi
120 oltra modo insolente;
egli sol vuol le chiavi
tener de l'altrui core,
egli scacciarne fuore
gli antichi albergatori, e 'n quella vece
125 ricever nova gente;
ei far la ragion serva
e dar legge a la mente:
cosi divien tiranno
d'ospite mansueto,
130 e persegue ed ancide
chi li s'oppone e chi li fa divieto.
Or ch'io v'ho dato i segni
e degli atti e del viso
e de' costumi suoi,
135 s'egli è pur qui fra voi
datemi, prego, del mio figlio aviso.
Ma voi non rispondete?
Forse tenerlo ascoso a me volete?
Volete, ah folli, ah sciocchi,
140 tenere ascoso Amore?
Ma tosto uscirà fuore
da la lingua e da gli occhi
per mille, indîci aperti:
tal, io vi rendo certi,
145 ch'averrà quello a voi, ch'avvenir suole
a colui che nel seno
crede nasconder l'angue,
che co' gridi e co 'l sangue al fin lo scuopre.
Ma poi che qui no 'l trovo,
150 prima ch'al ciel ritorni
andrò cercando in terra altri soggiorni.
FINE
...
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