VITA NUOVA, di Dante Alighieri - pagina 2
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E di ciò toccai alcuna cosa ne l'ultima parte de le parole che io ne dissi, sì come appare manifestamente a chi lo intende.
E dissi allora questi due sonetti, li quali comincia lo primo: "Piangete, amanti," e lo secondo: "Morte villana".
Piangete, amanti, poi che piange Amore,
udendo qual cagion lui fa plorare.
Amor sente a Pietà donne chiamare,
mostrando amaro duol per li occhi fore,
perché villana Morte in gentil core
ha miso il suo crudele adoperare,
guastando ciò che al mondo è da laudare
in gentil donna sovra de l'onore.
Audite quanto Amor le fece orranza,
ch'io 'l vidi lamentare in forma vera
sovra la morta imagine avenente;
e riguardava ver lo ciel sovente,
ove l'alma gentil già locata era,
che donna fu di sì gaia sembianza.
Questo primo sonetto si divide in tre parti: ne la prima chiamo e sollìcito li fedeli d'Amore a piangere e dico che lo segnore loro piange, e dico «udendo la cagione per che piange,» acciò che s'acconcino più ad ascoltarmi; ne la seconda narro la cagione; ne la terza parlo d'alcuno onore che Amore fece a questa donna.
La seconda parte comincia quivi: "Amor sente"; la terza quivi: "Audite".
Morte villana, di pietà nemica,
di dolor madre antica,
giudicio incontastabile gravoso,
poi che hai data matera al cor doglioso,
ond'io vado pensoso,
di te blasmar la lingua s'affatica.
E s'io di grazia ti vòi far mendica,
convènesi ch'eo dica
lo tuo fallar d'onni torto tortoso,
non però ch'a la gente sia nascoso,
ma per farne cruccioso
chi d'amor per innanzi si notrica.
Dal secolo hai partita cortesia
e ciò ch'è in donna da pregiar vertute:
in gaia gioventute
distrutta hai l'amorosa leggiadria.
Più non vòi discovrir qual donna sia
che per le propietà sue canosciute.
Chi non merta salute
non speri mai d'aver sua compagnia.
Questo sonetto si divide in quattro parti: ne la prima parte, chiamo la Morte per certi suoi nomi propri; ne la seconda, parlando a lei, dico la cagione per che io mi muovo a biasimarla: ne la terza, la vitupero; ne la quarta, mi volgo a parlare a indiffinita persona, avvegna che quanto a lo mio intendimento sia diffinita.
La seconda comincia quivi: "poi che hai data"; la terza quivi: "E s'io di grazia"; la quarta quivi: "Chi non merta salute".
IX.
Appresso la morte di questa donna alquanti die, avvenne cosa per la quale me convenne partire de la sopradetta cittade e ire verso quelle parti dov'era la gentile donna ch'era stata mia difesa, avegna che non tanto fosse lontano lo termine de lo mio andare quanto ella era.
E tutto ch'io fosse a la compagnia di molti, quanto a la vista, l'andare mi dispiacea sì, che quasi li sospiri non poteano disfogare l'angoscia che lo cuore sentia, però ch'io mi dilungava da la mia beatitudine.
E però lo dolcissimo segnore, lo quale mi segnoreggiava per la vertù de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito e di vili drappi.
Elli mi parea disbigottito, e guardava la terra, salvo che talora li suoi occhi mi parea che si volgessero ad uno fiume bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen gìa lungo questo cammino là ov'io era.
A me parve che Amore mi chiamasse, e dicèssemi queste parole: «Io vegno da quella donna la quale è stata tua lunga difesa, e so che lo suo rivenire non sarà a gran tempi; e però quello cuore che io ti facea avere a lei, io l'ho meco, e pòrtolo a donna la quale sarà tua difensione, come questa era».
E nominòllami per nome, sì che io la conobbi bene.
«Ma tuttavia, di queste parole ch'io t'ho ragionate se alcuna cosa ne dicessi, dille nel modo che per loro non si discernesse lo simulato amore che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare ad altri».
E dette queste parole, disparve questa mia imaginazione tutta subitamente, per la grandissima parte che mi parve che Amore mi desse di sé; e, quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno pensoso molto ed accompagnato da molti sospiri.
Appresso lo giorno, cominciai di ciò questo sonetto, lo quale comincia "Cavalcando".
Cavalcando l'altr'ier per un cammino,
pensoso de l'andar che mi sgradia,
trovai Amore in mezzo de la via
in abito leggier di peregrino.
Ne la sembianza mi parea meschino,
come avesse perduta segnoria;
e sospirando pensoso venia,
per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi chiamò per nome,
e disse: «Io vegno di lontana parte,
ov'era lo tuo cor per mio volere;
e rècolo a servir novo piacere».
Allora presi di lui sì gran parte,
ch'elli disparve, e non m'accorsi come.
Questo sonetto ha tre parti: ne la prima parte dico sì com'io trovai Amore, e quale mi parea; ne la seconda dico quello ch'elli mi disse, avegna che non compiutamente per tema ch'avea di discovrire lo mio secreto; ne la terza dico com'elli mi disparve.La seconda comincia quivi: "Quando mi vide"; la terza: "Allora presi".
X.
Appresso la mia ritornata mi misi a cercare di questa donna, che lo mio segnore m'avea nominata ne lo cammino de li sospiri; e acciò che lo mio parlare sia più brieve, dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; onde molte fiate mi pesava duramente.
E per questa cagione, cioè di questa soverchievole voce che parea che m'infamasse viziosamente, quella gentilissima, la quale fue distruggitrice di tutti li vizi e regina de le virtudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare, ne lo quale stava tutta la mia beatitudine.
Ed uscendo alquanto del proposito presente, voglio dare a intendere quello che lo suo salutare in me virtuosamente operava.
Dico che quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; e chi allora m'avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente 'Amore', con viso vestito d'umilitade.
E quando ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d'amore, distruggendo tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spiriti del viso, e dicea loro: «Andate a onorare la donna vostra»; ed elli si rimanea nel luogo loro.
E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea, mirando lo tremare de li occhi miei.
E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amore fosse tal mezzo che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che lo mio corpo, lo quale era tutto allora sotto lo suo reggimento, molte volte si movea come cosa grave inanimata.
Sì che appare manifestamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine, la quale molte volte passava e redundava la mia capacitade.
XII.
Ora, tornando al proposito, dico che poi che la mia beatitudine mi fue negata, mi giunse tanto dolore, che, partito me da le genti, in solinga parte andai a bagnare la terra d'amarissime lagrime.
E poi che alquanto mi fue sollenato questo lagrimare, misimi ne la mia camera, là ov'io potea lamentarmi sanza essere udito; e quivi, chiamando misericordia a la donna de la cortesia, e dicendo «Amore, aiuta lo tuo fedele», m'addormentai come uno pargoletto battuto lagrimando.
Avvenne quasi nel mezzo de lo mio dormire che me parve vedere ne la mia camera lungo me sedere uno giovane vestito di bianchissime vestimenta, e, pensando molto quanto a la vista sua, mi riguardava là ov'io giacea; e quando m'avea guardato alquanto, pareami che sospirando mi chiamasse, e diceami queste parole: «Fili mi, tempus est ut praetermictantur simulacra nostra».
Allora mi parea che io lo conoscesse, però che mi chiamava così come assai fiate ne li miei sonni m'avea già chiamato; e riguardandolo, parvemi che piangesse pietosamente, e parea che attendesse da me alcuna parola; ond'io, assicurandomi, cominciai a parlare così con esso: «Segnore de la nobiltade, e perché piangi tu?».
E quelli mi dicea queste parole: «Ego tanquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem non sic».
Allora, pensando a le sue parole, mi parea che m'avesse parlato molto oscuramente, sì ch'io mi sforzava di parlare, e diceali queste parole: «Che è ciò, segnore, che mi parli con tanta oscuritade?».
E quelli mi dicea in parole volgari: «Non dimandare più che utile ti sia».
E però cominciai allora con lui a ragionare de la salute la quale mi fue negata, e domandàilo de la cagione; onde in questa guisa da lui mi fue risposto: «Quella nostra Beatrice udio da certe persone, di te ragionando, che la donna la quale io ti nominai nel cammino de li sospiri, ricevea da te alcuna noia; e però questa gentilissima, la quale è contraria di tutte le noie, non degnò salutare la tua persona, temendo non fosse noiosa.
Onde con ciò sia cosa che veracemente sia conosciuto per lei alquanto lo tuo secreto per lunga consuetudine, voglio che tu dichi certe parole per rima, ne le quali tu comprendi la forza che io tegno sopra te per lei, e come tu fosti suo tostamente da la tua puerizia.
E di ciò chiama testimonio colui che lo sa, e come tu prieghi lui che li le dica; ed io, che son quelli, volentieri le ne ragionerò; e per questo sentirà ella la tua volontade la quale sentendo, conoscerà le parole de li ingannati.
Queste parole fa che siano quasi un mezzo, sì che tu non parli a lei immediatamente, che non è degno; e no le mandare in parte sanza me, ove potessero essere intese da lei, ma falle adornare di soave armonia, ne la quale io sarò tutte le volte che farà mestiere».
E dette queste parole, sì disparve, e lo mio sonno fue rotto.
Onde io ricordandomi trovai che questa visione m'era apparita ne la nona ora del die; e anzi ch'io uscisse di questa camera, propuosi di fare una ballata, ne la quale io seguitasse ciò che lo mio segnore m'avea imposto; e feci poi questa ballata, che comincia: "Ballata, i' vo'".
Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore,
e con lui vade a madonna davante,
sì che la scusa mia, la qual tu cante,
ragioni poi con lei lo mio segnore.
Tu vai, ballata, sì cortesemente,
che sanza compagnia
dovresti avere in tutte parti ardire;
ma se tu vuoli andar sicuramente,
retrova l'Amor pria,
ché forse non è bon sanza lui gire;
però che quella che ti dee audire,
sì com'io credo, è ver di me adirata:
se tu di lui non fossi accompagnata,
leggeramente ti faria disnore.
Con dolze sono, quando se' con lui,
comincia este parole,
appresso che averai chesta pietate:
«Madonna, quelli che mi manda a vui,
quando vi piaccia, vole,
sed elli ha scusa, che la m'intendiate.
Amore è qui, che per vostra bieltate
lo face,come vol,vista cangiare:
dunque perché li fece altra guardare
pensatel voi, da che non mutò 'l core».
Dille: «Madonna, lo suo core è stato
con sì fermata fede,
che 'n voi servir l'ha 'mpronto onne pensero:
tosto fu vostro, e mai non s'è smagato».
Sed ella non ti crede,
dì che domandi Amor, che sa lo vero:
ed a la fine falle umil preghero,
lo perdonare se le fosse a noia,
che mi comandi per messo ch'eo moia,
e vedrassi ubidir ben servidore.
E dì a colui ch'è d'ogni pietà chiave,
avante che sdonnei,
che le saprà contar mia ragion bona:
«Per grazia de la mia nota soave
reman tu qui con lei,
e del tuo servo ciò che vuoi ragiona;
e s'ella pel tuo prego li perdona,
fa che li annunzi un bel sembiante pace».
Gentil ballata mia, quando ti piace,
movi in quel punto che tu n'aggie onore.
Questa ballata in tre parti si divide: ne la prima dico a lei ov'ella vada, e confòrtola però che vada più sicura, e dico ne la cui compagnia si metta, se vuole sicuramente andare e sanza pericolo alcuno; ne la seconda dico quello che lei si pertiene di fare intendere; ne la terza la licenzio del gire quando vuole, raccomandando lo suo movimento ne le braccia de la fortuna.
La seconda parte comincia quivi: "Con dolze sono"; la terza quivi: "Gentil ballata".
Potrebbe già l'uomo opporre contra me e dicere che non sapesse a cui fosse lo mio parlare in seconda persona, però che la ballata non è altro che queste parole ched io parlo: e però dico che questo dubbio io lo intendo solvere e dichiarare in questo libello ancora in parte più dubbiosa; e allora intenda qui chi qui dubita, o chi qui volesse opporre in questo modo.
XIII.
Appresso di questa soprascritta visione, avendo già dette le parole che Amore m'avea imposte a dire, mi cominciaro molti e diversi pensamenti a combattere ed a tentare, ciascuno quasi indefensibilemente; tra li quali pensamenti quattro mi parea che ingombrassero più lo riposo de la vita.
L'uno de li quali era questo: buona è la signoria d'Amore, però che trae lo intendimento del suo fedele da tutte le vili cose.
L'altro era questo: non buona è la signoria d'Amore, però che quanto lo suo fedele più fede li porta, tanto più gravi e dolorosi punti li conviene passare.
L'altro era questo: lo nome d'Amore è sì dolce a udire, che impossibile mi pare che la sua propria operazione sia ne le più cose altro che dolce, con ciò sia cosa che li nomi sèguitino le nominate cose, sì come è scritto: "Nomina sunt consequentia rerum".
Lo quarto era questo: la donna per cui Amore ti stringe così, non è come l'altre donne, che leggeramente si muova dal suo cuore.
E ciascuno mi combattea tanto, che mi facea stare quasi come colui che non sa per qual via pigli lo suo cammino, e che vuole andare e non sa onde se ne vada; e se io pensava di volere cercare una comune via di costoro, cioè là ove tutti s'accordassero, questa era via molto inimica verso me, cioè di chiamare e di mettermi ne le braccia de la Pietà.
E in questo stato dimorando, mi giunse volontade di scriverne parole rimate; e dìssine allora questo sonetto, lo quale comincia: "Tutti li miei pensier".
Tutti li miei pensier parlan d'Amore;
e hanno in loro sì gran varietate,
ch'altro mi fa voler sua potestate,
altro folle ragiona il suo valore,
altro sperando m'aporta dolzore,
altro pianger mi fa spesse fiate;
e sol s'accordano in cherer pietate,
tremando di paura, che è nel core.
Ond'io non so da qual matera prenda;
e vorrei dire, e non so ch'io mi dica:
così mi trovo in amorosa erranza.
E se con tutti vòi far accordanza,
convènemi chiamar la mia nemica,
madonna la Pietà, che mi difenda.
Questo sonetto in quattro parti si può dividere: ne la prima dico e soppongo che tutti li miei pensieri sono d'Amore; ne la seconda dico che sono diversi, e narro la loro diversitade; ne la terza dico in che tutti pare che s'accordino; ne la quarta dico che volendo dire d'Amore, non so da qual parte pigli matera, e se la voglio pigliare da tutti, convene che io chiami la mia inimica, madonna la Pietade; e dico «madonna» quasi per disdegnoso modo di parlare.
La seconda parte comincia quivi: "e hanno in loro"; la terza quivi: "e sol s'accordano"; la quarta quivi: "Ond'io non so".
XIV.
Appresso la battaglia de li diversi pensieri avvenne che questa gentilissima venne in parte ove molte donne gentili erano adunate; a la qual parte io fui condotto per amica persona, credendosi fare a me grande piacere, in quanto mi menava là ove tante donne mostravano le loro bellezze.
Onde io, quasi non sappiendo a che io fossi menato, e fidandomi ne la persona, la quale uno suo amico a l'estremitade de la vita condotto avea, dissi a lui: «Perché semo noi venuti a queste donne?».
Allora quelli mi disse: «Per fare sì ch'elle siano degnamente servite».
E lo vero è che adunate quivi erano a la compagnia d'una gentile donna che disposata era lo giorno; e però, secondo l'usanza de la sopradetta cittade, convenia che le facessero compagnia nel primo sedere a la mensa che facea ne la magione del suo novello sposo.
Sì che io credendomi fare piacere di questo amico, propuosi di stare al servigio de le donne ne la sua compagnia.
E nel fine del mio proponimento, mi parve sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio petto da la sinistra parte e distendersi di subito per tutte le parti del mio corpo.
Allora dico che io poggiai la mia persona simulatamente ad una pintura, la quale circundava questa magione; e temendo non altri si fosse accorto del mio tremare, levai gli occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice.
Allora fuoro sì distrutti li miei spiriti per la forza che Amore prese veggendosi in tanta propinquitade a la gentilissima donna, che non ne rimasero in vita più che li spiriti del viso; e ancora questi rimasero fuori de li loro istrumenti, però che Amore volea stare nel loro nobilissimo luogo per vedere la mirabile donna.
E avvegna che io fossi altro che prima, molto mi dolea di questi spiritelli, che si lamentavano forte e diceano: «Se questi non ci infolgorasse così fuori del nostro luogo, noi potremmo stare a vedere la maraviglia di questa donna così come stanno li altri nostri pari».
Io dico che molte di queste donne, accorgendosi de la mia trasfigurazione, si cominciaro a maravigliare, e ragionando si gabbavano di me con questa gentilissima; onde lo ingannato amico di buona fede mi prese per la mano, e traendomi fuori de la veduta di queste donne, sì mi domandò che io avesse.
Allora io riposato alquanto, e resurressiti li morti spiriti miei, e li discacciati rivenuti a le loro possessioni, dissi a questo mio amico queste parole: «Io tenni li piedi in quella parte de la vita, di là da la quale non si puote ire più per intendimento di ritornare».
E partitomi da lui, mi ritornai ne la camera de le lagrime; ne la quale, piangendo e vergognandomi, fra me stesso dicea: «Se questa donna sapesse la mia condizione, io non credo che così gabbasse la mia persona, anzi credo che molta pietade le ne verrebbe».
E in questo pianto stando, propuosi di dire parole, ne le quali, parlando a lei, significasse la cagione del mio trasfiguramento, e dicesse che io so bene ch'ella non è saputa, e che se fosse saputa, io credo che pietà ne giugnerebbe altrui; e propuòsile di dire, desiderando che venissero per avventura ne la sua audienza.
E allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: "Con l'altre donne".
Con l'altre donne mia vista gabbate,
e non pensate, donna, onde si mova
ch'io vi rassembri sì figura nova
quando riguardo la vostra beltate.
Se lo saveste, non porìa Pietate
tener più contra me l'usata prova,
ché Amor, quando sì presso a voi mi trova,
prende baldanza e tanta securtate,
che fère tra' miei spiriti paurosi,
e quale ancide, e qual pinge di fore,
sì che solo remane a veder vui:
ond'io mi cangio in figura d'altrui,
ma non sì ch'io non senta bene allore
li guai de li scacciati tormentosi.
Questo sonetto non divido in parti, però che la divisione non si fa se non per aprire la sentenzia de la cosa divisa; onde, con ciò sia cosa che per la sua ragionata cagione assai sia manifesto, non ha mestiere di divisione.
Vero è che tra le parole dove si manifesta la cagione di questo sonetto, si scrivono dubbiose parole, cioè quando dico che Amore uccide tutti li miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori de li strumenti loro.
XV.
Appresso la nuova trasfigurazione, mi giunse uno pensamento forte, lo quale poco si partìa da me, anzi continuamente mi riprendea, ed era di cotale ragionamento meco: «Poscia che tu perviene a così dischernevole vista, quando tu se' presso di questa donna, perché pur cerchi di vedere lei? Ecco che tu fossi domandato da lei, che avrestù da rispondere, ponendo che tu avessi libera ciascuna tua vertude, in quanto tu le rispondessi? » Ed a costui rispondea un altro umile pensero, e dicea: «S'io non perdessi le mie vertudi, e fossi libero tanto che io le potessi rispondere, io le direi che, sì tosto com'io imagino la sua mirabile bellezza, sì tosto mi giugne uno desiderio di vederla, lo quale è di tanta vertude, che uccide e distrugge ne la mia memoria ciò che contra lui si potesse levare; e però non mi ritraggono le passate passioni da cercare la veduta di costei».
Onde io, mosso da cotali pensamenti, propuosi di dire certe parole, ne le quali, escusandomi a lei da cotale riprensione, ponesse anche di quello che mi diviene presso di lei; e dissi questo sonetto, lo quale comincia: "Ciò che m'incontra".
Ciò che m'incontra ne la mente, more,
quand'i' vegno a veder voi, bella gioia;
e quand'io vi son presso, i' sento Amore
che dice: «Fuggi, se 'l perir t'è noia».
Lo viso mostra lo color del core,
che, tramortendo, ovunque pò s'appoia;
e per la ebrietà del gran tremore
le pietre par che gridin: «Moia, moia».
Peccato face chi allora mi vide,
se l'alma sbigottita non conforta,
sol dimostrando che di me li doglia,
per la pietà, che 'l vostro gabbo ancide,
la qual si cria ne la vista morta
de li occhi, c'hanno di lor morte voglia.
Questo sonetto si divide in due parti: ne la prima dico la cagione per che non mi tengo di gire presso di questa donna; ne la seconda dico quello che mi diviene per andare presso di lei; e comincia questa parte quivi: "e quand'io vi son presso".
Ed anche si divide questa seconda parte in cinque, secondo cinque diverse narrazioni: che ne la prima dico quello che Amore, consigliato da la ragione, mi dice quando le sono presso; ne la seconda manifesto lo stato del cuore per esemplo del viso; ne la terza dico sì come onne sicurtade mi viene meno; ne la quarta dico che pecca quelli che non mostra pietà di me, acciò che mi sarebbe alcuno conforto; ne l'ultima dico perché altri doverebbe avere pietà, e ciò è per la pietosa vista che ne li occhi mi giugne; la quale vista pietosa è distrutta, cioè non pare altrui, per lo gabbare di questa donna, la quale trae a sua simile operazione coloro che forse vederebbono questa pietà.
La seconda parte comincia quivi: "Lo viso mostra"; la terza quivi: "e per la ebrietà"; la quarta: "Peccato face"; la quinta: "per la pietà".
XVI.
Appresso ciò, che io dissi questo sonetto, mi mosse una volontade di dire anche parole, ne le quali io dicesse quattro cose ancora sopra lo mio stato, le quali non mi parea che fossero manifestate ancora per me.
La prima de le quali si è che molte volte io mi dolea, quando a mia memoria movesse la fantasia ad imaginare quale Amore mi facea.
La seconda si è che Amore spesse volte di subito m'assalia sì forte, che 'n me non rimanea altro di vita se non un pensero che parlava di questa donna.
La terza si è che quando questa battaglia d'Amore mi pugnava così, io mi movea quasi discolorito tutto per vedere questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quello che per appropinquare a tanta gentilezza m'addivenia.
La quarta si è come cotale veduta non solamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggea la mia poca vita.
E però dissi questo sonetto, lo quale comincia: "Spesse fiate".
Spesse fiate vègnonmi a la mente
le oscure qualità ch'Amor mi dona,
e vènnemi pietà, sì che sovente
io dico: «Lasso! avvien elli a persona?»;
ch'Amor m'assale subitanamente,
sì che la vita quasi m'abbandona:
càmpami uno spirto vivo solamente,
e que' riman, perché di voi ragiona.
Poscia mi sforzo, ché mi voglio atare;
e così smorto, d'onne valor vòto,
vegno a vedervi, credendo guerire:
e se io levo li occhi per guardare,
nel cor mi si comincia uno tremoto,
che fa de' polsi l'anima partire.
Questo sonetto si divide in quattro parti, secondo che quattro cose sono in esso narrate; e però che sono di sopra ragionate, non m'intrametto se non di distinguere le parti per li loro cominciamenti.
Onde dico che la seconda parte comincia quivi: "ch'Amor"; la terza quivi: "Poscia mi sforzo"; la quarta quivi: "e se io levo".
XVII.
Poi che dissi questi tre sonetti, ne li quali parlai a questa donna, però che fuoro narratori di tutto quasi lo mio stato, credendomi tacere e non dire più, però che mi parea di me assai avere manifestato, avvegna che
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