[Pagina precedente]...esti odio capitale. Nascose la natura e' metalli, nascose l'oro e l'altre minere sotto grandissimi monti e ne' luoghi desertissimi. Noi frugoli omicciuoli lo producemmo in luce e ponemmolo fra' primi usi. Ella disperse le gemme lucidissime e in forma quanto a lei ottima maestra parse attissima. Noi le raccoglemmo persino dalle ultime ed estremissime regioni, e cincischià nle, diamoli nuova lima e forma. Ella distinse gli albori e suoi frutti. Noi gli adulteriamo innestandoli e coniungendoli. Diedeci fiumi quali ne saziassero assetati, e ordinò loro corso libero ed espedito, ma a noi come all'altre cose esposteci dalla natura, benché perfetta, fastidirono le fonte e i fiumi, onde trovammo quasi ad onta della natura profondi pozzi. Né di questo sazi, con tanta fatica, con tante spese, con tanta sollicitudine, solo fra tutti animanti a cui fastidii l'acqua naturale e ottimo liquore, trovorono el vino, non tanto a saziare la sete, quanto a vomitarlo, come se in altro modo non ben si potesse versarlo delle botti. E a questo uso fra le prime pregiate cose el serbano, e piaceli quello che li induca spesso in brutto furore e ultima insania; tanto nulla pare ci piaccia altro che quello quale la natura ci nega, e quello ci diletta in che duriamo fatica dispiacendo in molti modi alla natura. Scrive Erodoto che Ciro re de' Persi, irato quasi come volesse punire la natura, con spesa maravigliosa affaticò el suo essercito in dividere el Ginde, fiume grandissimo, in rami ccclx, e svolselo per varie vie in mare. Eransi fuggiti gli abeti in su e' monti altissimi lungi dal mare: noi li strascinammo non quasi ad altro uso in prima che a marcirlo in mare. Stavansi e' marmi giacendo in terra: noi li collocammo sulle fronti de' templi e sopra a' nostri capi. E tanto ci dispiace ogni naturale libertà di qualunque cosa procreata, che ancora ardimmo soggiogarci a servitù noi istessi. E a tutte queste inezie nacquero e crebbero artefici innumerabili, segni e argomenti certissimi di nostra stoltizia. Aggiungi ancora la poca concordia dell'uomo quale egli ha con tutte le cose create e seco stessi, quasi come giurasse in sé osservare ultima crudeltà e immanità . Volle el suo ventre essere publica sepultura di tutte le cose, erbe, piante, frutti, uccelli, quadrupedi, vermi, pesci; nulla sopra terra, nulla sotto terra, nulla che esso non divori. Inimico capitale di ciò che vede e di quello che non vede, tutte le volle a servitù; inimico della generazione umana, inimico a se stessi. Lupo dicea Plauto poeta essere l'uomo agli altri uomini. In quale animante troverai tu maggiore rabbia che nello uomo? Amiche insieme sono le tigri, amici fra loro e' leoni, e' lupi, gli orsi; qual vuoi animale venenosissimo irato perdona ai simili a sé. L'uomo efferattissimo si truova mortale agli altri uomini e a se stessi. E troverai più uomini essere periti per cagion degli altri uomini che per tutte l'altre calamità ricevute. Cesare Augusto si gloriava in sue battaglie, senza la strage civile, avere uccisi uomini numero cento e due e novanta migliara. Paulo Orosio istorico raccolse in parte le miserie sofferte da' mortali persino a' tempi suoi, e benché fusse scrittore succinto e brevissimo, pur crebbero suoi libri in amplissimo volume, tanta trovò stata sofferta miseria da' popoli e gente degna di memoria.
Sottoposti adunque a tanti casi, a quanti noi istessi espogniamo, alla temerità e furore della fortuna, alla imbecillità , di nostra sorte, alla nostra voluntaria miseria, dobbiamo nulla maravigliarci se quando che sia incorriamo in qualche incomodo. Più tosto fie nostro offizio, poiché animante niuno meno si truova nato ad ozio e quiete che l'uomo, come fanno e' medici vedendoci in troppa lieta sanità sospettano, così noi, se forse mai ci seguiranno le cose troppo secunde, dovremo averle sospette. Lodano Filippo re de' Macedonici, quale avuti tre nunzi lietissimi, l'uno ch'e' suoi ne' giuochi olimpici eran vittori, l'altro che Parmenione suo duca in arme avea superato e' Dardani inimici, el terzo che Olimpia sua donna avea partorito erede un figliuolo maschio, levò le mani al cielo e pregò Dio gli rendesse mediocre calamità a tante letizie. Scrive Livio istorico che Lucio Paulo, quale vinse el re Perses, perduto infra dì otto due suo modestissimi figliuoli, ebbe al populo simile orazione: «Io temea, o cittadini miei, in tanta felicità e successo della fortuna, quale sua natura e costume suole non patire in persona alcuna ferma prosperità , a noi nel nostro trionfo e amplificazione del nostro imperio conseguisse qualche male. Per questo io pregai Dio ottimo e massimo padre de' mortali, se cosa alcuna avversa fusse apparecchiata alla nostra republica, immettesse a me e alla mia famiglia. E siate adunque, o cittadini miei, di migliore animo. Le cose succederanno bene. Dio immortale quattro dì inanzi al mio trionfo me in parte essaudì togliendomi uno carissimo de' miei figliuoli, e infra altri quattro dì doppo a tanta nostra gloria ancora mostrò piacerli le mie preghiere quando mi tolse l'altro amantissimo figliuolo. Ora orbato de' miei eredi rendo a lui grazia, poiché voi arete da condolervi del nostro privato caso più tosto che io a piangere con voi insieme alcuna publica calamità ». Simile adunque a questi lodatissimi nulla ci fideremo della fortuna, quale sa e suole sempre usare perfidia, quale una falacissima mostra pacificarsi per avere induzie a maggior guerra e occasione a gravissime insidie; e aparecchiarènci con animo forte e pronto a sostenerla, non come dicea [Demifo] presso a Terenzio, pensando sempre a qualche futuro incommodo, acciò che poi ciò che meno aviene sia in guadagno, qual cosa mal si può premeditare senza qualche perturbazione, e assai basterà , venuto l'incommodo, sopportarlo; ma più tosto apparecchiati contro la fortuna coll'animo staremo iudicando che né essa con sua perfidia, né insieme e' pessimi uomini con sue ingiurie e malignità potranno a noi in parte alcuna mai molto essere dannosi. Ché se come disputava Genipatro le cose della fortuna non più in sé vagliono se non quanto le riputiamo, ella può nulla essere a noi molesta se non ritollendo el suo. Ma poco a te serà molestia renderli quello che tu poco stimasti. E per tuo offizio debbi nulla stimare le cose caduche per sé e fragili ed esposte a tante volubilità e casi. E poi, dove tu teco così statuisca, e' perfidi uomini, Microtiro mio abbi a te, possono forse giovare, ma nulla nuocere. Parti che detto maraviglioso? Tu certo lo vedrai verissimo. Dicoti, uomo per iniusto che sia può non farti male, e quanto più sarà verso di te scellerato, più a sé che a te sarà dannoso.
MICROTIRO. Maravigliomi e di me fo coniettura quanto io in me tutto el dì soffero, né vedo in che modo possa non molto nuocermi la malignità de' perfidi e iniquissimi uomini, quali ottrettando, inculpando, insimulando, e con quanta possono opera, cura, industria, con ogni loro studio, assiduità e diligenza, con ogni arte, con ogni ingegno, con ogni fraude, mai restano infestissimi e molestissimi fare e dire e pervestigare cose per quali a me ne conseguiti povertà , odio, invidia, inimicizia, mala vita e grave infamia. Pessimi uomini, quali in molti modi benificati da me, impiissimi godono per loro fraude e nequizia vedermi pieno di indignazione, suspizione, sollicitudine e paura, ed estremo pericolo d'ogni mia fortuna e salute.
TEOGENIO. Ah, Microtiro mio, piacciati secludere intanto queste tue triste memorie. Datti ad ascoltarmi con l'animo più libero, e pervestigheremo insieme quello a noi porgerà la verità e la ragione; ché non dubito qui troveremo ogni sforzo e ogni incetto di questi tuoi immanissimi e scelestissimi inimici poco da stimarli, e voglio da ora te offermi a nulla curarli.
MICROTIRO. Posso io non ricordarmi delle capitali ricevute iniurie? Posso io non temere e' pericoli ultimi e assidui in quali d'ora in ora me vedo protratto? Posso io non sentire li sdegni, l'onte, el fastidio di chi senza modo, senza intermissione, senza fine mi stimola? Ma poiché sempre la tua presenza e il tuo ragionare appresso di me tanto valse ch'io interposi ogni altra cura, e solo attesi a meco lodarti tacito e maravigliarmi di tua virtù, e indi insieme gloriarmi d'avere te fidatissimo amico in cui riposi l'animo e la mente mia, seguita, Teogenio mio. Io t'ascolterò con voluttà e attenzione.
TEOGENIO. Adunque investighiamo insieme quanto possa contro di te una intera turma di viziosi uomini.
MICROTIRO. E può un solo simile a quelli che tu dicevi pestiferi, perniziosissimi ed essecrabili, più crudeli, più malefici che le rabiosissime bestie, perturbare l'ozio e quiete di qualunque famiglia, di qualunque republica, di qualunque provincia.
TEOGENIO. Sai quando forse questo potranno e' non buoni? Quando gli altri simili a loro perduti e sordidissimi uomini ascolteranno e ossecunderanno a loro perfidia. Ma qual serà che a te, uomo modestissimo e ornato d'ottimi costumi, possa con altro nuocere che solo colle membra sua, da presso, da lungi, percotendo, ferendo?
MICROTIRO. Quasi come questo sia nulla, o come nulla possa con sua invidia, con suo odio e veneno delle parole inseminando suspizione, odio, eccitando inimicizie con sue fizioni e vari tradimenti, o quasi come a qualunque e' favellano sia dotto e buono. Né possono e' buoni non fare che in parte e' non credano quello ch'egli odono.
TEOGENIO. Affermoti, può certo con questa nulla: l'odio, l'invidia nuoce a lui mentre che così perturbato sé stessi entro a sé compreme e agita. Recita Pomponio Mela ch'e' populi atlanti in Etiopia arsi dal caldo, quasi come capitale e troppo acceso inimico, ove nulla altro contro a lui possono, sera e mattina biastemmano el sole. Più certo loro quella perturbazion d'animo nuoce che al sole. E recita Aulo Gelio di que' populi chiamati Psiles, quali irati sé opposero coll'arme al vento austro quale commossa in loro molta rena gli sommerse. Così par sempre intervenga che questi maligni sé stessi porgono a sommergersi in miseria, ma a te dato alle virtù parlar di chi si sia può altro nulla che giovarti. Dicea Mario appresso di Salustio in conzione al populo: «Così a me volli sempre essere mia ragion del vivere, che se questi invidi, e' miei ottrettatori, dicono di me cose vere, insieme sieno promulgatori delle lode mie. Se forse dicono el falso, non lungi da loro ivi sia degna vendetta, ove palese da' miei costumi appaia che sono bugiardi». S'e' simili a loro cupidi d'udire e vedere male assentiscono a loro fizioni, o se i buoni in parte alcuna lasciano persuadersi, el danno sta presso di chi crede el falso, non presso di te quale per altrui fizione nulla diventi piggiore, e loro ingannati si dolgono di chi gli perturbò el vero giudizio, o gastigano sé stessi quali incauti prestarono orecchie a' fraudolenti. E quando ben così fusse che qualche tuo errore, - non saresti uomo se tu solo non come gli altri qualche volta errassi, - fusse materia de' tuoi ottrettatori, non dubitare che i viziosi non molto stimano udendo in altri quello che iudicano in sé da non fuggirlo, né a loro debba dispiacere se altri racconta quello che tanto a loro diletti fare. E' buoni, loro natura, sono indulgentissimi, e udendo gli altrui errati riconoscono in sé come negli altri uomini la natura fragile essere e prona, così e ancora esservi più e più altre e pari e maggiori mende. Ma pur dove questo a te pesasse, come disputava Plutarco, filosofo e ottimo istorico, così certo arai da persuaderti che un sollicito inimico non poco a chi ben voglia tradursi in vita sia utilissimo. Molte facciamo e molte non facciamo cose per non aprire a' nostri inimici addito a riprenderci, onde abbiamo da non odiare chi non lassi errarci, e chi noi ecciti a virtute e laude.
MICROTIRO. Ameremo che, adunque, e' nostri inimici?
TEOGENIO. Più te molto loderò se tu verso chi sé opponga a te inimico porgerai amore più che odio, umanità più che indignazione, facilità più che contumacia, poiché ogni perturbazione d'animo più nuoce a chi in sé la sente che vers...
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