SATIRE, di Ludovico Ariosto - pagina 3
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55 Chi vuole andare a torno, a torno vada:
vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;
a me piace abitar la mia contrada.
Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
quel monte che divide e quel che serra
60 Italia, e un mare e l'altro che la bagna.
Questo mi basta; il resto de la terra,
senza mai pagar l'oste, andrò cercando
con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
e tutto il mar, senza far voti quando
65 lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
verrò, più che sui legni, volteggiando.
Il servigio del Duca, da ogni parte
che ci sia buona, più mi piace in questa:
che dal nido natio raro si parte.
70 Per questo i studi miei poco molesta,
né mi toglie onde mai tutto partire
non posso, perché il cor sempre ci resta.
Parmi vederti qui ridere e dire
che non amor di patria né de studi,
75 ma di donna è cagion che non voglio ire.
Liberamente te 'l confesso: or chiudi
la bocca, che a difender la bugia
non volli prender mai spada né scudi.
Del mio star qui qual la cagion si sia,
80 io ci sto volentier; ora nessuno
abbia a cor più di me la cura mia.
S'io fossi andato a Roma, dirà alcuno,
a farmi uccellator de benefici,
preso alla rete n'avrei già più d'uno;
85 tanto più ch'ero degli antiqui amici
del papa, inanzi che virtude o sorte
lo sublimasse al sommo degli uffici;
e prima che gli aprissero le porte
i Fiorentini, quando il suo Giuliano
90 si riparò ne la feltresca corte,
ove col formator del cortigiano,
col Bembo e gli altri sacri al divo Appollo,
facea l'essilio suo men duro e strano;
e dopo ancor, quando levaro il collo
95 Medici ne la patria, e il Gonfalone,
fuggendo del Palazzo, ebbe il gran crollo;
e fin che a Roma se andò a far Leone,
io gli fui grato sempre, e in apparenza
mostrò amar più di me poche persone;
100 e più volte, e Legato et in Fiorenza,
mi disse che al bisogno mai non era
per far da me al fratel suo differenza.
Per questo parrà altrui cosa leggiera
che, stando io a Roma, già m'avesse posta
105 la cresta dentro verde e di fuor nera.
A chi parrà così farò risposta
con uno essempio: leggilo, che meno
leggerlo a te, che a me scriverlo, costa.
Una stagion fu già, che sì il terreno
110 arse, che 'l Sol di nuovo a Faetonte
de' suoi corsier parea aver dato il freno;
secco ogni pozzo, secca era ogni fonte;
li rivi e i stagni e i fiumi più famosi
tutti passar si potean senza ponte.
115 In quel tempo, d'armenti e de lanosi
greggi io non so s'i' dico ricco o grave,
era un pastor fra gli altri bisognosi,
che poi che l'acqua per tutte le cave
cercò indarno, si volse a quel Signore
120 che mai non suol fraudar chi in lui fede have;
et ebbe lume e inspirazion di core,
ch'indi lontano troveria, nel fondo
di certa valle, il desiato umore.
Con moglie e figli e con ciò ch'avea al mondo
125 là si condusse, e con gli ordegni suoi
l'acqua trovò, né molto andò profondo.
E non avendo con che attinger poi,
se non un vase picciolo et angusto,
disse: «Che mio sia il primo non ve annoi;
130 di mógliema il secondo; e 'l terzo è giusto
che sia de' figli, e il quarto, e fin che cessi
l'ardente sete onde è ciascuno adusto:
li altri vo' ad un ad un che sien concessi,
secondo le fatiche, alli famigli
135 che meco in opra a far il pozzo messi.
Poi su ciascuna bestia si consigli,
che di quelle che a perderle è più danno
inanzi all'altre la cura si pigli».
Con questa legge un dopo l'altro vanno
140 a bere; e per non essere i sezzai,
tutti più grandi i lor meriti fanno.
Questo una gazza, che già amata assai
fu dal padrone et in delizie avuta,
vedendo et ascoltando, gridò: «Guai!
145 Io non gli son parente, né venuta
a fare il pozzo, né di più guadagno
gli son per esser mai ch'io gli sia suta;
veggio che dietro alli altri mi rimagno:
morò di sete, quando non procacci
150 di trovar per mio scampo altro rigagno».
Cugin, con questo essempio vuo' che spacci
quei che credon che 'l Papa porre inanti
mi debba a Neri, a Vanni, a Lotti e a Bacci.
Li nepoti e i parenti, che son tanti,
155 prima hanno a ber; poi quei che lo aiutaro
a vestirsi il più bel de tutti i manti.
Bevuto ch'abbian questi, gli fia caro
che beano quei che contra il Soderino
per tornarlo in Firenze si levaro.
160 L'un dice: «Io fui con Pietro in Casentino,
e d'esser preso e morto a risco venni».
«Io gli prestai danar», grida Brandino.
Dice un altro: «A mie spese il frate tenni
uno anno, e lo rimessi in veste e in arme,
165 di cavallo e d'argento gli sovenni».
Se, fin che tutti beano, aspetto a trarme
la voluntà di bere, o me di sete,
o secco il pozzo d'acqua veder parme.
Meglio è star ne la solita quïete,
170 che provar se gli è ver che qualunque erge
Fortuna in alto, il tuffa prima in Lete.
Ma sia ver, se ben li altri vi sommerge,
che costui sol non accostasse al rivo
che del passato ogni memoria absterge.
175 Testimonio sono io di quel ch'io scrivo:
ch'io non l'ho ritrovato, quando il piede
gli baciai prima, di memoria privo.
Piegossi a me da la beata sede;
la mano e poi le gote ambe mi prese,
180 e il santo bacio in amendue mi diede.
Di mezzo quella bolla anco cortese
mi fu, de la quale ora il mio Bibiena
espedito m'ha il resto alle mie spese.
Indi col seno e con la falda piena
185 di speme, ma di pioggia molle e brutto,
la notte andai sin al Montone a cena.
Or sia vero che 'l Papa attenga tutto
ciò che già offerse, e voglia di quel seme
che già tanti anni i' sparsi, or darmi il frutto;
190 sie ver che tante mitre e dïademe
mi doni, quante Iona di Cappella
alla messa papal non vede insieme;
sia ver che d'oro m'empia la scarsella,
e le maniche e il grembio, e, se non basta,
195 m'empia la gola, il ventre e le budella;
serà per questo piena quella vasta
ingordigia d'aver? rimarrà sazia
per ciò la sitibonda mia cerasta?
Dal Marocco al Catai, dal Nilo in Dazia,
200 non che a Roma, anderò, se di potervi
saziare i desiderii impetro grazia;
ma quando cardinale, o de li servi
io sia il gran Servo, e non ritrovino anco
termine i desiderii miei protervi,
205 in ch'util mi risulta essermi stanco
in salir tanti gradi? meglio fòra
starmi in riposo o affaticarmi manco.
Nel tempo ch'era nuovo il mondo ancora
e che inesperta era la gente prima
210 e non eran l'astuzie che sono ora,
a piè d'un alto monte, la cui cima
parea toccassi il cielo, un popul, quale
non so mostrar, vivea ne la val ima;
che più volte osservando la inequale
215 luna, or con corna or senza, or piena or scema,
girar il cielo al corso naturale;
e credendo poter da la suprema
parte del monte giungervi, e vederla
come si accresca e come in sé si prema;
220 chi con canestro e chi con sacco per la
montagna cominciar correr in su,
ingordi tutti a gara di volerla.
Vedendo poi non esser giunti più
vicini a lei, cadeano a terra lassi,
225 bramando in van d'esser rimasi giù.
Quei ch'alti li vedean dai poggi bassi,
credendo che toccassero la luna,
dietro venian con frettolosi passi.
Questo monte è la ruota di Fortuna,
230 ne la cui cima il volgo ignaro pensa
ch'ogni quïete sia, né ve n'è alcuna.
Se ne l'onor si trova o ne la immensa
ricchezza il contentarsi, i' loderei
non aver, se non qui, la voglia intensa;
235 ma se vediamo i papi e i re, che dèi
stimiamo in terra, star sempre in travaglio,
che sia contento in lor dir non potrei.
Se di ricchezze al Turco, e s'io me agguaglio
di dignitate al Papa, et ancor brami
240 salir più in alto, mal me ne prevaglio.
Convenevole è ben ch'i' ordisca e trami
di non patire alla vita disagio,
che più di quanto ho al mondo è ragion ch'io ami.
Ma se l'uomo è sì ricco che sta ad agio
245 di quel che la natura contentarse
dovria, se fren pone al desir malvagio;
che non digiuni quando vorria trarse
l'ingorda fame, et abbia fuoco e tetto
se dal freddo o dal sol vuol ripararse;
250 né gli convenga andare a piè, se astretto
è di mutar paese; et abbia in casa
chi la mensa apparecchi e acconci il letto,
che mi può dare o mezza o tutta rasa
la testa più di questo? ci è misura
255 di quanto puon capir tutte le vasa.
Convenevole è ancor che s'abbia cura
de l'onor suo; ma tal che non divenga
ambizïone e passi ogni misura.
Il vero onore è ch'uom da ben te tenga
260 ciascuno, e che tu sia; che, non essendo,
forza è che la bugia tosto si spenga.
Che cavalliero o conte o reverendo
il populo te chiami, io non te onoro,
se meglio in te che 'l titol non comprendo.
265 Che gloria ti è vestir di seta e d'oro,
e, quando in piazza appari o ne la chiesa,
ti si lievi il capuccio il popul soro;
poi dica dietro: «Ecco che diede presa
per danari a' Francesi Porta Giove
270 che il suo signor gli avea data in difesa»?
Quante collane, quante cappe nuove
per dignità si comprano, che sono
publici vituperii in Roma e altrove!
Vestir di romagnuolo et esser bono,
275 al vestir d'oro et aver nota o macchia
di baro o traditor sempre prepono.
Diverso al mio parere il Bomba gracchia,
e dice: «Abb'io pur roba, e sia l'acquisto
o venuto pel dado o per la macchia:
280 sempre ricchezze riverire ho visto
più che virtù; poco il mal dir mi nòce:
se riniega anco e si biastemia Cristo».
Pian piano, Bomba; non alzar la voce:
biastemian Cristo li uomini ribaldi,
285 peggior di quei che lo chiavaro in croce;
ma li onesti e li buoni dicon mal di
te, e dicon ver; che carte false e dadi
ti dànno i beni c'hai, mobili e saldi.
E tu dài lor da dirlo, perché radi
290 più di te in questa terra straccian tele
d'oro e broccati e veluti e zendadi.
Quel che devresti ascondere, rivele:
a' furti tuoi, che star dovrian di piatto,
per mostrar meglio, allumi le candele:
295 e dài materia ch'ogni savio e matto
intender vuol come ville e palazzi
dentro e di fuori in sì pochi anni hai fatto,
e come così vesti e così sguazzi;
e rispondere è forza, e a te è avviso
300 esser grande uomo, e dentro ne gavazzi.
Pur che non se lo veggia dire in viso,
non stima il Borna che sia biasmo, s'ode
mormorar dietro che abbia il frate ucciso.
Se bene è stato in bando un pezzo, or gode
305 l'ereditate in pace, e chi gli agogna
mal, freme indarno e indarno se ne rode.
Quello altro va se stesso a porre in gogna
facendosi veder con quella aguzza
mitra acquistata con tanta vergogna.
310 Non avendo più pel d'una cuccuzza,
ha meritato con brutti servigi
la dignitate e 'l titolo che puzza
a' spirti umani, alli celesti e a' stigi.
SATIRA IV
A MESSER SISMONDO MALEGUCIO
Il vigesimo giorno di febraio
chiude oggi l'anno che da questi monti,
che dànno a' Toschi il vento di rovaio,
qui scesi, dove da diversi fonti
5 con eterno rumor confondon l'acque
la Tùrrita col Serchio fra duo ponti;
per custodir, come al signor mio piacque,
il gregge grafagnin, che a lui ricorso
ebbe, tosto che a Roma il Leon giacque;
10 che spaventato e messo in fuga e morso
gli l'avea dianzi, e l'avria mal condotto
se non venia dal ciel iusto soccorso.
E questo in tanto tempo è il primo motto
ch'io fo alle dee che guardano la pianta
15 de le cui frondi io fui già così giotto.
La novità del loco è stata tanta,
c'ho fatto come augel che muta gabbia,
che molti giorni resta che non canta.
Maleguzzo cugin, che tacciuto abbia
20 non ti maravigliar, ma maraviglia
abbi che morto io non sia ormai di rabbia
vedendomi lontan cento e più miglia,
e da neve, alpe, selve e fiumi escluso
da chi tien del mio cor sola la briglia.
25 Con altre cause e più degne mi escuso
con gli altri amici, a dirti il ver; ma teco
liberamente il mio peccato accuso.
Altri a chi lo dicessi, un occhio bieco
mi volgerebbe a dosso, e un muso stretto:
30 «Guata poco cervel!» poi diria seco
«degno uom da chi esser debbia un popul retto,
uom che poco lontan da cinquanta anni
vaneggi nei pensier di giovinetto!».
E direbbe il Vangel di san Giovanni;
35 che, se ben erro, pur non son sì losco
che 'l mio error non conosca e ch'io nol danni.
Ma che giova s'io 'l danno e s'io 'l conosco,
se non ci posso riparar, né truovi
rimedio alcun che spenga questo tòsco?
40 Tu forte e saggio, che a tua posta muovi
questi affetti da te, che in noi, nascendo,
natura affige con sì saldi chiovi!
Fisse in me questo, e forse non sì orrendo
come in alcun c'ha di me tanta cura
45 chi non può tolerar ch'io non mi emendo;
e fa come io so alcun, che dice e giura
che quello e questo è becco, e quanto lungo
sia il cimer del suo capo non misura.
Io non uccido, io non percuoto o pungo,
50 io non do noia altrui, se ben mi dolgo
che da chi meco è sempre io mi dilungo:
perciò non dico né a difender tolgo
che non sia fallo il mio; ma non sì grave
che di via più non me perdoni il volgo.
55 Con manco ranno il volgo, non che lave
maggior macchia di questa, ma sovente
titolo al vizio di virtù dato have.
Ermilïan sì del danaio ardente
come d'Alessio il Gianfa, e che lo brama
60 ogni ora, in ogni loco, da ogni gente,
né amico né fratel né se stesso ama,
uomo d'industria, uomo di grande ingegno,
di gran governo e gran valor si chiama.
Gonfia Rinieri, et ha il suo grado a sdegno;
65 esser gli par quel che non è, e più inanzi
che in tre salti ir non può si mette il segno.
Non vuol che in ben vestire altro lo avanzi;
spenditor, scalco, falconiero, cuoco,
vuol chi lo scalzi, chi gli tagli inanzi.
70 Oggi uno e diman vende un altro loco;
quel che in molti anni acquistar gli avi e i patri
getta a man piene, e non a poco a poco.
Costui non è chi morda o che gli latri,
ma liberal, magnanimo si noma
75 fra li volgar giudici oscuri et atri.
Solonnio di facende sì gran soma
tolle a portar, che ne saria già morto
il più forte somier che vada a Roma.
Tu 'l vedi in Banchi, alla dogana, al porto,
80 in Camera apostolica, in Castello,
da un ponte all'altro a un volgier d'occhi sorto.
Si stilla notte e dì sempre il cervello,
come al Papa ognor dia freschi guadagni
con novi dazii e multe e con balzello.
85 Gode fargli saper che se ne lagni
e dica ognun che all'util del padrone
non riguardi parenti né compagni.
Il popul l'odia, et ha di odiar ragione,
se di ogni mal che la città flagella
90 gli è ver ch'egli sia il capo e la cagione.
E pur grande e magnifico se appella,
né senza prima discoprirsi il capo
il nobile o il plebeo mai gli favella.
Laurin si fa de la sua patria capo,
95 et in privato il publico converte;
tre ne confina, a sei ne taglia il capo;
comincia volpe, indi con forze aperte
esce leon, poi c'ha 'l popul sedutto
con licenze, con doni e con offerte:
100 l'iniqui alzando, e deprimendo in lutto
li buoni, acquista titolo di saggio,
di furti, stupri e d'omicidi brutto.
Così dà onore a chi dovrebbe oltraggio,
né sa da colpa a colpa scerner l'orbo
105 giudizio, a cui non mostra il sol mai raggio;
e stima il corbo cigno e il cigno corbo;
se sentisse ch'io amassi, faria un viso
come mordesse allora allora un sorbo.
Dica ogniun come vuole, e siagli aviso
110 quel che gli par: in somma ti confesso
che qui perduto ho il canto, il gioco, il riso.
Questa è la prima; ma molt'altre appresso
e molt'altre ragion posso allegarte,
che da le dee m'ha tolto di Permesso.
115 Già mi fur dolci inviti a empir le carte
li luoghi ameni di che il nostro Reggio,
il natio nido mio, n'ha la sua parte.
Il tuo Mauricïan sempre vagheggio,
la bella stanza, il Rodano vicino,
120 da le Naiade amato ombroso seggio,
il lucido vivaio onde il giardino
si cinge intorno, il fresco rio che corre,
rigando l'erbe, ove poi fa il molino;
non mi si può de la memoria tòrre
125 le vigne e i solchi del fecondo Iaco,
la valle e il colle e la ben posta tórre.
Cercando or questo et or quel loco opaco,
quivi in più d'una lingua e in più d'un stile
rivi traea sin dal gorgoneo laco.
130 Erano allora gli anni miei fra aprile
e maggio belli, ch'or l'ottobre dietro
si lasciano, e non pur luglio e sestile.
Ma né d'Ascra potrian né di Libetro
l'amene valli, senza il cor sereno,
135 far da me uscir iocunda rima o metro.
Dove altro albergo era di questo meno
convenïente a i sacri studi, vuoto
d'ogni iocundità, d'ogni orror pieno?
La nuda Pania tra l'Aurora e il Noto,
140 da l'altre parti il giogo mi circonda
che fa d'un Pellegrin la gloria noto.
Questa è una fossa, ove abito, profonda,
donde non muovo piè senza salire
del silvoso Apennin la fiera sponda.
145 O stiami in Ròcca o voglio all'aria uscire,
accuse e liti sempre e gridi ascolto,
furti, omicidii, odi, vendette et ire;
sì che or con chiaro or con turbato volto
convien che alcuno prieghi, alcun minacci,
150 altri condanni, altri ne mandi assolto;
ch'ogni dì scriva et empia fogli e spacci,
al Duca or per consiglio or per aiuto,
sì che i ladron, c'ho d'ogni intorno, scacci.
Déi saper la licenzia in che è venuto
155 questo paese, poi che la Pantera,
indi il Leon l'ha fra gli artigli avuto.
Qui vanno li assassini in sì gran schiera
ch'un'altra, che per prenderli ci è posta,
non osa trar del sacco la bandiera.
160 Saggio chi dal Castel poco si scosta!
Ben scrivo a chi più tocca, ma non torna
secondo ch'io vorrei mai la risposta.
Ogni terra in se stessa alza le corna,
che sono ottantatre, tutte partite
165 da la sedizïon che ci soggiorna.
Vedi or se Appollo, quando io ce lo invite,
vorrà venir, lasciando Delfo e Cinto,
in queste grotte a sentir sempre lite.
Dimandar mi potreste chi m'ha spinto
170 dai dolci studi e compagnia sì cara
in questo rincrescevol labirinto.
Tu déi saper che la mia voglia avara
unqua non fu, ch'io solea star contento
di quel stipendio che traea a Ferrara;
175 ma non sai forse come uscì poi lento,
succedendo la guerra, e come volse
il Duca che restasse in tutto spento.
Fin che quella durò, non me ne dolse;
mi dolse di veder che poi la mano
180 chiusa restò, ch'ogni timor si sciolse.
Tanto più che l'ufficio di Melano,
poi che le leggi ivi tacean fra l'armi,
bramar gli affitti suoi mi facea invano.
Ricorsi al Duca: «O voi, signor, levarmi
185 dovete di bisogno, o non vi incresca
ch'io vada altra pastura a procacciarmi».
Grafagnini in quel tempo, essendo fresca
la lor rivoluzion, che spinto fuori
avean Marzocco a procacciar d'altra ésca,
190 con lettere frequenti e imbasciatori
replicavano al Duca, e facean fretta
d'aver lor capi e lor usati onori.
Fu di me fatta una improvisa eletta,
o forse perché il termine era breve
195 di consigliar chi pel miglior si metta,
o pur fu appresso il mio signor più leve
il bisogno de' sudditi che il mio,
di ch'obligo gli ho quanto se gli deve.
Obligo gli ho del buon voler, più ch'io
200 mi contenti del dono, il quale è grande,
ma non molto conforme al mio desio.
Or se di me a questi omini dimande,
potrian dir che bisogno era di asprezza,
non di clemenzia, all'opre lor nefande.
205 Come né in me, così né contentezza
è forse in lor; io per me son quel gallo
che la gemma ha trovata e non l'apprezza.
Son come il Veneziano, a cui il cavallo
di Mauritania in eccellenzia buono
210 donato fu dal re di Portogallo;
il qual, per aggradir il real dono,
non discernendo che mistier diversi
volger temoni e regger briglie sono,
sopra vi salse, e cominciò a tenersi
215 con mani al legno e co' sproni alla pancia:
«Non vuo'» seco dicea «che tu mi versi.»
Sente il cavallo pungersi, e si lancia;
e 'l buon nocchier più allora preme e stringe
lo sprone al fianco, aguzzo più che lancia,
220 e di sangue la bocca e il fren gli tinge:
non sa il cavallo a chi ubedire, o a questo
che 'l torna indietro, o a quel che l'urta e spinge;
pur se ne sbriga in pochi salti presto.
Rimane in terra il cavallier col fianco,
225 co la spalla e col capo rotto e pesto.
Tutto di polve e di paura bianco
si levò al fin, dal re mal satisfatto,
e lungamente poi si ne dolse anco.
Meglio avrebbe egli, et io meglio avrei fatto,
230 egli il ben del cavallo, io del paese,
a dir: «O re, o signor, non ci sono atto;
sie pur a un altro di tal don cortese».
SATIRA V
A MESSER ANNIBALE MALEGUCIO
Da tutti li altri amici, Annibale, odo,
fuor che da te, che sei per pigliar moglie:
mi duol che 'l celi a me, che 'l facci lodo.
Forse mel celi perché alle tue voglie
5 pensi che oppor mi debbia, come io danni,
non l'avendo tolta io, s'altri la toglie.
Se pensi di me questo, tu te inganni:
ben che senza io ne sia, non però accuso
se Piero l'ha, Martin, Polo e Giovanni.
10 Mi duol di non l'avere, e me ne iscuso
sopra varii accidenti che lo effetto
sempre dal buon voler tennero escluso;
ma fui di parer sempre, e così detto
l'ho più volte, che senza moglie a lato
15 non puote uomo in bontade esser perfetto.
Né senza si può star senza peccato;
che chi non ha del suo, fuor accattarne,
mendicando o rubandolo, è sforzato;
e chi s'usa a beccar de l'altrui carne,
20 diventa giotto, et oggi tordo o quaglia,
diman fagiani, uno altro dì vuol starne;
non sa quel che sia amor, non sa che vaglia
la caritade: e quindi avien che i preti
sono sì ingorda e sì crudel canaglia.
25 Che lupi sieno e che asini indiscreti
mel dovreste saper dir voi da Reggio,
se già il timor non vi tenesse cheti.
Ma senza che 'l dicate, io me ne aveggio;
de la ostinata Modona non parlo,
30 che, tutto che stia mal, merta star peggio.
Pigliala, se la vuoi; fa, se déi farlo;
e non voler, come il dottor Buonleo,
alla estrema vecchiezza prolungarlo.
Quella età più al servizio di Lieo
35 che di Vener conviensi: si dipinge
giovane fresco, e non vecchio, Imeneo.
Il vecchio, allora che 'l desir lo spinge,
di sé prosume e spera far gran cose;
si sganna poi che al paragon si stringe.
40 Non voglion rimaner però le spose
nel danno; sempre ci è mano adiutrice
che soviene alle pover' bisognose.
E se non fosse ancor, pur ognun dice
che gli è così: non pòn fuggir la fama,
45 più che del ver, del falso relatrice,
la qual patisce mal chi l'onor ama;
ma questa passïon debole e nulla,
verso un'altra maggior, ser Iorio chiama.
«Peggio è» dice «vedersi un ne la culla,
50 e per casa giocando ir duo bambini,
e poco prima nata una fanciulla:
et esser di sua età giunto a' confini,
e non aver che doppo sé lor mostri
la via del bene, e non li fraudi e uncini.»
55 Pigliala, e non far come alcuni nostri
gentiluomini fanno, e molti féro,
ch'or giaccion per le chiese e per li chiostri
di mai non la pigliar fu il lor pensiero,
per non aver figliuoli che far pezzi
60 debbian di quel che a pena basta intiero.
Quel che acerbi non fér, maturi e mézzi
fan poi con biasmo: truovan ne le ville
e ne le cucine anco a chi far vezzi.
Nascono figli e crescon le faville,
65 et al fin, pusillanimi e bugiardi,
s'inducono a sposar villane e ancille,
perché i figli non restino bastardi.
Quindi è falsificato di Ferrara
in gran parte il buon sangue, se ben guardi;
70 quindi la gioventù vedi sì rara
che le virtudi e li bei studi, e molta
che degli avi materni i stili impara.
Cugin, fai bene a tòr moglier; ma ascolta:
pensaci prima; non varrà poi dire
75 di non, s'avrai di sì detto una volta.
In questo il mio consiglio proferire
ti vuo', e mostrar, se ben non lo richiedi,
quel che tu déi cercar, quel che fuggire.
Tu ti ridi di me forse, e non vedi
80 come io ti possa consigliar, ch'avuto
non ho in tal nodo mai collo né piedi.
Non hai, quando dui giocano, veduto
che quel che sta a vedere ha meglio spesso
ciò che s'ha a far, che 'l giocator, saputo?
85 Se tu vedi che tocchi, o vada appresso
il segno il mio parer, dàgli il consenso;
se non, riputal sciocco, e me con esso.
Ma prima ch'io ti mostri altro compenso,
t'avrei da dir che, se amorosa face
90 ti fa pigliar moglier, che segui il senso.
Ogni virtude è in lei, s'ella ti piace:
so ben che né orator latin, né greco,
saria a dissuadertilo efficace.
Io non son per mostrar la strada a un cieco;
95 ma se tu il bianco e il rosso e il ner comprendi,
essamina il consiglio ch'io te arreco.
Tu che vuoi donna, con gran studio intendi
qual sia stata e qual sia la madre, e quali
sien le sorelle, s'all'onore attendi.
100 S'in cavalli, se 'n boi, se 'n bestie tali
guardian le razze, che faremo in questi,
che son fallaci più ch'altri animali?
Di vacca nascer cerva non vedesti,
né mai colomba d'aquila, né figlia
105 di madre infame di costumi onesti.
Oltre che il ramo al ceppo s'assimiglia,
il dimestico essempio, che le aggira
pel capo sempre, ogni bontà sgombiglia.
Se la madre ha duo amanti, ella ne mira
110 a quattro e a cinque, e spesso a più di sei,
et a quanti più può la rete tira:
e questo per mostrar che men di lei
non è leggiadra, e non le fur del dono
de la beltà men liberali i dèi.
115 Saper la balia e le compagne è buono:
se appresso il padre sia nodrita o in corte,
al fuso, all'ago, o pur in canto e in suono.
Non cercar chi più dote, o chi ti porte
titoli e fumi e più nobil parenti
120 che al tuo aver si convenga e alla tua sorte;
ché difficil sarà, se non ha venti
donne poi dietro e staffieri e un ragazzo
che le sciorini il cul, tu la contenti.
Vorrà una nana, un bufoncello, un pazzo,
125 e compagni da tavola e da giuoco
che tutto il dì la tengano in solazzo.
Né tòr di casa il piè, né mutar loco
vorrà senza carretta; ben ch'io stimi,
fra tante spese, questa spesa poco:
130 che se tu non la fai, che sei de' primi
e di sangue e d'aver ne la tua terra,
non la faràn già quei che son degli imi.
E se matina e sera ondeggiando erra
con cavalli a vettura la Giannicca
135 che farà chi del suo li pasce e ferra?
Ma se l'altre n'han dui, ne vuol la ricca
quattro; se le compiaci, più che 'l conte
Rinaldo mio la te aviluppa e ficca;
se le contrasti, pon la pace a monte,
140 e come Ulisse al canto, tu l'orecchia
chiudi a pianti, a lamenti, a gridi et onte;
ma non le dir oltraggio, o t'apparecchia
cento udirne per uno, e che ti punga
più che punger non suol vespe né pecchia.
145 Una che ti sia ugual teco si giunga,
che por non voglia in casa nuove usanze,
né più del grado aver la coda lunga.
Non la vuo' tal che di bellezze avanze
l'altre, e sia in ogni invito, e sempre vada
150 capo di schiera per tutte le danze.
Fra bruttezza e beltà truovi una strada
dove è gran turba, né bella né brutta,
che non t'ha da spiacer, se non te aggrada.
Che quindi esce, a man ritta truova tutta
155 la gente bella, e dal contrario canto
quanta bruttezza ha il mondo esser ridutta.
Quinci più sozze, e poi più sozze quanto
tu vai più inanzi; e quindi truovi i visi
più di bellezza e più tenere il vanto.
160 S'ove déi tòr la tua vuoi ch'io te avisi,
o ne la strada, o a man ritta nei campi
dirò, ma non di là troppo divisi.
Non ti scostar, non ir dove tu inciampi
in troppo bella moglie, sì che ognuno
165 per lei d'amor e di desire avampi.
Molti la tenteranno, e quando ad uno
repugni, o a dui, o a tre, non star in speme
che non ne debbia aver vittoria alcuno.
Non la tòr brutta; che torresti insieme
170 perpetua noia; medïocre forma
sempre lodai, sempre dannai le estreme.
Sia di buona aria, sia gentil, non dorma
con gli occhi aperti; che più l'esser sciocca
d'ogni altra ria deformità deforma.
175 Se questa in qualche scandalo trabocca,
lo fa palese, in modo che dà sopra
li fatti suoi facenda ad ogni bocca.
L'altra, più saggia, si conduce all'opra
secretamente, e studia, come il gatto,
180 che la immondizia sua la terra copra.
Sia piacevol, cortese, sia d'ogni atto
di superbia nimica, sia gioconda,
non mesta mai, non mai col ciglio attratto.
Sia vergognosa; ascolti e non risponda
185 per te dove tu sia; né cessi mai,
né mai stia in ozio; sia polita e monda.
De dieci anni o di dodici, se fai
per mio consiglio, fia di te minore;
di pare o di più età non la tòr mai:
190 perché passando, come fa, il megliore
tempo e i begli anni in lor prima che in noi,
ti parria vecchia, essendo anco tu in fiore.
Però vorrei che 'l sposo avesse i suoi
trent'anni, quella età che 'l furor cessa
195 presto al voler, presto al pentirse poi.
Tema Dio, ma che udir più d'una messa
voglia il dì non mi piace; e vuo' che basti
s'una o due volte l'anno si confessa.
Non voglio che con gli asini che basti
200 non portano abbia pratica, né faccia
ogni dì tórte al confessore e pasti.
Voglio che se contenti de la faccia
che Dio le diede, e lassi il rosso e il bianco
alla signora del signor Ghinaccia.
205 Fuor che lisciarsi, uno ornamento manco
d'altra ugual gentildonna ella non abbia;
liscio non vuo', né tu credo il vogli anco.
Se sapesse Erculan dove le labbia
pon quando bacia Lidia, avria più a schivo
210 che se baciasse un cul marzo di scabbia.
Non sa che 'l liscio è fatto col salivo
de le giudee che 'l vendon; né con tempre
di muschio ancor perde l'odor cattivo.
Non sa che con la merda si distempre
215 di circoncisi lor bambini il grasso
d'orride serpi che in pastura han sempre.
Oh quante altre spurcizie a dietro lasso,
di che s'ungono il viso, quando al sonno
se acconcia il steso fianco, e il ciglio basso!
220 Sì che quei che le baciano, ben ponno
con men schivezza e stomachi più saldi
baciar lor anco a nuova luna il conno.
Il sollimato e gli altri unti ribaldi,
di che ad uso del viso empion gli armari,
225 fan che sì tosto il viso lor s'affaldi;
o che i bei denti, che già fur sì cari,
lascian la bocca fetida e corrotta,
o neri e pochi restano, e mal pari.
Segua le poche, e non la volgar frotta;
230 né sappia far la tua bianco né rosso,
ma sia del filo e de la tela dotta.
Se tal la truovi, consigliar ti posso
che tu la prenda; se poi cangia stile,
e che se tiri alcun galante adosso,
235 o faccia altra opra enorme, e che simìle
il frutto, in tempo del ricor, non esca
ai molti fior ch'avea mostrato aprile;
de la tua sorte, e non di te t'incresca,
che per indiligenza e poca cura
240 gusti diverso all'apetito l'ésca.
Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
o chi fa peggio assai, che la conosce,
e pur la vuol, sia quanto voglia impura,
se poi pentito si batte le cosce,
245 altro che sé non de' imputar del fallo,
né cercar compassion de le sue angosce.
Poi ch'io t'ho posto assai bene a cavallo,
ti voglio anco mostrar come lo guidi,
come spinger lo déi, come fermallo.
250 Tolto che moglie avrai, lascia li nidi
degli altri, e sta sul tuo; che qualche augello,
trovandol senza te, non vi si annidi.
Falle carezze, et amala con quello
amor che vuoi ch'ella ami te; aggradisci,
255 e ciò che fa per te paiati bello.
Se pur tal volta errasse, l'ammonisci
sanza ira, con amore; e sia assai pena
che la facci arrossir senza por lisci.
Meglio con la man dolce si raffrena
260 che con forza il cavallo, e meglio i cani
le lusinghe fan tuoi che la catena.
Questi animal, che son molto più umani,
corregger non si dén sempre con sdegno,
né, al mio parer, mai con menar de mani.
265 Ch'ella ti sia compagna abbi disegno;
non come in comperata per tua serva
reputa aver in lei dominio e regno.
Cerca di sodisfarle ove proterva
non sia la sua domanda, e, compiacendo,
270 quanto più amica puoi te la conserva.
Che tu la lasci far non te commendo,
senza saputa tua, ciò ch'ella vuole;
che mostri non fidarti anco riprendo.
Ire a conviti e publiche carole
275 non le vietar, né, alli suoi tempi, a chiese,
dove ridur la nobiltà si suole:
gli adùlteri né in piazza né in palese,
ma in case de vicini e de commatri,
balie e tal genti, han le lor reti tese.
280 Abbile sempre, ai chiari tempi e agli atri,
dietro il pensier, né la lasciar di vista:
che 'l bel rubar suol far gli uomini latri.
Studia che compagnia non abbia trista:
a chi ti vien per casa abbi avvertenza,
285 che fuor non temi, e dentro il mal consista;
ma studia farlo cautamente, senza
saputa sua; che si dorria a ragione
s'in te sentisse questa diffidenza.
Lievale quanto puoi la occasïone
290 d'esser puttana, e pur se avien che sia,
almen che ella non sia per tua cagione.
Io non so la miglior di questa via
che già t'ho detta, per schivar che in preda
ad altri la tua donna non se dia.
295 Ma s'ella n'avrà voglia, alcun non creda
di ripararci: ella saprà ben come
far ch'al suo inganno il tuo consiglio ceda.
Fu già un pittor, Galasso era di nome,
che dipinger il diavolo solea
300 con bel viso, begli occhi e belle chiome;
né piei d'augel né corna gli facea,
né facea sì leggiadro né sì adorno
l'angel da Dio mandato in Galilea.
Il diavol, riputandosi a gran scorno
305 se fosse in cortesia da costui vinto,
gli apparve in sogno un poco inanzi il giorno,
e gli disse in parlar breve e succinto
ch'egli era, e che venia per render merto
de l'averlo sì bel sempre dipinto;
310 però lo richiedesse, e fosse certo
di subito ottener le sue domande,
e di aver più che non se gli era offerto.
Il meschin, ch'avea moglie d'admirande
bellezze, e ne vivea geloso, e n'era
315 sempre in sospetto et in angustia grande,
pregò che gli mostrasse la maniera
che s'avesse a tener, perché il marito
potesse star sicur de la mogliera.
Par che 'l diavolo allor gli ponga in dito
320 uno annello, e ponendolo gli dica:
«Fin che ce 'l tenghi, esser non puoi tradito».
Lieto ch'omai la sua senza fatica
potrà guardar, si sveglia il mastro, e truova
che 'l dito alla moglier ha ne la fica.
325 Questo annel tenga in dito, e non lo muova
mai chi non vuol ricevere vergogna
da la sua donna; e a pena anco gli giova,
pur ch'ella voglia, e farlo si dispogna.
SATIRA VI
A MESSER PIETRO BEMBO
Bembo, io vorrei, come è il commun disio
de' solliciti padri, veder l'arti
che essaltan l'uom, tutte in Virginio mio;
e perché di esse in te le miglior parti
5 veggio, e le più, di questo alcuna cura
per l'amicizia nostra vorrei darti.
Non creder però ch'esca di misura
la mia domanda, ch'io voglia tu facci
l'ufficio di Demetrio o di Musura
10 (non si dànno a' par tuoi simili impacci),
ma sol che pensi e che discorri teco,
e saper dagli amici anco procacci
s'in Padova o in Vinegia è alcun buon greco,
buono in scïenzia e più in costumi, il quale
15 voglia insegnarli, e in casa tener seco.
Dottrina abbia e bontà, ma principale
sia la bontà: che, non vi essendo questa,
né molto quella alla mia estima vale.
So ben che la dottrina fia più presta
20 a lasciarsi trovar che la bontade:
sì mal l'una ne l'altra oggi s'inesta.
O nostra male aventurosa etade,
che le virtudi che non abbian misti
vizii nefandi si ritrovin rade!
25 Senza quel vizio son pochi umanisti
che fe' a Dio forza, non che persüase,
di far Gomorra e i suoi vicini tristi:
mandò fuoco da ciel, ch'uomini e case
tutto consumpse; et ebbe tempo a pena
30 Lot a fugir, ma la moglier rimase.
Ride il volgo, se sente un ch'abbia vena
di poesia, e poi dice: «È gran periglio
a dormir seco e volgierli la schiena».
Et oltra questa nota, il peccadiglio
35 di Spagna gli dànno anco, che non creda
in unità del Spirto il Padre e il Figlio.
Non che contempli come l'un proceda
da l'altro o nasca, e come il debol senso
ch'uno e tre possano essere conceda;
40 ma gli par che non dando il suo consenso
a quel che approvan gli altri, mostri ingegno
da penetrar più su che 'l cielo immenso.
Se Nicoletto o fra Martin fan segno
d'infedele o d'eretico, ne accuso
45 il saper troppo, e men con lor mi sdegno:
perché, salendo lo intelletto in suso
per veder Dio, non de' parerci strano
se talor cade giù cieco e confuso.
Ma tu, del qual lo studio è tutto umano
50 e son li tuoi suggetti i boschi e i colli,
il mormorar d'un rio che righi il piano,
cantar antiqui gesti e render molli
con prieghi animi duri, e far sovente
di false lode i principi satolli,
55 dimmi, che truovi tu che sì la mente
ti debbia aviluppar, sì tòrre il senno,
che tu non creda come l'altra gente?
Il nome che di apostolo ti denno
o d'alcun minor santo i padri, quando
60 cristiano d'acqua, e non d'altro ti fenno,
in Cosmico, in Pomponio vai mutando;
altri Pietro in Pïerio, altri Giovanni
in Iano o in Iovïan va riconciando;
quasi che 'l nome i buon giudici inganni,
65 e che quel meglio t'abbia a far poeta
che non farà lo studio de molti anni.
Esser tali dovean quelli che vieta
che sian ne la republica Platone,
da lui con sì santi ordini discreta;
70 ma non fu tal già Febo, né Anfïone,
né gli altri che trovaro i primi versi,
che col buon stile, e più con l'opre buone,
persuasero gli uomini a doversi
ridurre insieme, e abandonar le giande
75 che per le selve li traean disper
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