LE DONNE CURIOSE, di Carlo Goldoni - pagina 3
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FLOR.
Ma ve l'ho detto.
ridetto e riconfermato.
Non si fa niente.
ROS.
Se non si facesse niente, non vi anderebbe nessuno.
FLOR.
Voglio dire, non si fa niente che meriti la vostra curiosità.
ROS.
Sì, sì, vi ho capito.
Vi è il segreto: avrete impegno di non parlare.
FLOR.
No, da galantuomo.
Non vi è segreto veruno.
ROS.
Se così fosse, mi direste la verità.
FLOR.
La verità ve la dico.
Si discorre delle novità del mondo, si leggono dei buoni libri, si giuoca a qualche giuoco d'ingegno, senza l'interesse d'un soldo.
Qualche volta si pranza, qualche volta si cena, si passano due o tre ore in buona società, da buoni amici, e si gode il miglior tempo di questo mondo.
ROS.
Fra questi divertimenti avete lasciato fuori il migliore.
FLOR.
Che vuol dire?
ROS.
Quello di passar il tempo colle signore.
FLOR.
Oh, qui v'ingannate.
Donne non ve n'entrano assolutamente.
ROS.
Io non vi credo.
FLOR.
Ve lo giuro sull'onor mio.
ROS.
Compatitemi, non vi credo.
FLOR.
Rosaura, voi mi fate un torto che io non merito.
ROS.
Volete ch'io creda tutto quello che dite?
FLOR.
Così vi converrebbe di fare.
ROS.
Introducetemi a vedere una volta sola, e vi prometto che allora vi crederò.
FLOR.
Sì, la vostra fede avrebbe allora un gran merito.
ROS.
Io non so altro; se non vedo, non credo.
FLOR.
Per me vi soddisfarei volentieri.
ROS.
Che obbietto avete per non farlo?
FLOR.
Il divieto de' miei compagni.
ROS.
Questo divieto è un cattivo segno.
FLOR.
Perché?
ROS.
Se non vogliono che si veda, vi sarà qualche cosa di brutto.
FLOR.
Che vorreste mai che ci fosse?
ROS.
Donne a tutte l'ore.
FLOR.
Se ci entrassero donne, il mondo lo vederebbe.
ROS.
Le farete entrare vestite da uomo.
FLOR.
Voi ci credete affatto discoli e scostumati.
ROS.
Se foste gente dabbene, non vi nascondereste così.
FLOR.
Ma che non si possa fare una unione di buoni amici, senza ch'ella venga perseguitata?
ROS.
Questa gran segretezza eccita con ragione il sospetto.
FLOR.
Qual è questa segretezza? Io dico la verità, non vi è niente.
ROS.
Maladetto sia questo niente!
FLOR.
Via, cara, credetemi.
Non vi alterate.
ROS.
Lasciatemi stare.
FLOR.
Non trattate così il vostro sposo.
ROS.
Voi mio sposo?
FLOR.
Come? Non lo sono?
ROS.
No; andate, che non vi voglio.
FLOR.
Ma perché mai?
ROS.
Perché non mi volete dire la verità.
FLOR.
Questa è una cosa da farmi diventar matto.
Quel che vi ho detto, è vero; ve lo giuro per tutti i numi del cielo.
ROS.
Giuramenti da uomini! Non vi credo.
FLOR.
Dunque?
ROS.
Dunque non vi voglio più.
FLOR.
Ah Rosaura, per pietà.
ROS.
Non vi è pietà, non vi è misericordia, andate.
FLOR.
Oh cielo! Dov'è andato quel tenero amore che avevate per me?
ROS.
Non lo sapete il proverbio? Crudeltà consuma amore.
FLOR.
Io crudele? Io che vi amo più di me stesso?
ROS.
Vi pare poca crudeltà, tormentare una donna come fate voi?
FLOR.
Tormentarvi? In qual modo?
ROS.
Colla più fiera, colla più terribile curiosità che si possa dare nel mondo.
FLOR.
Vi soddisfarei, se potessi.
ROS.
Sta in vostra mano il farlo.
FLOR.
Cara Rosaura...
ROS.
Via, son qui: volete dirmi la verità?
FLOR.
Non vi direi la bugia per tutto l'oro del mondo.
ROS.
Che cosa si fa là dentro?
FLOR.
Niente.
ROS.
Maladetto voi ed il vostro niente! (parte)
SCENA DECIMA
FLORINDO, poi CORALLINA
FLOR.
Io amo teneramente Rosaura; ma non per questo voglio disgustare gli amici miei.
Là dentro non la introdurrò mai; piuttosto, per non perdere l'amor suo, tralascerò di frequentare la compagnia: dopo la cena di questa sera, per non disgustare Rosaura, non vi anderò.
COR.
Favorisca, in grazia, che cosa ha la padroncina, che la vedo turbata?
FLOR.
Ella tormenta me, tormenta se medesima senza ragione.
COR.
Povera fanciulla! Vi vuol tanto a contentarla?
FLOR.
Ma come?
COR.
Dirle la verità; dirle quello che fate fra voialtri uomini in quella casa sì fatta.
FLOR.
Lo dico, e non lo crede.
COR.
Se le diceste la verità, la crederebbe.
FLOR.
Orsù, anche voi non mi fate venire la rabbia.
Non fomentate la sua curiosità.
COR.
Per me non ci penso; già so tutto.
FLOR.
Quando sapete tutto, saprete che non si fa niente di male.
COR.
Anzi si fa del bene.
FLOR.
Ma ditelo a Rosaura; ditele che non istia a sospettare.
COR.
Per contentarla, bisognerebbe fare una cosa.
FLOR.
Che cosa?
COR.
Condurla a vedere.
FLOR.
I miei amici non vogliono donne; e poi, pare a voi che a una fanciulla onesta e civile convenisse andare dove non vi sono che uomini?
COR.
È verissimo, ma anche a ciò vi è il suo rimedio.
Potrei venire io in vece sua, veder tutto, e saperle dire la verità.
FLOR.
Ma se non entran donne.
COR.
Potrei venire travestita da uomo.
FLOR.
Io credo che siate più curiosa della vostra padrona.
COR.
Oh, pensate! se so tutto io; non ho curiosità.
Faccio solo per metter in quiete la signora Rosaura.
Quando le dirò: signora, ho veduto, la cosa è così; mi crederà, starà in pace e non tormenterà più nemmeno voi.
FLOR.
Questa cosa non si può fare.
COR.
E se non si può fare questa, non si potrà fare nemmeno quell'altra.
FLOR.
Che vuol dire?
COR.
Le vostre nozze colla signora Rosaura.
FLOR.
Ma perché?
COR.
Perché ella è impuntata così.
Vi crede poco, e se io non l'assicuro della verità, non ne vuol più sapere.
FLOR.
E dovrei pormi a rischio di disgustar tanti galantuomini, per dar a lei una sì ridicola soddisfazione?
COR.
Eh signore, si vede che non le volete bene.
FLOR.
L'amo più di me stesso.
COR.
Quelli che amano veramente, farebbero altro per la loro bella!
FLOR.
Quando penso che per darle soddisfazione dovrei mancar alla mia parola, son un uomo d'onore, non ho cuore certamente di farlo.
COR.
Non so che dire, siete un giovine delicato, e vi compatisco; ma pure vorrei vedere di servire a lei, e servire a voi nello stesso tempo.
FLOR.
Via, pensate voi al modo...
COR.
Facciamo così: diamo ad intendere alla signora Rosaura che io sono stata, che io ho veduto, che io so tutto; e in questa maniera, confermandole tutto quello che dite voi, crederà, si acquieterà, sarete entrambi contenti.
FLOR.
Bravissima! Voi siete una giovine di giudizio.
COR.
Guardate se mi preme di farvi piacere! mi sottometto a dire delle bugie: cosa che non farei per mille scudi.
FLOR.
Non so che dire; quando le bugie tendono ad onesto fine, e non recano danno a nessuno, si possono anche tollerare.
COR.
Basta, mi sforzerò.
FLOR.
E per la fatica che voi farete, non sarete di me scontenta.
COR.
Sopra di ciò parleremo.
FLOR.
Corallina, addio.
COR.
Sentite.
Non vorrei che la signora Rosaura mi potesse convincere di falsità.
Vorrei poter sostenere, che veramente ci sono stata.
FLOR.
Si va fuori di casa, e le si dice di essere stata.
COR.
Per esempio, a che ora?
FLOR.
Che so io? Verso mezzogiorno.
La sera ancora.
COR.
Questa sera vi è riduzione?
FLOR.
Sì, questa sera vi è.
Questa sera si cena.
COR.
A che ora?
FLOR.
Si anderà alle due.
Si starà sino alle cinque almeno.
COR.
Buono! Questa sera anderò da un'amica, e potrò dirle di essere stata lì.
FLOR.
Bravissima, ci rivedremo.
(vuol partire)
COR.
Favorite: se mi domandasse, per esempio, la casa come è fatta? Vorrei saperle dir qualche cosa.
FLOR.
Che cosa le vorreste dire?
COR.
Per esempio.
Alla porta si batte, si suona? Come si entra in casa?
FLOR.
Ciascheduno di noi ha la chiave.
COR.
Dunque anche il padrone avrà la sua chiave.
FLOR.
Sicuramente, il signor Ottavio l'ha come gli altri.
COR.
(Ho piacer di saperlo).
(da sé) È maschia o femmina questa chiave?
FLOR.
È femmina, ma con gran quantità di ordigni, che non è possibile trovarne un'altra.
Il signor Pantalone fa venir queste chiavi da Milano; qui non vi è nessuno che sappia farle.
COR.
Fa bene, per maggior sicurezza.
Ma vorrei pur dirle qualche cosa di più.
Per esempio, la scala è subito dentro della porta?
FLOR.
Non vi è scala.
È un appartamento terreno, la di cui porta trovasi nell'entrata a mano dritta.
COR.
Anche la porta dell'appartamento sarà chiusa con gelosia.
FLOR.
Certamente, e anche di quella abbiamo le chiavi, le quali ordinariamente si portano unite a quelle dell'uscio di strada.
COR.
Quante camere vi sono?
FLOR.
Tre camere e la cucina.
COR.
Vi sarà qualche dispensa, qualche camerino.
FLOR.
No; non vi è altro.
Ma voi volete saper troppo.
COR.
Niente.
Domando così, per poter fingere di esservi stata.
Per esempio.
Camini ve ne sono?
FLOR.
Sì, ogni camera ha il suo camino.
COR.
Letti ve ne sono?
FLOR.
Letti? Non ci si dorme.
COR.
Ma dove pongono i loro ferraiuoli? i loro cappelli?
FLOR.
Oh, abbiamo i nostri armadi, dove si ripone ogni cosa.
COR.
Armadi grandi, di quelli dove si attaccano li vestiti?
FLOR.
Sì, di quelli; ma voi siete troppo curiosa.
COR.
Io curiosa? Non ci penso nemmeno.
Fo per poter dire sono stata.
Dove cenano? Nell'ultima camera?
FLOR.
Sì, nell'ultima.
Addio.
Non voglio che il signor Ottavio mi aspetti.
(parte)
SCENA UNDICESIMA
CORALLINA sola.
COR.
Vada pure, che per ora mi basta.
Se posso buscar le chiavi al padrone, se posso introdurmi, nascondermi e non essere veduta, vedrò se cavano il tesoro, o se fanno qualche altra faccenda.
Non vogliono donne! Bisogna che vi sia del male.
Noi altre donne siamo il condimento delle conversazioni; e dove non possono entrar le donne, ho paura...
ho paura...
Basta, la cosa è strana, sono curiosa, e a costo di tutto, voglio cavarmi di dosso questa terribile curiosità.
(parte)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Lelio, con tavolino su cui evvi il di lui vestito.
ELEONORA sola.
ELEON.
Oh che bestia è quel mio marito! Con lui non si può parlare.
Subito alza la voce.
Ma gridi, strepiti, faccia quanto sa e quanto vuole, mi ha da dire quel che si fa in quella casa, o me ne vado a star con mia madre.
Mi dispiace che sul più bello è venuto il fattore! Non ho potuto dirgli l'animo mio; ma anderà via il fattore, e mi sfogherò.
Frattanto, giacché qui è il vestito che Lelio aveva attorno questa mattina, voglio un poco vedere, se nelle tasche vi è qualche cosa, da fare qualche scoperta.
Queste cose non le fo mai.
Per natura io non sono curiosa, ma questa volta sono proprio impuntata.
(visita le tasche del vestito) Questo è il suo fazzoletto...
Vi è un nodo! Perché mai lo avrà fatto? Sarei ben curiosa di sapere che cosa voglia dir questo nodo.
Chi sa? Può anche darsi che io lo sappia.
E queste che chiavi sono? Non le ho più vedute.
In casa certamente non servono.
Oh, adesso sì che mi metto maggiormente in sospetto.
Se Lelio non mi dice che chiavi sono, attacchiamo una lite.
Questo è un viglietto.
Leggiamolo un poco: vediamo a chi va, e chi lo manda.
Al Signor Padron colendissimo il Signor Lelio Scarcavalli.
Sue riverite mani.
Vediamo chi scrive.
Vostro vero amico Pantalone de' Bisognosi.
Sì, uno di quelli della conversazione segreta.
Vi mando le due chiavi nuove, avendo per maggior sicurezza fatte cambiar le serrature, dopo che il mio servitore ha perse le chiavi vecchie.
Dimattina all'ora solita v'aspettiamo.
Addio.
Oh bella! Queste sono le chiavi del luogo topico.
Che bella cosa sarebbe rubargliele! e poi all'improvviso andarli a trovar sul fatto! Ma saranno le nuove, o le vecchie? Quando è scritto il viglietto? Ai 20.
Oh, sono le nuove senz'altro.
Eccolo, eccolo.
Queste non gliele do più.
(mette il viglietto in tasca di Lelio, e ripone le chiavi nelle sue)
SCENA SECONDA
LELIO e detta.
LEL.
Il servitore non è ancora tornato?
ELEON.
Se fosse tornato, lo vedreste.
LEL.
Che graziosa risposta!
ELEON.
A proposito della vostra domanda.
Vedete che il servitore non c'è, e a me domandate se è ritornato.
LEL.
Domando a voi, per sapere se ve ne siete servita, se l'avete mandato in qualche luogo.
Mi pare impossibile che non sia ritornato.
ELEON.
In quanto a quell'asino, quando si manda in un servizio, non torna mai.
LEL.
Ho d'andar subito fuori di casa.
Ho bisogno d'esser vestito.
ELEON.
L'abito è qui, vi potete vestire.
LEL.
Aiutatemi.
(si cava la veste da camera)
ELEON.
Potreste dirlo con un poco più di maniera.
LEL.
Favorisca d'aiutarmi.
(con ironia)
ELEON.
Dove si va così presto? (gli mette l'abito)
LEL.
Vado dove mi occorre, signora.
ELEON.
Sì, sì, anderete a soffiare.
LEL.
A soffiare! Sono io qualche spione?
ELEON.
Bravo.
Fingete di non intendere.
Anderete a soffiare nelli fornelli.
LEL.
Che fornelli? non vi capisco.
ELEON.
Mi è stato detto che in quel vostro luogo segreto fate il lapis philosophorum.
LEL.
Che lapis! Siete una pazza voi e chi ve lo dice.
ELEON.
Ma dunque che cosa fate là dentro?
LEL.
Niente.
ELEON.
Assolutamente voglio saperlo.
LEL.
Assolutamente non ne saprete di più.
ELEON.
Farò tanto che lo saprò.
LEL.
Eleonora, abbiate giudizio.
ELEON.
Voglio saperlo, e lo saprò.
LEL.
Non fate che mi venga il mio male.
ELEON.
Oh se lo saprò!
LEL.
Signora Eleonora...
ELEON.
Padrone mio...
LEL.
Vuol favorire di mutar discorso?
ELEON.
Lo saprò.
LEL.
Se lo dite un'altra volta, ve ne fo pentire da galantuomo.
ELEON.
Voi non vorreste ch'io lo sapessi.
LEL.
E voi...
ELEON.
Ed io...
lo saprò.
LEL.
(Vuol darle uno schiaffio, ella si ritira)
ELEON.
Sì, a vostro dispetto lo saprò.
(allontanandosi)
LEL.
E che sì, che vi rompo le braccia.
ELEON.
Ma lo saprò.
(come sopra)
LEL.
Giuro al cielo...
(le corre dietro)
ELEON.
Lo saprò lo saprò, lo saprò.
(si chiude in una camera)
LEL.
È meglio che me ne vada, sento che la bile m'affoga.
(vuol partire)
ELEON.
(Apre la porta e mette fuori la testa) Sì, maladetto, lo saprò.
LEL.
(Prende una sedia per dargliela nella testa)
ELEON.
Lo saprò.
(chiude)
LEL.
Bestia! Mi sento che non posso più.
No, no, non lo saprai.
No.
(alla porta) No, diavolo, non lo saprai.
No, bestia, non lo saprai, no.
ELEON.
(Da un'altra porta) Sì, sì, lo saprò.
(e chiudendo parte)
LEL.
Non posso più.
(parte)
SCENA TERZA
Camera in casa di Ottavio.
BEATRICE e CORALLINA
COR.
Presto, signora padrona, che se non parlo, mi viene tanto di gozzo.
BEAT.
Via, parla.
COR.
Ho trovato la maniera di saper tutto.
BEAT.
Di che?
COR.
Della compagnia, delle camere, del casino.
BEAT.
Davvero! Come?
COR.
Tutti hanno le chiavi in tasca; bisognerebbe procurare di buscarle a qualcuno.
BEAT.
E poi?
COR.
E poi, so io quel che dico; sono informata di tutto: e son capace all'oscuro, ad occhi chiusi, introdurmi, nascondermi e saper tutto.
BEAT.
Mio marito le avrà?
COR.
Le avrà sicuramente, e le avrà nelle tasche, perché se ne servono tutto dì.
Bisogna studiar il modo di fargliele sparire.
BEAT.
Se le ha ne' calzoni, sarà difficile.
COR.
Non può averle ne' calzoni, perché le chiavi delle porte saranno grosse.
BEAT.
Questa mattina è venuto tardi, e non si è nemmeno spogliato, come qualche giorno suol fare; bisognerà aspettar questa sera, quando va a letto.
COR.
No! il bello sarebbe scoprirli questa sera.
Ho rilevato che questa sera fanno una cena.
BEAT.
Oh, quanto pagherei di vederli!
COR.
Bisogna studiare il modo.
BEAT.
Eccoli che vengono qui.
COR.
Studiate voi, che studierò ancor io.
SCENA QUARTA
OTTAVIO, ROSAURA, FLORINDO e dette.
ROS.
Badate a' fatti vostri.
(a Florindo)
FLOR.
Signor Ottavio, vedete come vostra figliuola mi tratta?
OTT.
Caro amico, mia figlia è donna come le altre.
Avrà de' momenti buoni, avrà de' momenti cattivi.
Fate come si fa del tempo.
Godete il sereno, fuggite dal tuono; e quando tempesta, ritiratevi, ed aspettate che torni il sole.
ROS.
Il signor padre sa dar dei buoni consigli.
BEAT.
Mio marito è fatto a posta per far venire la rabbia.
OTT.
Signora Corallina, signora cameriera di garbo, quest'oggi non ci favorisce il caffè?
COR.
Il caffè è pronto, signore, lo vuole qui?
OTT.
Giacché non ce lo avete portato a tavola, lo beveremo qui.
COR.
Subito.
(Signora, portatevi bene.
Se abbiamo le chiavi, siamo a cavallo).
OTT.
Rosaura, che cosa vi ha fatto il vostro sposo?
ROS.
Niente, signore.
OTT.
Non v'ha fatto nulla, e lo guardate sì bruscamente?
ROS.
Ho dei momenti cattivi.
OTT.
Amico, il cielo è torbido.
Aspettate il sole.
(a Florindo)
ROS.
Questo sole non tornerà così presto.
OTT.
Sì, ritornerà, quando sarà tramontata la luna.
BEAT.
Oggi perché non vi spogliate? Perché non vi mettete in libertà come il solito? Il signor Florindo è di casa, non è persona di soggezione.
(ad Ottavio)
OTT.
Ho da uscir presto.
Non voglio far due fatiche.
BEAT.
Avete da uscir presto, eh? Dove avete d'andare?
OTT.
Vuol anche sapere dove ho d'andare?
BEAT.
Mi pare che alla moglie si potrebbe dire.
OTT.
Sì, una moglie così compita merita bene che io glielo dica! Devo andare a render la visita a quel cavaliere che è stato ieri da me.
BEAT.
Pare a voi che quell'abito sia a proposito per una visita di soggezione? Dovreste metterne un altro migliore.
OTT.
Eh io non bado a queste piccole cose.
BEAT.
Sapete che questi signori mezzi gentiluomini ci stanno su questi cerimoniali.
Dirà che vi prendete con lui troppa confidenza.
OTT.
Dica ciò che vuole: io non ci penso.
BEAT.
(Già; basta che io dica una cosa, perché non la voglia fare).
(da sé)
OTT.
Florindo mio, voglio che presto si concludano queste nozze.
BEAT.
(Non faremo niente).
(da sé)
FLOR.
Per me son pronto, ma la signora Rosaura non mi vuol bene.
ROS.
Vi vorrei bene, se foste un uomo sincero.
BEAT.
Vi mutate quell'abito? (ad Ottavio)
OTT.
Signora no.
(a Beatrice) Le avete detta qualche bugia? (a Florindo)
BEAT.
(Ecco come mi abbada).
(da sé)
FLOR.
Io le ho sempre detta la verità; ed ella non mi vuol credere.
OTT.
Eh, non è niente.
Un poco di curiosità, mescolata con un poco di ostinazione, è il sorbetto che sogliono dare le mogli.
Passerà, non è niente.
ROS.
(Mio padre mi fa crescer la rabbia).
(da sé)
BEAT.
Almeno, se non volete mettervi un altro vestito lasciate che vi spazzi questo.
È tutto polvere.
OTT.
Sì, brava la mia cara moglie amorosa.
Spazzatelo, che vi sarò obbligato.
BEAT.
Date qui.
Cavatevelo, se volete che ve lo spazzi.
OTT.
No, no, dategli una spazzatina in dosso, non voglio fare questa fatica.
BEAT.
Così non si fa bene.
Cavatevelo.
OTT.
No, cara, non v'incomodate, che non m'importa.
BEAT.
Ecco qui.
Mai vuol fare a modo mio.
OTT.
Cara figliuola, non siate così puntigliosa.
(a Rosaura)
BEAT.
(Or ora perdo la pazienza).
(da sé)
ROS.
Signor padre, vi prego a lasciarmi stare.
FLOR.
È irritata meco senza mia colpa.
OTT.
Niente, niente, dopo un poco di sdegno, par più buona la pace.
BEAT.
Non ve lo volete cavare? (ad Ottavio)
OTT.
Signora no.
BEAT.
Siete una bestia.
OTT.
Ah? che dite? Ho io una moglie che mi vuol bene? Queste sono tutte parole amorose.
Quanto paghereste che la vostra sposa vi facesse una di queste finezze? (a Florindo)
FLOR.
Io non amerei ch'ella mi strapazzasse.
OTT.
Io penso diversamente.
Piuttosto che veder le donne ingrugnate, ho piacer, poverine, che si sfoghino.
BEAT.
È una cosa, con questa sua flemma, da venir etiche.
SCENA QUINTA
CORALLINA che porta il caffè, e detti; poi un SERVITORE
COR.
Ecco il caffè.
OTT.
Via, beviamolo in pace, se si può.
COR.
(Avete fatto niente?) (piano a Beatrice)
BEAT.
(No, non mi basta l'animo di fargli cavar il vestito.
(piano a Corallina)
OTT.
Sediamo.
Il caffè si beve sedendo.
Chi è di là?
SERV.
Comandi.
OTT.
Dammi da sedere.
COR.
(Col caffè si accosta ad Ottavio, dopo averlo dato al altri)
SERV.
(Porta le sedie, e nel metterne una presso ad Ottavio, Corallina finge le abbia dato nel braccio, e versa il caffè sul vestito di Ottavio)
COR.
Uh! meschina me! Perdoni.
Mi ha urtato il braccio, non l'ho fatto a posta.
OTT.
Pazienza! Non è niente.
COR.
Subito.
Vi vuole dell'acqua fresca.
OTT.
Sì, fate voi.
COR.
Presto, presto, dia qui.
(gli leva il vestito) (Il colpo è fatto).
(parte col vestito)
OTT.
Datemi qualche cosa, che non mi raffreddi.
BEAT.
Portategli il vestito.
(al Servitore, il quale va per esso)
OTT.
Via sì, sarete contenta.
BEAT.
(Ha fatto Corallina quello che non ho saputo far io).
(da sé)
OTT.
Mi dispiace aver perduto il caffè.
Che me ne facciano un altro.
BEAT.
Vedete che vuol dire non fare a modo delle donne?
OTT.
Se faceva a vostro modo, era peggio: mi macchiavo l'altro vestito, che è di colore.
BEAT.
Se facevate a modo mio, questo non succedeva.
OTT.
Sentite, Florindo? Le nostre donne son profetesse.
Felici noi, che possediamo un tanto tesoro!
SCENA SESTA
Il SERVITORE, poi CORALLINA e detti.
SERV.
(Coll'altro vestito; lo mette ad Ottavio)
OTT.
Signora Beatrice, siete contenta?
BEAT.
Non ancora.
(Ho paura che domandi le chiavi).
(da sé)
COR.
Ecco, signore, il fazzoletto, la tabacchiera e le chiavi.
(ad Ottavio)
OTT.
Bravissima! (ripone il tutto in tasca)
BEAT.
(Anche le chiavi?) (a Corallina, piano)
COR.
(Non son quelle, le ho cambiate).
(piano a Beatrice)
BEAT.
(Il gran diavolo che è costei!) (da sé)
OTT.
Cara Corallina, io non ho bevuto il caffè.
Ve ne sarebbe un altro?
COR.
In verità, signor padrone, di abbruciato non ve n'è.
OTT.
Pazienza! Lo anderò a bevere fuori di casa.
BEAT.
Lo andrete a bevere al vostro caro ridotto.
OTT.
Florindo, volete venire con me?
FLOR.
Farò quello che comandate.
(osserva Rosaura)
ROS.
Mi guardate? Andate pure; io non vi trattengo.
OTT.
Amico, è meglio che andiamo.
Lasciate che il temporale si sfoghi.
Domani sarà buon tempo.
ROS.
Né domani, né mai.
OTT.
Mai buon tempo? Mai? Sempre nuvolo? Sempre tempesta? Ragazza mia, e che sì, che s'io suono una certa campana, faccio subito venir bel tempo?
ROS.
Come, signore?
OTT.
Sentite.
Vi caccerò in un ritiro.
Ah! che dite?
ROS.
Io in ritiro?
BEAT.
Mia figlia in ritiro?
OTT.
Andiamo, andiamo.
Campana all'armi.
Fuoco in camino.
(parte)
SCENA SETTIMA
BEATRICE, ROSAURA, FLORINDO e CORALLINA
ROS.
Sentite? Per causa vostra.
(a Florindo)
FLOR.
Signora, io non ne ho colpa.
BEAT.
Mia figlia in ritiro? Se non avrà voi, non le mancheranno mariti.
FLOR.
Lo credo.
Ma io non merito né i suoi, né i vostri rimproveri.
BEAT.
Andate, andate, che mio marito vi aspetta.
FLOR.
Partirò per obbedirvi.
(in atto di partire)
ROS.
Bella cosa! Lasciarmi così.
FLOR.
Ma signora...
(torna indietro)
COR.
(Lasciatelo andare, che vi ho da dire una bellisima cosa).
(a Rosaura, piano)
ROS.
(Che cosa?) (a Corallina, piano)
COR.
(Mandatelo via.
Ho le chiavi).
(come sopra)
ROS.
(Sono in curiosità).
(da sé) Basta, se volete andare, non vi trattengo.
(a Florindo)
FLOR.
Resterò, se lo comandate.
BEAT.
No, no, servitevi pure.
Mio marito vi aspetta.
FLOR.
Che dite, signora Rosaura?
ROS.
Se mio padre vi aspetta, andate.
FLOR.
Non mi aspetta per alcuna premura, posso ancor trattenermi.
COR.
(Mandatelo via).
(a Rosaura, piano)
ROS.
(Non vorrei disgustarlo).
(da sé) Andate, e poi tornate.
(a Florindo)
BEAT.
Oh, che non s'incomodi.
COR.
Tornerà domani.
FLOR.
Tornerò per obbedirvi.
Ma vi prego, abbiate pietà di me.
(parte)
SCENA OTTAVA
BEATRICE, ROSAURA e CORALLINA
ROS.
Non vorrei che si disgustasse.
COR.
Eh non dubitate, che tornerà.
ROS.
Che cosa avete da dirmi?
BEAT.
Dove sono le chiavi?
COR.
Eccole.
ROS.
Che chiavi?
COR.
Zitto.
Le chiavi della casa segreta.
Una della porta di strada, l'altra dell'appartamento.
BEAT.
Andiamo, andiamo.
(a Corallina)
ROS.
Voglio venire ancor io.
BEAT.
A voi non è lecito.
State in casa, e vi diremo tutto.
ROS.
Cara signora madre...
BEAT.
No, vi dico.
Andiamo, Corallina.
(parte)
SCENA NONA
ROSAURA e CORALLINA
ROS.
Cara Corallina...
COR.
Non dubitate.
Andrò io, vi saprò dir tutto.
ROS.
Quelle chiavi, come le avete avute?
COR.
Le ho buscate a vostro signor padre.
ROS.
Quando?
COR.
Non avete veduto il lazzo del caffè? Allora...
ROS.
Voglio venire ancor io.
COR.
La signora madre non vuole.
ROS.
Corallina, se tu mi vuoi bene...
COR.
Via, non siate così curiosa.
Abbiate pazienza.
Questa sera saprete ogni cosa.
ROS.
Sappimi dir se vi sono donne.
COR.
Eh, altro che donne.
Il tesoro, il tesoro.
(parte)
SCENA DECIMA
ROSAURA sola.
ROS.
Mai in vita mia ho avuto maggior pena nel desiderare una cosa.
Pazienza! Esse anderanno, e io no.
Ma perché io no? Perché sono una fanciulla? E per questo perderei la riputazione? Finalmente, se andassi a spiare che fa il mio sposo, nessuno mi potrebbe rimproverare.
Se sapessi come fare! Mia madre è difficilissima da lasciarsi svolgere.
Quando fissa una cosa, non vi è rimedio.
SCENA UNDICESIMA
FLORINDO e detta.
FLOR.
Deh perdonate...
ROS.
Voi qui?
FLOR.
Sì signora.
Il vostro signor padre è stato fermato in casa del forestiere, che doveva egli medesimo visitare.
Discorrono d'interessi, ed io mi sono preso l'ardire d'incomodarvi di nuovo.
ROS.
Meritereste ch'io vi voltassi le spalle.
FLOR.
Perché, signora? Che cosa vi ho fatto?
ROS.
Non mi volete dire la verità.
FLOR.
E siam qui sempre! Pagherei assaissimo, che poteste cogli occhi vostri assicurarvi della mia sincerità.
ROS.
Potete farlo quando volete.
FLOR.
Come?
ROS.
Introducendomi di nascosto.
FLOR.
Voi ardirete di venir sola?
ROS.
No, verrò colla serva.
FLOR.
Per un simile luogo, la serva non è compagnia che basti.
ROS.
Verrà mia madre.
Se voi la pregherete, verrà.
FLOR.
Rosaura, compatitemi.
Ve l'ho detto altre volte.
I miei amici non vogliono donne; ed io non deggio...
ROS.
E voi non dovete disgustarli per me.
Vedo che di essi più che di me vi preme, ed ecco il fondamento di credervi un menzognero, un infido.
FLOR.
Orsù, Rosaura, per darvi una prova dell'amor mio, tralascierò d'andarvi.
Così sarete contenta.
ROS.
Mi darete ad intendere di non andarvi, ma vi anderete.
FLOR.
No, vi prometto, non vi anderò.
ROS.
Non mi basta.
FLOR.
Vi confermerò la promessa col giuramento.
ROS.
Non voglio giuramenti, voglio una sicurezza maggiore.
FLOR.
Chiedetela.
ROS.
Mi promettete di darmela?
FLOR.
Sì, quando ella da me dipenda.
ROS.
Ditemi...
Ma badate bene di non mentire.
FLOR.
Non son capace.
ROS.
Avete voi le chiavi, come hanno gli altri?
FLOR.
Le chiavi di che?
ROS.
Delle porte di quella casa, dove non possono entrar le donne?
FLOR.
Sì, le ho, non posso negarlo.
ROS.
Questa è la sicurezza che pretendo da voi.
Datemi quelle chiavi.
FLOR.
Ma...
queste chiavi...
nelle vostre mani...
ROS.
Ecco la bella sincerità! Ecco il fondamento delle vostre promesse, dei giuramenti vostri!
FLOR.
Non vedete, che s'io volessi ingannarvi, potrei darvi le chiavi, ed unirmi poscia con un amico per essere non ostante introdotto?
ROS.
Non credo che vogliate mendicar i mezzi per essere mentitore.
Mancandovi le chiavi, vi manca, secondo me, l'eccitamento maggiore.
Florindo, se mi amate, fatemi la finezza di depositarle nelle mie mani.
FLOR.
Ah Rosaura, voi mi volete indurre ad una cosa, che per molti titoli non mi conviene.
ROS.
Avete voi intenzione di andar in quel luogo, sì o no?
FLOR.
Certamente, vi prometto di no.
ROS.
Che difficoltà dunque avete a lasciarmi le chiavi?
FLOR.
Vi dirò...
queste chiavi...
se passassero in altre mani, potrebbero produrre degli sconcerti.
ROS.
Vi prometto sull'onor mio, che non esciranno dalle mie mani.
Siete ora contento? Mi fareste l'ingiuria di dubitare di me? Vorrei vedere anche questa.
FLOR.
Cara Rosaura, dispensatemi.
ROS.
No certamente.
Ecco l'ultima intimazione ch'io faccio al vostro cuore.
O fidatemi quelle chiavi, o non pensate più all'amor mio.
Se mi pento, se vi perdono, prego il cielo che mi fulmini, che m'incenerisca.
FLOR.
Basta, basta, non più.
Tenete: eccole, non mi atterrite di più.
ROS.
Nelle mie mani saran sicure.
FLOR.
Vi prego, non mi rendete ridicolo co' miei amici.
ROS.
Non dubitate, son contenta così.
FLOR.
Guardate, se veramente vi amo!
ROS.
Sì, lo credo; compatitemi se ho dubitato.
FLOR.
Quando posso sperare di farvi mia?
ROS.
Quando volete voi; quando vuole mio padre.
FLOR.
Volo a dirglielo, se vi contentate.
ROS.
Sì, ditegli che la tempesta è finita, che torna il sole.
FLOR.
Cara, mi consolate.
ROS.
Io sono più consolata di voi.
Queste chiavi mi danno il maggior piacere del mondo.
FLOR.
Per qual motivo, mia cara?
ROS.
Perché con queste mi assicuro del vostro amore.
(E con esse mi assicurerò forse di quel segreto, che mi fa vivere in una perpetua curiosità).
(da sé, parte)
FLOR.
Gran cosa è l'amore! Tutto si fa, quando si vuol bene.
Quelle chiavi le ho date a Rosaura colla maggior pena del mondo.
Ma se le ho dato l'arbitrio della mia vita, posso anche fidarle le chiavi di una semplice conversazione.
(parte)
SCENA DODICESIMA
Strada con porta, che introduce nel casino della conversazione.
PANTALONE esce dalla porta, e chiude.
PANT.
Xe squasi notte, e Brighella no vien.
Bisognerà che vaga mi a proveder le candele de cera, e che le fazza portar.
SCENA TREDICESIMA
LEANDRO e detto.
LEAN.
Servo, signor Pantalone.
PANT.
Amicizia.
LEAN.
Amicizia.
(si abbracciano)
PANT.
Questo xe el nostro saludo.
No se fa altre cerimonie.
LEAN.
Va benissimo.
Tutti i complimenti sono caricature.
PANT.
Sì ben; se usa dir per civiltà delle parole, senza pensar al significato, senza intender, co le se dise, quel che le voggia dir.
Per esempio, servitor umilissimo vuol dir me dichiaro de esser so servitor; ma se ghe domandè un servizio che no ghe comoda, el ve dise de no; e po el sior umilissimo ve tratta e ve parla con un boccon de superbia, che fa atterrir.
Patron reverito xe l'istesso.
I dà del patron a uno che no i se degna de praticar.
LEAN.
Signor Pantalone, un mio amico vorrebbe essere della nostra conversazione.
PANT.
Xelo galantomo?
LEAN.
Certamente.
PANT.
A pian co sto certamente.
Dei galantomeni de nome ghe ne xe assae, de fatti ghe ne xe manco.
Che prove gh'aveu che el sia un galantomo?
LEAN.
Io l'ho sempre veduto trattare con persone civili.
PANT.
No basta.
In tutte le conversazion civili, tutti no xe galantomeni, e col tempo i se descoverze.
LEAN.
È nato bene.
PANT.
No xe la nascita che fazza el galantomo, ma le bone azion.
LEAN.
È uomo che spende generosamente.
PANT.
Anca questa la xe una rason equivoca: bisogna véder se quel che el spende xe tutto soo.
LEAN.
Io poi non so i di lui interessi.
PANT.
Donca no ve podè impegnar che el sia galantomo.
LEAN.
In questa maniera, signor Pantalone, avremo tutti in sospetto, e non praticheremo nessuno.
PANT.
No, caro amigo, intendème ben.
No digo che abbiemo da sospettar de tutti senza rason, e che no abbiemo da praticar se no quelli che conossemo galantomeni con rason; anzi avemo debito de onestà de creder tutti da ben, se no gh'avessimo prove in contrario.
Quelli però che più che tanto no se cognosse, i se pratica con qualche riserva; no se ghe crede tutto, i se prova, i se esamina con delicatezza, e se col tempo e coll'esperienza se trova un galantomo da senno, se pol dir con costanza de aver trovà un bel tesoro.
LEAN.
Io questo che vi propongo lo credo onoratissimo, ma non posso essere mallevadore per lui.
PANT.
N'importa, lo proveremo: se el sarà oro el luserà.
SCENA QUATTORDICESIMA
BRIGHELLA e detti.
BRIGH.
Èla ella, sior padron?
PANT.
Sì, son mi.
Tanto ti sta?
BRIGH.
Son pien de roba, che no me posso mover.
PANT.
Astu tolto candele de cera?
BRIGH.
Sior no, non ho avù tempo.
PANT.
Adesso anderò mi a ordinarle dal nostro spizier.
E vu, co podè, andè a torle.
(a Brighella)
BRIGH.
Sior sì; metto zo sta roba, e vado subito.
Son pien per tutto, no so come far a avrir.
PANT.
Caro sior Leandro, la ghe averza la porta.
LEAN.
Volentieri.
(apre)
BRIGH.
Ho speranza stassera de farme onor.
PANT.
Distu da senno?
BRIGH.
La vederà che boccon de cena.
PANT.
Bravo, gh'ho a caro.
BRIGH.
Ma i se n'incorzerà in ti conti.
(entra)
PANT.
N'importa.
Co xe ben fatto, spendo volentiera.
LEAN.
Signor Pantalone, posso dunque dire all'amico che venga?
PANT.
Chi xelo? Cossa gh'alo nome?
LEAN.
È un certo Flamminio Malduri.
PANT.
Benissimo, lo proponeremo.
Sentiremo cossa che dise i altri.
LEAN.
Vorrei condurlo alla cena.
PANT.
La lo mena; sul fatto se rissolverà.
LEAN.
Vado a ritrovarlo.
Spero che resterete contento.
Amicizia.
(parte)
PANT.
Amicizia.
Mi no gh'ho altra premura, che de véder in te la nostra compagnia zente onesta, de buon cuor, amorosa, che in t'una occasion sappia soccorrer un amigo.
Tutti a sto mondo gh'avemo bisogno un dell'altro, e i xe tanto pochi quelli che fazza ben per bon cuor, che a trovarghene xe più difficile d'un terno al lotto.
(parte)
SCENA QUINDICESIMA
ELEONORA col zendale alla bolognese.
ELEON.
L'ora è avanzata.
Voglio vedere se mi riesce il colpo.
Quella è la porta, e queste sono le chiavi.
Se posso entrare, nascondermi, e vedere senz'esser veduta mi chiarirò d'ogni cosa.
E se sarò scoperta, che cosa mi potranno fare? Dove va mio marito, vi posso andare, ancor io; anzi tutti mi loderanno.
Se vado, non vado per altro fine che per questo.
Voglio bene al marito, e voglio sapere dove va e che cosa fa: sì, lo voglio sapere.
Tante volte gli ho detto: lo saprò.
Voglio poter dire una volta: l'ho saputo.
Non sento nessuno, adesso mi provo.
(mette la chiave nella serratura)
SCENA SEDICESIMA
BRIGHELLA di casa, e detta.
BRIGH.
Chi è là? (apre l'uscio, ed Eleonora spaventata si ritira)
ELEON.
Povera me! Ho perduto le chiavi.
(parte lasciando le chiavi)
BRIGH.
Una donna? Colle chiave? Corro dal me padron.
(chiude la porta, leva le chiavi, e parte)
SCENA DICIASSETTESIMA
CORALLINA vestita da uomo e BEATRICE col zendale alla bolognese.
BEAT.
Altro che dire non entran donne! Hai veduto? Quella che è uscita, è una donna.
(avendo osservato Eleonora)
COR.
Assolutamente vi è qualche porcheria.
BEAT.
Presto, entriamo anche noi, e vediamo se ve ne sono altre.
COR.
Andiamo; ecco la chiave.
Ma zitto...
sento gente.
BEAT.
Non vorrei che fossimo scoperte prima d'entrare.
Entrate che siamo, non m'importa.
Quando abbiamo saputo ogni cosa, che ci scoprano pure, ma se ci vedono qui...
COR.
Ritiratevi.
BEAT.
E tu non vieni?
COR.
Io son vestita da uomo.
È sera; non mi conosceranno.
BEAT.
Bada bene non m'ingannare.
COR.
Fidatevi di me.
BEAT.
Ti aspetto in questo vicolo.
(si ritira)
COR.
(Ho del coraggio, ma tremo un poco).
(da sé)
SCENA DICIOTTESIMA
PANTALONE e dette.
PANT.
(Una donna colle chiave? la voleva andar drento? Coss'è sta cossa? Chi èlo el poco de bon, che colle donne vol ruvinar la nostra povera compagnia! Vedo uno là: che el sia dei nostri?) (osservando Corallina)
COR.
(Mi pare quello che chiamano Pantalone).
(da sé)
PANT.
Amicizia.
(forte verso Corallina)
COR.
(Che dice d'amicizia?) (da sé, non rilevando il gergo)
PANT.
(O che nol ghe sente, o che nol xe della compagnia).
(da sé) Amicizia.
(s'accosta a Corallina, ripetendo il termine)
COR.
Sì signore.
(alterando la voce)
PANT.
(Nol xe della conversazion.
Ma cossa falo in sti contorni?) (da sé)
COR.
(Non vorrei essere scoperta).
(da sé)
PANT.
Cossa fala qua, patron? Aspettela qualchedun? (a Corallina)
COR.
Aspetto un amico.
PANT.
L'aspetta un amico? (fa il falsetto, imitando la voce di Corallina) (O che l'è un musico, o che l'è una donna).
(da sé)
COR.
(È meglio ch'io me ne vada).
(da sé)
PANT.
(Vôi véder cossa xe sto negozio).
(da sé) La diga patron, chi aspettela?
COR.
Niente, signore, la riverisco.
(vuol partire)
PANT.
Xela fursi anca ella uno de quei della compagnia de sti galantomeni?
COR.
Sì signore.
PANT.
Mo perché donca, co ghe digo amicizia, no me rispondela amicizia?
COR.
Ah sì, non vi avevo inteso.
Amicizia.
PANT.
(Eh, la xe una donna; cossa diavolo xe sto negozio!) Perché no vala drento? (a Corallina)
COR.
Aspettava il signor Ottavio.
PANT.
Tutti gh'ha le so chiave.
No la le gh'ha ella?
COR.
Oh sì signore, le ho ancor io.
PANT.
La lassa véder mo.
COR.
Che serve? le ho.
PANT.
Co no la le mostra, xe brutto segno.
COR.
Eccole.
(fa vedere le chiavi)
PANT.
Via donca, la resta servida: la vaga in casa.
COR.
Andate voi, che or ora verrò ancor io.
PANT.
Mi gh'ho un pochetto da far.
Vago in t'un servizio e po torno.
La vaga ella.
COR.
Farò come comandate.
PANT.
(Vôi ben véder dove va a finir sto negozio).
(da sé)
COR.
Va ella? o vado io?
PANT.
La vaga pur ella.
Amicizia.
COR.
Amicizia.
PANT.
(Nell'accostarsele, afferra le chiavi in mano a Corallina)
COR.
Come, signore? (si difende)
PANT.
Chi v'ha dà ste chiave? Chi seu? Cossa voleu?
COR.
Amicizia.
PANT.
Colle donne no vôi amicizia.
COR.
Sono scoperta.
Aiutami, gambetta.
(parte correndo)
PANT.
A rotta de collo! Ti gh'ha rason, che no gh'ho voggia de correr.
Come xelo sto negozio? Do mue de chiave fora de man? Ste chiave in man de do donne? Donne introdotte in te la nostra conversazion? A monte tutto; fogo a tutto; no ghe ne vôi più saver.
(entra in casa, e chiude)
SCENA DICIANNOVESIMA
OTTAVIO e LELIO
LEL.
Ho piacere d'avervi trovato.
Ho perso le chiavi, e non so dove e non so dir come; appunto stavo in attenzione
...
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