LE DONNE CURIOSE, di Carlo Goldoni - pagina 1
LE DONNE CURIOSE
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia
il Carnevale dell'anno 1753.
ALL'ILLUSTRISSIMO SIGNOR ABATE
ANTONINO UGUCCIONI
PATRIZIO FIORENTINO
Coloro i quali del mio bene hanno invidia, e non potendola tenere in petto, la spargono dalle labbra e dagli occhi, ed empiono di veleno i fogli, nuovo avranno motivo di macerarsi e di fremere, allora quando sapranno avermi io in Firenze un altro Protettore acquistato, dotto, illustre e gentile, pieno per me di benignità e d'amore.
Non vorrebbono i maligni, che io pubblicassi al mondo gli onori che dalle persone di rango mi vengon fatti, e il render grazie ch'io fo a chi mi benefica e mi protegge, viene interpretato dagli invidiosi vanità e ostentazione.
Dican essi checché dir vogliono, retta io non do loro; vuò render palese al mondo il fregio, che novellamente acquistato mi sono, del patrocinio di V.
S.
Illustrissima, e se in ciò fare usassi della vanità, della ostentazione, sarei anche dagli Uomini di buon senno lodato, non che compatito, poiché delle cose che preziosissime sono, è lecito indiscretamente vantarsi.
Chi ha la fortuna di conoscere e di trattare l'amabilissima di Lei persona, ha motivo certamente di rallegrarsi, trovando in Lei tante belle Virtù, e quelle precisamente che formano l'uomo gentile, il colto ed ottimo Cavaliere.
Io non istarò qui a descrivere ad una ad una quelle belle Virtù, che al di Lei eccelso animo fan corona, poiché lunghissima e per me malagevole saria l'impresa; ma di alcune soltanto farò menzione, di quelle cioè che fanno risuonare il grido del di Lei nome.
L'onestà de' costumi, la massima sincerità di cuore, la generosità dell'animo, la dolcezza del tratto, l'affabilità, la moderazione, la cortesia, qualità sono in V.
S.
Illustrissima, che la rendono a tutti gli ordini delle persone oggetto di venerazione e di maraviglia; ma sopra tutto quella vivacità, quella prontezza di spirito, che brilla mirabilmente ne' detti suoi e ne' suoi pensamenti, dà a conoscere chiaramente, che i doni della natura corrispondono alla nobiltà originaria antichissima del di Lei sangue, e rende perfettamente a' Maggiori suoi quell'onore che ha largamente ricevuto da essi.
Ella ha l'ottimo gusto nelle migliori cose del mondo, le intende, le distingue, le ama.
Ama i studi più seri e più interessanti dell'uomo, ed ama eziandio dell'uomo i più onesti, i più nobili, i più discreti trattenimenti.
Fra questi Ella non dà al teatro l'ultimo luogo; lo crede oggetto degno non solo del suo piacere, ma anche delle sue applicazioni.
Ella ha preso a proteggere una Compagnia di valorosi Comici suoi nazionali, de' quali ho fatto altra fiata menzione, e sono, a dir vero, ornamento del Teatro Italiano.
Indi alla di Lei protezione venne raccomandato il teatro medesimo in Via del Cocomero situato, governato da una onoratissima Società d'Accademici Fiorentini, il quale, sotto la savissima di Lei condotta, ve facendo progressi ammirabili, ed è ormai reso esemplare degli altri, per l'onestà, per il modo, per la condotta, alla quale corrisponde la città tutta con l'applauso e il concorso.
Se dirò che le Commedie mie in cotesto Teatro si rappresentano quasi continuamente, mi verrà apposto dagli emoli, che io lo dica per vanità; ma quando anche ciò fosse vero, sarei compatibile, se di un sì grande onore invanissi, e se mi stimolasse la forza dell'amor proprio a rendere palese al Mondo, che delle Opere mie una sì colta Città si compiace, ed un Cavaliere dottissimo, e di sì fino gusto fornito, ne è il benignissimo promotore.
A Lei, Illustrissimo Signor mio, cui tanto preme la riputazione delle opere mie e del mio nome, di che tante generose prove mi ha dato, a Lei raccomando questa Commedia, in particolar modo sotto la protezione Sua validissima pubblicata.
La curiosità di alcune Donne somministratomi ha l'argomento, non già quelle virtuose e magnanime, che degne sono dell'amabilissima di Lei conversazione, e che costì e dapertutto ebbi anch'io la fortuna di conoscere e di ammirare; ma quelle alle quali un tal difetto è comune, per debolezza di animo particolare, non per natura del gentil sesso.
Nell'atto però di raccomandarle quest'imperfetta Opera mia, intendo di raccomandarle assai più l'umilissima mia Persona, supplicandola concedermi benignamente lo specioso titolo, con cui ho l'onore di protestarmi
Di V.
S.
Illustriss.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
La curiosità delle donne è un argomento che viene dagli uomini considerato sì vasto, che a molte e molte Commedie potrebbe somministrare l'intreccio.
Quindi è, che di questa mia alcuni contentati poco si sono, perché ad un oggetto solo ho diretto la curiosità di quattro femmine insieme.
Questi però, che un così avido desiderio nutriscono di vedere in scena moltiplicati delle donne i difetti, mostrano di essere più curiosi di esse; ma si consolino, poiché non mancherà forse chi prevalendosi anche di questo mio argomento, darà loro continuazione, e accozzando insieme una moltitudine di fatterelli, farà una composizione, a cui darà il titolo di Commedia.
Io che, per quanto posso, amo di conservare l'unità dell'azione, ho voluto ristringermi ad un solo motivo, e mi sembra bastantemente critico, per quell'idea che mi sono prefissa in mente.
PERSONAGGI
OTTAVIO cittadino bolognese.
BEATRICE sua moglie.
ROSAURA loro figliuola.
FLORINDO promesso sposo a Rosaura.
LELIO bolognese.
ELEONORA sua moglie.
LEANDRO amico de' suddetti.
FLAMMINIO amico di Leandro.
PANTALONE de' BISOGNOSI mercante veneziano.
CORALLINA cameriera di Beatrice e di Rosaura.
BRIGHELLA servitore di Pantalone.
ARLECCHINO servitore di Ottavio.
Un altro SERVITORE di Ottavio, che parla.
Servitori di Pantalone, che non parlano.
La Scena si rappresenta in Bologna.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera con porte chiuse.
OTTAVIO leggendo un libro, FLORINDO e LEANDRO giuocando a dama.
LELIO a sedere.
LEL.
Amici, come va la partita?
FLOR.
In questo punto sono arrivato a dama.
LEAN.
Ed io non tarderò ad arrivarvi.
LEL.
La vostra è una partita di picca.
FLOR.
Sì; noi giochiamo veramente di picca.
Si disputa l'onore, non l'interesse.
LEL.
Eh, già si sa.
Qui non si giuoca per interesse.
FLOR.
E in questa maniera sussiste la nostra compagnia; altrimenti, o questa si saria disfatta, o si sarebbe alcun di noi rovinato.
Dama.
(giocando)
LEL.
Un'altra cosa bellissima contribuisce alla nostra sussistenza.
FLOR.
Sì, quella di non voler ammetter le donne.
LEL.
Ed esse hanno di ciò il maggior veleno del mondo.
FLOR.
Quello che più loro dà pena...
LEAN.
Soffio la dama.
FLOR.
Perché?
LEAN.
Perché non avete mangiato questa.
FLOR.
È vero.
Avete ragione.
Solamente per aver nominate le donne, ho perso il giuoco.
LEL.
Se venissero qui, ci farebbero perder la testa.
FLOR.
Spero ancora di rimettere la partita.
(giocando)
LEAN.
Fatelo discorrere, che mi date piacere.
Altrimenti non posso vincere.
FLOR.
Parlate, parlate, non mi confondo.
(a Lelio)
LEL.
Che cosa dicevate voi che patiscono più di tutto le nostre donne?
FLOR.
Quel che più le tormenta, è la curiosità che hanno di sapere quello che noi facciamo in queste nostre camere.
LEL.
Sì, è vero.
Eleonora mia moglie tutto dì mi tormenta su questo punto, e per quanto le dica non si fa niente, non lo vuol credere.
FLOR.
Lo stesso accade a me colla signora Rosaura, che deve esser mia sposa: non mi lascia aver bene.
La soffro perché l'amo, ma vi assicuro che mi tormenta.
LEL.
Io, che sono poco paziente, ho dato più volte nelle furie con mia moglie, e ho paura, se seguita, di far peggio.
LEAN.
Dama.
Una gran cosa con queste donne! Vogliono saper tutto.
FLOR.
È vero, fanno perdere la pazienza.
Bisogna essere innamorato, come sono io, per soffrirle.
OTT.
Amici, sento un proposito che mi tocca, e non posso far a meno d'entrarvi.
(alzandosi dal suo posto)
LEL.
Siete anche voi tormentato dalla signora Beatrice?
OTT.
Domandatelo all'amico Florindo.
Mia moglie non tace mai.
FLOR.
Sì, madre e figlia ci tormentano a campane doppie.
OTT.
Rosaura mia figlia lo fa anche con qualche moderazione; ma Beatrice mia moglie è un diavolo.
LEL.
Darete anche voi nelle impazienze, nelle quali sono forzato a dar io.
OTT.
No, amico.
Non do in impazienze.
Non mi altero; non mi scaldo il sangue.
Non voglio che le pazzie della moglie pregiudichino la mia salute.
LEL.
Bisogna poterlo fare.
OTT.
Si fa tutto quel che si vuole.
FLOR.
Non lo sapete? Il signor Ottavio è filosofo.
LEL.
Non basta esser filosofo per soffrire una moglie cattiva, bisogna essere stoico.
OTT.
Quando dite stoico, che cosa vi credete di dire?
LEL.
Che so io? Insensato.
OTT.
Poveri filosofi! Come vengono strapazzati! Gli stoici, che ponevano la vera felicità nell'esercizio della virtù, sono chiamati stolidi!
LEL.
Io non so di filosofia.
Stimo più questo poco di quiete di tutte le massime di Platone.
FLOR.
(Alzandosi) Ciascheduno in questa nostra amichevole società soddisfa il proprio genio, e passa il tempo tranquillamente in tutto ciò che onestamente gli dà piacere.
Io ho la mia passione per le operazioni ingegnose.
Giuoco volentieri a quei giuochi dove non ha parte alcuna la sorte.
Mi diverte assaissimo la matematica, la geometria, il disegno, e qui mi ristoro, se è la mia bella sdegnata.
Mi consolo assai più, se ella mi ha fatto partir contento.
Perdonate, signor Ottavio, se così parla uno che deve essere lo sposo di vostra figlia.
Già lo sapete, tutte le donne hanno de' momenti buoni e de' momenti cattivi.
OTT.
Sì, e bisogna esser filosofi, come sono io, per burlarsi di loro.
LEL.
Cari amici, se volete parlar di filosofia, anderò a sedere in un'altra camera.
Io vengo qui a sollevarmi un poco, dopo gli imbarazzi delle mie cariche e della mia famiglia.
E quel poco che io ci sto, ho piacere di divertirmi.
FLOR.
Che cosa vi vorrebbe per divertirvi?
LEL.
Un buon pranzo, una buona cena.
FLOR.
Volete che questa sera ceniamo in compagnia?
LEL.
Per me ci sono.
Che dice il signor filosofo?
OTT.
La filosofia non è nemica dell'onesto divertimento.
FLOR.
Ecco il signor Pantalone.
Pregheremo lui, che ci faccia preparare.
LEL.
Gran galantuomo è questo signor Pantalone! Egli ha eretto questo nostro divertimento; egli regola assai bene la nostra compagnia; ci dà ben da mangiare, e credo vi rimetta del suo.
FLOR.
Gode assaissimo di questa compagnia da lui medesimo procurata.
LEL.
E non vuol donne, e fa benissimo!
OTT.
Così possiamo godere la nostra pienissima libertà.
SCENA SECONDA
PANTALONE e detti.
PANT.
Patroni cari, amici cari.
Amicizia.
OTT.
Amicizia.
(si abbracciano e si baciano)
PANT.
Amicizia.
FLOR.
Amicizia.
(fanno lo stesso)
PANT.
Amicizia.
LEL.
Amicizia.
(fanno lo stesso)
PANT.
Amicizia.
LEAN.
Amicizia.
(tutti dicono amicizia, e si abbracciano)
PANT.
Sali, patroni, che xe sonà mezzo zorno?
FLOR.
È ora che ce ne andiamo.
OTT.
Florindo, volete venire a pranzo con me?
FLOR.
Riceverò le vostre grazie.
PANT.
Patroni, quando se fa ste nozze? (a Florindo ed Ottavio)
FLOR.
Io dipendo dal signor Ottavio.
OTT.
Si faranno presto.
LEL.
Questa sera vorressimo cenare in compagnia; ci favorirete voi al solito? (a Pantalone)
PANT.
Volentiera.
Quanti saremio?
LEL.
Qui siamo in cinque.
PANT.
Benissimo; provvederò mi, parecchierò mi.
Se goderemo, staremo allegri.
OTT.
Oh, andiamo.
Signor Pantalone, amicizia.
PANT.
Amicizia.
(si abbracciano e si baciano)
OTT.
Amicizia.
LEL.
Amicizia.
(come sopra)
LEAN.
Amicizia.
FLOR.
Amicizia.
(come sopra)
PANT.
Amicizia.
FLOR.
Amicizia.
LEL.
Amicizia.
LEAN.
Amicizia.
(Lelio, Ottavio, Florindo e Leandro partono)
SCENA TERZA
PANTALONE, poi BRIGHELLA
PANT.
Mi, co son coi mi amici, vegno tanto fatto! Brighella, dove xestu?
BRIGH.
Son qua, sior padron.
PANT.
Stassera bisogna parecchiar da cena.
BRIGH.
Per quanti, signor?
PANT.
Per cinque, per sie, per otto.
BRIGH.
La sarà servida.
PANT.
Caro Brighella, fa pulito, me preme de farme onor coi mi cari amici; me preme de farli star ben, de farghe spender ben i so bezzi, e perché le cosse vaga pulito, me contento de remetterghe un zecchin del mio, e anca do, se bisogna.
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