IL TUTORE, di Carlo Goldoni - pagina 1
IL TUTORE
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia nel Carnovale dell'anno 1752.
AL NOBIL UOMO
SIGNOR CAVALIERE PIETRO
GIROLAMO INGHIRAMI
PATRIZIO VOLTERRANO, PRIORE DELL'ORDINE DI SANTO STEFANO
DELLA CITTÀ DI S.
SEPOLCRO, DE' XII CAVALIERI DEL CONSIGLIO
DELL'ORDINE SUDDETTO, COMMISSARIO E CAPITANO GENERALE
DELLA CITTÀ DI PISA E LUOGHI ANNESSI ecc.
Siccome la felicità dei Popoli consiste principalmente in avere chi dolcemente li regga, tenendo loro lontani i mali e procurando il pubblico bene, così, Illustrissimo Signore, felicissima ho reputata e reputo tuttavia la Città di Pisa da voi governata, retta e beneficata con tanto amore, con tanta prudenza, con tanta equilibrata giustizia.
Sei anni or sono, mi trovai anch'io a parte di cotesta invidiabile contentezza, allora quando trattenendomi in Pisa coll'esercizio della Professione Legale, ebbi campo di poter discernere da vicino le Vostre eroiche Virtù, e le ravvisai tanto più facilmente, quando Voi vi degnaste onorarmi della Vostra benefica protezione, della Vostra benignissima predilezione.
Conobbi in Voi un Cavaliere da Dio formato per governare, unendosi nell'animo Vostro tutte quelle Virtù, che necessarissime sono per sostenere i dritti della Giustizia, senza perder di mira la compassione; rappresentare ai Popoli con decoro l'immagine della sovranità, ed essere Padre amoroso de' suoi soggetti, mediatore di grazie fra l'Augusto Sovrano e i Sudditi fortunati.
Cesare clementissimo ha voluto beneficare la Città di Pisa, concedendole un così pio, un così giusto Rettore.
Pisa fortunatissima esulta e giubbila, e si rimbellisce sotto il Vostro Governo.
Io l'ho veduta, dopo sei anni, arricchita di fabbriche e di negozi, accresciuta di Popolo, magnifica sempre più ne' suoi rinomati spettacoli.
Bellissimo, sorprendente oltremodo è quello con cui la sera del decimosesto giorno di Giugno, di tre in tre anni offrono i Cittadini Pisani un pubblico segno di pietà, di gratitudine, di rispetto al loro Concittadino e Protettore benefico San Ranieri.
Vidi in cotal sera, in quest'anno, ardere la Città tutta da un infinito numero di bene ordinate fiammelle, le quali non solo illuminavano da cima al fondo case, palazzi, ponti, fabbriche, prospettive, ma con bellissime architetture, con nuovi disegni, con macchine artifiziose facevano cambiar aspetto alla Città tutta, in una maniera che io certamente non so descrivere, e pochi avranno la possibilità di poterlo fare perfettamente; poiché se ciò raccontato ci venisse d'antichi Popoli solamente, e dall'occhio nostro o dalle relazioni di chi ha veduto non ne fossimo assicurati, si crederebbe una favola.
Questa triennale magnifica pompa, che chiama i popoli da lontano ad ammirarla, fu da me sei anni or sono veduta, e ne restai sorpreso.
Volle la mia fortuna che io potessi quest'anno ancora vederla, ma quantunque le cose di già vedute scemino in chi le rivede l'ammirazione, questa in me vieppiù si è accresciuta, trovando la sontuosissima illuminazione aumentata nella estensione, migliorata ancora più nel disegno, con una estraordinaria affluenza di Popolo forestiere, che lungo il bellissimo Arno, e per entro al fiume medesimo, s'affollava per le vie, per le piazze, nelle carrozze, nei navicelli, ad ammirare il più bello spettacolo della terra.
Questo spirito di pietà e di magnificenza viene risvegliato nei Popoli dalla tranquillità, dalla pace; e queste bellissime fonti d'ogni altro bene sono mantenute da Voi, Nobilissimo Signore, perenni e pure e abbondantissime ai Pisani Vostri, e quanto più la Vostra vigilanza, l'affetto Vostro congiunto al Vostro sapere, cerca di migliorare lo stato loro, tanto più in essi aumentasi la divozione, il zelo, la splendidezza e il decoro.
Oh quanta consolazione ho io avuto nel rivedere, dopo sei anni, una Città che adottato mi aveva per figlio, un Padrone che tra i felicissimi suoi servidori avea me pur collocato! Il mio destino mi chiamò altrove; abbandonar mi convenne il Foro per seguitare, dietro l'orme degli scordati Autori, il Teatro; non mai però dal cuore e dalla memoria Pisa mi si è staccata, e il benignissimo Reggitore che la governa; e ho sempre ardentemente bramato potere degli obblighi miei e della mia umile riconoscenza un qualche testimonio produrre.
Pisa l'avrà forse un giorno, or abbialo la Signoria Vostra Illustrissima in questa miserabile offerta ch'io ardisco ,farle di una delle mie cinquanta Commedie.
Egli non è certamente un dono che misurare si possa colla Grandezza Vostra; altro si converrebbe tributo d'Opera insigne di accreditato Autore ad un Cavaliere illustre cotanto per- antichità, l'origine della di cui Nobiltà trovasi fra i remotissimi principii della Repubblica Volterrana: una Famiglia che in tutti i tempi, e sotto vari domini, ebbe sempre una continuata serie d'onori, di cariche, di dignità; che colle parentele più illustri mantenne la purezza del sangue, e l'aumentò, e la trasfuse.
A un Cavaliere, aggiungasi, che ai doni eccelsi della Fortuna possiede in sé accoppiati mirabilmente quelli dell'animo e della natura.
Ma questi non li volete voi riconoscere quali sieno, per effetto di una singolarissima moderazione, e sdegnate sentirne in faccia Vostra discorrere, di che m'avvidi qualunque volta provai dir cosa alla presenza Vostra, che del mio interno conoscimento assicurar Vi potesse.
Tacerò dunque, dove più potrei estendermi, delle lodi Vostre parlando; torno a riflettere alla tenuissima offerta ch'io son per farvi.
Graditela per effetto di somma Vostra benignità, e siccome godete assai più nel beneficare che nell'essere dei benefizi riconosciuto, spargete sopra di me anche ora le Vostre grazie, proteggendo questa Commedia che Vi ferisco, e me medesimo che nella Vostra protezione confido; con tal fiducia, non dal merito mio, ma dalla Vostra eroica virtù derivata, prendo coraggio di protestarmi in faccia del Mondo, quale con profondissimo ossequio mi rassegno,
Di V.
E.
Illustrissima.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Quando confidai agli Amici miei avere una Commedia composta, il di cui titolo era Il Tutore, e quando si annunziò al Popolo dalle Scene, si aspettavano quasi tutti vedere rappresentato un Tutore infedele, il quale dilapidando con tradimento le sostanze de' suoi Pupilli, scoprisse le ruberie de' suoi pari, e ne seguisse il castigo.
Una tale Commedia non sarebbe fuor di proposito per una parte, ma temerei produr potesse de' cattivi effetti per l'altra.
Mettere un ladro in iscena è sempre cosa pericolosa.
Prima che giungasi a vedere il di lui castigo, si vedono le furberie ch'egli usa, l'arte di cui si serve per commettere e cautelare le sue rapine, e chi si parte dalla Commedia, prima ch'ella si avvicini al suo termine, ha imparato a rubare, senza il tragico esempio di chi commette tai furti.
Ma quantunque ancora mandato avessi un infedele Tutore alla pena della galera o della morte, che pro ne avrei riportato? Coloro che invaghiti si fossero del modo e della facilità con cui si possono gli amministratori arricchire, avrebbero pensato imitarli in questo, e studiato avrebbero poscia il modo di meglio palliare le loro frodi per isfuggire il castigo.
Tale è il frutto che per lo più si ritrae da quelle Rappresentazioni, che hanno per Protagonista un malfattore, un ribaldo.
S'imprime più facilmente nell'animo di quelli che ascoltano le sue lezioni, di quel che vaglia a disingannarli o il suo pentimento, o il suo castigo, credendo ciascheduno di poter essere più fortunato nella condotta de' suoi delitti, siccome nell'atto medesimo che un borsaiolo s'impicca, altri vi sono fra gli spettatori che vanno a caccia di borse.
In questo spero io non essermi certamente ingannato.
Nelle Commedie mie non ho avuto la sola mira di porre il vizio in ridicolo e di punirlo, ma lo scopo mio principalissimo è stato, e sarà sempre mai, di mettere la virtù in prospetto, esaltarla, premiarla; innamorare gli spettatori di essa, e darle poscia maggior risalto col confronto dei vizi e delle loro pessime conseguenze.
Ecco dunque con tale idea formato il mio Tutore, attento, puntuale, fedele, dalla cui onoratezza, sollecitudine e zelo, potranno apprendere quelli che assunto hanno un tal carico, quale sia il dover loro, quale impegno si debban prendere, non solo negl'interessi de' Pupilli, ma nell'onore di essi, e nella di loro più convenevole educazione.
Ottavio, contutore di Pantalone, ci rappresenta un'altra specie ridicola di quei Tutori, che per ragione di sangue si chiaman tali, ma per incuria, ignoranza o poltroneria rovinano i Pupilli congiunti loro.
Questi è un personaggio ridicolo sulla Scena, ma lagrimose sono le conseguenze di quelli che realmente così si governano.
Anche il carattere di Beatrice merita di essere considerato: insegna alle Madri pazze, a quelle Madri che amando ad onta dell'età la conversazione, si servono delle Figliuole per coltivarla, insegna loro che il mal esempio, la mala educazione e la poca custodia mette in pericolo l'innocenza, e rovina senza avvedersene il proprio sangue.
Questa Commedia, stampata in Venezia nel Tomo V dal Bettinelli, ebbe l'onore che le stampassero in fine un Sonettaccio recitato dal Pantalone.
I Comici a' quali sembra aver guadagnato assaissimo, qualor si sentono dall'Udienza batter le mani, pregavano me sovente, che per ottenere cotale applauso facessi loro un Sonetto; qualche volta li ho compiaciuti, ma che Sonetti sono questi? Robaccia da Scena, che niente ha che fare colla Commedia, ed è una impertinenza che mi si stampino ad onta mia, ed io lo deggio con amarezza soffrire.
PERSONAGGI
PANTALONE de' BISOGNOSI tutore di Rosaura;
OTTAVIO zio di Rosaura e contutore di Pantalone, uomo dato alla poltroneria;
ROSAURA nipote di Ottavio e figlia di Beatrice, di lui sorella;
BEATRICE vedova, madre di Rosaura, sorella di Ottavio, donna vana e ambiziosa;
LELIO figliuolo di Pantalone, discolo;
FLORINDO cittadino veronese, amante di Rosaura;
BRIGHELLA servo in casa di Ottavio;
ARLECCHINO servo in casa di Ottavio;
Un altro SERVITORE d'Ottavio;
TIRITOFOLO amico di Pantalone;
Servitori che non parlano;
Uomini che non parlano;
Due Gondolieri che non parlano.
La Scena si rappresenta in Venezia.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera di Rosaura.
ROSAURA e CORALLINA, che lavorano.
COR.
Questa tela è molto fina, non vi è dubbio ch'ella vi scortichi le carni.
ROS.
Il signor Pantalone mi vuol bene, me l'ha comprata di genio.
COR.
Certamente è una bella fortuna per voi, che siete senza padre, aver un tutore tanto amoroso.
ROS.
Mi ama, come se fossi la sua figliuola.
COR.
All'incontro il signor Ottavio, vostro zio, che dovrebbe avere per voi maggior premura, non ci pensa.
È un poltrone, ozioso, che non farebbe mai nulla.
ROS.
E pur mio padre lo ha lasciato tutore unitamente al signor Pantalone.
COR.
Ed egli lascia far tutto a lui.
Se aspettate che vostro zio vi mariti, volete aspettare un pezzo.
ROS.
Io farò tutto quello che mi dirà il signor Pantalone.
COR.
Oh che buona ragazza! In verità, siete una cosa rara.
Non parete mai figlia di vostra madre.
Ella è stata una testolina bizzarra.
Povero suo marito! L'ha fatto morir disperato.
ROS.
Mi dicono ch'io somiglio a mio padre.
COR.
Sì, era buono, ma un poco troppo.
Faceva più a modo degli altri, che a modo suo.
ROS.
E anch'io faccio così.
COR.
Fate così sempre?
ROS.
Sempre.
COR.
Quand'è così, starà meglio con voi chi saprà meglio chiedere.
(ridendo)
ROS.
lo non ti capisco.
SCENA SECONDA
BEATRICE mascherata, e dette.
BEAT.
Rosaura, volete venire con me?
ROS.
Dove, signora?
BEAT.
A spasso.
ROS.
A spasso?
BEAT.
Sì, un poco in maschera.
Faremo una passeggiata per la Merceria, andremo a bere un caffè, e poi torneremo a casa.
ROS.
A quest'ora? Io voleva terminar questa manica.
BEAT.
Eh, la finirete poi.
Ho da fare una spesa in Merceria, e col beneficio della maschera voglio andare da me.
COR.
(Che bel comodo è la maschera!) (da sé)
BEAT.
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