IL FESTINO, di Carlo Goldoni - pagina 3
...
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Da seder.
(a Lesbino.)
MAR.
(Non si vede principio di festino).
(alla Baronessa, e siedono.)
CONT.
Per qual destin felice di tant'onor m'ha resa
Degna la Baronessa e degna la Marchesa?
BAR.
Nuovo non è per voi, Contessa, il mio rispetto.
MAR.
Ci amammo da fanciulle; lo stesso è in me l'affetto.
CONT.
All'espression sincera dell'una e l'altra io credo,
Poiché senza alcun merito favorita or mi vedo.
BAR.
Come vi divertite? (alla Contessa.)
CONT.
Nol so, tutto m'attedia.
Io vado qualche volta soltanto alla Commedia.
BAR.
Oh! ne ho veduta una quindici sere sono.
Che cosa scellerata! Mai più gliela perdono.
MAR.
Di quel Vecchio Bizzarro vorrete dir, m'avveggio.
BAR.
Ci siete stata? (alla Marchesa.)
MAR.
E come!
BAR.
Non si può far di peggio.
Voi l'avete veduta? (alla Contessa.)
CONT.
Dirò, se dir mi lice...
BAR.
Lo so che dell'autore voi siete protettrice.
Ma affé che questa volta la protezion non vale
Per un che ha disgustato l'udienza in generale.
Io credo che per lui sarà minor strapazzo
Il dir che questa volta sia diventato pazzo.
MAR.
Non vi è una scena buona.
BAR.
Non vi è un bell'accidente.
MAR.
Il dialogo è cattivo.
BAR.
In somma non val niente.
CONT.
Vi siete ancor sfogate?
BAR.
Difenderla vorreste?
MAR.
Affé! sarebbe bella che voi la difendeste.
CONT.
Difenderla non voglio, non son di senno priva;
Se tutti la condannano, dirò ch'ella è cattiva.
Anche l'autore istesso, sentito un tal flagello,
Pregò che la mattina levassero il cartello:
Del pubblico i giudizi ha sempre rispettato;
Anch'ei la maledice, ed è mortificato.
MAR.
Se il pubblico temeva, dovea studiarla bene.
CONT.
A un uom che ha tanto scritto...
BAR.
Da ridere mi viene.
Un uom che ha tanto scritto, Contessa mia diletta,
Che scriva sempre meglio l'universale aspetta.
CONT.
È vero, ed abbiam visto di sue fatiche il frutto;
Ma un uom che scrive assai, bene non può far tutto.
MAR.
Se non fa bene bene, almeno sia ordinata
La cosa, che non riesca cotanto scellerata.
Sentito avrete pure il popolo commosso
Cogli urli e con i fischi strillare a più non posso.
CONT.
Amiche, permettete che dica quel ch'io sento,
Non dell'autor per scusa, ma per compatimento.
Quest'ultima commedia dal mondo condannata
Forse cinqu'anni addietro sarebbesi apprezzata.
Ma il poco non soddisfa a chi assaggiò il migliore;
La colpa, lo confesso è solo dell'autore.
E l'ho sentito io stessa dir che, più degli evviva,
Gli scherni a tal commedia del popolo gradiva:
Da ciò per l'avvenire messo in maggiore impegno,
L'udienza delicata mirando a questo segno;
Pronto a sudar più ancora negli anni che verranno,
Contento che in Italia si sparga il disinganno.
Poiché talor gli applausi, talor l'indiscrezione,
Producono col tempo del buon la perfezione.
BAR.
Faccia commedie buone, e allor sarà lodato.
MAR.
Se le farà cattive, fia sempre strapazzato.
CONT.
Se ne facesse sei di belle, e due di brutte?
BAR.
Una cattiva basta per scordarsi di tutte.
CONT.
Povero autor! Compiango lo stato suo infelice.
MAR.
Di quello che mi annoia, non fo la protettrice.
CONT.
Ma si può bene...
BAR.
Oimè! La cosa ormai m'attedia.
Per tutto ove si va, si parla di commedia.
Cara Contessa mia, quel poco che ci avanza
Di carnovale, è meglio goderlo nella danza.
Or mando alla Commedia le serve ed i bambini
In questi ultimi giorni mi piacciono i festini.
MAR.
Anch'io, per verità, me ne compiaccio assai.
E voi, Contessa?
CONT.
Oh! io, davver, non ballo mai.
BAR.
Ancor che non si balli, a veder si ha diletto.
CONT.
Anzi che sulla sedia, meglio si dorme in letto.
MAR.
Con questo freddo in letto sola sola agghiacciata?
CONT.
Perché sola nel letto? Non son io maritata?
MAR.
Sì, ma il marito vostro, cara Contessa mia,
La notte si diverte con buona compagnia.
CONT.
Ehi! chi è di là? (non volendo badare a quel che dicono.)
LES.
Signora.
CONT.
Porta la cioccolata.
(Lesbino parte.)
BAR.
(Non sarà ver che ballino).
(alla Marchesa.)
MAR.
(Son stata assicurata).
BAR.
Gli altri anni in casa vostra faceasi qualche festa.
Quest'anno...
(alla Contessa.)
CONT.
Son dei giorni che ho un gran dolor di testa.
Non so da che derivi.
MAR.
Sarà malinconia.
BAR.
Il chiacchierar fa peggio.
Marchesa, andiamo via.
MAR.
Spiacemi, Contessina, d'avervi incomodata.
(si alza.)
CONT.
Fermatevi, signore; beviam la cioccolata.
(Lesbino con cioccolata, e la bevono tutte.)
SCENA SESTA
Il CONTE e dette.
CON.
Oh, che fortuna è questa? Marchesa, Baronessa.
(s'inchina.)
MAR.
Serva, Conte.
BAR.
Son serva.
CON.
Vi ha detto la Contessa?
BAR.
Che cosa?
CON.
Del festino
BAR.
Non siam privilegiate.
CONT.
(Ora son nell'impegno).
(da sé.)
CON.
Perché non le invitate? (alla Contessa.)
CONT.
Il festino si fa?
CON.
Si fa, si fa, signora.
(alla Contessa.)
CONT.
Come? Se i sonatori voi non trovaste ancora?
CON.
Li ho ritrovati.
In vero, assai difficilmente.
Signore, la Contessa di ciò non sapea niente.
Temea non si facesse, e non ardia per questo
Pregar di favorirci...
CONT.
Nulla sapea.
Del resto
Pregate vi averei, come vi prego adesso.
(freddamente.)
BAR.
Riceverò gli onori.
MAR.
Tenuta io mi professo.
CONT.
(Stupisco che si accetti da lor simile invito).
(da sé.)
BAR.
(Verrò per suo dispetto).
(da sé.)
MAR.
(Verrò per suo marito).
(da sé.)
CON.
Udite.
Se il digiuno talor non vi dà pena,
V'invita la Contessa a parchissima cena.
BAR.
A cena ancora?
MAR.
È troppo.
BAR.
Troppo gentil, Contessa.
MAR.
Voi siete, per dir vero, la gentilezza istessa.
(alla Contessa.)
CONT.
Indegna di tai dame sarà la mensa mia.
BAR.
Bastami il vostro cuore.
MAR.
La vostra compagnia.
CON.
Si farà preparare in luogo confidente;
Tra i suoni e le bottiglie staremo allegramente.
MAR.
Vi sarà, mi figuro, madama Doralice.
BAR.
Si sa; senza di lei la festa far non lice.
CONT.
(Sentite?) (al Conte.)
CON.
(E che per questo?) (alla Contessa.) Ci sarà, sì, signora.
Dama non è che possa esser fra l'altre ancora?
BAR.
Anzi sarà Madama il miglior condimento.
MAR.
Dove non vi è Madama, non vi è divertimento.
BAR.
Verremo questa sera al generoso invito.
MAR.
Godremo, Contessina, la festa ed il convito.
CON.
Compatirete.
BAR.
Addio
MAR.
Addio, Contessa mia.
BAR.
(Di rabbia si divora).
(da sé.)
MAR.
(Di rabbia e gelosia).
(partono accompagnate da tutti e due, ma il Conte le segue.)
CONT.
Non so quel che mi faccia, non so se il mio dispetto
Vada a sfogar altrove, o s'io mi ponga in letto.
Vorrei dissimulare, ma estrema è la mia pena;
Resister non mi fido al ballo ed alla cena.
De' miei dolenti casi inteso è il padre mio;
Da lui prudente e saggio tutto sperar poss'io.
S'ha da trovar rimedio.
Un dì s'ha da finire;
Ma intanto la prudenza m'insegna a sofferire.
Farò dei sforzi, e spero di superar l'affanno.
Per una notte al fine...
ma torna il mio tiranno.
Barbaro, ti amo ancora.
Questo è il mio mal peggiore;
Meglio per me, se meno amassi il traditore.
(parte.)
SCENA SETTIMA
Il CONTE ed il CUOCO
CON.
Tant'è, vuò che ci sieno e pernici e cotorni;
Difficile non vedo trovarli in questi giorni.
Voglio il pasticcio, e voglio almen sei piatti buoni;
Voglio un fagiano ancora: e tu che mi ragioni?
CUO.
Tutto si troverà, ma tutto a prezzo caro.
CON.
Trovisi, e che si paghi.
CUO.
Favorisca il denaro.
CON.
Balestra è ritornato?
CUO.
Ancor non l'ho veduto.
CON.
Maledetto Balestra! Va a veder s'è venuto.
CUO.
Passa il tempo, signore, e se ho da far gli estratti...
CON.
Cerca Balestra.
CUO.
Dove?
CON.
Va a preparare i piatti.
CUO.
La roba è necessaria...
CON.
La roba ci sarà.
CUO.
Ma quando?
CON.
Va in cucina.
CUO.
Il tempo passerà.
CON.
Quando verrà Balestra, avverti di far presto;
Se manchi, ti bastono, Bodin, te lo protesto.
CUO.
(Che lavorare è questo! che vivere arrabbiato!
Se resto in questa casa, io muoio disperato).
(parte.)
SCENA OTTAVA
Il CONTE, poi LESBINO.
CON.
Balestra non si vede.
Trovati ha i sonatori,
E a casa non ritorna col resto di quegli ori.
Dovrian venti zecchini bastar per questa cena.
Ma s'egli non si vede? Che diavol fa? Che pena!
LES.
Signor.
CON.
Tornò Balestra?
LES.
Non è venuto ancora.
È qui di fuori il padre...
CON.
Di chi?
LES.
Della signora.
CON.
Mio suocero? Che vuole? Gli hai detto che ci sono?
LES.
Sì, signor...
CON.
Maledetto...
LES.
Signor, chiedo perdono.
CON.
Dovevi dir...
che passi...
fermati...
gli dirai...
Ma no, digli che venga.
LES.
Non l'indovino mai.
(parte.)
SCENA NONA
Il CONTE, poi DON MAURIZIO.
CON.
Verrà don Maurizio al solito a seccarmi,
Ma studierò la guisa di presto liberarmi.
MAU.
Conte, vi riverisco.
CON.
Signore, a voi m'inchino.
MAU.
È ver che questa sera preparasi un festino?
CON.
È vero.
MAU.
E non lo dice al genitor la figlia?
Del suocero si lascia da un canto la famiglia?
CON.
Signor, siete padrone del ballo e della cena.
MAU.
No, Conte, vi ringrazio.
Non vi mettete in pena.
Amante non son io di tai trattenimenti,
E so che in tal incontro si sfuggono i parenti.
CON.
Questo rimbrotto acerbo non so di meritarmi.
In casa mia vietato sarà di soddisfarmi?
MAU.
Potete in casa vostra sfogar le oneste voglie;
Ma un po' più di rispetto si deve ad una moglie.
CON.
Ella di me si lagna?
MAU.
Si lagna, e con ragione.
Io compatisco in tutti l'impegno e la passione;
Ma la ragion insegna, insegna la prudenza,
Che deggia l'onest'uomo salvar la convenienza.
Non portasi in trionfo, ad una moglie in faccia,
Cosa che le dia pena, oggetto che le spiaccia.
CON.
Come, signore?...
MAU.
Amico, sfuggite un tal pericolo.
Su ciò dissi abbastanza.
Passiamo ad altro articolo.
La Piazza ed il Ridotto di voi si burla e ride;
E il pubblico assai presto degli uomini decide.
Si sa che a braccia quadre spendete e profondete;
Si sa che il patrimonio anche intaccato avete.
E quei che in questa sera da voi piacere avranno,
Per solita mercede di voi si rideranno.
Che bel piacere è il vostro sentir mentita lode,
Allor che la coscienza vi macera e vi rode?
Partiti i commensali, partiti i danzatori,
Succeder nella sala in folla i creditori?
La notte al chiaro lume brillare in lieta danza,
E il giorno per vergogna star chiuso in una stanza?
Questo è piacer? Piacere degli uomini bennati
È il viver con decoro, è l'esser rispettati.
Né basta il van rispetto dei falsi adulatori,
Che aiutano lo stolto a struggere i tesori;
Ma il cavaliere onesto si venera e si acclama,
Che innalza il proprio nome sull'ali della fama,
Che accresce alla famiglia il pregio degli onori,
Che render sa giustizia al sangue dei maggiori,
E che nel di lui cuore serbar con egual zelo
Sa i doveri dell'uomo, e rispettare il cielo.
CON.
Signor...
(vedendo Balestra, si ferma di parlare.)
SCENA DECIMA
BALESTRA e detti.
MAU.
Genero amato, siete convinto?
CON.
Il sono.
MAU.
Posso sperar che voi...
CON.
Signor, chiedo perdono.
Veggo il mio servo, e seco grave dover mi vuole.
MAU.
Con voi gettasi invano il tempo e le parole.
CON.
No, no, vedrete, il giuro...
(Hai tu il denar portato?) (a Balestra.)
BAL.
Sì, signor.
CON.
Permettete...
Prendo per or commiato.
Ci rivedremo.
(a don Maurizio.)
MAU.
Ah Conte, veggo il vostro periglio.
CON.
Ci rivedrem.
MAU.
Stassera?
CON.
Signor, non vi consiglio.
(parte con Balestra.)
MAU.
Misero! sei perduto.
Il vizio in cuor ti regna.
Il vizio sulla fronte spiega l'audace insegna.
Temi fra' tuoi trastulli del suocero la faccia,
E sotto al tuo consiglio si asconde una minaccia.
In braccio al tuo destino ti lascio e ti abbandono;
Ma della sposa oppressa tenero padre io sono.
Finché si può si salvi l'onor di tua famiglia;
Soffra disagi ed onte la virtù della figlia,
Ma quando il vizio eccede, anche natura insegna
A scuotere dal fianco una catena indegna:
Che se della tua fama, stolido, a te non cale,
Che val la sofferenza, il non parlar che vale?
Il mondo che mal pensa, che sa dei tristi ogni arte,
Dirà ch'è l'innocente de' tuoi deliri a parte.
Onde se nulla giova virtù, costanza, amore,
A lei renda giustizia il cielo e il genitore.
(parte.)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera in casa di madama Doralice.
DON ALESSIO e TARGA servitore.
ALE.
Che diavolo ha mia moglie, che grida in tal maniera?
L'ha con me? l'ha con te? l'ha colla cameriera?
TAR.
Vada, signor: non sente che strilli? che schiamazzo?
ALE.
Andar quand'è infuriata? affé, non son sì pazzo.
Madama è una bestiaccia, e per poter soffrirla
Non trovo altro rimedio che quello di sfuggirla.
Ma si sa perché grida?
TAR.
Grida perché dal sarto
Di certa guarnizione si è errato nel comparto.
Mancano dieci braccia di pizzo, e questa sera
Dee andar ad un festino, e smania e si dispera.
ALE.
Ho inteso; del suo sdegno se la cagione è questa,
Sulle mie spalle avrebbe a cader la tempesta;
Ma dica quel che vuole, la cosa è disperata:
Tutti li ho spesi, e in erba ci mangiammo l'entrata.
Lo sai che per comprare un abito per lei,
Venduti ho l'altro giorno due de' vestiti miei;
E ieri, per il pizzo per far la guarnizione,
Speso ho il denar che a parte avea per la pigione.
Non posso più.
Trar sangue chi può da una muraglia?
Altro non ho da darle, se il naso non mi taglia.
TAR.
Eccola qui.
ALE.
Sto fresco.
Meglio è ch'io me ne vada.
Targa, Targa, fa presto, il cappello e la spada.
(Targa parte.)
SCENA SECONDA
MADAMA DORALICE e detto.
MAD.
Vi è nota, don Alessio, la bella bricconata?
ALE.
Di chi?
MAD.
La guarnizione il sarto ha rovinata.
Mancano dieci braccia, e me lo dice adesso.
ALE.
Ma come? la misura l'ha data il sarto istesso.
MAD.
È vero, egli l'ha data: è un stolido, è un briccone.
ALE.
Che n'abbia qualche pezzo trafugato il garzone?
MAD.
Potrebbe darsi ancora.
ALE.
Andiamo a misurarlo.
MAD.
Pensate se ora voglio dall'abito staccarlo!
Intorno vi lavorano tre donne, per far presto;
E della guarnizione s'ha da comprare il resto.
ALE.
(Buon, per bacco!) (da sé.)
MAD.
Che Targa sen vada in Merceria,
E compri i dieci bracci, e presto a me li dia.
ALE.
Si dice facilmente: si mandi dal mercante;
Ma il pizzo non l'avremo senza il denar contante.
MAD.
Spropositi! Il denaro so anch'io che vi vorrà.
ALE.
Ma ch'io ne sono senza vossignoria non sa.
MAD.
Ridicola sarebbe.
Non ha denar? Cospetto!
Che l'abito per poco mi restasse imperfetto!
Tra le maledizioni mancherebbe anche questa,
Per voi ch'io non potessi andarmene alla festa.
ALE.
Avete pur quell'altro nuovo, alla moda e bello.
MAD.
Il diavol che vi porti; vuò comparir con quello.
ALE.
Bene.
(Targa colla spada, il cappello e il bastone.)
MAD.
E voi, don Alessio, pensare ci dovete.
ALE.
Ci penserò.
(si mette la spada.)
MAD.
Ma quando?
ALE.
Ci penserò, il vedrete.
(prende il cappello e il bastone.)
MAD.
Ite a comprarlo voi?
ALE.
Vedrò.
MAD.
Che si vedrà?
Date il denaro a me.
ALE.
Denaro? Eccolo qua.
Vi do la borsa tutta, tale e quale com'è;
Due soldi pel tabacco non mi tengo per me.
Cara consorte mia, vi prego, compatite;
Non so quel che ci sia; ma il mio buon cuor gradite.
(parte.)
SCENA TERZA
MADAMA DORALICE e TARGA.
MAD.
La spesa non è molta; bastan zecchini sei.
Che ci fossero questi, almeno io crederei.
(apre la borsa.)
Come! Olà, don Alessio.
Chiamalo.
(a Targa.) Ha tanto ardire?
Darmi una borsa in cui non ci son dieci lire?
Così da me s'invola? Mi lascia nelle peste?
Dieci lire a una moglie? Non vuò nemmeno queste.
(getta la borsa, e coglie Targa che viene.)
TAR.
Signora...
MAD.
L'hai veduto?
TAR.
L'ho visto e l'ho sentito.
MAD.
Che cosa?
TAR.
Il borsellino che in petto m'ha colpito.
MAD.
Foss'egli una sassata, tristo briccon che sei.
TAR.
Son tutte sue finezze contro i meriti miei.
MAD.
Ma che farò?
TAR.
Signora...
MAD.
Che vuoi?
TAR.
Un'imbasciata.
MAD.
Di chi?
TAR.
Vi è il signor Conte.
MAD.
Digli ch'io son spogliata.
TAR.
Ma ch'è padron...
MAD.
No, dico: son spogliata, non senti?
TAR.
Ei di passar è solito senz'altri complimenti.
MAD.
Sono arrabbiata a segno, che al diavol manderei
Gli amici ed i serventi, e anco i parenti miei.
SCENA QUARTA
Il CONTE e detti.
CON.
Madama non è in casa?
MAD.
Ci sono e non ci sono.
Si aspetta la risposta.
CON.
Vi domando perdono.
So che mi concedeste finor libero accesso.
MAD.
Quel che si accorda un giorno, sempre non è concesso.
CON.
Siete sdegnata meco? qual novitade è questa?
MAD.
Lasciatemi, di grazia; ho altro per la testa.
(si volge arrabbiata dall'altra parte.)
CON.
Pazienza; questa sera a che ora comandate
Ch'io la gondola mandi?
MAD.
No, non v'incomodate.
CON.
Bene; ma vi sia noto, che principiar trattengo
La festa al vostro arrivo.
MAD.
Stassera io non ci vengo.
CON.
Ma perché mai, signora? Pensate in quale imbroglio
Sarei, se non veniste.
MAD.
Non posso; e poi non voglio.
CON.
L'ora è troppo avanzata.
Son le dame invitate;
Verranno per ballare.
Io che farò?
MAD.
Ballate.
CON.
Senza di voi?
MAD.
Che importa?
CON.
Madama, per pietà.
MAD.
Così la moglie vostra più contenta sarà.
CON.
Lasciam la moglie in pace coi pregiudizi suoi.
Vi è noto che il festino è ordinato per voi.
Per aver sonatori, usata ho la violenza;
Mi può qualche malanno costar la prepotenza.
MAD.
Sia come esser si voglia, Conte, vi torno a dire
Non vengo.
CON.
Non venite?...
MAD.
Se credo di morire.
CON.
Eccomi in un impegno.
Destino maledetto!
Il ballo ed il convito farassi a mio dispetto?
MAD.
Si farà dunque?
CON.
E come poss'io farne di meno?
MAD.
Io starò sola in casa a rodere il veleno.
CON.
Madama, per pietà, deh! venite da noi.
MAD.
Se ballano, se cenano, che bisogno han di voi?
CON.
Ma che direbbe il mondo, s'io non ci fossi?
MAD.
Andate;
Divertitevi bene, e più non mi annoiate.
CON.
Ma in carità, Madama...
MAD.
A me codesti torti?
CON.
Farò quel che volete.
MAD.
Il diavol che vi porti.
(parte.)
SCENA QUINTA
Il CONTE, poi TARGA.
CON.
Oh vita di chi serve miserabile e trista!
Ecco a servir le donne il premio che si acquista.
Ma che farò?
TAR.
Signore, ora ch'ella è partita,
Tutta vi narrerò la cosa com'è ita:
Son dieci braccia sole di guarnizion d'argento
Che fan della padrona l'affanno ed il tormento.
CON.
Non altro?
TAR.
Per comprarlo è ricorsa al marito,
Ed ei con uno scherzo s'ha sciolto, e se n'è ito.
Smania, delira e freme, e si è cacciata in testa
Che senza quel vestito non vuol ire alla festa.
CON.
Targa, se si potesse porvi rimedio! Quanto
Costa la guarnizione?
TAR.
Dieci zecchini.
CON.
Tanto?
TAR.
Si è vista e si è pesata; da battere non c'è.
(Ne voglio, se mi riesce, una porzion per me).
CON.
Ma come far? sai pure ch'ella i regali sdegna.
TAR.
Quando una cosa preme, chi ha giudizio s'ingegna.
CON.
Non posso col marito pigliar tal confidenza.
TAR.
Troverò io il rimedio, se mi date licenza.
CON.
Ma come?
TAR.
Stanno in dubbio che il sarto abbia rubato;
Dirò che fu l'argento dal sarto ritrovato.
Con lui s'andrà d'accordo, e la maniera è questa
Di far che abbia il vestito, e veggasi alla festa.
CON.
Facciasi pur.
(Dieci zecchini!) (da sé.) Andiamo.
Dieci braccia d'argento.
TAR.
Signor, sollecitiamo.
CON.
Averete la mostra.
TAR.
L'argento so com'è:
Contatemi i zecchini, fidatevi di me.
CON.
Andiamo da Balestra, ei tiene il mio denaro.
(L'impegno in cui mi trovo, mi costa troppo caro).
(da sé; e partono.)
SCENA SESTA
MADAMA DORALICE, poi STANGA servitore.
MAD.
Senza di me la festa? senza di me, per cui
Dice di farla il Conte, si ballerà da lui?
Dirà, se non mi vede, la critica brigata,
O ch'io non so ballare, o che non mi ha invitata.
Ma l'uno e l'altro è poco; diran: non è venuta,
Forse perché non l'ha la Contessa voluta.
E il Conte che mi teme almen, se non mi ama,
Ardisce a un tale insulto esponere una dama?
In casa mia finito ha di venir l'audace...
Ma si farà la festa; questo è quel che mi spiace.
Per far che non seguisse, lo giuro, pagherei
Tutte le gioje ancora, non che i vestiti miei.
Chi sa? farò di tutto per ritrovar maniera...
Può darsi che mi riesca qualcosa innanzi sera.
Stassera tu non balli, Conte, te lo prometto,
A costo anche di farti precipitare il tetto.
STA.
Signora, c'è il padrone?
MAD.
Fuori di casa è andato.
Per qual ragion ne chiedi?
STA.
Egli era domandato.
MAD.
Da chi?
STA.
Da don Maurizio.
MAD.
Digli ch'egli è sortito.
Ma...
aspetta.
(Che mai puote voler da mio marito?
Son curiosa).
(da sé.) Va, digli che ci son io, che onore
Mi farà s'egli passa, ch'io l'avrò per favore.
(Stanga va via.)
Chi sa ch'egli non tenti, spronato dalla figlia,
La pace per vendetta turbar di mia famiglia?
Se accorgermi potessi ch'ei ciò tentasse, il giuro...
Ma in tempo egli è venuto che il Conte più non curo;
E posso cautamente con lui giustificarmi,
Merto acquistando, allora ch'io penso a vendicarmi.
SCENA SETTIMA
DON MAURIZIO, STANGA e la suddetta.
MAU.
Madama.
(inchinandosi.)
MAD.
O mio signore, qual onore è mai questo?
Presto una sedia.
MAU.
Io sono...
MAD.
Un'altra sedia, presto.
(Stanga dà la sedia, e parte.)
Favorite.
(lo vuol far sedere alla dritta.)
MAU.
Madama, così non si sta bene.
MAD.
No, signor, favorite.
So quel che mi conviene.
(siedono.)
Sortito è don Alessio ma se comandi avete,
Senza riguardo alcuno esporli a me potete.
Comuni son gli arcani, comuni son le voglie
In questa casa nostra fra il marito e la moglie.
MAU.
Invidiabil fortuna! felice matrimonio
Dove della discordia non penetra il demonio!
Volesse il ciel, che tale fosse quel di mia figlia;
Ma il Conte è giovinotto, non pensa alla famiglia.
MAD.
Il Conte, per dir vero, non ha molto giudizio;
Se libera favello, perdoni don Maurizio.
Egli è genero vostro, ma d'esserlo non mostra;
Ha una consorte degna, onor dell'età nostra.
Fa torto ad ambidue la vita ch'egli mena.
Ecco qui: questa sera dà un ballo ed una cena!
Non dico ch'ei non possa spender cento zecchini,
Ma mormoran di lui gli amici ed i vicini;
E dicono (io non soglio entrar ne' fatti altrui),
Dicono ch'ei rovina la casa e i beni sui.
MAU.
Madama, una tal frase mi giunge inaspettata.
Al ballo ed alla cena voi pur siete invitata;
E so...
MAD.
Mi maraviglio: non vado alla sua festa;
Chi avesse un tal pensiero, sel levi dalla testa.
Lo so che il mondo parla di me senza rispetto;
Il Conte non vedrete venir più nel mio tetto.
Finor, se lo trattai, lo feci in mezzo a tanti
Che vengono a graziarmi, amici e non amanti.
Appena me ne accorsi ch'egli era il più osservato,
Signore, immantinente gli diedi il suo commiato.
Non son di senno priva, non vuò fra le mie soglie
Un uom che per me faccia temer la propria moglie.
Vi prego alla Contessa parlar per parte mia.
Ella mi fa gran torto, di me se ha gelosia.
Però la compatisco, e voglio esserle amica,
E vuò che il mondo insano lo sappia, e si disdica.
Pur troppo il mondo è pieno d'inganni e di malizia;
Ma cavalier voi siete, mi farete giustizia.
MAU.
(Le credo, o non le credo?) (da sé.) Madama, io non saprei...
Dell'espressioni vostre temer non ardirei.
Solo dirò che lodo il vostro pensamento
Di non andar stassera a un tal divertimento.
MAD.
Non vi anderei, lo giuro, nemmen per un milione.
Oltre quel che vi dissi, evvi un'altra ragione.
Il Conte, non so dire per qual novella ardenza,
Rapiti ha i sonatori altrui con prepotenza;
Schernite ed affrontate due case a questo segno,
Vorranno vendicarsi, a costo d'un impegno.
E certo del festino vedrassi in sul più bello
Da gente puntigliosa produr qualche flagello.
Per me non mi vedranno entrar in quelle porte;
Ma spiacemi soltanto, davver, per sua consorte.
MAU.
Madama, voi mi dite cosa che mi sorprende.
MAD.
Il Conte, quand'è acceso, non vede e non intende.
Signor, in quella casa vedrassi una tragedia,
Se il vostro buon consiglio a tempo non rimedia.
MAU.
Farò...
ma che far posso?
MAD.
Cercate di Balestra.
Egli vi saprà dire l'istoria dell'orchestra.
Scoperti i sonatori, saputo il loro nome,
Di metterli in dovere non mancheravvi il come.
MAU.
Questo si potrà fare.
MAD.
Ma se per l'attentato
Gli offesi una vendetta avesser preparato,
Tardo sarebbe e vano un tal provvedimento.
Compatite, signore, dirò il mio sentimento.
Il differir la festa, il differir la cena,
La povera Contessa esime da ogni pena.
Mancan dell'ore tante all'ora del convito,
Si può colle imbasciate distruggere l'invito.
S'io fossi in caso tale, sull'onor mio v'accerto,
Vorrei cercar la strada di mettermi al coperto.
Ma voi prudente siete; in simile periglio
Bisogno non avete di norma e di consiglio.
MAU.
(Stupisco sempre più.
Strano mi par tal zelo).
(da sé.)
MAD.
(Se il suocero mi crede, mi vendico e mi celo).
(da sé.)
MAU.
Madama, inutilmente da voi non son venuto,
Se di consigli e lumi mi avete provveduto.
Partirò per non darvi più lungamente un tedio.
(s'alza.)
MAD.
Ponete al precipizio sollecito il rimedio.
Vada il festino a monte, e al genero s'insegni
Dal suocero prudente sfuggir cotali impegni.
MAU.
Madama, vi ringrazio.
MAD.
Di che?
MAU.
Perdon vi chiedo.
(inchinandosi.)
MAD.
(Il vecchio l'ha bevuta).
MAU.
(A lei tutto non credo).
(da sé, e parte.)
SCENA OTTAVA
MADAMA DORALICE, poi TARGA.
MAD.
Se ama la figlia, e se ama il genero davvero,
Ha da impedir la festa.
L'impedirà, lo spero.
La rabbia mi divora, l'invidia mi tormenta;
Ed altro non vi vuole per rendermi contenta.
TAR.
Signora.
MAD.
E tu, che vuoi?
TAR.
Un'imbasciata.
MAD.
Evviva.
TAR.
La marchesa Dogliata, la baronessa Oliva.
MAD.
Padrone.
TAR.
Ho poi da darle una novella buona.
MAD.
Di che?
TAR.
Sarà contenta oggi la mia padrona.
MAD.
Perché?
TAR.
Perché il sartore l'argento ha ritrovato,
E l'abito stassera l'avremo terminato.
MAD.
Come? Che dici?
TAR.
Il sarto trovò la guarnizione,
L'aveva trafugata un discolo garzone.
Con quattro bastonate l'indegno ha discacciato.
MAD.
E l'abito?
TAR.
Stassera è bello e terminato.
MAD.
Povera me!
TAR.
Signora, dovrebbe in lei rivivere
La gioia, l'allegria.
MAD.
Povera me! Da scrivere.
TAR.
Ma le dame?
MAD.
Le dame...
non so che far.
TAR.
Signora,
Dopo che hanno aspettato...
MAD.
Vengano in lor malora.
(Targa parte.)
SCENA NONA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Affé, l'ho fatta bella.
L'abito è ormai finito;
Ed io il povero Conte ho messo a mal partito.
Ma in ogni guisa ei merta l'ira e lo sdegno mio;
La festa si faceva senza che vi foss'io.
Ma non potea, per dirla, sottrarsi dall'impegno.
Troppo presto m'accendo! Maledetto il mio sdegno!
Se il suocero impedisce che facciasi il festino?
Bene, sarà cogli altri comune il mio destino.
Ma se la festa segue, grazie alla sorte amica,
Ch'io sia delle scartate non voglio che si dica.
Che dirà don Maurizio, se vedemi al convito?
Dirò che mi ha costretta andarvi mio marito.
Il Conte che dirà, se il suocero gli parla?
Col Conte in due parole m'impegno d'aggiustarla.
Gli scriverò un viglietto, l'avviserò di tutto;
Dirò che d'altra parte il suocero fu instrutto.
Dica quel che sa dire, son pronta all'occasione,
E a forza di gridare io voglio aver ragione.
SCENA DECIMA
La marchesa DOGLIATA, la baronessa OLIVA, la suddetta, poi STANGA.
BAR.
Madama, vi son serva.
MAR.
Madama, riverente.
MAD.
M'inchino a queste dame divotissimamente.
(Stanga porta da sedere, e parte.)
BAR.
Siamo da voi venute, Madama gentilissima,
Bramando una notizia, che certo è importantissima.
MAR.
Un consiglio da voi avere si desidera.
MAD.
Mi onora chi di darlo capace mi considera.
BAR.
Saprete che una festa si fa dal Conte...
e poi,
Che occorre dir saprete, s'egli la fa per voi?
MAD.
Non merto questi onori, ma pur la sua bontà...
MAR.
Non dite d'avvantaggio, il resto già si sa...
MAD.
Amica, andiam bel bello.
Se voi vi supponete...
MAR.
Non vi pensate, amica...
BAR.
Eh via, si sa chi siete.
MAD.
Orsù, parliamo d'altro, che avete a comandarmi?
MAR.
Son qui da voi venuta, Madama, ad informarmi
Di cosa che, per dirla, mi pare interessante;
Se devesi stassera venir col guardinfante.
MAD.
Io credo che si possa andar come si vuole.
BAR.
Andar tutte uniformi è meglio, se si puole.
MAR.
Io so che in qualche festa si sta in osservazione,
Che non ci sia negli abiti veruna distinzione.
MAD.
La festa che fa il Conte, è cosa assai privata,
Ciascuna può ballare e vestita e spogliata.
BAR.
Voi come andate? (a Madama.)
MAD.
Ancora non ci ho pensato su.
MAR.
Coll'abito di stoffa?
MAD.
Oh, non lo porto più.
MAR.
Vi mettete quel rosso?
MAD.
Non credo.
BAR.
Il giallo?
MAD.
Oibò!
MAR.
Ora capisco: un nuovo.
BAR.
Dite davver?
MAD.
Non so.
BAR.
Brava, brava, un vestito novissimo.
L'ho a caro.
MAR.
Ma! così fa chi può.
BAR.
Lo fa chi ha del denaro.
MAD.
Cosa di poca spesa.
Non è di soggezione.
BAR.
Di broccato?
MAD.
Oh pensate! Un po' di guarnizione.
MAR.
D'oro, o d'argento?
MAD.
Argento.
BAR.
Le mostre, o tutto il resto?
MAD.
Vi dirò, Baronessa, son delicata in questo.
Non voglio che le genti mi dicano a un invito:
Guardate quella voglia di abito guarnito.
MAR.
Se lo dico, mi aspetto vedere un abitone.
MAD.
Sarà quel che sarà.
BAR.
Ma dite, col cerchione?
MAD.
Cerchio grande.
MAR.
Vedete? e noi porre in periglio
Vorreste di una critica col facile consiglio.
BAR.
Noi pur col guardinfante ci avremo da vestire.
MAR.
Non ho vestiti nuovi, ma posso comparire.
SCENA UNDICESIMA
TARGA e dette.
TAR.
Vien donna Rosimena.
MAR.
Oh bella!
BAR.
Oh la vecchiona!
MAD.
È sola?
TAR.
È con don Peppe.
BAR.
Passi pure, è padrona.
(Targa parte.)
MAR.
Oh, questa si può dire ch'è donna fortunata!
Ha settant'anni, e è ancora servita e corteggiata.
MAD.
Questo, per dire il vero, è un caso inusitato,
Che s'abbia per tant'anni l'amico conservato.
MAR.
Tarda molto a venire.
BAR.
Sentitela, che sale.
MAD.
Povera vecchierella! le pesano le scale.
BAR.
Eccola.
Com'è brutta!
MAR.
Vi par poco lisciata?
MAD.
Non siam di carnevale? La vecchia è mascherata.
SCENA DODICESIMA
DONNA ROSIMENA, DON PEPPE e detti.
TARGA mette le sedie.
ROS.
Madama, vi son serva.
Marchesa, Baronessa.
BAR.
MAR.
Serva.
MAD.
Serva divota.
PEP.
M'inchino.
MAR.
(È ognor la stessa).
(da sé.)
MAD.
Si servano, di grazia, si servano, signore.
Oh donna Rosimena, che vuol dir quest'onore?
ROS.
Scusatemi, Madama, s'io vengo a incomodarvi;
D'una finezza, amica, son venuta a pregarvi.
Io so che questa sera il Conte dà una festa,
So che sarà composta di gente tutta onesta;
So quanto voi potete, dicendo una parola;
Vorrei col vostro mezzo condur la mia figliuola.
MAD.
Ben volentier, signora.
BAR.
Ma le fanciulle oneste
Pare non sia ben fatto condurle sulle feste.
ROS.
Che cara Baronessa! correggere mi vuole.
È peggio le ragazze lasciarle in casa sole.
MAR.
Le madri che han giudizio...
ROS.
So che volete dirmi;
Ma vecchia ancor non sono, e voglio divertirmi.
MAD.
Dunque voi pur, signora...
ROS.
Sì sa, vengo ancor io.
E meco mi lusingo verrà don Peppe mio.
PEP.
Se mi sarà permesso.
MAD.
Non so, perché ristretto
È il luogo della festa; di ciò non mi prometto.
ROS.
Madama Doralice, parlo col cuore aperto,
Quando non vien don Peppe, anch'io non vengo certo.
MAR.
Sì, donna Rosimena, vi lodo in verità;
Un po' di cicisbeo fa bene in quella età.
ROS.
Don Peppe onestamente mi serve e mi ha servito,
E gli voleva bene ancora mio marito.
MAR.
Vostro marito in fatti era buon uomo assai.
ROS.
Che tu sia benedetto! Non mi gridava mai.
MAD.
Voi mi permetterete, che pria ne parli al Conte.
ROS.
Mi piacciono, Madama, le femmine più pronte.
Dite di sì a drittura; il Conte non disdice,
Allora che comanda madama Doralice.
Anch'io, quando una grazia voluta ho da don Peppe,
A donna Rosimena negarla egli non seppe.
Chiedetegli, s'è vero.
Don Peppe eccolo qui;
Non ha mai detto un no, quando gli ho chiesto un sì.
PEP.
A una discreta dama negar non si dee nulla.
ROS.
Basta dir che mi amava ancor da fanciulla.
MAD.
Amica, compatite; non prendo alcun impegno.
Vi darò la risposta.
ROS.
Ma presto.
MAD.
Sì, m'impegno.
ROS.
E dove?
MAD.
Questa sera, innanzi, dove andate?
ROS.
Dove andiamo, don Peppe?
PEP.
Dove voi comandate.
MAD.
Datemi il luogo certo.
ROS.
Se una chiave si trova,
Andremo questa sera alla commedia nuova.
MAD.
Forse anch'io v'anderò.
ROS.
Bene, ci troveremo.
MAD.
Ci troveremo tutti.
BAR.
Noi altre non ci andremo.
MAD.
Perché?
BAR.
Perché mai più vogliam commedie nuove,
Se prima non si sentono dell'esito le nuove.
MAD.
Io poi la prima sera, sia buona o sia cattiva,
Per dubbio che mi spiaccia, non voglio esserne priva.
MAR.
A tante commediaccie avrete avuto gusto.
MAD.
Ho ben colla Persiana compensato il disgusto.
MAR.
Ecco qui: la Persiana sempre si mette in campo,
Eppur la sua bellezza sparisce come un lampo.
È buona, se vogliamo, diletta, e non attedia;
Ma in verità, Madama, non si può dir commedia.
BAR.
Cogli abiti, col verso, col merto degli attori,
Con qualche novità l'autor la porta fuori.
MAD.
Eppure è un'opra tale, che trentaquattro sere
Ha sempre fatto gente, e a tutti diè piacere.
MAR.
A tutti? Se sentiste quel che ne dicon tanti!
Vi è chi l'ha esaminata ben ben da tutti i canti;
E vi ha trovato dentro di molte improprietà.
BAR.
Dicon che nei caratteri non ci sia verità.
ROS.
Oh, qui poi perdonate: di questo me n'appello.
Carattere può darsi di Curcuma(1) più bello?
Veder una vecchiaccia che fa da giovinetta,
È cosa veramente che piace e che diletta,
Vederla disperata per causa dell'eunuco,
È cosa che da ridere farebbe ad un sambuco.
E quando della schiava in vece si offeriva,
Guardando un po' don Peppe! da rider mi veniva
BAR.
Appunto con tal donna l'autor preso ha dei sbagli.
Son savie, son matrone le vecchie dei serragli.
Meglio doveva gli usi esaminar dei popoli.
Vi sono dei serragli anche in Costantinopoli.
MAD.
L'autor di quei di Persia dipinto ha il ver costume.
Dai viaggiatori ha preso norma, consiglio e lume:
E accordano i migliori, che sono tai custodi
Esperte nell'inganno, maestre delle frodi.
MAR.
E quando quella vecchia discorre del caffè,
E fa da semplicista senza saper perché?
MAD.
Lo fa, perché ad Alì vuol dar trattenimento.
L'autor ve l'ha innestato per suo divertimento.
È ver che si poteva ancora farne senza;
Ma prendersi un poeta può ben questa licenza.
PEP.
E poi lo fa la vecchia, perché è una linguacciuta,
Che entrar volendo in grazia, per ogni via s'aiuta:
Che parla d'una cosa che a lei non disconviene.
ROS.
Oh caro quel don Peppe! oh come parla bene!
BAR.
Condannano poi molto di Fatima l'amore.
Dicono che non puossi accendere in poche ore.
E dicon che sia falsa l'ipotesi galante,
Che fosse innamorata pria di veder l'amante.
MAD.
Chi parla in guisa tale, mostra che le sia oscura
La condizion di donna chiusa fra quattro mura.
L'unico ben di donna in Oriente è lo sposo,
E tanto di ottenerlo è il di lei cuore ansioso,
Che quando l'europea principia a essere amante.
L'amor nell'orientale divenuto è gigante.
ROS.
Viva Madama, e viva.
MAR.
E poi, che donna strana,
Che donna indiavolata è mai la schiava Ircana?
MAD.
Amica, a piacer vostro tutt'altro criticate;
Ma Ircana io la proteggo, e non me la toccate.
MAR.
Non parlo dell'attrice, favello con modestia;
Mi piace di vederla smaniar come una bestia;
Del carattere suo sol favellare intendo.
MAD.
Ircana, la sua parte, il suo smaniar difendo.
Finor son stata cheta, or mi si scalda il sangue:
Se mi toccate Ircana, io fremo come un angue.
Io trovo il suo carattere bellissimo, perfetto.
Mille volte al poeta io dissi: oh benedetto!(2)
BAR.
Credetemi, Madama, che vi è da dire assai.
MAD.
L'ho caro.
(s'alza.)
BAR.
Ma sentite.
MAD.
Orsù, ho sentito assai.
Restate, se volete, io vi domando scusa;
So che piantar le visite la civiltà non usa,
Ma un affar di premura m'obbliga un sol momento
Passar, se il permettete, nell'altro appartamento.
Tre dame che son piene di tanta discrezione,
Spero che mi daranno benigna permissione.
MAR.
Io vi levo l'incomodo.
MAR.
Faccio lo stesso anch'io.
ROS.
Attenderò l'avviso, Madama, al palco mio.
Ricordatevi bene parlar per tutti tre:
Per la figliuola mia, pel mio don Peppe e me.
(parte, inchinandosi, con don Peppe.)
MAR.
Madama, compatite.
(inchinandosi.)
MAD.
Giust'è che a voi domande...
BAR.
Dunque vi metterete stassera il cerchio grande.
MAD.
Può darsi.
BAR.
V'ho capito, già me lo metto anch'io.
Riverisco Madama.
MAR.
Serva, Madama.
BAR.
Addio.
(Madama s'inchina, e le accompagna alla porta.)
SCENA TREDICESIMA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Perduto ho più di un'ora con queste vanarelle.
Perché io sarò col cerchio, lo vogliono ancor elle.
Si rodon dalla rabbia, perché ho il vestito nuovo;
Ma quando viene il sarto? Ma quando me lo provo?
E il Conte che lasciommi ripiena di dispetto,
Perché non lo consolo almen con un viglietto?
Farlo volea; ma il diavolo mandò più d'un imbroglio.
Ora con quattro versi formo un tenero foglio.
Farò che a me ne venga, l'informerò del tutto;
Non voglio più vederlo per amor mio distrutto
...
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