IL FESTINO, di Carlo Goldoni - pagina 5
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(da sé.)
MAU.
Madama, inutilmente da voi non son venuto,
Se di consigli e lumi mi avete provveduto.
Partirò per non darvi più lungamente un tedio.
(s'alza.)
MAD.
Ponete al precipizio sollecito il rimedio.
Vada il festino a monte, e al genero s'insegni
Dal suocero prudente sfuggir cotali impegni.
MAU.
Madama, vi ringrazio.
MAD.
Di che?
MAU.
Perdon vi chiedo.
(inchinandosi.)
MAD.
(Il vecchio l'ha bevuta).
MAU.
(A lei tutto non credo).
(da sé, e parte.)
SCENA OTTAVA
MADAMA DORALICE, poi TARGA.
MAD.
Se ama la figlia, e se ama il genero davvero,
Ha da impedir la festa.
L'impedirà, lo spero.
La rabbia mi divora, l'invidia mi tormenta;
Ed altro non vi vuole per rendermi contenta.
TAR.
Signora.
MAD.
E tu, che vuoi?
TAR.
Un'imbasciata.
MAD.
Evviva.
TAR.
La marchesa Dogliata, la baronessa Oliva.
MAD.
Padrone.
TAR.
Ho poi da darle una novella buona.
MAD.
Di che?
TAR.
Sarà contenta oggi la mia padrona.
MAD.
Perché?
TAR.
Perché il sartore l'argento ha ritrovato,
E l'abito stassera l'avremo terminato.
MAD.
Come? Che dici?
TAR.
Il sarto trovò la guarnizione,
L'aveva trafugata un discolo garzone.
Con quattro bastonate l'indegno ha discacciato.
MAD.
E l'abito?
TAR.
Stassera è bello e terminato.
MAD.
Povera me!
TAR.
Signora, dovrebbe in lei rivivere
La gioia, l'allegria.
MAD.
Povera me! Da scrivere.
TAR.
Ma le dame?
MAD.
Le dame...
non so che far.
TAR.
Signora,
Dopo che hanno aspettato...
MAD.
Vengano in lor malora.
(Targa parte.)
SCENA NONA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Affé, l'ho fatta bella.
L'abito è ormai finito;
Ed io il povero Conte ho messo a mal partito.
Ma in ogni guisa ei merta l'ira e lo sdegno mio;
La festa si faceva senza che vi foss'io.
Ma non potea, per dirla, sottrarsi dall'impegno.
Troppo presto m'accendo! Maledetto il mio sdegno!
Se il suocero impedisce che facciasi il festino?
Bene, sarà cogli altri comune il mio destino.
Ma se la festa segue, grazie alla sorte amica,
Ch'io sia delle scartate non voglio che si dica.
Che dirà don Maurizio, se vedemi al convito?
Dirò che mi ha costretta andarvi mio marito.
Il Conte che dirà, se il suocero gli parla?
Col Conte in due parole m'impegno d'aggiustarla.
Gli scriverò un viglietto, l'avviserò di tutto;
Dirò che d'altra parte il suocero fu instrutto.
Dica quel che sa dire, son pronta all'occasione,
E a forza di gridare io voglio aver ragione.
SCENA DECIMA
La marchesa DOGLIATA, la baronessa OLIVA, la suddetta, poi STANGA.
BAR.
Madama, vi son serva.
MAR.
Madama, riverente.
MAD.
M'inchino a queste dame divotissimamente.
(Stanga porta da sedere, e parte.)
BAR.
Siamo da voi venute, Madama gentilissima,
Bramando una notizia, che certo è importantissima.
MAR.
Un consiglio da voi avere si desidera.
MAD.
Mi onora chi di darlo capace mi considera.
BAR.
Saprete che una festa si fa dal Conte...
e poi,
Che occorre dir saprete, s'egli la fa per voi?
MAD.
Non merto questi onori, ma pur la sua bontà...
MAR.
Non dite d'avvantaggio, il resto già si sa...
MAD.
Amica, andiam bel bello.
Se voi vi supponete...
MAR.
Non vi pensate, amica...
BAR.
Eh via, si sa chi siete.
MAD.
Orsù, parliamo d'altro, che avete a comandarmi?
MAR.
Son qui da voi venuta, Madama, ad informarmi
Di cosa che, per dirla, mi pare interessante;
Se devesi stassera venir col guardinfante.
MAD.
Io credo che si possa andar come si vuole.
BAR.
Andar tutte uniformi è meglio, se si puole.
MAR.
Io so che in qualche festa si sta in osservazione,
Che non ci sia negli abiti veruna distinzione.
MAD.
La festa che fa il Conte, è cosa assai privata,
Ciascuna può ballare e vestita e spogliata.
BAR.
Voi come andate? (a Madama.)
MAD.
Ancora non ci ho pensato su.
MAR.
Coll'abito di stoffa?
MAD.
Oh, non lo porto più.
MAR.
Vi mettete quel rosso?
MAD.
Non credo.
BAR.
Il giallo?
MAD.
Oibò!
MAR.
Ora capisco: un nuovo.
BAR.
Dite davver?
MAD.
Non so.
BAR.
Brava, brava, un vestito novissimo.
L'ho a caro.
MAR.
Ma! così fa chi può.
BAR.
Lo fa chi ha del denaro.
MAD.
Cosa di poca spesa.
Non è di soggezione.
BAR.
Di broccato?
MAD.
Oh pensate! Un po' di guarnizione.
MAR.
D'oro, o d'argento?
MAD.
Argento.
BAR.
Le mostre, o tutto il resto?
MAD.
Vi dirò, Baronessa, son delicata in questo.
Non voglio che le genti mi dicano a un invito:
Guardate quella voglia di abito guarnito.
MAR.
Se lo dico, mi aspetto vedere un abitone.
MAD.
Sarà quel che sarà.
BAR.
Ma dite, col cerchione?
MAD.
Cerchio grande.
MAR.
Vedete? e noi porre in periglio
Vorreste di una critica col facile consiglio.
BAR.
Noi pur col guardinfante ci avremo da vestire.
MAR.
Non ho vestiti nuovi, ma posso comparire.
SCENA UNDICESIMA
TARGA e dette.
TAR.
Vien donna Rosimena.
MAR.
Oh bella!
BAR.
Oh la vecchiona!
MAD.
È sola?
TAR.
È con don Peppe.
BAR.
Passi pure, è padrona.
(Targa parte.)
MAR.
Oh, questa si può dire ch'è donna fortunata!
Ha settant'anni, e è ancora servita e corteggiata.
MAD.
Questo, per dire il vero, è un caso inusitato,
Che s'abbia per tant'anni l'amico conservato.
MAR.
Tarda molto a venire.
BAR.
Sentitela, che sale.
MAD.
Povera vecchierella! le pesano le scale.
BAR.
Eccola.
Com'è brutta!
MAR.
Vi par poco lisciata?
MAD.
Non siam di carnevale? La vecchia è mascherata.
SCENA DODICESIMA
DONNA ROSIMENA, DON PEPPE e detti.
TARGA mette le sedie.
ROS.
Madama, vi son serva.
Marchesa, Baronessa.
BAR.
MAR.
Serva.
MAD.
Serva divota.
PEP.
M'inchino.
MAR.
(È ognor la stessa).
(da sé.)
MAD.
Si servano, di grazia, si servano, signore.
Oh donna Rosimena, che vuol dir quest'onore?
ROS.
Scusatemi, Madama, s'io vengo a incomodarvi;
D'una finezza, amica, son venuta a pregarvi.
Io so che questa sera il Conte dà una festa,
So che sarà composta di gente tutta onesta;
So quanto voi potete, dicendo una parola;
Vorrei col vostro mezzo condur la mia figliuola.
MAD.
Ben volentier, signora.
BAR.
Ma le fanciulle oneste
Pare non sia ben fatto condurle sulle feste.
ROS.
Che cara Baronessa! correggere mi vuole.
È peggio le ragazze lasciarle in casa sole.
MAR.
Le madri che han giudizio...
ROS.
So che volete dirmi;
Ma vecchia ancor non sono, e voglio divertirmi.
MAD.
Dunque voi pur, signora...
ROS.
Sì sa, vengo ancor io.
E meco mi lusingo verrà don Peppe mio.
PEP.
Se mi sarà permesso.
MAD.
Non so, perché ristretto
È il luogo della festa; di ciò non mi prometto.
ROS.
Madama Doralice, parlo col cuore aperto,
Quando non vien don Peppe, anch'io non vengo certo.
MAR.
Sì, donna Rosimena, vi lodo in verità;
Un po' di cicisbeo fa bene in quella età.
ROS.
Don Peppe onestamente mi serve e mi ha servito,
E gli voleva bene ancora mio marito.
MAR.
Vostro marito in fatti era buon uomo assai.
ROS.
Che tu sia benedetto! Non mi gridava mai.
MAD.
Voi mi permetterete, che pria ne parli al Conte.
ROS.
Mi piacciono, Madama, le femmine più pronte.
Dite di sì a drittura; il Conte non disdice,
Allora che comanda madama Doralice.
Anch'io, quando una grazia voluta ho da don Peppe,
A donna Rosimena negarla egli non seppe.
Chiedetegli, s'è vero.
Don Peppe eccolo qui;
Non ha mai detto un no, quando gli ho chiesto un sì.
PEP.
A una discreta dama negar non si dee nulla.
ROS.
Basta dir che mi amava ancor da fanciulla.
MAD.
Amica, compatite; non prendo alcun impegno.
Vi darò la risposta.
ROS.
Ma presto.
MAD.
Sì, m'impegno.
ROS.
E dove?
MAD.
Questa sera, innanzi, dove andate?
ROS.
Dove andiamo, don Peppe?
PEP.
Dove voi comandate.
MAD.
Datemi il luogo certo.
ROS.
Se una chiave si trova,
Andremo questa sera alla commedia nuova.
MAD.
Forse anch'io v'anderò.
ROS.
Bene, ci troveremo.
MAD.
Ci troveremo tutti.
BAR.
Noi altre non ci andremo.
MAD.
Perché?
BAR.
Perché mai più vogliam commedie nuove,
Se prima non si sentono dell'esito le nuove.
MAD.
Io poi la prima sera, sia buona o sia cattiva,
Per dubbio che mi spiaccia, non voglio esserne priva.
MAR.
A tante commediaccie avrete avuto gusto.
MAD.
Ho ben colla Persiana compensato il disgusto.
MAR.
Ecco qui: la Persiana sempre si mette in campo,
Eppur la sua bellezza sparisce come un lampo.
È buona, se vogliamo, diletta, e non attedia;
Ma in verità, Madama, non si può dir commedia.
BAR.
Cogli abiti, col verso, col merto degli attori,
Con qualche novità l'autor la porta fuori.
MAD.
Eppure è un'opra tale, che trentaquattro sere
Ha sempre fatto gente, e a tutti diè piacere.
MAR.
A tutti? Se sentiste quel che ne dicon tanti!
Vi è chi l'ha esaminata ben ben da tutti i canti;
E vi ha trovato dentro di molte improprietà.
BAR.
Dicon che nei caratteri non ci sia verità.
ROS.
Oh, qui poi perdonate: di questo me n'appello.
Carattere può darsi di Curcuma(1) più bello?
Veder una vecchiaccia che fa da giovinetta,
È cosa veramente che piace e che diletta,
Vederla disperata per causa dell'eunuco,
È cosa che da ridere farebbe ad un sambuco.
E quando della schiava in vece si offeriva,
Guardando un po' don Peppe! da rider mi veniva
BAR.
Appunto con tal donna l'autor preso ha dei sbagli.
Son savie, son matrone le vecchie dei serragli.
Meglio doveva gli usi esaminar dei popoli.
Vi sono dei serragli anche in Costantinopoli.
MAD.
L'autor di quei di Persia dipinto ha il ver costume.
Dai viaggiatori ha preso norma, consiglio e lume:
E accordano i migliori, che sono tai custodi
Esperte nell'inganno, maestre delle frodi.
MAR.
E quando quella vecchia discorre del caffè,
E fa da semplicista senza saper perché?
MAD.
Lo fa, perché ad Alì vuol dar trattenimento.
L'autor ve l'ha innestato per suo divertimento.
È ver che si poteva ancora farne senza;
Ma prendersi un poeta può ben questa licenza.
PEP.
E poi lo fa la vecchia, perché è una linguacciuta,
Che entrar volendo in grazia, per ogni via s'aiuta:
Che parla d'una cosa che a lei non disconviene.
ROS.
Oh caro quel don Peppe! oh come parla bene!
BAR.
Condannano poi molto di Fatima l'amore.
Dicono che non puossi accendere in poche ore.
E dicon che sia falsa l'ipotesi galante,
Che fosse innamorata pria di veder l'amante.
MAD.
Chi parla in guisa tale, mostra che le sia oscura
La condizion di donna chiusa fra quattro mura.
L'unico ben di donna in Oriente è lo sposo,
E tanto di ottenerlo è il di lei cuore ansioso,
Che quando l'europea principia a essere amante.
L'amor nell'orientale divenuto è gigante.
ROS.
Viva Madama, e viva.
MAR.
E poi, che donna strana,
Che donna indiavolata è mai la schiava Ircana?
MAD.
Amica, a piacer vostro tutt'altro criticate;
Ma Ircana io la proteggo, e non me la toccate.
MAR.
Non parlo dell'attrice, favello con modestia;
Mi piace di vederla smaniar come una bestia;
Del carattere suo sol favellare intendo.
MAD.
Ircana, la sua parte, il suo smaniar difendo.
Finor son stata cheta, or mi si scalda il sangue:
Se mi toccate Ircana, io fremo come un angue.
Io trovo il suo carattere bellissimo, perfetto.
Mille volte al poeta io dissi: oh benedetto!(2)
BAR.
Credetemi, Madama, che vi è da dire assai.
MAD.
L'ho caro.
(s'alza.)
BAR.
Ma sentite.
MAD.
Orsù, ho sentito assai.
Restate, se volete, io vi domando scusa;
So che piantar le visite la civiltà non usa,
Ma un affar di premura m'obbliga un sol momento
Passar, se il permettete, nell'altro appartamento.
Tre dame che son piene di tanta discrezione,
Spero che mi daranno benigna permissione.
MAR.
Io vi levo l'incomodo.
MAR.
Faccio lo stesso anch'io.
ROS.
Attenderò l'avviso, Madama, al palco mio.
Ricordatevi bene parlar per tutti tre:
Per la figliuola mia, pel mio don Peppe e me.
(parte, inchinandosi, con don Peppe.)
MAR.
Madama, compatite.
(inchinandosi.)
MAD.
Giust'è che a voi domande...
BAR.
Dunque vi metterete stassera il cerchio grande.
MAD.
Può darsi.
BAR.
V'ho capito, già me lo metto anch'io.
Riverisco Madama.
MAR.
Serva, Madama.
BAR.
Addio.
(Madama s'inchina, e le accompagna alla porta.)
SCENA TREDICESIMA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Perduto ho più di un'ora con queste vanarelle.
Perché io sarò col cerchio, lo vogliono ancor elle.
Si rodon dalla rabbia, perché ho il vestito nuovo;
Ma quando viene il sarto? Ma quando me lo provo?
E il Conte che lasciommi ripiena di dispetto,
Perché non lo consolo almen con un viglietto?
Farlo volea; ma il diavolo mandò più d'un imbroglio.
Ora con quattro versi formo un tenero foglio.
Farò che a me ne venga, l'informerò del tutto;
Non voglio più vederlo per amor mio distrutto.
Un misto di finezze, un misto di strapazzi,
Mantiene a noi soggetti tanti poveri pazzi.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Stanza inserviente ad una bottega di caffè, con vari tavolini e sedie.
RISMA, garzone della bottega del caffè, con altri garzoni che ripuliscono i tavolini e le sedie;
poi il CONTE di Belpoggio.
CON.
Risma.
RIS.
Signor.
CON.
Balestra s'è qui veduto ancora?
RIS.
Non signor.
CON.
Ci doveva essere a ventun'ora.
Credo le ventidue saran poco lontane.
Voglio essere obbedito da chi mangia il mio pane.
RIS.
Signor, vorrei pregarla...
CON.
Di che?
RIS.
So che una festa
Fa ella questa sera, se la domanda è onesta,
Desidero...
CON.
Che cosa?
RIS.
Servirla dei rinfreschi.
CON.
L'impegno è grande; io temo che poi non ci rieschi.
RIS.
Signor, di me le genti son meglio persuase;
Io soglio di Venezia servir le prime case.
Vengono alla bottega, e in queste stanze mie,
La sera e la mattina le meglio compagnie.
Saran tre anni almeno, se forse non è più,
Che noi al signor Conte prestiamo servitù.
Anzi la pregherei, or che mi viene in mente,
Saldar quel contarello ch'è una cosa da niente.
CON.
Tempo or non ho; stassera tieni le cose in pronto;
Viemmi a servire, e poi si farà tutto un conto.
RIS.
Ringrazio vossustrissima, e vado a preparare
Tutto quel che stassera potrebbe abbisognare.
(Ma gli darò, col rischio d'esser pagato male,
Rinfreschi scellerati, e un conto da speziale).
(da sé, e parte.)
SCENA SECONDA
Il CONTE solo.
CON.
Disgraziato Balestra! gli dissi a ventun'ora.
Che diamine sarà, che non si vede ancora?
Se due fette di zuppa son state il pranzo mio,
Dovea spicciarsi anch'egli, e far quel ch'ho fatt'io.
Servirà la Contessa; ella non ha mai fretta.
Si dice alla padrona: il padrone mi aspetta.
Bisogno ho di denari; stassera convien spendere:
L'anello che ho impegnato, necessario è di vendere.
E se costui non viene, mi vedo disperato.
Non so per mio malanno dove l'abbia impegnato.
SCENA TERZA
TARGA e il suddetto.
TAR.
Oh signor, per l'appunto in traccia ero di lei,
M'han detto ch'era qui.
CON.
Un grand'uomo tu sei.
Hai qualche novità?
TAR.
Una ne ho assai buona.
Un viglietto per lei.
(presentandoglielo.)
CON.
Di chi?
TAR.
Della padrona.
CON.
Viene alla festa?
TAR.
Viene.
CON.
L'argento?
TAR.
Va benissimo.
CON.
L'abito sarà fatto?
TAR.
A momenti.
CON.
Bravissimo..
Sentiam che cosa dice Madama gentilissima.
(aprendo il viglietto.)
Ti par che sia contenta?
TAR.
Contenta ed allegrissima.
CON.
Buono buono.
Leggiamo.
Manda i suoi complimenti
Al Conte di Belpoggio Doralice Studenti.
L'avvisa che stassera sarà a goder la festa,
Cessato il fier dolore di stomaco e di testa.
(Il mal dell'emicrania guarito ha coll'argento;
E uscì dalla mia borsa il suo medicamento).
Se stranamente accolto da lei fu questa mane,
Sa ben che qualche volta le donne sono strane.
(Lo so, lo so per prova; dacché le vado intorno,
Senza che mi maltratti non è passato un giorno).
Per altro lo assicura la mano che gli scrive,
Che al Conte sarà grata la dama, finché vive.
E a titol si protesta di mera confidenza,
Trattarlo qualche volta con qualche inavvertenza.
(Se questa cosa è vera, si vede certamente
Ch'io sono di Madama il maggior confidente).
E se di tal protesta scontento egli non è,
L'attende in propria casa a bevere il caffè.
(Ho inteso, andar conviene a prendere il mio resto:
Di già se mi strapazza, il mio destino è questo).
Va pur dalla padrona; falle i miei complimenti,
Dille che a riverirla mi porterò a momenti.
Che intanto la ringrazio dei sentimenti umani;
Che intorno a tutto il resto, io son nelle sue mani
TAR.
Glielo dirò, signore.
Ma Targa, il poveretto...
CON.
Che vuoi?
TAR.
Non ho tabacco...
CON.
Vanne, Balestra aspetto;
Mi spiccio d'un affare, e poscia vengo subito.
Vanne, sarai contento.
TAR.
Eh sì, signor, non dubito.
(parte.)
SCENA QUARTA
Il CONTE solo, poi RISMA.
CON.
Ecco, spendere è forza, chi vuol cotesti onori,
Se non colla padrona, almen coi servitori.
E Balestra non viene.
Chi diamine sarà
Quella maschera donna?...
mi par...
si volta in là.
Affé, l'ho conosciuta; quella è la moglie mia.
Ha un uom che l'accompagna; non so chi diamin sia.
Ella si è travestita, ma la conosco all'aria.
Per qual motivo in giro la donna solitaria?
Vi sarà il suo mistero, vi sarà il suo perché.
Chi sa ch'ella non venga a ricercar di me?
È meglio da Madama andarmene a drittura,
Prima che mi assalisca con qualche seccatura.
(in atto di partire.)
RIS.
Signor, è domandato.
CON.
Da chi?
RIS.
Non so chi sia.
CON.
Rispondi a chi mi cerca, ch'io sono andato via.
RIS.
Ci giocherei la testa, che il povero signore
Si crede che lo cerchi un qualche creditore.
Ma se saputo avesse ch'era donna...
SCENA QUINTA
La CONTESSA e BALESTRA mascherati, e detto.
BAL.
E così
Non viene il signor Conte?
RIS.
Già un momento partì.
CONT.
(Oh! questo mi dispiace).
(da sé.)
BAL.
Sai dove andato sia?
RIS.
Nol so.
BAL.
Non vorrai dirlo.
RIS.
Nol so in parola mia.
BAL.
E pur qui m'aspettava.
CONT.
Che ci abbia egli veduti?
BAL.
Non crederei potesse averci conosciuti.
CONT.
Questo di mia sorella novissimo vestito
Credo anch'io conosciuto non sia da mio marito.
BAL.
Ed io son mascherato in guisa tal, che certo
Non mi conoscerebbe un uom di lui più esperto.
CONT.
Aspettiamolo dunque.
(si pone a sedere.)
BAL.
Dubito ben che irato
Mi sgridi, se con voi mi vede mascherato.
Ma a costo anche di perdere la grazia del padrone,
Mi sprona e mi consiglia per voi la compassione.
A tante inconvenienze, in verità, signora,
Rimedierei, potendo, con il mio sangue ancora.
CONT.
Caro Balestra mio, tu sei un uom da bene;
Ma dolce qualche volta sei più che non conviene.
I quattro sonatori trovar non si doveva;
E d'impegnar l'anello sospender si poteva.
BAL.
Lo so, ma nell'impegno sì caldo l'ho veduto,
Che esimermi di farlo davver non ho potuto.
CONT.
Basta, vediamo il Conte, sentiam che cosa dice.
Ricever io non voglio madama Doralice.
BAL.
Oh! signora padrona, veda il suo genitore.
CONT.
La vista di mio padre mi dà qualche timore.
Conosco il suo costume, egli mi sgriderà,
Veggendomi al caffè.
BAL.
Non vi conoscerà.
CONT.
Stiamo zitti.
BAL.
Non parlo.
CONT.
Certo vi son de' guai.
Mio padre in questi luoghi non suol vedersi mai.
SCENA SESTA
DON MAURIZIO, RISMA e detti.
MAU.
Vi è stato, ed è partito?
RIS.
Sì, signor.
MAU.
Tornerà?
RIS.
È facil ch'egli torni.
MAU.
Dunque l'aspetto qua.
(Risma parte.)
CONT.
(Cerca di mio marito).
(a Balestra.)
BAL.
(Qualcosa avrà saputo).
CONT.
(Qualche cosa io gli ho detto).
BAL.
(Per questo è qui venuto).
MAU.
(Quell'abito è simile a quello di mia figlia.
Giocherei ch'ella fosse, cotanto l'assomiglia.) (osserva il vestito della Contessa.)
(Lucrezia non sarà, di ciò non è capace.
Una fanciulla onesta troppo sarebbe audace.) (da sé.)
CONT.
(Molto attento mi guarda).
(a Balestra.)
BAL.
(Ch'ei conosca il vestito?)
CONT.
(Povera me! gli è vero).
(si copre col tabarro.)
BAL.
(Or siamo a mal partito).
MAU.
(Si copre? Dal mio sguardo nasconderlo procura?
Fosse Lucrezia? Oh cieli!)
CONT.
(Smania, mi fa paura).
MAU.
(Conoscerla vogl'io).
Maschera, umil perdono
Chiedovi, se m'avanzo.
Mi pare...
in dubbio sono
Se siate o se non siate tal che conoscer parmi.
CONT.
(Egli mi ha conosciuta; più non posso celarmi).
(da sé.)
MAU.
Maschera, un tal silenzio a scoprirvi mi appella.
Foste per avventura...
CONT.
Ah sì, signor, son quella.
(s'alza e si smaschera.)
MAU.
Voi?
CONT.
Sì, signor.
MAU.
Ma come intorno col vestito
Della germana?
CONT.
In traccia men vo di mio marito.
MAU.
Ah Contessa, il marito s'attende in propria casa;
Di rintracciarlo altrove chi mai vi ha persuasa?
Se mal con voi si regge, convien rimproverarlo
In guisa che non possa giustamente irritarlo.
Lagnarvi pretendete invan de' torti suoi,
In luogo ov'ei potrebbe lagnarsi anche di voi.
Figlia, per una dama, credetemi, non è
Opportuna dimora la stanza d'un caffè.
E se di mal condotta potrà intaccarvi il Conte,
Cambiar voi l'udirete i rimproveri e l'onte,
Tutto perdendo il merto di vostra sofferenza
Per un delitto solo di poca convenienza.
Non fate che vi acciechi furor geloso e rio.
Tornate al tetto vostro.
Questo è il consiglio mio.
CONT.
Signor, dall'amor vostro l'util consiglio accetto.
Ritornerò fra poco, ritornerò al mio tetto.
L'uso della città, che in pratica si vede,
Alle più oneste mogli la maschera concede.
Entrar negli onorati caffè qui non disdice.
Far scena collo sposo in pubblico non lice.
S'ei non mi ascolta in casa, lo cerco in altro sito.
MAU.
No, non è questo il luogo da parlare al marito.
CONT.
È ver, ma questa sera ei condurrammi in faccia
Madama a mio dispetto; e sarà ver ch'io taccia?
MAU.
Madama Doralice di voi parlò con stima.
CONT.
Se fingere sapesse, non sarebbe la prima.
Quel cor non conoscete.
MAU.
Io pur di lei sospetto;
Ma giova in ogni guisa accogliere il rispetto.
Poiché se in lei non spiega verso di voi l'amore,
Almen la soggezione dimostra ed il timore.
E allor che un cuor superbo umiliato si veda,
Politica l'accetta, ancor che non gli creda.
CONT.
Dunque voi mi volete esposta a sì gran prova?
E si farà il festino...
MAU.
Balestra ove si trova?
CONT.
Balestra eccolo qui.
MAU.
Balestra è il cavaliere?
CONT.
Sola non son che in maschera conduca il cameriere.
MAU.
E ben, signora maschera, la cosa come andò?
Trovaste i sonatori? (a Balestra.)
BAL.
Questa sera li avrò.
MAU.
L'opera in fatti è degna d'un peregrino ingegno:
Si ama il padrone a costo di metterlo in impegno,
E d'una prepotenza condotta con valore,
E della sua rovina Balestra avrà l'onore.
BAL.
Signor, chiedo perdono.
Fermati ho i sonatori
Senza oltraggiar nessuno.
Non vi saran rumori.
Un accidente ha fatto ch'eran disimpegnati;
Li ho avuti senza briga, e poco li ho pagati.
MAU.
Quand'è così, son pago.
Figlia, può tollerarsi
Che possa col festino il Conte soddisfarsi.
CONT.
Facciasi pur, nol niego, se divertirsi ei brama,
Ma tollerar non posso che vengavi Madama.
MAU.
Ella non vi sarà.
CONT.
Signor, se l'ha invitata...
MAU.
Meco di non venirvi Madama si è impegnata.
CONT.
Possibile?
MAU.
Lo dico; crederlo a me dovete.
CONT.
Madama vi deride, signor, voi lo vedrete.
MAU.
Sì facile non credo ch'ella cotanto ardisca.
CONT.
Stassera lo vedrete.
Voglia il ciel ch'io mentisca.
MAU.
No, no, ne son sicuro.
CONT.
Ma perché mai non viene?
MAU.
Vi basti che non venga; cercar più non conviene.
CONT.
Eppur non me ne fido.
MAU.
Figlia, la diffidenza
Che in donna è sì comune, mi muove ad impazienza.
Non vi verrà, vi dico; e s'ella vi venisse,
Son cavalier, lo giuro, farei che si pentisse.
Credete o non credete, su ciò garrir non soglio.
CONT.
Ascoltate, signore.
MAU.
Altro ascoltar non voglio.
(parte.)
SCENA SETTIMA
La CONTESSA e BALESTRA.
CONT.
Balestra, che Madama non venga, sarà vero?
BAL.
Se 'l dice don Maurizio, verissimo lo spero.
CONT.
Se così è, si balli; ch'ei si diverta è giusto.
Che nato sia fra loro qualche novel disgusto?
BAL.
Può darsi.
CONT.
S'è così, venir tu la vedrai.
Di questi lor disgusti ne hanno aggiustati assai.
Oh quante volte il Conte da lei fu strapazzato,
E sempre alla sua bella s'è poi raccomandato.
Capace è di pregarla, capace è il babbuino
Di porsi anche in ginocchio per averla al festino.
Sì, mi par di vederla sì, ci verrà l'audace.
Chi sa che ora non sia il Conte a far la pace?
Perdoni il padre mio, se ora non l'obbedisco.
A casa non ritorno, se pria non mi chirarisco.
BAL.
Vien gente.
CONT.
Mascheriamoci.
BAL.
Andiam, padrona mia.
CONT.
Il Conte ha da venire.
Per or non vado via.
BAL.
(Oh povero Balestra! Sono bene imbrogliato!) (da sé.)
CONT.
(Mio padre colle donne ha poco praticato).
(da sé.)
SCENA OTTAVA
La marchesa DOGLIATA, la baronessa OLIVA mascherate, servite da un uomo in maschera,
che non parla, e detti; poi Giovane del caffè.
Vanno a sedere ad un tavolino,
dirimpetto a quello ove sta la Contessa.
MAR.
Vede, signor Barone? si pratica così:
Il caffè si suol bere tre quattro volte al dì;
E par che quel di casa non piaccia, e non sia buono;
E piene le botteghe di gente ogni ora sono.
BA.
(S'inchina senza parlare.)
BAR.
(S'inchina e non risponde).
(alla Marchesa.)
MAR.
Niente niente italiano? (al Barone.)
BA.
(Inchinandosi fa cenno di no.)
MAR.
Che dite, Baronessa?
BAR.
Mi pare un bel baggiano.
Possiamo tralasciare di più complimentarlo.
MAR.
Possiam, quanto vogliamo, francamente mandarlo.
CONT.
(Le conosci?) (a Balestra.)
BAL.
(Mi pare).
CONT.
(La marchesa Dogliata,
La baronessa Oliva).
BAL.
(L'avea raffigurata).
(vien portato il caffè, le due si levano la maschera.)
CONT.
(Quella maschera uomo chi diamine sarà?)(a Balestra.)
BAL.
(Mi pare un forestiere, non lo so in verità).
BAR.
(Si smascheri, signore).
(al Barone.)
MAR.
(Io non gli parlo più).
(da sé.)
BAR.
Così, si levi il volto.
(gli leva la maschera.)
MAR.
(Oh che bel turlulù!) (bevono il caffè.)
BAR.
Stassera vuol venire con noi ad una festa? (al Barone.)
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Egli non sa far altro che dimenar la testa.
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Egli non sa far altro che dimenar la testa.
MAR.
Buono questo caffè? (al Barone.)
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Servitor umilissimo.
(burlandolo con una riverenza.)
Mi fa crepar di ridere.
(ridendo forte.)
MAR.
Vi assicuro è bellissimo.
(ridendo forte.)
BA.
(S'alza, prende la sua maschera, e parte.)
MAR.
Padrone.
BAR.
Riverito.
MAR.
Che grazia!
BAR.
Se n'è andato.
MAR.
Affé, se n'è avveduto che l'abbiamo burlato.
Se vedo mia cugina, vuò dirle in fede mia
Se ha più di tai foresti da darmi in compagnia.
BAR.
Fa cento mille inchini, e non sa dir parole.
MAR.
Da bravo ci ha piantate, e ci ha lasciate sole.
CONT.
(Ha fatto ben davvero; perch'ei non sa parlare,
Chi sa la civiltà, non l'ha da corbellare).
BAR.
A casa con chi andremo?
MAR.
La gondola è vicina.
BAR.
Bene: verrò con voi, mia cara Marchesina.
MAR.
Anche al festin poss'io servirvi, se vi aggrada.
BAR.
Sì, mi farete onore; già anch'io sto sulla strada.
MAR.
Vedrem questo bell'abito, che sfoggierà Madama.
BAR.
Secondo me, la sua superbiaccia si chiama.
MAR.
Quel caro suo marito mi par che abbia del matto.
BAR.
Eh, non mi fate dire.
Chi sa chi gliel'ha fatto?
MAR.
Certo che don Alessio non può far certe spese.
BAR.
Egli non ha d'entrata cento ducati al mese.
MAR.
Ed ella a tutta moda sempre ha le cose pronte.
BAR.
Per niente non coltiva l'amicizia del Conte.
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
MAR.
Non dite forte.
BAR.
Non san di chi si parli.
MAR.
Cento ducati al mese fa presto a consumarli.
BAR.
Per questo dalla gente si pensa e si ragiona,
E poi chiaro si vede, che del Conte è padrona.
Avete voi sentito, che al ballo ed alla cena
Condurrà la figliuola di donna Rosimena?
MAR.
E condurrà la madre e il suo don Peppe ancora.
BAR.
Madama è la padrona.
MAR.
Il Contino l'adora.
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
BAL.
(Non so che dire).
MAR.
E la consorte?
BAR.
Oh bella!
Conviene che stia zitta.
MAR.
Perché è una scioccarella.
CONT.
(Non posso più).
(a Balestra.)
BAL.
(Signora, andiam per carità).
CONT.
(Zitto, non inquietarmi.
Io voglio restar qua).
BAR.
Vedrete questa sera Madama esser padrona,
E la moglie in un canto.
CONT.
(No, non sarò sì buona.
Padrone altre non voglio in casa mia soffrire;
Non si farà la festa, se credo di morire).
(da sé.)
MAR.
Quella maschera chi è? (osservando di dentro.)
BAR.
Se il core il ver mi dice
Esser quella dovrebbe...
MAR.
Madama Doralice.
BAR.
Senz'altro.
Ha il suo vestito che aveva stamattina.
Per dirla in veneziano, in maschera fa mina.(3)
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
BAL.
(Qualche periglio la sorte ci minaccia).
CONT.
(Par che il demonio istesso me la conduca in faccia).
BAL.
(Andiamo via).
CONT.
(Sta cheto).
SCENA NONA
MADAMA DORALICE con una maschera, uomo, e detti.
MAD.
Amiche, oh ben trovate.
(alle dame.)
Già sono in compagnia; se andar volete, andate.
(alla sua Maschera, che parte.)
MAR.
(È ardita a questo segno).
BAR.
(Ammiro la franchezza).
CONT.
(Resistere non posso.
Il cuore mi si spezza).
(a Balestra.)
BAL.
(Andiamo via).
CONT.
(Sta cheto).
MAD.
(Eccola lì.
Il vestito
È quello che mi disse il Conte suo marito).
(osservando la Contessa.)
MAR.
Madama, che fortuna vi guida ora da noi?
MAD.
(Quella maschera chi è?) (Alla Marchesa, additando la Contessa.)
MAR.
(Non la conosco.
E voi?)
MAD.
(Né anch'io).
BAR.
(Prima di noi era colà seduta).
MAD.
(Ho piacer che non sia da loro conosciuta).
(da sé.)
MAR.
Chi è quel che vi ha lasciato? (a Madama.)
MAD.
È un dottor.
MAR.
Un dottore?
BAR.
L'avete licenziato?
MAD.
Lo mandai dal sartore.
BAR.
Vi servite di lui per galoppino.
MAD.
Appunto.
Servirmi e riservirmi a lui par un pan unto.
CONT.
(Così fa mio marito).
(da sé.)
MAR.
Questa sera al festino
Lo condurrete?
MAD.
No.
MAR.
Perché no, poverino?
MAD.
Non son sì temeraria condur gente in un loco,
Ove, se andar io posso, ancor non sarà poco.
Il Conte mi ha invitata; ma l'ora ormai s'appressa,
E a me giunto l'invito non è dalla Contessa.
Da ciò par ch'ella poco gradisca ch'io ci sia;
Andar non mel permette la convenienza mia.
Può darsi che tornando a casa mio marito,
Mi porti della dama il grazioso invito.
Allor tutta contenta andrò per ringraziarla,
Ma certo non v'andrei, se avessi a incomodarla.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Sto a sentire).
BAR.
Non venne il suo consorte
Ad invitarvi? (a Madama.)
MAD.
Il Conte non venne alle mie porte.
Dopo che mi fu detto un certo non so che,
Da me non fu veduto.
BAR.
È vero?
MAD.
Così è.
Della Contessa amica io sono, ed esser voglio.
Recare altrui spiacere non devesi, e non soglio:
A lei principalmente, che tanto stimo ed amo.
Anzi l'unica cosa che ardentemente io bramo,
È di giustificarmi, ed il momento attendo
Per renderle giustizia.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Io non l'intendo).
MAR.
Madama, voi parlate con un linguaggio nuovo.
Che il creda la Contessa, sì facile non trovo.
MAD.
Voi conoscete poco, signora, al parer mio,
Chi è la Contessa, e meno sapete chi son io.
Ella è una saggia dama, che ha virtuoso il cuore;
Io sono una che apprezza le massime d'onore.
In lei non si condanna l'amor che ha per lo sposo;
Fa torto all'onor mio, chi lo dipinge odioso.
Esempio è la Contessa di nobile costume;
Io venero ed apprezzo della mia fama il nume.
Chi lei, chi me tentasse schernir con lingua ardita,
Son dama, e son capace di dargli una mentita.
BAR.
Non vi scaldate, amica.
MAR.
Schernirvi io non pretendo.
MAD.
In ciò son delicata.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Io non l'intendo).
MAR.
A donna Rosimena non deste voi parola
Di condurla al festino unita alla figliuola?
MAD.
Allor che di servirla tempo a risponder presi,
Di pregar la Contessa per introdurla intesi.
BAR.
Se attender voi volete che la Contessa il dica,
In casa sua al festino andrete con fatica.
MAD.
Protesto che del ballo non spingemi il desio;
Ma s'ella lo gradisse, v'andrei per l'onor mio.
Il mondo scellerato di noi parla in tal guisa,
Che siamo ingiustamente l'una e l'altra derisa.
Di noi che si direbbe, se non foss'io invitata?
Di me non so, ma lei sarebbe criticata.
Chi mi conosce appieno, sa ch'io non son capace
Di rendermi molesta, di turbar l'altrui pace.
E la Contessa istessa, che la giustizia apprezza,
Che in seno ha per costume nutrir la gentilezza,
Che ha un'anima sì bella, un cuor sì onesto e saggio,
A me si pentirebbe d'aver fatto un oltraggio.
Volesse il ciel che a lei parlar mi fosse dato;
Vorrei che chi m'insulta, restasse svergognato.
Vorrei gettarmi al collo della Contessa mia:
Scaccia, le vorrei dire, l'ingiusta gelosia.
L'amato tuo consorte il ciel ti benedica.
Contessa, ti son serva, ti son verace amica.
MAR.
(Che vi par, Baronessa?) (alla Baronessa, piano)
BAR.
(Di più dir non si può).
MAD.
(Arrendersi dovrebbe).
(da sé, osservando la Contessa.)
CONT.
(Che deggio far?) (a Balestra.)
BAL.
(Nol so)
CONT.
(Andiamo).
(s'alza.)
BAL.
(Un tal discorso...)
CONT.
(Sieguimi, ho già risolto).
(parte.)
BAL.
(Per dir la verità, Madama ha detto molto).
(parte.)
SCENA DECIMA
Le suddette BARONESSA, MARCHESA, MADAMA.
MAR.
La maschera è partita.
BAR.
(Chi sa chi diavol sia?) (da sé.)
MAD.
(Che mai sperar io posso della invenzione mia?) (da sé.)
MAR.
Ora sarà che andiamo.
BAR.
Andiam, se lo bramate.
MAD.
Son sola; ancora un poco, care amiche, aspettate.
MAR.
Possiam restare ancora.
MAD.
Voi mi farete onore.
BAR.
Restiam, finché ritorni il povero dottore.
SCENA UNDICESIMA
BALESTRA smascherato, e dette.
BAL.
Madama, al vostro albergo io fui, né vi trovai;
Finora in più d'un loco in van vi rintracciai.
A caso al caffettiere chiesi se foste qui,
Egli con mio piacere mi ha risposto di sì.
Pregavi la padrona vogliate in cortesia
Favorirla al festino, o sola, o in compagnia.
MAD.
Ditele che gradisco il generoso invito:
Goderò le sue grazie, unita a mio marito;
E che, se mel permette, con donna Rosimena
E colla sua figliuola verrò al festino.
BAL.
E a cena.
MAD.
Fatele i miei divoti sinceri complimenti;
Avrà poi da me stessa i miei ringraziamenti.
BAL.
(Sarà servita.
Ancora non so s'io vegli o sogna;
Ma il Sospettar di tutto mi pare una vergogna).
(da sé, e parte.)
SCENA DODICESIMA
La MARCHESA, la BARONESSA, MADAMA.
MAD.
Amica, che ne dite?
BAR.
Con voi me ne consolo.
MAD.
(Questo sì che può dirsi della finezza un volo).
(da sé.)
MAR.
Oh, oh, guardate, amica.
BAR.
Che maschera da scena!
MAR.
Chi è quella?
BAR.
Non saprei.
MAD.
È donna Rosimena.
MAR.
Vecchia pazza!
BAR.
Tacete.
MAD.
Dirolle del festino.
BAR.
Chi è quel che l'accompagna?
MAR.
Il caro don Peppino.
SCENA TREDICESIMA
DONNA ROSIMENA con DON PEPE mascherati, e dette col giovine Caffettiere.
ROS.
Oh chi vedo! Madama! Oh Baronessa, addio.
Oh Marchesa, anche voi? Che bell'incontro è il mio?
MAD.
Per me posso ben dire che una fortuna è questa,
Per dirvi che senz'altro vi servirò alla festa.
ROS.
Anche don Peppe?
MAD.
Certo.
ROS.
Davver?
MAD.
Ve lo prometto.
ROS.
Don Peppe, noi faremo il nostro minuetto.
MAR.
(Sarà una bella cosa).
(alla Baronessa.)
BAR.
(
(Bellissima per certo).
PEP.
Madama, favorito son io senz'alcun merto.
MAD.
È gloria mia, signore, servire un cavaliero.
ROS.
Don Peppe è tanto buono! è tanto un uom sincero!
Vi ricordate voi quando in commedia han fatto
L'Uomo sincero? Egli era di don Peppe il ritratto.
BAR.
Sì, sì, me ne ricordo di quella commediaccia.
Vi è piaciuta?
ROS.
Sì certo.
BAR.
Davver, buon pro vi faccia.
ROS.
Mi piace tanto tanto sentir parlar latino;
Mi fa crepar di ridere quel bel don Pirolino.
MAD.
Ma qui si torna sempre al proposito antico.
Sempre, sempre commedie.
MAR.
Questo è quello ch'io dico.
Finiamola una volta.
BAR.
Andiam, che il tempo vola.
ROS.
Don Peppe, andiamo a casa a dirlo alla figliuola.
MAD.
Ecco il mio mascherotto.
(viene chi l'ha accompagnata.)
MAR.
Or siete accompagnata.
MAD.
Amiche, ci vedremo.
(Alfin l'ho superata.
Andrò alla festa, e androvvi con grazia e con decoro.
Un po' di buona testa affé val un tesoro).
(da sé, e parte con la sua Maschera.)
MAR.
Andiamo, Baronessa.
BAR.
Eccomi, con voi sono.
MAR.
A donna Rosimena domandiamo perdono.
(si inchinano.)
ROS.
Serva; ci rivedremo.
BAR.
Ci vedremo al festino.
ROS.
A principiar la festa verrò con don Peppino.
(Madama e la Contessa le ho fisse nel pensiero;
Che sian fra loro amiche, ancor non mi par vero.
(alla Marchesa, e parte.)
MAR.
(De' dubbi anch'io ne ho.
Ancora ho nella testa
Che senza qualche imbroglio non termini la festa).
ROS.
Andiamo, il mio don Peppe.
PEP.
Vi servo.
ROS.
Senza fallo.
Fra voi e me stassera vedranno Amore in ballo.
ATTO QUARTO
Notte
SCENA PRIMA
Camera in casa del conte, e lumi
Il CONTE e BALESTRA.
CON.
Ha dunque la Contessa, per quel che mi si dice,
Mandata ad invitare madama Doralice?
BAL.
Sì signore, ed io stesso l'invito le ho recato.
CON.
Questo per me è un prodigio, un caso inaspettato.
Come andò la faccenda? come cambiò il pensiero?
Chi mai l'ha consigliata? Dimmi, Balestra, il vero.
BAL.
Nol so, signor.
CON.
Veduta l'hai tu con don Maurizio?
BAL.
Sì signore.
CON.
Suo padre è un uomo di giudizio.
Ei l'avrà persuasa, con un civile invito,
Salvar le convenienze di lei, di suo marito.
BAL.
Tutto andrà ben, signore.
CON.
Finora io vissi in pene.
Denaro...
BAL.
Egli è finito.
CON.
Or va, che anderà bene.
BAL.
Ecco qui il vostro conto.
CON.
Tu pure mi dicesti,
Che con quattro zecchini i sonatori avesti.
BAL.
Ecco il conto, vi dico: quattro nei sonatori,
Sei nelle cose dolci, nei vini e nei liquori.
Dieci ne diedi a voi, dieci ne ha avuti il cuoco.
Ecco trenta zecchini, e per la cena è poco.
CON.
È poco certamente, il cuoco mi ha parlato:
Pochissimo salvatico finora ha comperato.
E questi bottegai vili, scortesi, avari,
Non vogliono dar nulla, se lor non do denari.
BAL.
Guardi che brutta usanza!
CON.
Balestra, che faremo?
L'anello?
BAL.
È già impegnato.
CON.
E ben, lo venderemo.
BAL.
Venderlo a precipizio, signor, non è ben fatto.
CON.
Trovami del denaro; ne voglio ad ogni patto.
BAL.
Trovami del denaro? mostratemi la strada.
CON.
Eccola.
Quell'anello a vendere si vada.
BAL.
Ma perché?
CON.
Non più ciarle.
Io vendere lo vuò.
BAL.
Per quanto?
CON.
Che si venda per quello che si può.
Allor ch'io lo comprai, costò zecchini ottanta.
Di venderlo procura almeno per sessanta.
BAL.
Ma a quest'ora?
CON.
A quest'ora.
BAL.
Può darsi che un avaro
S'incomodi a quest'ora, e contimi il denaro.
Ma lo vorrà per niente.
CON.
Si venda a precipizio.
BAL.
(Donne, festini e gioco fan perdere il giudizio).
(da sé, e parte.)
SCENA SECONDA
Il CONTE, poi la CONTESSA
CON.
Son nell'impegno, e siamo al fin del carnovale.
Col tempo e coll'entrate rimedierò a ogni male.
CONT.
Conte, mi permettete che io dicavi una cosa?
CON.
Ditela, cuor gentile, anima generosa.
So quel che avete fatto, amabile Contessa.
CONT.
Da chi vi è stato detto?
CON.
Da Doralice istessa.
CONT.
(Dunque si va da lei).
(da sé.)
CON.
Dite quel che bramate.
CONT.
Dove vel disse?
CON.
In casa.
CONT.
Dunque in sua casa andate.
CON.
V'andai per un affare...
V'andai per suo marito...
Per un'informazione...
ed anche per l'invito.
CONT.
Quattro ragioni unite che non stan bene insieme.
CON.
Ma che vorreste dire?
CONT.
Si vede che vi preme.
CON.
No davver, ve lo giuro...
CONT.
Basta per or si taccia.
Direi un'altra cosa, ma temo vi dispiaccia.
CON.
No, dite pur...
CONT.
Balestra...
con lui non vi sdegnate.
CON.
No, non mi sdegnerò; presto, via terminate.
CONT.
Mi ha detto dell'anello che avete...
CON.
(Disgraziato!) (da sé.)
CONT.
E dice che ora venderlo pensate.
CON.
(Scellerato!) (da sé.)
CONT.
In verità mi spiace di quella gioja...
CON.
(Indegno!) (da sé.)
CONT.
Serbarla, se volete, potrei...
CON.
(Ardo di sdegno).
(da sé.)
CONT.
Potrei qualche denaro somministrarvi anch'io.
Se dodici zecchini vi bastan...
(con la borsa in mano.)
CON.
Sì, amor mio.
CONT.
Compatite Balestra; lo fa per il decoro
Della famiglia nostra.
CON.
Val Balestra un tesoro.
CONT.
Gradite l'amor mio?
CON.
Sì, cuor pietoso umano.
Vado a supplir...
lasciate ch'io vi baci la mano.
(parte.)
SCENA TERZA
La CONTESSA, poi LESBINO.
CONT.
Egli la man mi bacia; ma non gli vedo il cuore.
Non so per interesse se 'l faccia, o per amore.
LES.
Vengono delle dame.
CONT.
Se son delle invitate,
Passin liberamente senza far imbasciate.
Quel che alla porta bada, la lista ha dell'invito;
Se nasce qualche impegno, s'avvisi mio marito.
LES.
Sì, signora.
(in atto di partire.)
CONT.
Ma senti: pian piano, e con bell'arte,
Quando Madama viene, avvisami in disparte.
LES.
Sarà servita.
(come sopra.)
CONT.
Ascolta.
Quand'ella viene, allora
Non lo dir al padrone, dillo a me.
LES.
Sì, signora.
CONT.
S'ella chiedesse il Conte, dille: la servo, e lesto
Viemmi a dare l'avviso senza dir nulla, e presto.
LES.
La servirò.
(come sopra.)
CONT.
Se mai, ascoltami, se mai (richiamandolo.)
Ti prevenisse il Conte, tanto e tanto verrai.
LES.
E s'egli non volesse...
CONT.
E tu lascialo dire.
Che il paggio da me venga, nessun lo può impedire.
Sento l'orchestra in moto.
Principiano la festa.
Gran cose questa sera mi passan per la testa.
LES.
La povera padrona ha nella fantasia
Impresso il brutto male che ha nome gelosia.
Mi pare una gran cosa.
Tre case ho già servito,
E mai di gelosia parlar non ho sentito.
Veduto ho dei mariti levarsi di buon'ora,
Senza veder in faccia nemmeno la Signora;
E qualchedun trovando su per le scale in fretta,
Dir con indifferenza: andate, che vi aspetta.
Veduto ho delle mogli che ridon del marito,
Se san ch'egli si lagni d'avere il cuor ferito.
E due, marito e moglie, da me serviti in prima,
Avevano l'un l'altro di lor cotanta stima,
Che per non abusare di troppa confidenza,
Scontrandosi per casa faceansi riverenza.
E se per accidente chiedean: dove si va?
Dicean: vo dove voglio con tutta civiltà.
Qui pur si fa lo stesso, ma vi è un divario solo,
altrove si sta in pace, e qui si vive in duolo.
Onde chi faccia peggio di lor non so decidere;
Ma so che questi e quelli il mondo fanno ridere.
SCENA QUARTA
MADAMA DORALICE, DON ALESSIO e detto.
MAD.
Andiam per questa parte, che tanto si va bene.
ALE.
Passiamo alla Contessa l'uffizio che conviene.
MAD.
Alla Contessa o al Conte la stessa cosa è questa.
Dimmi, dov'è il padrone? (a Lesbino.)
LES.
Ei sarà sulla festa.
MAD.
Il ballo è principiato?
LES.
Oh sì, signora.
MAD.
Che?
LES.
Mezz'ora è che si balla.
MAD.
(Ballan senza di me?) (da sé.)
ALE.
Possiamo andar innanzi.
MAD.
Chiamami il tuo padrone.
LES.
Sì signora.
MAD.
Non farti sentir dalle persone.
Puoi dirgli nell'orecchio che tosto ei venga qui.
LES.
(Avviso la padrona).
Vado, signora sì.
(parte.)
SCENA QUINTA
MADAMA e DON ALESSIO
ALE.
Perché dirglielo piano? Che cerimonia è questa?
MAD.
Faccio per non recare disturbi sulla festa.
ALE.
Bene.
MAD.
(Dell'aspettarmi così mantiene il patto?
Vuò che mi paghi il Conte l'affronto che mi ha fatto).
(da sé.)
ALE.
Ma dirlo alla Contessa mi par più convenienza.
MAD.
Il disturbar la dama sarebbe un'insolenza.
ALE.
Benissimo.
MAD.
(Per poco me n'anderei di qua
Se non si scusa il Conte, se non sa far...
chi sa?) (da sé.)
ALE.
Pericolo non vi è, che mormorin di noi?
MAD.
Apprender non ho d'uopo a vivere da voi.
ALE.
Non parlo più.
MAD.
(Non viene, s'accresce il mio dispetto).
(da sé.)
ALE.
Ecco qui la Contessa.
MAD.
(Oh paggio maledetto!) (da sé.)
SCENA SESTA
La CONTESSA e detti.
CONT.
Madama.
MAD.
Vi son serva.
ALE.
Con il rispetto mio...
CONT.
Perché non inoltrarvi?
ALE.
Glielo diceva anch'io.
MAD.
Tacete.
(a don Alessio.)
ALE.
Tacerò.
CONT.
Bisogno d'imbasciata
Non vi è per una dama che fu da me invitata.
ALE.
Sentite? (a Madama.)
MAD.
Don Alessio, tacete in cortesia.
Lasciatemi parlare, che l'incombenza è mia.
ALE.
Andrò, se il permettete, Contessa, in sulla festa.
(alla Contessa.)
MAD.
Andate, seccatore.
ALE.
Ma la gran bestia è questa! (parte.)
SCENA SETTIMA
La CONTESSA e MADAMA DORALICE.
CONT.
Madama, ad un marito tai scherni e tai parole?
MAD.
Ciascun, Contessa mia, l'intende come vuole.
CONT.
È ver; voi dite bene: entrarvi non degg'io,
Basta che dei mariti lascino stare il mio.
MAD.
Amica, io non intendo quello che dir vogliate.
CONT.
Possiamo sulla festa andar, se comandate.
MAD.
Spiegatevi, se avete di me qualche sospetto.
CONT.
No, Madama: che dite? troppo ho per voi rispetto.
Solo mi parve strano, che sendo mio l'invito,
Mandaste dell'arrivo l'avviso a mio marito.
MAD.
È ver, chiesi del Conte.
Per questo? Vi dirò...
La civiltà, Contessa, mi piace; e anch'io la so.
Incomodar la dama pareami inconveniente,
Immersa in complimenti in mezzo a tanta gente.
CONT.
Troppo gentil, Madama.
(con una riverenza.)
MAD.
E poi quell'imbasciata
Non io, ma don Alessio al paggio ha incaricata.
CONT.
Scusate se non venne il Conte al suo dovere.
Ei balla; e quando balla, vi ha tutto il suo piacere.
Ei lascia a peso mio cotai ricevimenti,
E mandami in sua vece a far suoi complimenti.
MAD.
Ei vi mandò a onorarmi?
CONT.
A me diè quest'onore.
(inchinandosi.)
MAD.
Possibile?
CONT.
Vi prego d'aggradir...
MAD.
Troppo onore.
(inchinandosi.)
(Manda la moglie il Conte; ei balla, e me non cura.
Ah! vorrei, se potessi, andarmene a drittura).
(da sé.)
CONT.
Andiam; sono a servirvi.
MAD.
Vi è molta gente?
CONT.
Molta.
MAD.
La sala sarà piena.
CONT.
Certo la sala è folta.
MAD.
Caldo grande?
CONT.
Eccessivo.
MAD.
Il caldo è il mio tormento.
CONT.
Due dame, per il caldo, caddero in svenimento.
MAD.
Dunque è meglio ch'io vada.
CONT.
Perché?
MAD.
Perché la festa
Non abbia a rovinarmi, scaldandomi la testa.
CONT.
Non crederei...
ma siamo soggette a cento mali,
Da che le convulsioni son rese universali.
MAD.
Voi ne patite?
CONT.
Assai; perciò fa il mio Contino
Per mio divertimento la cena ed il festino.
Tanto il pregai, che alfine fece per me l'invito,
In cui l'amor si vede spiccar di mio marito.
MAD.
Per voi la festa è fatta?
CONT.
Per me; sembravi strano,
Che sia colla sua sposa sposo gentile e umano?
Non usasi, egli è vero, che soglia far la corte
Con tai divertimenti lo sposo alla consorte;
Ma in casa mia per altri, lo giuro e lo protesto,
Farlo non ardirebbe un cavaliere onesto.
E chi è colei che avesse spirti sì vili e rei,
D'esser da lui servita in fin sugli occhi miei?
Tutte le dame, tutte, furo da me invitate,
Venute da me sola, qual foste voi, pregate.
E se scoprir potessi che fossevi un mistero,
Che alcuna mascherasse colla menzogna il vero,
Qual mi vedete umile, avrei spirito ardito
Per discacciarla ancora in faccia a mio marito.
MAD.
Par vi scaldiate meco; e intanto state qui,
E il Conte si diverte, né sapete con chi.
CONT.
Lascio ch'ei si diverta; a me non preme niente
Ch'ei tratti, ch'ei conversi, col cuore indifferente.
Sceglier lo vidi al ballo la vaga e la vezzosa;
In pubblico può farlo.
MAD.
(Son di lei più gelosa).
(da sé.)
CONT.
Andiamo, egli ci aspetta.
MAD.
Dite che mi perdoni.
CONT.
Perché venir negate?
MAD.
Ho le mie Convulsioni.
CONT.
(Maschera, ti conosco).
(da sé.)
MAD.
Voglio partir, Contessa.
Chiamisi don Alessio.
CONT.
Il Contino si appressa.
SCENA OTTAVA
Il CONTE e dette.
CON.
Qui Madama? Contessa, le fate compagnia?
V'attendono alla festa.
CONT.
Vuol Madama andar via.
CON.
Ma perché? Don Alessio, il mio gentile amico,
Balla, v'aspetta e cerca.
MAD.
Voglio partir, vi dico.
CON.
Eh via!
CONT.
Non so che dire, anch'io pregata l'ho;
Ma quando vuol partire, fermarla non si può.
CON.
La fermerò ben io.
Cara Madama...
CONT.
Cara?
CON.
Termine d'amicizia.
CONT.
Ogni dì più s'impara.
MAD.
Ma non c'è un uomo, un paggio, un diavolo vestito?
CON.
Che volete, Madama?
MAD.
Io voglio mio marito.
CONT.
Lasciate che si servi; quest'è il minor de' mali,
Prima che le si destino gli effetti matricali
CON.
Tacete.
(alla Contessa.)
MAD.
Troppo amore ha per me la Contessa.
CONT.
Volete don Alessio? lo chiamerò io stessa.
CON.
Non tocca a lei, signora.
CONT.
Supplisco al suo dovere.
Se vuol partir Madama, non si dee trattenere.
MAD.
(Or di restarci ho voglia).
(da sé.)
CON.
So da che il mal procede;
Che siete ognor più pazza in pratica si vede.
CONT.
Sì, lo sarò; ma intanto le mie pazzie raffreno;
Vi lascio colla bella in libertade appieno.
(parte.)
SCENA NONA
MADAMA DORALICE ed il CONTE
MAD.
L'udiste?
CON.
Non badate.
Sentite una parola...
MAD.
O venga don Alessio, o partirò io sola.
CON.
Se parte don Alessio, se voi tornate via,
Che mai di tale evento dirà la compagnia?
Se preme a voi l'onore, venir dovete al ballo,
Andarvene in tal guisa sarebbe il maggior fallo.
MAD.
Pensi, come l'intende, ciascuno a' casi suoi.
Apprender non ho d'uopo a vivere da voi.
CON.
Via, Madama.
MAD.
Son stanca.
(gli volta le spalle.)
CON.
Volgete a me quegli occhi.
MAD.
Non serve.
CON.
(Maledetta! vorrà ch'io m'inginocchi).
(da sé.)
Per questa sera sola deh siate sofferente.
Eccomi a' vostri piedi in atto riverente.
Vi supplico, vi prego pel mio, pel vostro onore;
Donate a chi vi serve quest'ultimo favore.
(in atto di prostrarsi.)
SCENA DECIMA
DON MAURIZIO e detti.
MAU.
Come! il genero a' piedi di femmina prostrato?
Qui, Madama? m'avete in tal guisa ingannato?
MAD.
Non v'ingannai, signore, qui non m'avrei portata,
Se la figliuola vostra non mi avesse invitata.
Al ballo ora m'invio.
Femmina vil si mostra
Colei che grazia nega ad uomo che si prostra.
(parte.)
MAU.
Son fuor di me; che intesi?
CON.
Avete il ver sentito.
Mia moglie, e figlia vostra, a lei mandò l'invito.
S'ora è pentita e freme, che farle io non saprei:
Non voglio comparire ridicolo per lei.
(parte.)
SCENA UNDICESIMA
DON MAURIZIO, poi la CONTESSA.
MAU.
Credere a chi degg'io? A lei dalla Contessa
Fu mandato l'invito.
Nol credo; ella s'appressa.
CONT.
Ah signor, riparate i miei scorni, i miei danni.
Per tutto ove mi volgo, non ritrovo che inganni.
MAU.
Ditemi, è ver che voi invitaste alla festa
Madama?
CONT.
È ver, signore, ma la ragione è questa...
MAU.
Non odo altre ragioni; così mi basta, e vedo
Che siete forsennata assai più che non credo.
Doletevi di voi, cagion d'ogni periglio;
Da me più non chiedete né aiuto, né consiglio.
CONT.
Signor...
MAU.
Più non ascolto gli stolidi lamenti
D'una che può sì tosto cambiar di sentimenti.
CONT.
Ah genitor pietoso, uditemi, vi prego:
Io fui che l'ho invitata, l'accordo, e non lo nego.
Ma dove mi vedeste quest'oggi nel caffè,
Con tal sincero affetto mostrò parlar di me;
Mostrò cotanta pena degli spiaceri miei,
Che d'ogni mio sospetto pentimmi, e le credei.
MAU.
Quel labbro v'ha ingannata; figlia, se così è,
Voi foste nell'udirla più debole di me.
CONT.
È ver.
MAU.
Qual nuovo avete motivo di lagnarvi?
CONT.
Mi sprezzano, m'insultano.
Oh Dio! non vuò annoiarvi.
MAU.
Povera figlia! andiamo.
CONT.
Dove, signore?
MAU.
Al ballo.
CONT.
Ah, non ho cuore.
MAU.
Il piede por non si deve in fallo.
Si termini il festino, consumisi la cena;
Frenate per poch'ore nell'animo la pena;
E questa cautamente agli occhi altrui celata,
Ridicola sfuggite di farvi alla brigata.
In tempo della festa, o in tempo del convito,
Io stesso di Madama ragionerò al marito.
Con lei più non favello, starò da lei lontano,
Scorgendo che con donna si getta il tempo invano.
Mi udirà il Conte vostro, saprà la mia intenzione
E al nuovo sol farassi miglior risoluzione.
Intanto la prudenza di regola vi sia.
Andiam, venite meco; andiam, figliuola mia.
(parte.)
CONT.
Vengo; pietoso il cielo conservi a me l'amore,
Se non del sposo ingrato, almen del genitore.
Oimè! mi dà conforto il genitor pietoso;
Ma quel che più mi preme, è il cuor del caro sposo.
(parte.)
ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Sala del festino illuminata
La CONTESSA, MADAMA, la MARCHESA, la BARONESSA, il CONTE, DON ALESSIO, DON MAURIZIO ed altre persone di vario sesso, sedendo e ballando.
(Aprendosi la sala del ballo, vedesi fare il minuetto la Marchesa con uno dell'invito.
Terminato questo la Marchesa va a prendere il Conte, e fanno il loro minuetto, dopo del quale il conte va a prendere in ballo Madama.
La Contessa, sdegnata che suo marito balli con Madama, s'alza e si ritira, mentre ballano.
Don Maurizio la segue.
Madama finisce il minuetto, l'orchestra si ferma, e vengono i rinfreschi.)
MAD.
La Contessa dov'è? (al Conte, sedendogli vicino.)
CON.
Non so.
Sarà partita.
MAD.
Perché ballaste meco, affé che se n'è ita.
CON.
Non crederei per questo.
MAD.
Con questi grilli suoi
Or ora mando al diavolo la festa, lei e voi.
CON.
Io che colpa ne ho? Non merto un tal strapazzo.
MAD.
Voi siete un insensato, uno stordito, un pazzo.
CON.
(S'alza sdegnato, e va a sedere dall'altra parte.)
MAD.
(Fa lo stesso, e siede presso d'un altro.)
BAR.
(Madama e la Contessa sono nemiche ancora).
(alla Marchesa.)
MAR.
(E saran sempre tali; non ve lo dissi allora?) (alla Baronessa.)
SCENA SECONDA
DON MAURIZIO e detti.
MAU.
Signor, con buona grazia, mi spiace incomodarvi.
(a don Alessio.)
ALE.
Che avete a comandarmi? (s'alza.)
MAU.
Bisogno ho di parlarvi.
ALE.
Eccomi.
(s'incammina.)
MAU.
Favorite nella vicina stanza.
MAD.
Dove andate? (a don Alessio.)
ALE.
Nol so.
(camminando.)
MAU.
Passate.
(a don Alessio, e partono.)
MAD.
Che creanza!
BAR.
(Certo vi è qualche imbroglio!) (alla Marchesa.)
MAR.
(Così pare anche a me).
BAR.
(Pagherei sei zecchini a sapere com'è).
MAD.
Dite.
(al Conte.)
CON.
Son qui.
(accostandosi.)
MAD.
(Badate che non vi sien schiamazzi).
CON.
(Rispondere non sanno i scimuniti, i pazzi).
(torna al suo posto.)
MAD.
(Bravo, signor Contino, gli prendo più concetto;
Ch'ei sia tre volte al giorno ben bene maledetto).
BAR.
(Per quello che si vede, vi è qualche gran rottura).
MAR.
(Un'amicizia simile lungamente non dura).
(fra di loro.)
BAR.
(Superba è come il diavolo).
MAR.
(Spezialmente stassera,
Perché ha il vestito nuovo, non ci ha guardate in cera).
BAR.
(Si vede ben che avvezza non è a portar vestiti).
MAR.
(Ne ho sette in guardarobe degli abiti guarniti).
BAR.
(Questo de' miei vestiti è forse dei più brutti).
MAR.
(Anch'io mi ho messo intorno il peggiore di tutti).
SCENA TERZA
DON MAURIZIO e detti.
MAU.
Genero, una parola.
(al Conte.)
CON.
Signor, sono con voi.
(s'alza.)
MAD.
Conte, Conte, sentite.
CON.
Verrò a servirla poi.
(parte con don Maurizio.)
MAD.
(Contro di me si macchina qualche altra impertinenza).
(da sé.)
MAR.
(Madama si fa brutta).
(alla Baronessa.)
BAR.
(Saprà la sua coscienza).
MAD.
(Voglio sentire anch'io.
Il passo non è ardito,
Se vuol veder la moglie che fan di suo marito).
(s'invia per andare da sé.)
SCENA QUARTA
La CONTESSA e dette.
CONT.
Dove si va, Madama? (arrestandola.)
MAD.
Di mio consorte in traccia.
CONT.
Lasciarlo anche un momento per or non vi dispiaccia.
MAD.
Io voglio andar dov'è.
CONT.
Padrona, non si può.
MAD.
Eh sì, che si potrà.
CONT.
Ed io dico di no.
MAD.
A me un affronto?
CONT.
Eh via, Madama, siate buona.
Di tutta questa casa voi siete la padrona.
Offendervi non credo se, per divertimento,
Vi prego don Alessio attendere un momento.
MAD.
Qui vi è qualche mistero.
CONT.
No, certamente, amica.
Quello che fan là dentro, volete ch'io vel dica?
D'accordo tutti tre dispongono la cena.
Oh! guardate chi viene.
Vien donna Rosimena.
Venite qua, sedete, che ballerem di nuovo.
(A finger m'insegnasti, e fingere mi provo).
(da sé.)
MAD.
(Attendo ancora un poco).
(siedono.)
BAR.
Ecco la vecchiarella.
MAR.
E vien colla figliuola.
BAR.
E con don Peppe.
Oh bella!
SCENA QUINTA
DONNA ROSIMENA, DONNA STELLINA, DON PEPPE e dette.
CONT.
(Va incontro a donna Rosimena.)
Oh donna Rosimena! Ecco la vostra sedia.
Sì tardi?
ROS.
Sono stata a veder la commedia.
CONT.
Come riesce?
ROS.
Non so.
STE.
Mi ha fatto tanto ridere.
PEP.
Or ora nel Ridotto si sentirà a decidere.
CONT.
È in versi?
PEP.
Sì signora; ma naturali e piani.
ROS.
Venuta è la diarrea de' versi martelliani.
CONT.
Un verso ch'era morto appena dopo nato,
Chi mai creduto avrebbe veder risuscitato?
STE.
Per me non me n'intendo; ma il verso mi consola.
ROS.
Donna Stellina intende.
E poi è mia figliuola.
MAR.
(Anch'io voglio sentire).
(s'alza e s'accosta agli altri.)
BAR.
(Voglio sentire anch'io).
(fa lo stesso.)
MAD.
Si parla di commedie? Vuò dire il parer mio.
(s'alza.)
Come riuscì il Festino?
ROS.
Don Peppe lo dirà.
PEP.
Che volete ch'io dica? doman si sentirà.
Per me non mi dispiace, perché ci trovo il vero;
La veritade è quella che appaga il mio pensiero.
CONT.
In fatti il grand'onore che si acquistò Moliere,
Fu perché con il vero studiava di piacere.
Dipingere i Francesi vedeano con diletto
In scena quel che spesso vedean nel loro tetto.
E stanchi d'ammirare l'ara, lo stilo, il nume,
Amavan di godere la critica e il costume.
Anche l'Italia nostra, se di variare è vaga,
Del vero, se lo trova, con più ragion s'appaga,
E questo è quel che puote durare in ogni età,
Quel che dà gusto a tutti, e sempre piacerà.
ROS.
Contessa, sono qui colla figliuola mia...
CONT.
Si destino in orchestra, si suoni in cortesia.
(scuotendola.)
Che si ripigli il ballo.
ROS.
Sì, cara Contessina.
CONT.
Un ballo con don Peppe farà donna Stellina.
ROS.
Balli con mia figliuola qualcun altro, se c'è.
Don Peppe, compatite, non balla che con me.
CONT.
Ballerà quel signore con lei, se non vi preme.
(accenna un Ballerino.)
ROS.
Sì, sì fan bel vedere due giovinotti insieme.
BAR.
(Che buona madre!) (alla Marchesa.)
MAR.
(Apposta la conduce all'invito).
BAR.
(Perché poi senza dote ritrovisi il marito).
(Tutti siedono.
Si ripiglia il ballo.
Donna Stellina balla col Ballerino.
Poi donna Rosimena invita don Peppe e fanno il minuetto.)
SCENA SESTA
Il CONTE e detti.
CON.
Basta così, per ora.
Sospendano, signori.
Vadasi a cena, e diasi riposo ai sonatori.
Dopo quel della cena brevissimo intervallo,
Si tornerà a riprendere, finché vi piace, il ballo.
CONT.
Le dame favoriscano d'andar, s'è loro in grado.
MAR.
Io non mi fo pregare.
(s'alza e parte.)
BAR.
Sì, Contessina, io vado.
(s'alza e parte.)
ROS.
Don Peppe, don Peppino, favorite la mano.
Il ballo mi ha stancata; servitemi pian piano.
PEP.
Andiam, come v'aggrada.
ROS.
Seguitemi, figliuola.
(a donna Stellina, alla quale il Ballerino porge la mano.)
Lasciatevi servire.
(Quel giovane consola) (parte con don Peppe.)
STE.
Signor, bene obbligata; se degnasi onorarmi,
La prego qualche volta venire a ritrovarmi.
(parte col Ballerino.)
SCENA SETTIMA
La CONTESSA, MADAMA, il CONTE.
CONT.
(Poca prudenza è questa di donna Rosimena,
Condurre una fanciulla al ballo ed alla cena).
MAD.
(L'ultima son di tutti, e nulla a me si dice?)
CON.
Non passa, non fa grazia madama Doralice?
MAD.
Non ceno mai, Contessa, e poi sturbar io dubito...
Don Alessio dov'è?
CONT.
Vado a chiamarlo subito.
(le fa una riverenza e parte.)
SCENA OTTAVA
MADAMA ed il CONTE.
MAD.
Prontissima in graziarmi! Che dice il signor Conte?
CON.
Dico che stanco sono di sofferir vostr'onte.
Non credo meritarmi che in mezzo ad un invito
I titoli mi diate di pazzo e scimunito.
MAD.
Oh oh, che cosa nuova! offeso ella si chiama?
L'ho detto cento volte.
CON.
Per grazia di Madama;
E l'ho potuto in pace soffrir da sola a solo;
Ma in pubblico non voglio.
MAD.
No da ver? Mi consolo.
CON.
Favorite alla cena.
MAD.
Eh no, voglio andar via,
Non voglio disturbarvi la dolce compagnia.
Dell'altre non si lagna la vostra cara sposa;
Trattar tutte vi lascia, di me solo è gelosa.
CON.
Madama, il tempo passa; si mormora di noi.
Venite, se vi aggrada.
MAD.
Signor no, andate voi.
CON.
Sarò costretto andarvi.
MAD.
Andate.
Niun ci sente;
Posso senza sdegnarvi parlar liberamente.
Posso fra voi e me seguir lo stile usato,
E dirvi un incivile, chiamarvi un malcreato.
CON.
Ed io risponder posso, con stil novello e franco,
Che di cotali ingiurie sono annoiato e stanco.
MAD.
Ah! ah! (ridendo.)
CON.
Ridete pure; ma altrove non si ride;
Di me, di voi, là dentro si parla e si decide.
Con me, con don Alessio parlato ha don Maurizio:
Preveggo di due case vicino il precipizio.
Onde fra noi, Madama, vi dico in confidenza
Essere necessaria un po' più di prudenza.
MAD.
Per me ci penso io.
Alfin sono una dama.
Voi lasciatemi in pace.
CON.
Vi servirò, Madama.
MAD.
Ah! non so chi mi tenga...
non faccia un criminale.
CON.
Moderate, signora...
MAD.
Sento che mi vien male.
CON.
Presto, presto, sedete.
(le dà una sedia.)
MAD.
Soccorretemi, Conte.
(gettandosi sulla sedia.)
CON.
(Quando voglion le donne, le convulsioni han pronte).
MAD.
Oimè! (s'abbandona.)
CON.
Ehi, chi è di là? (chiama.)
SCENA NONA
La CONTESSA, DON ALESSIO, DON MAURIZIO e detti.
CONT.
Madama è qui seduta?
ALE.
Che si fa? non si viene?
CON.
La misera è svenuta.
CONT.
Ella, signor Contino, fatta l'ha tramortire? (con ironia al Conte.)
ALE.
Io, io che so il suo male, la farò rinvenire.
Animo, signorina, si desti in cortesia.
MAD.
Cosa fu? dove sono? (rinviene.)
ALE.
Animo; andiamo via.
MAD.
Dove?
ALE.
A casa per ora, poi domani mattina
A prendere le poste.
MAD.
Quali poste?
ALE.
A Fusina(4).
MAU.
Giunse la trista nuova di don Alessio al cuore,
Esser vicino a morte in patria il genitore;
Egli è per ciò dolente, egli perciò destina
Partir velocemente.
ALE.
Partir doman mattina.
MAD.
(Ho capito il mistero).
Partiamo in sul momento
Or non mi si poteva recar maggior contento.
Contessa, se in mia casa il Conte ha frequentato,
Colà non potrà dire d'aversi rovinato.
S'io lo stimassi o no, svelare or non intendo;
Ma l'onor mio che apprezzo, difendere pretendo.
E se la mia condotta vi diè qualche tormento,
Protesto averlo fatto per mio divertimento.
Per me, di lui mi scordo con il più forte impegno;
Se torna in casa mia, lo reputo un indegno.
...
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