IL FESTINO, di Carlo Goldoni - pagina 4
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Andar quand'è infuriata? affé, non son sì pazzo.
Madama è una bestiaccia, e per poter soffrirla
Non trovo altro rimedio che quello di sfuggirla.
Ma si sa perché grida?
TAR.
Grida perché dal sarto
Di certa guarnizione si è errato nel comparto.
Mancano dieci braccia di pizzo, e questa sera
Dee andar ad un festino, e smania e si dispera.
ALE.
Ho inteso; del suo sdegno se la cagione è questa,
Sulle mie spalle avrebbe a cader la tempesta;
Ma dica quel che vuole, la cosa è disperata:
Tutti li ho spesi, e in erba ci mangiammo l'entrata.
Lo sai che per comprare un abito per lei,
Venduti ho l'altro giorno due de' vestiti miei;
E ieri, per il pizzo per far la guarnizione,
Speso ho il denar che a parte avea per la pigione.
Non posso più.
Trar sangue chi può da una muraglia?
Altro non ho da darle, se il naso non mi taglia.
TAR.
Eccola qui.
ALE.
Sto fresco.
Meglio è ch'io me ne vada.
Targa, Targa, fa presto, il cappello e la spada.
(Targa parte.)
SCENA SECONDA
MADAMA DORALICE e detto.
MAD.
Vi è nota, don Alessio, la bella bricconata?
ALE.
Di chi?
MAD.
La guarnizione il sarto ha rovinata.
Mancano dieci braccia, e me lo dice adesso.
ALE.
Ma come? la misura l'ha data il sarto istesso.
MAD.
È vero, egli l'ha data: è un stolido, è un briccone.
ALE.
Che n'abbia qualche pezzo trafugato il garzone?
MAD.
Potrebbe darsi ancora.
ALE.
Andiamo a misurarlo.
MAD.
Pensate se ora voglio dall'abito staccarlo!
Intorno vi lavorano tre donne, per far presto;
E della guarnizione s'ha da comprare il resto.
ALE.
(Buon, per bacco!) (da sé.)
MAD.
Che Targa sen vada in Merceria,
E compri i dieci bracci, e presto a me li dia.
ALE.
Si dice facilmente: si mandi dal mercante;
Ma il pizzo non l'avremo senza il denar contante.
MAD.
Spropositi! Il denaro so anch'io che vi vorrà.
ALE.
Ma ch'io ne sono senza vossignoria non sa.
MAD.
Ridicola sarebbe.
Non ha denar? Cospetto!
Che l'abito per poco mi restasse imperfetto!
Tra le maledizioni mancherebbe anche questa,
Per voi ch'io non potessi andarmene alla festa.
ALE.
Avete pur quell'altro nuovo, alla moda e bello.
MAD.
Il diavol che vi porti; vuò comparir con quello.
ALE.
Bene.
(Targa colla spada, il cappello e il bastone.)
MAD.
E voi, don Alessio, pensare ci dovete.
ALE.
Ci penserò.
(si mette la spada.)
MAD.
Ma quando?
ALE.
Ci penserò, il vedrete.
(prende il cappello e il bastone.)
MAD.
Ite a comprarlo voi?
ALE.
Vedrò.
MAD.
Che si vedrà?
Date il denaro a me.
ALE.
Denaro? Eccolo qua.
Vi do la borsa tutta, tale e quale com'è;
Due soldi pel tabacco non mi tengo per me.
Cara consorte mia, vi prego, compatite;
Non so quel che ci sia; ma il mio buon cuor gradite.
(parte.)
SCENA TERZA
MADAMA DORALICE e TARGA.
MAD.
La spesa non è molta; bastan zecchini sei.
Che ci fossero questi, almeno io crederei.
(apre la borsa.)
Come! Olà, don Alessio.
Chiamalo.
(a Targa.) Ha tanto ardire?
Darmi una borsa in cui non ci son dieci lire?
Così da me s'invola? Mi lascia nelle peste?
Dieci lire a una moglie? Non vuò nemmeno queste.
(getta la borsa, e coglie Targa che viene.)
TAR.
Signora...
MAD.
L'hai veduto?
TAR.
L'ho visto e l'ho sentito.
MAD.
Che cosa?
TAR.
Il borsellino che in petto m'ha colpito.
MAD.
Foss'egli una sassata, tristo briccon che sei.
TAR.
Son tutte sue finezze contro i meriti miei.
MAD.
Ma che farò?
TAR.
Signora...
MAD.
Che vuoi?
TAR.
Un'imbasciata.
MAD.
Di chi?
TAR.
Vi è il signor Conte.
MAD.
Digli ch'io son spogliata.
TAR.
Ma ch'è padron...
MAD.
No, dico: son spogliata, non senti?
TAR.
Ei di passar è solito senz'altri complimenti.
MAD.
Sono arrabbiata a segno, che al diavol manderei
Gli amici ed i serventi, e anco i parenti miei.
SCENA QUARTA
Il CONTE e detti.
CON.
Madama non è in casa?
MAD.
Ci sono e non ci sono.
Si aspetta la risposta.
CON.
Vi domando perdono.
So che mi concedeste finor libero accesso.
MAD.
Quel che si accorda un giorno, sempre non è concesso.
CON.
Siete sdegnata meco? qual novitade è questa?
MAD.
Lasciatemi, di grazia; ho altro per la testa.
(si volge arrabbiata dall'altra parte.)
CON.
Pazienza; questa sera a che ora comandate
Ch'io la gondola mandi?
MAD.
No, non v'incomodate.
CON.
Bene; ma vi sia noto, che principiar trattengo
La festa al vostro arrivo.
MAD.
Stassera io non ci vengo.
CON.
Ma perché mai, signora? Pensate in quale imbroglio
Sarei, se non veniste.
MAD.
Non posso; e poi non voglio.
CON.
L'ora è troppo avanzata.
Son le dame invitate;
Verranno per ballare.
Io che farò?
MAD.
Ballate.
CON.
Senza di voi?
MAD.
Che importa?
CON.
Madama, per pietà.
MAD.
Così la moglie vostra più contenta sarà.
CON.
Lasciam la moglie in pace coi pregiudizi suoi.
Vi è noto che il festino è ordinato per voi.
Per aver sonatori, usata ho la violenza;
Mi può qualche malanno costar la prepotenza.
MAD.
Sia come esser si voglia, Conte, vi torno a dire
Non vengo.
CON.
Non venite?...
MAD.
Se credo di morire.
CON.
Eccomi in un impegno.
Destino maledetto!
Il ballo ed il convito farassi a mio dispetto?
MAD.
Si farà dunque?
CON.
E come poss'io farne di meno?
MAD.
Io starò sola in casa a rodere il veleno.
CON.
Madama, per pietà, deh! venite da noi.
MAD.
Se ballano, se cenano, che bisogno han di voi?
CON.
Ma che direbbe il mondo, s'io non ci fossi?
MAD.
Andate;
Divertitevi bene, e più non mi annoiate.
CON.
Ma in carità, Madama...
MAD.
A me codesti torti?
CON.
Farò quel che volete.
MAD.
Il diavol che vi porti.
(parte.)
SCENA QUINTA
Il CONTE, poi TARGA.
CON.
Oh vita di chi serve miserabile e trista!
Ecco a servir le donne il premio che si acquista.
Ma che farò?
TAR.
Signore, ora ch'ella è partita,
Tutta vi narrerò la cosa com'è ita:
Son dieci braccia sole di guarnizion d'argento
Che fan della padrona l'affanno ed il tormento.
CON.
Non altro?
TAR.
Per comprarlo è ricorsa al marito,
Ed ei con uno scherzo s'ha sciolto, e se n'è ito.
Smania, delira e freme, e si è cacciata in testa
Che senza quel vestito non vuol ire alla festa.
CON.
Targa, se si potesse porvi rimedio! Quanto
Costa la guarnizione?
TAR.
Dieci zecchini.
CON.
Tanto?
TAR.
Si è vista e si è pesata; da battere non c'è.
(Ne voglio, se mi riesce, una porzion per me).
CON.
Ma come far? sai pure ch'ella i regali sdegna.
TAR.
Quando una cosa preme, chi ha giudizio s'ingegna.
CON.
Non posso col marito pigliar tal confidenza.
TAR.
Troverò io il rimedio, se mi date licenza.
CON.
Ma come?
TAR.
Stanno in dubbio che il sarto abbia rubato;
Dirò che fu l'argento dal sarto ritrovato.
Con lui s'andrà d'accordo, e la maniera è questa
Di far che abbia il vestito, e veggasi alla festa.
CON.
Facciasi pur.
(Dieci zecchini!) (da sé.) Andiamo.
Dieci braccia d'argento.
TAR.
Signor, sollecitiamo.
CON.
Averete la mostra.
TAR.
L'argento so com'è:
Contatemi i zecchini, fidatevi di me.
CON.
Andiamo da Balestra, ei tiene il mio denaro.
(L'impegno in cui mi trovo, mi costa troppo caro).
(da sé; e partono.)
SCENA SESTA
MADAMA DORALICE, poi STANGA servitore.
MAD.
Senza di me la festa? senza di me, per cui
Dice di farla il Conte, si ballerà da lui?
Dirà, se non mi vede, la critica brigata,
O ch'io non so ballare, o che non mi ha invitata.
Ma l'uno e l'altro è poco; diran: non è venuta,
Forse perché non l'ha la Contessa voluta.
E il Conte che mi teme almen, se non mi ama,
Ardisce a un tale insulto esponere una dama?
In casa mia finito ha di venir l'audace...
Ma si farà la festa; questo è quel che mi spiace.
Per far che non seguisse, lo giuro, pagherei
Tutte le gioje ancora, non che i vestiti miei.
Chi sa? farò di tutto per ritrovar maniera...
Può darsi che mi riesca qualcosa innanzi sera.
Stassera tu non balli, Conte, te lo prometto,
A costo anche di farti precipitare il tetto.
STA.
Signora, c'è il padrone?
MAD.
Fuori di casa è andato.
Per qual ragion ne chiedi?
STA.
Egli era domandato.
MAD.
Da chi?
STA.
Da don Maurizio.
MAD.
Digli ch'egli è sortito.
Ma...
aspetta.
(Che mai puote voler da mio marito?
Son curiosa).
(da sé.) Va, digli che ci son io, che onore
Mi farà s'egli passa, ch'io l'avrò per favore.
(Stanga va via.)
Chi sa ch'egli non tenti, spronato dalla figlia,
La pace per vendetta turbar di mia famiglia?
Se accorgermi potessi ch'ei ciò tentasse, il giuro...
Ma in tempo egli è venuto che il Conte più non curo;
E posso cautamente con lui giustificarmi,
Merto acquistando, allora ch'io penso a vendicarmi.
SCENA SETTIMA
DON MAURIZIO, STANGA e la suddetta.
MAU.
Madama.
(inchinandosi.)
MAD.
O mio signore, qual onore è mai questo?
Presto una sedia.
MAU.
Io sono...
MAD.
Un'altra sedia, presto.
(Stanga dà la sedia, e parte.)
Favorite.
(lo vuol far sedere alla dritta.)
MAU.
Madama, così non si sta bene.
MAD.
No, signor, favorite.
So quel che mi conviene.
(siedono.)
Sortito è don Alessio ma se comandi avete,
Senza riguardo alcuno esporli a me potete.
Comuni son gli arcani, comuni son le voglie
In questa casa nostra fra il marito e la moglie.
MAU.
Invidiabil fortuna! felice matrimonio
Dove della discordia non penetra il demonio!
Volesse il ciel, che tale fosse quel di mia figlia;
Ma il Conte è giovinotto, non pensa alla famiglia.
MAD.
Il Conte, per dir vero, non ha molto giudizio;
Se libera favello, perdoni don Maurizio.
Egli è genero vostro, ma d'esserlo non mostra;
Ha una consorte degna, onor dell'età nostra.
Fa torto ad ambidue la vita ch'egli mena.
Ecco qui: questa sera dà un ballo ed una cena!
Non dico ch'ei non possa spender cento zecchini,
Ma mormoran di lui gli amici ed i vicini;
E dicono (io non soglio entrar ne' fatti altrui),
Dicono ch'ei rovina la casa e i beni sui.
MAU.
Madama, una tal frase mi giunge inaspettata.
Al ballo ed alla cena voi pur siete invitata;
E so...
MAD.
Mi maraviglio: non vado alla sua festa;
Chi avesse un tal pensiero, sel levi dalla testa.
Lo so che il mondo parla di me senza rispetto;
Il Conte non vedrete venir più nel mio tetto.
Finor, se lo trattai, lo feci in mezzo a tanti
Che vengono a graziarmi, amici e non amanti.
Appena me ne accorsi ch'egli era il più osservato,
Signore, immantinente gli diedi il suo commiato.
Non son di senno priva, non vuò fra le mie soglie
Un uom che per me faccia temer la propria moglie.
Vi prego alla Contessa parlar per parte mia.
Ella mi fa gran torto, di me se ha gelosia.
Però la compatisco, e voglio esserle amica,
E vuò che il mondo insano lo sappia, e si disdica.
Pur troppo il mondo è pieno d'inganni e di malizia;
Ma cavalier voi siete, mi farete giustizia.
MAU.
(Le credo, o non le credo?) (da sé.) Madama, io non saprei...
Dell'espressioni vostre temer non ardirei.
Solo dirò che lodo il vostro pensamento
Di non andar stassera a un tal divertimento.
MAD.
Non vi anderei, lo giuro, nemmen per un milione.
Oltre quel che vi dissi, evvi un'altra ragione.
Il Conte, non so dire per qual novella ardenza,
Rapiti ha i sonatori altrui con prepotenza;
Schernite ed affrontate due case a questo segno,
Vorranno vendicarsi, a costo d'un impegno.
E certo del festino vedrassi in sul più bello
Da gente puntigliosa produr qualche flagello.
Per me non mi vedranno entrar in quelle porte;
Ma spiacemi soltanto, davver, per sua consorte.
MAU.
Madama, voi mi dite cosa che mi sorprende.
MAD.
Il Conte, quand'è acceso, non vede e non intende.
Signor, in quella casa vedrassi una tragedia,
Se il vostro buon consiglio a tempo non rimedia.
MAU.
Farò...
ma che far posso?
MAD.
Cercate di Balestra.
Egli vi saprà dire l'istoria dell'orchestra.
Scoperti i sonatori, saputo il loro nome,
Di metterli in dovere non mancheravvi il come.
MAU.
Questo si potrà fare.
MAD.
Ma se per l'attentato
Gli offesi una vendetta avesser preparato,
Tardo sarebbe e vano un tal provvedimento.
Compatite, signore, dirò il mio sentimento.
Il differir la festa, il differir la cena,
La povera Contessa esime da ogni pena.
Mancan dell'ore tante all'ora del convito,
Si può colle imbasciate distruggere l'invito.
S'io fossi in caso tale, sull'onor mio v'accerto,
Vorrei cercar la strada di mettermi al coperto.
Ma voi prudente siete; in simile periglio
Bisogno non avete di norma e di consiglio.
MAU.
(Stupisco sempre più.
Strano mi par tal zelo).
(da sé.)
MAD.
(Se il suocero mi crede, mi vendico e mi celo).
(da sé.)
MAU.
Madama, inutilmente da voi non son venuto,
Se di consigli e lumi mi avete provveduto.
Partirò per non darvi più lungamente un tedio.
(s'alza.)
MAD.
Ponete al precipizio sollecito il rimedio.
Vada il festino a monte, e al genero s'insegni
Dal suocero prudente sfuggir cotali impegni.
MAU.
Madama, vi ringrazio.
MAD.
Di che?
MAU.
Perdon vi chiedo.
(inchinandosi.)
MAD.
(Il vecchio l'ha bevuta).
MAU.
(A lei tutto non credo).
(da sé, e parte.)
SCENA OTTAVA
MADAMA DORALICE, poi TARGA.
MAD.
Se ama la figlia, e se ama il genero davvero,
Ha da impedir la festa.
L'impedirà, lo spero.
La rabbia mi divora, l'invidia mi tormenta;
Ed altro non vi vuole per rendermi contenta.
TAR.
Signora.
MAD.
E tu, che vuoi?
TAR.
Un'imbasciata.
MAD.
Evviva.
TAR.
La marchesa Dogliata, la baronessa Oliva.
MAD.
Padrone.
TAR.
Ho poi da darle una novella buona.
MAD.
Di che?
TAR.
Sarà contenta oggi la mia padrona.
MAD.
Perché?
TAR.
Perché il sartore l'argento ha ritrovato,
E l'abito stassera l'avremo terminato.
MAD.
Come? Che dici?
TAR.
Il sarto trovò la guarnizione,
L'aveva trafugata un discolo garzone.
Con quattro bastonate l'indegno ha discacciato.
MAD.
E l'abito?
TAR.
Stassera è bello e terminato.
MAD.
Povera me!
TAR.
Signora, dovrebbe in lei rivivere
La gioia, l'allegria.
MAD.
Povera me! Da scrivere.
TAR.
Ma le dame?
MAD.
Le dame...
non so che far.
TAR.
Signora,
Dopo che hanno aspettato...
MAD.
Vengano in lor malora.
(Targa parte.)
SCENA NONA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Affé, l'ho fatta bella.
L'abito è ormai finito;
Ed io il povero Conte ho messo a mal partito.
Ma in ogni guisa ei merta l'ira e lo sdegno mio;
La festa si faceva senza che vi foss'io.
Ma non potea, per dirla, sottrarsi dall'impegno.
Troppo presto m'accendo! Maledetto il mio sdegno!
Se il suocero impedisce che facciasi il festino?
Bene, sarà cogli altri comune il mio destino.
Ma se la festa segue, grazie alla sorte amica,
Ch'io sia delle scartate non voglio che si dica.
Che dirà don Maurizio, se vedemi al convito?
Dirò che mi ha costretta andarvi mio marito.
Il Conte che dirà, se il suocero gli parla?
Col Conte in due parole m'impegno d'aggiustarla.
Gli scriverò un viglietto, l'avviserò di tutto;
Dirò che d'altra parte il suocero fu instrutto.
Dica quel che sa dire, son pronta all'occasione,
E a forza di gridare io voglio aver ragione.
SCENA DECIMA
La marchesa DOGLIATA, la baronessa OLIVA, la suddetta, poi STANGA.
BAR.
Madama, vi son serva.
MAR.
Madama, riverente.
MAD.
M'inchino a queste dame divotissimamente.
(Stanga porta da sedere, e parte.)
BAR.
Siamo da voi venute, Madama gentilissima,
Bramando una notizia, che certo è importantissima.
MAR.
Un consiglio da voi avere si desidera.
MAD.
Mi onora chi di darlo capace mi considera.
BAR.
Saprete che una festa si fa dal Conte...
e poi,
Che occorre dir saprete, s'egli la fa per voi?
MAD.
Non merto questi onori, ma pur la sua bontà...
MAR.
Non dite d'avvantaggio, il resto già si sa...
MAD.
Amica, andiam bel bello.
Se voi vi supponete...
MAR.
Non vi pensate, amica...
BAR.
Eh via, si sa chi siete.
MAD.
Orsù, parliamo d'altro, che avete a comandarmi?
MAR.
Son qui da voi venuta, Madama, ad informarmi
Di cosa che, per dirla, mi pare interessante;
Se devesi stassera venir col guardinfante.
MAD.
Io credo che si possa andar come si vuole.
BAR.
Andar tutte uniformi è meglio, se si puole.
MAR.
Io so che in qualche festa si sta in osservazione,
Che non ci sia negli abiti veruna distinzione.
MAD.
La festa che fa il Conte, è cosa assai privata,
Ciascuna può ballare e vestita e spogliata.
BAR.
Voi come andate? (a Madama.)
MAD.
Ancora non ci ho pensato su.
MAR.
Coll'abito di stoffa?
MAD.
Oh, non lo porto più.
MAR.
Vi mettete quel rosso?
MAD.
Non credo.
BAR.
Il giallo?
MAD.
Oibò!
MAR.
Ora capisco: un nuovo.
BAR.
Dite davver?
MAD.
Non so.
BAR.
Brava, brava, un vestito novissimo.
L'ho a caro.
MAR.
Ma! così fa chi può.
BAR.
Lo fa chi ha del denaro.
MAD.
Cosa di poca spesa.
Non è di soggezione.
BAR.
Di broccato?
MAD.
Oh pensate! Un po' di guarnizione.
MAR.
D'oro, o d'argento?
MAD.
Argento.
BAR.
Le mostre, o tutto il resto?
MAD.
Vi dirò, Baronessa, son delicata in questo.
Non voglio che le genti mi dicano a un invito:
Guardate quella voglia di abito guarnito.
MAR.
Se lo dico, mi aspetto vedere un abitone.
MAD.
Sarà quel che sarà.
BAR.
Ma dite, col cerchione?
MAD.
Cerchio grande.
MAR.
Vedete? e noi porre in periglio
Vorreste di una critica col facile consiglio.
BAR.
Noi pur col guardinfante ci avremo da vestire.
MAR.
Non ho vestiti nuovi, ma posso comparire.
SCENA UNDICESIMA
TARGA e dette.
TAR.
Vien donna Rosimena.
MAR.
Oh bella!
BAR.
Oh la vecchiona!
MAD.
È sola?
TAR.
È con don Peppe.
BAR.
Passi pure, è padrona.
(Targa parte.)
MAR.
Oh, questa si può dire ch'è donna fortunata!
Ha settant'anni, e è ancora servita e corteggiata.
MAD.
Questo, per dire il vero, è un caso inusitato,
Che s'abbia per tant'anni l'amico conservato.
MAR.
Tarda molto a venire.
BAR.
Sentitela, che sale.
MAD.
Povera vecchierella! le pesano le scale.
BAR.
Eccola.
Com'è brutta!
MAR.
Vi par poco lisciata?
MAD.
Non siam di carnevale? La vecchia è mascherata.
SCENA DODICESIMA
DONNA ROSIMENA, DON PEPPE e detti.
TARGA mette le sedie.
ROS.
Madama, vi son serva.
Marchesa, Baronessa.
BAR.
MAR.
Serva.
MAD.
Serva divota.
PEP.
M'inchino.
MAR.
(È ognor la stessa).
(da sé.)
MAD.
Si servano, di grazia, si servano, signore.
Oh donna Rosimena, che vuol dir quest'onore?
ROS.
Scusatemi, Madama, s'io vengo a incomodarvi;
D'una finezza, amica, son venuta a pregarvi.
Io so che questa sera il Conte dà una festa,
So che sarà composta di gente tutta onesta;
So quanto voi potete, dicendo una parola;
Vorrei col vostro mezzo condur la mia figliuola.
MAD.
Ben volentier, signora.
BAR.
Ma le fanciulle oneste
Pare non sia ben fatto condurle sulle feste.
ROS.
Che cara Baronessa! correggere mi vuole.
È peggio le ragazze lasciarle in casa sole.
MAR.
Le madri che han giudizio...
ROS.
So che volete dirmi;
Ma vecchia ancor non sono, e voglio divertirmi.
MAD.
Dunque voi pur, signora...
ROS.
Sì sa, vengo ancor io.
E meco mi lusingo verrà don Peppe mio.
PEP.
Se mi sarà permesso.
MAD.
Non so, perché ristretto
È il luogo della festa; di ciò non mi prometto.
ROS.
Madama Doralice, parlo col cuore aperto,
Quando non vien don Peppe, anch'io non vengo certo.
MAR.
Sì, donna Rosimena, vi lodo in verità;
Un po' di cicisbeo fa bene in quella età.
ROS.
Don Peppe onestamente mi serve e mi ha servito,
E gli voleva bene ancora mio marito.
MAR.
Vostro marito in fatti era buon uomo assai.
ROS.
Che tu sia benedetto! Non mi gridava mai.
MAD.
Voi mi permetterete, che pria ne parli al Conte.
ROS.
Mi piacciono, Madama, le femmine più pronte.
Dite di sì a drittura; il Conte non disdice,
Allora che comanda madama Doralice.
Anch'io, quando una grazia voluta ho da don Peppe,
A donna Rosimena negarla egli non seppe.
Chiedetegli, s'è vero.
Don Peppe eccolo qui;
Non ha mai detto un no, quando gli ho chiesto un sì.
PEP.
A una discreta dama negar non si dee nulla.
ROS.
Basta dir che mi amava ancor da fanciulla.
MAD.
Amica, compatite; non prendo alcun impegno.
Vi darò la risposta.
ROS.
Ma presto.
MAD.
Sì, m'impegno.
ROS.
E dove?
MAD.
Questa sera, innanzi, dove andate?
ROS.
Dove andiamo, don Peppe?
PEP.
Dove voi comandate.
MAD.
Datemi il luogo certo.
ROS.
Se una chiave si trova,
Andremo questa sera alla commedia nuova.
MAD.
Forse anch'io v'anderò.
ROS.
Bene, ci troveremo.
MAD.
Ci troveremo tutti.
BAR.
Noi altre non ci andremo.
MAD.
Perché?
BAR.
Perché mai più vogliam commedie nuove,
Se prima non si sentono dell'esito le nuove.
MAD.
Io poi la prima sera, sia buona o sia cattiva,
Per dubbio che mi spiaccia, non voglio esserne priva.
MAR.
A tante commediaccie avrete avuto gusto.
MAD.
Ho ben colla Persiana compensato il disgusto.
MAR.
Ecco qui: la Persiana sempre si mette in campo,
Eppur la sua bellezza sparisce come un lampo.
È buona, se vogliamo, diletta, e non attedia;
Ma in verità, Madama, non si può dir commedia.
BAR.
Cogli abiti, col verso, col merto degli attori,
Con qualche novità l'autor la porta fuori.
MAD.
Eppure è un'opra tale, che trentaquattro sere
Ha sempre fatto gente, e a tutti diè piacere.
MAR.
A tutti? Se sentiste quel che ne dicon tanti!
Vi è chi l'ha esaminata ben ben da tutti i canti;
E vi ha trovato dentro di molte improprietà.
BAR.
Dicon che nei caratteri non ci sia verità.
ROS.
Oh, qui poi perdonate: di questo me n'appello.
Carattere può darsi di Curcuma(1) più bello?
Veder una vecchiaccia che fa da giovinetta,
È cosa veramente che piace e che diletta,
Vederla disperata per causa dell'eunuco,
È cosa che da ridere farebbe ad un sambuco.
E quando della schiava in vece si offeriva,
Guardando un po' don Peppe! da rider mi veniva
BAR.
Appunto con tal donna l'autor preso ha dei sbagli.
Son savie, son matrone le vecchie dei serragli.
Meglio doveva gli usi esaminar dei popoli.
Vi sono dei serragli anche in Costantinopoli.
MAD.
L'autor di quei di Persia dipinto ha il ver costume.
Dai viaggiatori ha preso norma, consiglio e lume:
E accordano i migliori, che sono tai custodi
Esperte nell'inganno, maestre delle frodi.
MAR.
E quando quella vecchia discorre del caffè,
E fa da semplicista senza saper perché?
MAD.
Lo fa, perché ad Alì vuol dar trattenimento.
L'autor ve l'ha innestato per suo divertimento.
È ver che si poteva ancora farne senza;
Ma prendersi un poeta può ben questa licenza.
PEP.
E poi lo fa la vecchia, perché è una linguacciuta,
Che entrar volendo in grazia, per ogni via s'aiuta:
Che parla d'una cosa che a lei non disconviene.
ROS.
Oh caro quel don Peppe! oh come parla bene!
BAR.
Condannano poi molto di Fatima l'amore.
Dicono che non puossi accendere in poche ore.
E dicon che sia falsa l'ipotesi galante,
Che fosse innamorata pria di veder l'amante.
MAD.
Chi parla in guisa tale, mostra che le sia oscura
La condizion di donna chiusa fra quattro mura.
L'unico ben di donna in Oriente è lo sposo,
E tanto di ottenerlo è il di lei cuore ansioso,
Che quando l'europea principia a essere amante.
L'amor nell'orientale divenuto è gigante.
ROS.
Viva Madama, e viva.
MAR.
E poi, che donna strana,
Che donna indiavolata è mai la schiava Ircana?
MAD.
Amica, a piacer vostro tutt'altro criticate;
Ma Ircana io la proteggo, e non me la toccate.
MAR.
Non parlo dell'attrice, favello con modestia;
Mi piace di vederla smaniar come una bestia;
Del carattere suo sol favellare intendo.
MAD.
Ircana, la sua parte, il suo smaniar difendo.
Finor son stata cheta, or mi si scalda il sangue:
Se mi toccate Ircana, io fremo come un angue.
Io trovo il suo carattere bellissimo, perfetto.
Mille volte al poeta io dissi: oh benedetto!(2)
BAR.
Credetemi, Madama, che vi è da dire assai.
MAD.
L'ho caro.
(s'alza.)
BAR.
Ma sentite.
MAD.
Orsù, ho sentito assai.
Restate, se volete, io vi domando scusa;
So che piantar le visite la civiltà non usa,
Ma un affar di premura m'obbliga un sol momento
Passar, se il permettete, nell'altro appartamento.
Tre dame che son piene di tanta discrezione,
Spero che mi daranno benigna permissione.
MAR.
Io vi levo l'incomodo.
MAR.
Faccio lo stesso anch'io.
ROS.
Attenderò l'avviso, Madama, al palco mio.
Ricordatevi bene parlar per tutti tre:
Per la figliuola mia, pel mio don Peppe e me.
(parte, inchinandosi, con don Peppe.)
MAR.
Madama, compatite.
(inchinandosi.)
MAD.
Giust'è che a voi domande...
BAR.
Dunque vi metterete stassera il cerchio grande.
MAD.
Può darsi.
BAR.
V'ho capito, già me lo metto anch'io.
Riverisco Madama.
MAR.
Serva, Madama.
BAR.
Addio.
(Madama s'inchina, e le accompagna alla porta.)
SCENA TREDICESIMA
MADAMA DORALICE sola.
MAD.
Perduto ho più di un'ora con queste vanarelle.
Perché io sarò col cerchio, lo vogliono ancor elle.
Si rodon dalla rabbia, perché ho il vestito nuovo;
Ma quando viene il sarto? Ma quando me lo provo?
E il Conte che lasciommi ripiena di dispetto,
Perché non lo consolo almen con un viglietto?
Farlo volea; ma il diavolo mandò più d'un imbroglio.
Ora con quattro versi formo un tenero foglio.
Farò che a me ne venga, l'informerò del tutto;
Non voglio più vederlo per amor mio distrutto.
Un misto di finezze, un misto di strapazzi,
Mantiene a noi soggetti tanti poveri pazzi.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Stanza inserviente ad una bottega di caffè, con vari tavolini e sedie.
RISMA, garzone della bottega del caffè, con altri garzoni che ripuliscono i tavolini e le sedie;
poi il CONTE di Belpoggio.
CON.
Risma.
RIS.
Signor.
CON.
Balestra s'è qui veduto ancora?
RIS.
Non signor.
CON.
Ci doveva essere a ventun'ora.
Credo le ventidue saran poco lontane.
Voglio essere obbedito da chi mangia il mio pane.
RIS.
Signor, vorrei pregarla...
CON.
Di che?
RIS.
So che una festa
Fa ella questa sera, se la domanda è onesta,
Desidero...
CON.
Che cosa?
RIS.
Servirla dei rinfreschi.
CON.
L'impegno è grande; io temo che poi non ci rieschi.
RIS.
Signor, di me le genti son meglio persuase;
Io soglio di Venezia servir le prime case.
Vengono alla bottega, e in queste stanze mie,
La sera e la mattina le meglio compagnie.
Saran tre anni almeno, se forse non è più,
Che noi al signor Conte prestiamo servitù.
Anzi la pregherei, or che mi viene in mente,
Saldar quel contarello ch'è una cosa da niente.
CON.
Tempo or non ho; stassera tieni le cose in pronto;
Viemmi a servire, e poi si farà tutto un conto.
RIS.
Ringrazio vossustrissima, e vado a preparare
Tutto quel che stassera potrebbe abbisognare.
(Ma gli darò, col rischio d'esser pagato male,
Rinfreschi scellerati, e un conto da speziale).
(da sé, e parte.)
SCENA SECONDA
Il CONTE solo.
CON.
Disgraziato Balestra! gli dissi a ventun'ora.
Che diamine sarà, che non si vede ancora?
Se due fette di zuppa son state il pranzo mio,
Dovea spicciarsi anch'egli, e far quel ch'ho fatt'io.
Servirà la Contessa; ella non ha mai fretta.
Si dice alla padrona: il padrone mi aspetta.
Bisogno ho di denari; stassera convien spendere:
L'anello che ho impegnato, necessario è di vendere.
E se costui non viene, mi vedo disperato.
Non so per mio malanno dove l'abbia impegnato.
SCENA TERZA
TARGA e il suddetto.
TAR.
Oh signor, per l'appunto in traccia ero di lei,
M'han detto ch'era qui.
CON.
Un grand'uomo tu sei.
Hai qualche novità?
TAR.
Una ne ho assai buona.
Un viglietto per lei.
(presentandoglielo.)
CON.
Di chi?
TAR.
Della padrona.
CON.
Viene alla festa?
TAR.
Viene.
CON.
L'argento?
TAR.
Va benissimo.
CON.
L'abito sarà fatto?
TAR.
A momenti.
CON.
Bravissimo..
Sentiam che cosa dice Madama gentilissima.
(aprendo il viglietto.)
Ti par che sia contenta?
TAR.
Contenta ed allegrissima.
CON.
Buono buono.
Leggiamo.
Manda i suoi complimenti
Al Conte di Belpoggio Doralice Studenti.
L'avvisa che stassera sarà a goder la festa,
Cessato il fier dolore di stomaco e di testa.
(Il mal dell'emicrania guarito ha coll'argento;
E uscì dalla mia borsa il suo medicamento).
Se stranamente accolto da lei fu questa mane,
Sa ben che qualche volta le donne sono strane.
(Lo so, lo so per prova; dacché le vado intorno,
Senza che mi maltratti non è passato un giorno).
Per altro lo assicura la mano che gli scrive,
Che al Conte sarà grata la dama, finché vive.
E a titol si protesta di mera confidenza,
Trattarlo qualche volta con qualche inavvertenza.
(Se questa cosa è vera, si vede certamente
Ch'io sono di Madama il maggior confidente).
E se di tal protesta scontento egli non è,
L'attende in propria casa a bevere il caffè.
(Ho inteso, andar conviene a prendere il mio resto:
Di già se mi strapazza, il mio destino è questo).
Va pur dalla padrona; falle i miei complimenti,
Dille che a riverirla mi porterò a momenti.
Che intanto la ringrazio dei sentimenti umani;
Che intorno a tutto il resto, io son nelle sue mani
TAR.
Glielo dirò, signore.
Ma Targa, il poveretto...
CON.
Che vuoi?
TAR.
Non ho tabacco...
CON.
Vanne, Balestra aspetto;
Mi spiccio d'un affare, e poscia vengo subito.
Vanne, sarai contento.
TAR.
Eh sì, signor, non dubito.
(parte.)
SCENA QUARTA
Il CONTE solo, poi RISMA.
CON.
Ecco, spendere è forza, chi vuol cotesti onori,
Se non colla padrona, almen coi servitori.
E Balestra non viene.
Chi diamine sarà
Quella maschera donna?...
mi par...
si volta in là.
Affé, l'ho conosciuta; quella è la moglie mia.
Ha un uom che l'accompagna; non so chi diamin sia.
Ella si è travestita, ma la conosco all'aria.
Per qual motivo in giro la donna solitaria?
Vi sarà il suo mistero, vi sarà il suo perché.
Chi sa ch'ella non venga a ricercar di me?
È meglio da Madama andarmene a drittura,
Prima che mi assalisca con qualche seccatura.
(in atto di partire.)
RIS.
Signor, è domandato.
CON.
Da chi?
RIS.
Non so chi sia.
CON.
Rispondi a chi mi cerca, ch'io sono andato via.
RIS.
Ci giocherei la testa, che il povero signore
Si crede che lo cerchi un qualche creditore.
Ma se saputo avesse ch'era donna...
SCENA QUINTA
La CONTESSA e BALESTRA mascherati, e detto.
BAL.
E così
Non viene il signor Conte?
RIS.
Già un momento partì.
CONT.
(Oh! questo mi dispiace).
(da sé.)
BAL.
Sai dove andato sia?
RIS.
Nol so.
BAL.
Non vorrai dirlo.
RIS.
Nol so in parola mia.
BAL.
E pur qui m'aspettava.
CONT.
Che ci abbia egli veduti?
BAL.
Non crederei potesse averci conosciuti.
CONT.
Questo di mia sorella novissimo vestito
Credo anch'io conosciuto non sia da mio marito.
BAL.
Ed io son mascherato in guisa tal, che certo
Non mi conoscerebbe un uom di lui più esperto.
CONT.
Aspettiamolo dunque.
(si pone a sedere.)
BAL.
Dubito ben che irato
Mi sgridi, se con voi mi vede mascherato.
Ma a costo anche di perdere la grazia del padrone,
Mi sprona e mi consiglia per voi la compassione.
A tante inconvenienze, in verità, signora,
Rimedierei, potendo, con il mio sangue ancora.
CONT.
Caro Balestra mio, tu sei un uom da bene;
Ma dolce qualche volta sei più che non conviene.
I quattro sonatori trovar non si doveva;
E d'impegnar l'anello sospender si poteva.
BAL.
Lo so, ma nell'impegno sì caldo l'ho veduto,
Che esimermi di farlo davver non ho potuto.
CONT.
Basta, vediamo il Conte, sentiam che cosa dice.
Ricever io non voglio madama Doralice.
BAL.
Oh! signora padrona, veda il suo genitore.
CONT.
La vista di mio padre mi dà qualche timore.
Conosco il suo costume, egli mi sgriderà,
Veggendomi al caffè.
BAL.
Non vi conoscerà.
CONT.
Stiamo zitti.
BAL.
Non parlo.
CONT.
Certo vi son de' guai.
Mio padre in questi luoghi non suol vedersi mai.
SCENA SESTA
DON MAURIZIO, RISMA e detti.
MAU.
Vi è stato, ed è partito?
RIS.
Sì, signor.
MAU.
Tornerà?
RIS.
È facil ch'egli torni.
MAU.
Dunque l'aspetto qua.
(Risma parte.)
CONT.
(Cerca di mio marito).
(a Balestra.)
BAL.
(Qualcosa avrà saputo).
CONT.
(Qualche cosa io gli ho detto).
BAL.
(Per questo è qui venuto).
MAU.
(Quell'abito è simile a quello di mia figlia.
Giocherei ch'ella fosse, cotanto l'assomiglia.) (osserva il vestito della Contessa.)
(Lucrezia non sarà, di ciò non è capace.
Una fanciulla onesta troppo sarebbe audace.) (da sé.)
CONT.
(Molto attento mi guarda).
(a Balestra.)
BAL.
(Ch'ei conosca il vestito?)
CONT.
(Povera me! gli è vero).
(si copre col tabarro.)
BAL.
(Or siamo a mal partito).
MAU.
(Si copre? Dal mio sguardo nasconderlo procura?
Fosse Lucrezia? Oh cieli!)
CONT.
(Smania, mi fa paura).
MAU.
(Conoscerla vogl'io).
Maschera, umil perdono
Chiedovi, se m'avanzo.
Mi pare...
in dubbio sono
Se siate o se non siate tal che conoscer parmi.
CONT.
(Egli mi ha conosciuta; più non posso celarmi).
(da sé.)
MAU.
Maschera, un tal silenzio a scoprirvi mi appella.
Foste per avventura...
CONT.
Ah sì, signor, son quella.
(s'alza e si smaschera.)
MAU.
Voi?
CONT.
Sì, signor.
MAU.
Ma come intorno col vestito
Della germana?
CONT.
In traccia men vo di mio marito.
MAU.
Ah Contessa, il marito s'attende in propria casa;
Di rintracciarlo altrove chi mai vi ha persuasa?
Se mal con voi si regge, convien rimproverarlo
In guisa che non possa giustamente irritarlo.
Lagnarvi pretendete invan de' torti suoi,
In luogo ov'ei potrebbe lagnarsi anche di voi.
Figlia, per una dama, credetemi, non è
Opportuna dimora la stanza d'un caffè.
E se di mal condotta potrà intaccarvi il Conte,
Cambiar voi l'udirete i rimproveri e l'onte,
Tutto perdendo il merto di vostra sofferenza
Per un delitto solo di poca convenienza.
Non fate che vi acciechi furor geloso e rio.
Tornate al tetto vostro.
Questo è il consiglio mio.
CONT.
Signor, dall'amor vostro l'util consiglio accetto.
Ritornerò fra poco, ritornerò al mio tetto.
L'uso della città, che in pratica si vede,
Alle più oneste mogli la maschera concede.
Entrar negli onorati caffè qui non disdice.
Far scena collo sposo in pubblico non lice.
S'ei non mi ascolta in casa, lo cerco in altro sito.
MAU.
No, non è questo il luogo da parlare al marito.
CONT.
È ver, ma questa sera ei condurrammi in faccia
Madama a mio dispetto; e sarà ver ch'io taccia?
MAU.
Madama Doralice di voi parlò con stima.
CONT.
Se fingere sapesse, non sarebbe la prima.
Quel cor non conoscete.
MAU.
Io pur di lei sospetto;
Ma giova in ogni guisa accogliere il rispetto.
Poiché se in lei non spiega verso di voi l'amore,
Almen la soggezione dimostra ed il timore.
E allor che un cuor superbo umiliato si veda,
Politica l'accetta, ancor che non gli creda.
CONT.
Dunque voi mi volete esposta a sì gran prova?
E si farà il festino...
MAU.
Balestra ove si trova?
CONT.
Balestra eccolo qui.
MAU.
Balestra è il cavaliere?
CONT.
Sola non son che in maschera conduca il cameriere.
MAU.
E ben, signora maschera, la cosa come andò?
Trovaste i sonatori? (a Balestra.)
BAL.
Questa sera li avrò.
MAU.
L'opera in fatti è degna d'un peregrino ingegno:
Si ama il padrone a costo di metterlo in impegno,
E d'una prepotenza condotta con valore,
E della sua rovina Balestra avrà l'onore.
BAL.
Signor, chiedo perdono.
Fermati ho i sonatori
Senza oltraggiar nessuno.
Non vi saran rumori.
Un accidente ha fatto ch'eran disimpegnati;
Li ho avuti senza briga, e poco li ho pagati.
MAU.
Quand'è così, son pago.
Figlia, può tollerarsi
Che possa col festino il Conte soddisfarsi.
CONT.
Facciasi pur, nol niego, se divertirsi ei brama,
Ma tollerar non posso che vengavi Madama.
MAU.
Ella non vi sarà.
CONT.
Signor, se l'ha invitata...
MAU.
Meco di non venirvi Madama si è impegnata.
CONT.
Possibile?
MAU.
Lo dico; crederlo a me dovete.
CONT.
Madama vi deride, signor, voi lo vedrete.
MAU.
Sì facile non credo ch'ella cotanto ardisca.
CONT.
Stassera lo vedrete.
Voglia il ciel ch'io mentisca.
MAU.
No, no, ne son sicuro.
CONT.
Ma perché mai non viene?
MAU.
Vi basti che non venga; cercar più non conviene.
CONT.
Eppur non me ne fido.
MAU.
Figlia, la diffidenza
Che in donna è sì comune, mi muove ad impazienza.
Non vi verrà, vi dico; e s'ella vi venisse,
Son cavalier, lo giuro, farei che si pentisse.
Credete o non credete, su ciò garrir non soglio.
CONT.
Ascoltate, signore.
MAU.
Altro ascoltar non voglio.
(parte.)
SCENA SETTIMA
La CONTESSA e BALESTRA.
CONT.
Balestra, che Madama non venga, sarà vero?
BAL.
Se 'l dice don Maurizio, verissimo lo spero.
CONT.
Se così è, si balli; ch'ei si diverta è giusto.
Che nato sia fra loro qualche novel disgusto?
BAL.
Può darsi.
CONT.
S'è così, venir tu la vedrai.
Di questi lor disgusti ne hanno aggiustati assai.
Oh quante volte il Conte da lei fu strapazzato,
E sempre alla sua bella s'è poi raccomandato.
Capace è di pregarla, capace è il babbuino
Di porsi anche in ginocchio per averla al festino.
Sì, mi par di vederla sì, ci verrà l'audace.
Chi sa che ora non sia il Conte a far la pace?
Perdoni il padre mio, se ora non l'obbedisco.
A casa non ritorno, se pria non mi chirarisco.
BAL.
Vien gente.
CONT.
Mascheriamoci.
BAL.
Andiam, padrona mia.
CONT.
Il Conte ha da venire.
Per or non vado via.
BAL.
(Oh povero Balestra! Sono bene imbrogliato!) (da sé.)
CONT.
(Mio padre colle donne ha poco praticato).
(da sé.)
SCENA OTTAVA
La marchesa DOGLIATA, la baronessa OLIVA mascherate, servite da un uomo in maschera,
che non parla, e detti; poi Giovane del caffè.
Vanno a sedere ad un tavolino,
dirimpetto a quello ove sta la Contessa.
MAR.
Vede, signor Barone? si pratica così:
Il caffè si suol bere tre quattro volte al dì;
E par che quel di casa non piaccia, e non sia buono;
E piene le botteghe di gente ogni ora sono.
BA.
(S'inchina senza parlare.)
BAR.
(S'inchina e non risponde).
(alla Marchesa.)
MAR.
Niente niente italiano? (al Barone.)
BA.
(Inchinandosi fa cenno di no.)
MAR.
Che dite, Baronessa?
BAR.
Mi pare un bel baggiano.
Possiamo tralasciare di più complimentarlo.
MAR.
Possiam, quanto vogliamo, francamente mandarlo.
CONT.
(Le conosci?) (a Balestra.)
BAL.
(Mi pare).
CONT.
(La marchesa Dogliata,
La baronessa Oliva).
BAL.
(L'avea raffigurata).
(vien portato il caffè, le due si levano la maschera.)
CONT.
(Quella maschera uomo chi diamine sarà?)(a Balestra.)
BAL.
(Mi pare un forestiere, non lo so in verità).
BAR.
(Si smascheri, signore).
(al Barone.)
MAR.
(Io non gli parlo più).
(da sé.)
BAR.
Così, si levi il volto.
(gli leva la maschera.)
MAR.
(Oh che bel turlulù!) (bevono il caffè.)
BAR.
Stassera vuol venire con noi ad una festa? (al Barone.)
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Egli non sa far altro che dimenar la testa.
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Egli non sa far altro che dimenar la testa.
MAR.
Buono questo caffè? (al Barone.)
BA.
(S'inchina.)
BAR.
Servitor umilissimo.
(burlandolo con una riverenza.)
Mi fa crepar di ridere.
(ridendo forte.)
MAR.
Vi assicuro è bellissimo.
(ridendo forte.)
BA.
(S'alza, prende la sua maschera, e parte.)
MAR.
Padrone.
BAR.
Riverito.
MAR.
Che grazia!
BAR.
Se n'è andato.
MAR.
Affé, se n'è avveduto che l'abbiamo burlato.
Se vedo mia cugina, vuò dirle in fede mia
Se ha più di tai foresti da darmi in compagnia.
BAR.
Fa cento mille inchini, e non sa dir parole.
MAR.
Da bravo ci ha piantate, e ci ha lasciate sole.
CONT.
(Ha fatto ben davvero; perch'ei non sa parlare,
Chi sa la civiltà, non l'ha da corbellare).
BAR.
A casa con chi andremo?
MAR.
La gondola è vicina.
BAR.
Bene: verrò con voi, mia cara Marchesina.
MAR.
Anche al festin poss'io servirvi, se vi aggrada.
BAR.
Sì, mi farete onore; già anch'io sto sulla strada.
MAR.
Vedrem questo bell'abito, che sfoggierà Madama.
BAR.
Secondo me, la sua superbiaccia si chiama.
MAR.
Quel caro suo marito mi par che abbia del matto.
BAR.
Eh, non mi fate dire.
Chi sa chi gliel'ha fatto?
MAR.
Certo che don Alessio non può far certe spese.
BAR.
Egli non ha d'entrata cento ducati al mese.
MAR.
Ed ella a tutta moda sempre ha le cose pronte.
BAR.
Per niente non coltiva l'amicizia del Conte.
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
MAR.
Non dite forte.
BAR.
Non san di chi si parli.
MAR.
Cento ducati al mese fa presto a consumarli.
BAR.
Per questo dalla gente si pensa e si ragiona,
E poi chiaro si vede, che del Conte è padrona.
Avete voi sentito, che al ballo ed alla cena
Condurrà la figliuola di donna Rosimena?
MAR.
E condurrà la madre e il suo don Peppe ancora.
BAR.
Madama è la padrona.
MAR.
Il Contino l'adora.
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
BAL.
(Non so che dire).
MAR.
E la consorte?
BAR.
Oh bella!
Conviene che stia zitta.
MAR.
Perché è una scioccarella.
CONT.
(Non posso più).
(a Balestra.)
BAL.
(Signora, andiam per carità).
CONT.
(Zitto, non inquietarmi.
Io voglio restar qua).
BAR.
Vedrete questa sera Madama esser padrona,
E la moglie in un canto.
CONT.
(No, non sarò sì buona.
Padrone altre non voglio in casa mia soffrire;
Non si farà la festa, se credo di morire).
(da sé.)
MAR.
Quella maschera chi è? (osservando di dentro.)
BAR.
Se il core il ver mi dice
Esser quella dovrebbe...
MAR.
Madama Doralice.
BAR.
Senz'altro.
Ha il suo vestito che aveva stamattina.
Per dirla in veneziano, in maschera fa mina.(3)
CONT.
(Senti?) (a Balestra.)
BAL.
(Qualche periglio la sorte ci minaccia).
CONT.
(Par che il demonio istesso me la conduca in faccia).
BAL.
(Andiamo via).
CONT.
(Sta cheto).
SCENA NONA
MADAMA DORALICE con una maschera, uomo, e detti.
MAD.
Amiche, oh ben trovate.
(alle dame.)
Già sono in compagnia; se andar volete, andate.
(alla sua Maschera, che parte.)
MAR.
(È ardita a questo segno).
BAR.
(Ammiro la franchezza).
CONT.
(Resistere non posso.
Il cuore mi si spezza).
(a Balestra.)
BAL.
(Andiamo via).
CONT.
(Sta cheto).
MAD.
(Eccola lì.
Il vestito
È quello che mi disse il Conte suo marito).
(osservando la Contessa.)
MAR.
Madama, che fortuna vi guida ora da noi?
MAD.
(Quella maschera chi è?) (Alla Marchesa, additando la Contessa.)
MAR.
(Non la conosco.
E voi?)
MAD.
(Né anch'io).
BAR.
(Prima di noi era colà seduta).
MAD.
(Ho piacer che non sia da loro conosciuta).
(da sé.)
MAR.
Chi è quel che vi ha lasciato? (a Madama.)
MAD.
È un dottor.
MAR.
Un dottore?
BAR.
L'avete licenziato?
MAD.
Lo mandai dal sartore.
BAR.
Vi servite di lui per galoppino.
MAD.
Appunto.
Servirmi e riservirmi a lui par un pan unto.
CONT.
(Così fa mio marito).
(da sé.)
MAR.
Questa sera al festino
Lo condurrete?
MAD.
No.
MAR.
Perché no, poverino?
MAD.
Non son sì temeraria condur gente in un loco,
Ove, se andar io posso, ancor non sarà poco.
Il Conte mi ha invitata; ma l'ora ormai s'appressa,
E a me giunto l'invito non è dalla Contessa.
Da ciò par ch'ella poco gradisca ch'io ci sia;
Andar non mel permette la convenienza mia.
Può darsi che tornando a casa mio marito,
Mi porti della dama il grazioso invito.
Allor tutta contenta andrò per ringraziarla,
Ma certo non v'andrei, se avessi a incomodarla.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Sto a sentire).
BAR.
Non venne il suo consorte
Ad invitarvi? (a Madama.)
MAD.
Il Conte non venne alle mie porte.
Dopo che mi fu detto un certo non so che,
Da me non fu veduto.
BAR.
È vero?
MAD.
Così è.
Della Contessa amica io sono, ed esser voglio.
Recare altrui spiacere non devesi, e non soglio:
A lei principalmente, che tanto stimo ed amo.
Anzi l'unica cosa che ardentemente io bramo,
È di giustificarmi, ed il momento attendo
Per renderle giustizia.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Io non l'intendo).
MAR.
Madama, voi parlate con un linguaggio nuovo.
Che il creda la Contessa, sì facile non trovo.
MAD.
Voi conoscete poco, signora, al parer mio,
Chi è la Contessa, e meno sapete chi son io.
Ella è una saggia dama, che ha virtuoso il cuore;
Io sono una che apprezza le massime d'onore.
In lei non si condanna l'amor che ha per lo sposo;
Fa torto all'onor mio, chi lo dipinge odioso.
Esempio è la Contessa di nobile costume;
Io venero ed apprezzo della mia fama il nume.
Chi lei, chi me tentasse schernir con lingua ardita,
Son dama, e son capace di dargli una mentita.
BAR.
Non vi scaldate, amica.
MAR.
Schernirvi io non pretendo.
MAD.
In ciò son delicata.
BAL.
(Sentite?) (alla Contessa.)
CONT.
(Io non l'intendo).
MAR.
A donna Rosimena non deste voi parola
Di condurla al festino unita alla figliuola?
MAD.
Allor che di servirla tempo a risponder presi,
Di pregar la Contessa per introdurla intesi.
BAR.
Se attender voi volete che la Contessa il dica,
In casa sua al festino andrete con fatica.
MAD.
Protesto che del ballo non spingemi il desio;
Ma s'ella lo gradisse, v'andrei per l'onor mio.
Il mondo scellerato di noi parla in tal guisa,
Che siamo ingiustamente l'una e l'altra derisa.
Di noi che si direbbe, se non foss'io invitata?
Di me non so, ma lei sarebbe criticata.
Chi mi conosce appieno, sa ch'io non son capace
Di rendermi molesta, di turbar l'altrui pace.
E la Contessa istessa, che la giustizia apprezza,
Che in seno ha per costume nutrir la gentilezza,
Che ha un'anima sì bella, un cuor sì onesto e saggio,
A me si pentirebbe d'aver fatto un oltraggio.
Volesse il ciel che a lei parlar mi fosse dato;
Vorrei che chi m'insulta, restasse svergognato.
Vorrei gettarmi al collo della Contessa mia:
Scaccia, le vorrei dire, l'ingiusta gelosia.
L'amato tuo consorte il ciel ti benedica.
Contessa, ti son serva, ti son verace amica.
MAR.
(Che vi par, Baronessa?) (alla Baronessa, piano)
BAR.
(Di più dir non si può).
MAD.
(Arrendersi dovrebbe).
(da sé, osservando la Contessa.)
CONT.
(Che deggio far?) (a Balestra.)
BAL.
(Nol so)
CONT.
(Andiamo).
(s'alza.)
BAL.
(Un tal discorso...)
CONT.
(Sieguimi, ho già risolto).
(parte.)
BAL.
(Per dir la verità, Madama ha detto molto).
(parte.)
SCENA DECIMA
Le suddette BARONESSA, MARCHESA, MADAMA.
MAR.
La maschera è partita.
BAR.
(Chi sa chi diavol sia?) (da sé.)
MAD.
(Che mai sperar io posso della invenzione mia?) (da sé.)
MAR.
Ora sarà che andiamo.
BAR.
Andiam, se lo bramate.
MAD.
Son sola; ancora un poco, care amiche, aspettate.
MAR.
Possiam restare ancora.
MAD.
Voi mi farete onore.
BAR.
Restiam, finché ritorni il povero dottore.
SCENA UNDICESIMA
BALESTRA smascherato, e dette.
BAL.
Madama, al vostro albergo io fui, né vi trovai;
Finora in più d'un loco in van vi rintracciai.
A caso al caffettiere chiesi se foste qui,
Egli con mio piacere mi ha risposto di sì.
Pregavi la padrona vogliate in cortesia
Favorirla al festino, o sola, o in compagnia.
MAD.
Ditele che gradisco il generoso invito:
Goderò le sue grazie, unita a mio marito;
E che, se mel permette, con donna Rosimena
E colla sua figliuola verrò al festino.
BAL.
E a cena.
MAD.
Fatele i miei divoti sinceri complimenti;
Avrà poi da me stessa i miei ringraziamenti.
BAL.
(Sarà servita.
Ancora non so s'io vegli o sogna;
Ma il Sospettar di tutto mi pare una vergogna).
(da sé, e parte.)
SCENA DODICESIMA
La MARCHESA, la BARONESSA, MADAMA.
MAD.
Amica, che ne dite?
BAR.
Con voi me ne consolo.
MAD.
(Questo sì che può dirsi della finezza un volo).
(da sé.)
MAR.
Oh, oh, guardate, amica.
BAR.
Che maschera da scena!
MAR.
Chi è quella?
BAR.
Non saprei.
MAD.
È donna Rosimena.
MAR.
Vecchia pazza!
BAR.
Tacete.
MAD.
Dirolle del festino.
BAR.
Chi è quel che l'accompagna?
MAR.
Il caro don Peppino.
SCENA TREDICESIMA
DONNA ROSIMENA con DON PEPE mascherati, e dette col giovine Caffettiere.
ROS.
Oh chi vedo! Madama! Oh Baronessa, addio.
Oh Marchesa, anche voi? Che bell'incontro è il mio?
MAD.
Per me posso ben dire che una fortuna è questa,
Per dirvi che senz'altro vi servirò alla festa.
ROS.
Anche don Peppe?
MAD.
Certo.
ROS.
Davver?
MAD.
Ve lo prometto.
ROS.
Don Peppe, noi faremo il nostro minuetto.
MAR.
(Sarà una bella cosa).
(alla Baronessa.)
BAR.
(
(Bellissima per certo).
PEP.
Madama, favorito son io senz'alcun merto.
MAD.
È gloria mia, signore, servire un cavaliero.
ROS.
Don Peppe è tanto buono! è tanto un uom sincero!
Vi ricordate voi quando in commedia han fatto
L'Uomo sincero? Egli era di don Peppe il ritratto.
BAR.
Sì, sì, me ne ricordo di quella commediaccia.
Vi è piaciuta?
ROS.
Sì certo.
BAR.
Davver, buon pro vi faccia.
ROS.
Mi piace tanto tanto sentir parlar latino;
Mi fa crepar di ridere quel bel don Pirolino.
MAD.
Ma qui si torna sempre al proposito antico.
Sempre, sempre commedie.
MAR.
Questo è quello ch'io dico.
Finiamola una volta.
BAR.
Andiam, che il tempo vola.
ROS.
Don Peppe, andiamo a casa a dirlo alla figliuola.
MAD.
Ecco il mio mascherotto.
(viene chi l'ha accompagnata.)
MAR.
Or siete accompagnata.
MAD.
Amiche, ci vedremo.
(Alfin l'ho superata.
Andrò alla festa, e androvvi con grazia e con decoro.
Un po' di buona testa affé val un tesoro).
(da sé, e parte con la sua Maschera.)
MAR.
Andiamo, Baronessa.
BAR.
Eccomi, con voi sono.
MAR.
A donna Rosimena domandiamo perdono.
(si inchinano.)
ROS.
Serva; ci rivedremo.
BAR.
Ci vedremo al festino.
ROS.
A principiar la festa verrò con don Peppino.
(Madama e la Contessa le ho fisse nel pensiero;
Che sian fra loro amiche, ancor non mi par vero.
(alla Marchesa, e parte.)
MAR.
(De' dubbi anch'io ne ho.
Ancora ho nella testa
Che senza qualche imbroglio non termini la festa).
ROS.
Andiamo, il mio don Peppe.
PEP.
Vi servo.
ROS.
Senza fallo.
Fra voi e me stassera vedranno Amore in ballo.
ATTO QUARTO
Notte
SCENA PRIMA
Camera in casa del conte, e lumi
Il CONTE e BALESTRA.
CON.
Ha dunque la Contessa, per quel che mi si dice,
Mandata ad invitare madama Doralice?
BAL.
Sì signore, ed io stesso l'invito le ho recato.
CON.
Questo per me è un prodigio, un caso inaspettato.
Come andò la faccenda? come cambiò il pensiero?
Chi mai l'ha consigliata? Dimmi, Balestra, il vero.
BAL.
Nol so, signor.
CON.
Veduta l'hai tu con don Maurizio?
BAL.
Sì signore.
CON.
Suo padre è un uomo di giudizio.
Ei l'avrà persuasa, con un civile invito,
Salvar le convenienze di lei, di suo marito.
BAL.
Tutto andrà ben, signore.
CON.
Finora io vissi in pene.
Denaro...
BAL.
Egli è finito.
CON.
Or va, che ander
...
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