ASTOLFEIDA, di Pietro Aretino - pagina 2
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Baldovin, figlio a Gano, fu un zero
stimato al mondo per la vita trista
del padre, e tutti di casa Maganza
sol pel favor d'Orlando avean ballanza.
22
I consiglier di Carlo, i secretari
fu il duca Namo, Amone e Salamone,
re de li scacchi, e mai serbar danari,
spendendo gli occhi in ogni buon boccone.
I Guidi e gli Angelini fur somari
di corte; con Gherardo Ronsiglione
Aldigieri, Ansuigi, Armanni, Anselmi
le gole, i denti usar per spade et elmi.
23
Avino, Avoglio, Ottone e Berlinghieri
fur quatro belli-in-piazza perde-giorni;
scompagnati non gir mai volentieri:
givon come le grue, come li storni.
Aquilante e Grifon narcisi veri,
d'arme e d'amor piú che de forze adorni.
Tal Sansonetto e tal Guidon Selvaggio:
sol contro a donne andaro a disvantaggio.
24
Vivian vivachiava a scrocco in corte,
con tutti alzando il fianco a corpo sciolto;
Guicciardo, Alardo mai uscir le porte
di Montalban, che no li fussi tolto;
mastro di spirti e bagatelle a sorte
fu Malagigi, e cangiò forma e volto,
come fean mastro Iaco e mastro Muccio
in Roma trarre ' ognun fino al cappuccio.
25
D'amor, di fé, di cuor, di lingua schietto
fu Carlo Magno al mondo celebrato;
Carlo e Carlone insieme li fu detto
perch'era grande, grosso e ben formato;
di credulo e corrivo ebbe difetto
per creder troppo a Gano suo cognato;
del resto fu da ben piú del bisogno,
tanto da ben ch'a dirlo mi vergogno.
26
Rugier, fra tutti bello e valoroso,
andava a sangue, a cuore a questo, a quello;
prima che fussi a Bradamante sposo
morir fe' il vecchio Atlante di martello.
Fu Buovo d'Agrismonte risicoso;
Margutte un ladro a paro di Brunello;
Uberto del Leon, forte e gradito,
d'Olimpia bella divenne marito.
27
Fu proprio un uom da bosco e da riviera
Brandimarte, compagno al sir d'Anglante;
perché avea ne le guance primavera
fu proprio un giglio il suo fratel Gigliante;
fu valoroso in fatti e bello in cera
Zerbin, che fu poi d'Isabella amante;
Ariodante, Lurcam, Prasildo, Iroldo
seguir d'Amor piú che di Marte il soldo.
28
De la Montagna il Veglio era un grandone
piloso e forte e caro a' paladini;
facea sul giorno un po' di colazione,
non già di berlingozzi o biscottini,
ma un bue intero e sano era un boccone;
tracannava i vin grechi e ' vin latini;
aveva sempre un rutto fuor del gozzo
che mai si saria preso per signozzo.
29
Fra l'altre donne fur le dottoresse
Clarice, Beatrice e Berta in ballo;
Gallerana galluta era tra esse,
ma non avea sempre a sua posta il gallo;
fu Ermelina, a chi no lo sapesse,
una zambracca, per non dirvi fallo;
Gabrina, vecchia e brutta, a tutti a noia,
ruffiana e strega, sfamò i cani e 'l boia.
30
Marfisa, insieme bella e valorosa,
odiò li specchi, la biacca e 'l belletto;
Bradamante fu poi meno sdegnosa,
valente e grata a Rugier suo diletto;
fu Alda bella una donna foiosa,
giacendo sola senz'Orlando in letto;
Fiordiligi, ladrina, dolce e ghiotta,
di Brandimarte era spolpata e cotta.
31
Quanto Isabella, Olimpia fusser belle
chi d'amor sente il puote imaginare;
chi l'assimiglia al sol, chi a le stelle,
chi a la luna alor che chiara appare.
Tempo è ch'io canti di queste e di quelle
prove de' paladini eccelse e rare.
Era al fin de l'advento sul Natale
Carlo in Parigi e sua corte reale.
32
Era dopo 'l Natale et Ogni Santi
la terra ignuda e spolti gli arborselli;
la fame e 'l freddo, nimici a' furfanti,
l avea ridotti a le stalle, a' tinelli;
spidocchiavansi al sole i piú galanti;
stansi i ricconi a mangiar fegatelli
presso al buon fuoco, e chi 'l vin dolce beve
e' incaca il vento, la pioggia e la nieve.
33
Durando la stagion fra piogge e venti,
i paladin sono a covare il fuoco;
bramano oprar piú che le mani i denti:
chi brava il scalco e chi minaccia il cuoco;
a la ritonda tavola i valenti
paladin si rubar l'un l'altro il loco.
Or, su l'alzare il fianco, tutti atorno
tremar come conigli al suon d'un corno.
34
Il suon del corno era questo ch'io dico:
era comparso a la campagna fuore
un gigantaccio, e 'l ciel non cura un fico,
non pur la Francia e Carlo imperadore;
era sei braccia dal capo al bellico.
Del suon del corno era questo il tenore:
- Te Carlo Magno e la paladinaglia
disfido in campo a micidial battaglia.
35
L'Arcifanfan son io, re di Baldacco,
che con la lancia e con la scimitarra
n'ammazzo le migliaia, mai mi stracco:
a portarli non bastan mille carra.
Or de' tuo paladin vengo a far fiacco
a campo aperto, chiuso e fuor di sbarra.
Vien fuor, che chi non viene oggi prometto
pigliare ognun come poltrone in letto -.
36
Carlo, ch'intende il suon, grida: - Sú, sú!
Paladin, buon compagni, dritti in piè,
affrontate il nimico di Giesú!
Orlando mio, tempo a pacchiar non è -.
D'un sorbo i formiconi senton piú
ch'i paladin pacchioni, in buona fé:
mentre sta Carlo a la lun' a abbaiare
vòtano i fiaschi e stanno a pettinare.
37
L'Arcifanfan, riposto il corno a [la] bocca,
grida: - Fuor, fuore, o paladin da frappe! -
Berlinghieri berlinga e dice: - Or fiocca -.
Il cul d'Astolfo facea lappe lappe.
Carlo vede che fuor nessuno sbocca,
empie le brache e 'nsanguina le chiappe
d'altro che d'acqua lanfa e belzuino.
I salmi e letanie dicea Turpino.
38
Pur e Orlando e Rinaldo una grossa ora,
pieno ch'hanno lo stefano ben bene,
de la mensa ritonda esciti fuora,
dicano a Carlo: - Questo far conviene:
fa' trar le sorti a chi va primo or ora
contro al gigante ch'addosso ci viene,
e chi prima e chi poi ognun combatta
fin che 'l gigante Arcifanfan s'abbatta -.
39
Piacque il detto e Turpino i nomi scrisse;
Terigi cava fuora i bullettini.
Fu il primo Berlinghier che fuora [&] uscisse:
a piagner si cacciò come i puttini.
Astolfo il prega, lo conforta e disse:
- O Berlinghier, noi siam pur paladini;
va' via, non dubitar, caro fratello;
abbi nel cuor Tubbia e Raffaello -.
40
Chi va a le forche va piú lieto, a fé,
che non va Berlinghier contro al gigante,
e rispose ad Astolfo: - Eh, va' per me! -
- Non tocca a me - disse Astolfo galante -;
innanzi a me ve n'andran piú di tre.
Va' tu pel primo, cavalliero errante -.
Berlinghieri, che 'l dir d'Astolfo scorse,
fila i stoppini e sta di gire in forse.
41
Pur gli altri paladin li sono adosso
e dicano: - Sú, via, sú, vallo affronta -.
Berlinghier per vergogna si fa rosso,
bravando con se stesso a caval monta:
- Al corpo...
al sangue...
ch'io li taglio l'osso!
La mi vien, la mi schiocca, la mi monta! -
Cosí, fra la vergogna e la paura,
in campo uscí contra a sua vil natura.
42
Ma come vede a caval su l'alfana
sí grand'uomaccio, e' venne a ravvilire
e disse: - O Dio, gli è pur la gran befana!
Come potrò aspettarlo e non fuggire? -
Come finisse poi la pugna strana
fra ' duo briganti or no lo posso dire;
ne l'altro canto piú chiaro che 'l sole
cantarò il ver senza menzogne e fole.
CANTO SECONDO
Nel secondo canto, per Astolfo e Berlinghieri, che male si risolvevano de affrontar il nimico a la campagna, s'intende per l{i} uomini dati a' lor piaceri e comodi e che mal volontier escono di casa.
Per il Danese s'intendono gli uomini ben risoluti che riportono onore de la loro impresa.
Per il gigante vantatore, e poi vilmente fu prigion, si fingono i tropo audaci e temerarii che presto cadano in ruvine.
1
Cerere e Bacco, le cui forze magne
fan Venere e Cupido lieti al mondo,
il vilan senza voi sospira e piagne,
fra 'l pane e vino ognun vive giocondo.
Dammi, o Cerere, il pane e le lasagne,
dammi, o Bacco, il vin dolce, il brusco, il tondo,
ch'a corpo pien de' paladin dica
d'assai gran pasto e di poca fatica.
2
Pur dianzi vi lassai che 'l paladino
Berlinghieri, lassando il berlingare,
escí in campo contro al saracino,
ma come il vide cominciò a tremare.
L'Arcifanfan, che 'l vede sí piccino,
al primo affronto se 'l crede ingollare;
li salta a torno e poi crida: - Cucú!
Di sí gran paladin Francia hanne piú? -
3
- Ce n'è da piú di te, ben sai che sí -
gridava Berlinghieri al gigantone.
Cagliò il pagan, che sí gran voce udí,
come un cagnaccio al mugghiar d'u leone;
pur co la lancia in resta l'assalí;
Berlinghier, trempellando su l'arcione,
da vergogna e timor spronato e mosso,
gli andò come un cagnuolo al toro adosso.
4
Berlinghier col pagan s'aggira e affanna
e co la lancia bassa un colpo mena:
pare un fanciul ch'in man abbia una canna.
Quel bufalon, ch'è tenero de schiena,
fu per cader, fu per cantar osanna;
pur drizzossi e ferí con poca lena
Berlinghier, e cadendo ogun lo vede
e restò ne la staffa il manco piede.
5
- O Dio! o babbo dolce! o mamma bella! -
diceva Berlinghier, mentre il roncino
lo strascinava per l'erba novella.
Alor gli corre adosso il saracino;
Berlinghier grida: - Ohimè, le budella!
Deh, non dar morte a sí bon paladino!
Arcifanfano mio, pietà, mercé,
brava, scanna il cavallo e lassa me -.
6
E mentre de la staffa il piè gli uscí,
Berlinghieri raccolse ogni calcagno,
dando le gambe a Parigi ne gí.
- Son questi i paladin di Carlo Magno? -
grida il pagano, e poi ch'egli fuggí,
fa del caval di Berlinghier guadagno.
Berlinghier giugne a Carlo: ognuno scorna
ch'andò a cavallo et ora a piedi torna.
7
Ognun domanda come il fatto è gito.
Berlinghier disse: - Il brutto saracino
è un cotal grandaccio scimonito
bono a cogliere i fichi senza uncino.
Mi corse adosso, io caddi sbalordito,
restommi un piede in staffa et io meschino
mi sviluppai come il tordo dal visco
e di calcagni l'ho pagato a risco -.
8
I paladin babbion li sono atorno
e de le risa ognun par che smascelle.
Namo, abbracciando il figlio perde-giorno:
- Buon prò! - li disse -; hai pur salva la pelle.
Vada pur fuor chi è de forza adorno:
senza vita l'onor non val covelle -.
Ecco che l'Arcifanfano risuona
il corno e 'l cielo e la terra rintuona.
9
Carlo pur gracchia: - O paladin, fuor, fuore! -
E Terigi ricava i nomi a sorte.
Ganellone era ascoso, il traditore,
per non cambiar la vita co la morte.
Astolfo in compagnia facea bon cuore,
pur diceva: - Egli è freddo a escir le porte -.
Vien Terigi e nel vaso un nome prese,
Turpino il lege e dice: - Astolfo inglese -.
10
Come Astolfo di fuor suo nome sente,
disse a Terigi: - Trammi quest'altr'occhio!
Tu m'hai gabbato, o ghiotto fraudolente,
e per confetti [il] voi darmi finocchio -.
Disse Ulivieri: - Or non temer niente.
Astolfo mio, tienti forte al ginocchio
su l'arcione e colpisci a mezo il petto
co la lancia il gigante maledetto -.
11
- Deh, - disse Astolfo a Ulivier - va' tu,
ch'un'altra volta anderò io per te -.
Disse Ulivier: - Non ti servo qui sú -.
Rispose Astolfo: - Dimmi un po' il perché -.
- Perché la mamma mia non ne fa piú;
se ne facessi non faria piú me, -
disse Ulivieri ad Astolfo gradito.
Rispose Astolfo: - Va' che m'hai chiarito -.
12
Soggiunse Orlando: - Or va', cugin mio bello.
Usa franchezza e non viltà di cuore -.
Rispose Astolfo: - È un gire al macello,
partir del fuoco e gire al vento fuore.
Eccomi al tuo piacer, caro fratello:
affrontarò il gigante traditore
e come buon cristiano so' contento
di confessarmi e poi far testamento.
13
Io resto da aver poco, a dare assai;
pagarò com'io posso, Dio lo sa.
Da caval caddi spesso e mi drizzai;
qualche volta fuggii, come si fa,
da chi può piú di te, scampando guai -.
Disse Turpin: - Basta la voluntà
e 'l cuor contritto -.
E li pose la mano
in capo e l'assolvé da buon cristiano.
14
Poi che confesso fu, il sir d'Inghilterra
bevea una gran tazza d'ipocrasso.
Gridava: - Sangue, sangue! guerra, guerra!
morte e ruvina! - (e pur va passo passo)
- Chiocca tambur, bagaglie serra serra!
Muoia il brutto gigante babbuasso! -
Già come duo falò ha rossi gli occhi,
monta a cavallo e trema su' ginocchi.
15
Ma[e]stro Danese il concia su l'arcione,
Ulivier tien la staffa e lo conforta,
Turpin li canta in cappo un'orazione,
Namo gli disse: - Dio sia la tua scorta -,
li dette il padre la benedizione,
Gualtier l'accompagnò fino alla porta.
Ecco Astolfo che trova il saracino
che dorme su l'alfana a capo chino
16
e ronfa e suona la tromba col naso.
Astolfo grida e per ferir lo apposta.
L'animalaccio risvegliossi a caso
e disse: - Chi è quel che mi s'accosta? -
Mena ad Astolfo un colpo e l'ebbe raso
il capo e già facea botta risposta.
Astolfo si scagliò...
dico a l'indrieto
e disse: - Ah, bufalon poco discreto!
17
Saran pochi i lenzuol d'uno spedale
per tasta, s'io ti fo una ferita.
Farò restarti a un colpo mortale
senz'onor, senza robba e senza vita -.
Disse il pagan: - Né paura né male
puoi farmi, e fa', stu sai, la cera ardita.
Deh, s'io ti lego a cintola, bambino,
parrammi avere a canto un fiaschettino -.
18
E corre adosso ad Astolfo di botto
e come un putto lo vuol trar d'arcione.
Astolfo corre per entrarli sotto,
ma urtollo sí forte il bufalone
ch'in terra si trovò, senza far motto,
col petto sopra e 'l dosso sul sabbione,
com'un bello asinin, com'un muletto
si svoltola per terra a suo diletto.
19
Col culo in terra e co' calcagni al cielo,
a gambe larghe, di galantaria,
Astolfo cadde e disse: - Il ver non celo:
la colpa del cavallo par che sia:
è magro, asciutto, ha solo l'osso e 'l pelo -.
Poi si drizzò e disse: - O mamma mia,
se 'l culo aveva denti a questo tratto
tutti se li rompeva a fatto affatto -.
20
Cosí Astolfo a caval risaliva
e l'Arcifanfan, tutto d'ira pieno,
per traboccarlo di nuovo veniva,
quando l'alfana sua si trasse il freno;
mentre portandol qua e là corriva,
col culo il balocon basciò il terreno.
Astolfo allor piantollo e disse: - Guari,
brutto bestione, or ve' che siam par pari -.
21
Or ecco Astolfo ch'a Parigi sprona,
paga il pagan d'una volta di schiena,
e di mano gli uscí come fe' Iona
quando ch'uscí del ventre a la balena,
e disse a Carlo: - I' merto la corona:
son giunto salvo, senza danno e pena,
co l'arme, col cavallo, e so' megliore
che non è Berlinghier berlingatore.
22
Se non era il pagan sí grande e grosso
[io] ti lo portavo qui, su la mia fede,
come porta un facchino il peso addosso -.
Ride ognun che frappare il sente o vede.
L'Arcifanfano intanto s'era mosso
di terra, e poi ch'Astolfo piú non vede,
risuona il corno e tutta Francia sfida,
poi ch'ognun fugge e non è chi l'uccida.
23
Ecco Terigi, il fraschetta cicala,
cava del vaso un nome e sta a vedere;
Turpino legge e biscanta con gala
e dice: - Ugier, danese cavaliere -.
Danese il sente e satellando in sala
si volse a Carlo e disse: - Non temere,
l'animo e 'l cuor mi dice in tempo corto
di menar qui il gigante o vivo o morto.
24
Vorrei sciacquando i denti un po' di vino
e porre in mollo un po' di pan biscotto:
la zuppa fa lo stomaco piú fino.
Che sí ch'io pongo il gigante di sotto -.
Come sguazza ne l'aqua un anitrino
sguazza il Danese e tracanna di botto
una bottiglia e poi il gigante trova
ch'a un cero menava colpi a prova.
25
Il gigante bubú, vistosi a torno
mastro Danese grugno di marzocco,
grida: - Chi è quest'ucel perde-giorno
che mi vien fra le branche a dar trabocco? -
Rispose Ugieri: - Ah, brutto can musorno,
tosto il saprai se col ferro ti tocco! -
L'Arcifafan rispose: - Altro non puoi
far che fuggir come gli altri par tuoi.
26
I' credo se tu fussi tutto acciaio
faresti appena un ago damaschino
e se soffiassi il vento di rovaio
ti porteria come il nibbio un pulcino -.
Ugier rispose: - O stallon da pagliaio,
val per sette giganti un paladino.
I' ti farò veder, brutta bestiaccia,
che la mia forza non si vende a braccia -.
27
L'Arcifanfano adosso alor li corre
e ser Danese adosso corre a lui;
si vengon co le lance in fallo a corre
e su l'arcion si pigliano amendui;
il pagan crede Ugier di sella torre
e Ugier forte sta contro a costui;
si stringon tanto ch'escon de la sella
e dan la schiena su l'erba novella.
28
Drizzati in piè ritornano a le prese;
il pagan crede Ugier pigliare stretto;
l'utile e non pomposo ser Danese
al gigataccio urta il capo nel petto;
col piede a uncino una gamba li prese,
con man lo strigne e col forte gambetto
in terra il caccia; il pagan pur si scuote,
sopra è il Danese, tal ch'uscir non puote.
29
L'Arcifanfano grida e scampar crede;
il buon Danese, ch'una funa ha in seno,
cor una man l'allaccia per un piede,
co l'altra forte il tien sopra il terreno;
il pagan bufalon, come si vede
sotto legato, l'ardir li vien meno;
perde l'orgoglio in mezo de la via
come fa il gran dopo la carestia.
30
Parea proprio da Pescia Baldassarre,
grasso che mal si muova qua e là;
ànfana co la morte e solo garre.
Grida il Danese: - Paladin, qua, qua!
Io solo, senza spade o scimitarre,
vinto ho 'l gigante e sotto a' piè mi sta! -
I paladini, a veder su le mura,
corrono dal Danese a la sicura.
31
Chi ha mai visto un giovenco novello,
che 'l maniscalco a terra lo distende
con funi e lacci per far bove quello,
mentre la bestia grida e 'l cielo offende,
corre a soccorso il popolo israello,
e ' testicoli poi li batte e incende,
cosí par l'Arcifanfano a guardare,
ch'empie di tuoni il ciel col suo mugliare.
32
Mezo di peso e mezo strascinoni
condotto è l'Arcifanfano in Parigi;
corrono i paladini giorneoni,
Carlo ringrazia Dio e san Dionigi.
Cadde il gigante in sala sbalordoni
senza nigromanzie di Malagigi;
ognun bascia il Danese e Gano solo
crepa in se stesso d'invidia e di duolo.
33
Canellon, traditor in eccellenza,
gli occhi simili aveva al basalisco,
come quei d'Agostin Landi in Piacenza:
il cuor coniglio a' tradimenti arisco,
la schiuma de' poltron, la quinta essenza,
con Gano a par tra ' mie versi l'ordisco;
Gianni Anguissola, il ladro, presso a quello
è un nuovo Bertolagi, un Pinabello.
34
Son da Scipione [ecco] i tre Palavicini:
Ieronimo, il maggior, brutto stroppiato,
Alessandro e Camil ladri assassini,
fratelli al brutto zoppo scelerato;
vien Gian Luigi che da' Piacentini
confalonier de' ribaldi è chiamato.
A tradimento ucciser lor signore:
piú di Gano ognun d'essi è traditore.
35
Mentre il gigante in sala iace in terra
s'apparrechia la tavola ritonda.
I paladini, ch'han vinta la guerra,
fra 'l pacchio e 'l bere ognun di rise abbonda.
Or ecco l'Arcifanfan ch'apre e sferra
una correggia, una loffa gioconda,
che la polvere alzò del mattonato
et ogni paladino ha impolverato.
36
Carlo di risa come la castagna
ebbe a crepar fra Namo e ser Turpino;
il duca Amone col re di Brettagna
han chiusi gli occhi pel gran polverino;
Gan di Maganza pieno di magagna
pareva un can polveroso mastino;
Astolfo et Uliver li fer l'occhiaccio
e disser: - Fatti in là, brutto cagnaccio! -
37
e da la mensa l'urtavano a drieto.
Gano volpaccia se l'arreca in berta
e dicea fra se stesso cheto cheto:
« In Roncisvalle farò starvi all'erta ».
Or ecco un tanfo d'altro che d'aceto,
ecco il pagan che tira a la scoperta
un sospiro, un singliozzo, uno sbadacchio,
e fece a' paladini il spaventacchio.
38
Legato in terra il brutto animalaccio
ritorce il grugno e che gli ha fame dice.
Non fu dato a rempir quel gran ventraccio
duo porri, un mezo aglietto o quatro alice;
Turpin, che fu presente, ratto e 'vaccio
scrive che sei fagiani, una pernice,
un porco arrosto, un bue et un castrato
gli entrò nel cozzo e non toccò il palato.
39
Da ber li dero un tino pien di mosto;
sorsa col grifo come il liofante
e prese l'orso e la scimia tantosto
e volle sciorsi, il bufalo galante,
e puzzando di lesso e non d'arrosto
corre a vederlo il ponente e levante
e trovan che 'l figliuol de l'Arcivacca
fatta ha la pisciarella co la cacca.
40
Or tutti i Parigin adosso vanno
a chi la sala ammorba di carogna;
il capo, i piè, le man legate gli hanno;
chi 'l dà a' cani e chi lo vuole in gogna.
Turpino e Namo la sentenza danno
che come bestia castrarlo bisogna.
Come castrata fu sí gran bestiaccia
ne l'altro canto udir non vi dispiaccia.
CANTO TERZO
Nel terzo, per il gigante castrato e buttato in fiume si figurano i superbi, che fanno simil fine; per i paladini ch'hanno ben mangiato a tavola e biasmano i pagani morti e vivi s'intende per gli uomini spensierati che biasmano gli altri e non guardono a loro e l'allegrezza de la tavola li fa biasmar altri e lodar se stessi; per la chimera di Malagigi si figurano i costumi de gli uomini e ch'ognun s'appiglia al suo appetito.
1
Saturno, antico dio, gran menchiatarro,
perduti i coglion suoi, perse ogni gioia;
poi nacque in mar del suo seme bizzarro
Vener, madre d'Amor, dea de la foia.
Vieni, o Saturno, a veder sopra il carro
l'Arcifanfano, a cui vuol torre il boia
i suo coglioni, acciò non resti razza
d'una bestia com'egli ingorda e pazza.
2
Quando i giganti al ciel mossono guerra
fu da Giove da ben quaggiú distrutti
e de lor sangue germogliato in terra
nacquer le scimie, i babbuini brutti;
or l'Arcifanfan, se Turpin non erra,
per che 'l mondo di lui non goda frutti,
vuole il vecchio Carlon che sia castrato,
come Turpino e Amone han consigliato.
3
atto un gran carro in settimane sei,
dove perse il pagan l'ardir, la lena,
gli alberi de' gran monti Pirenei
si tagliar tutti e bastar quasi appena.
Qui legato il bestion gridava: - Ohmei! -
La pancia sopra e sotto avea la shiena,
e raccolse da' chiassi ogni brigata,
non per via Appia o per via Sacra o Lata.
4
Cento fra vacche e buoi co' lor vitelli
il carro trionfal tirano adagio.
Venne a Parigi un gran castra-porcelli,
dico da Norcia un certo mastro Biagio,
e tagliati al gigante i gran granelli[ni],
sfiatò di sotto e poi fet'a suo agio.
Scrive Turpin ch'avea grossi i coglioni
come duo gran ballotte di cannonni.
5
A gli urli, a' gridi, a le voce crudeli
che l'Arcifanfan mosse a suo mugliare,
tremò Parigi, intronò i sette cieli
e fe' le donne gravide sconciare:
altro parean che di pecore i beli!
Finita sí gran bestia di castrare,
chiuso in un sacco fu buttato in Senna,
ch'al collo un sasso avea, non una penna.
6
Summerso in fiume il gigantaccio strano,
tornano a mensa i paladin galanti
tutti a pacchiar; ma il traditor di Cano
voluto avria che 'l pagan tutti quanti
gli avessi morti o ver dati in sua mano,
e cheto si sedea da l'un de' canti.
Danese Ugier, che del pagan fe' preda,
pacchia per dieci e vuol ch'ognun lo veda.
7
Di vin claretto avea piena una tazza
mastro Danese e la zuppa faceva;
come un moscion nel vino nuota e sguaza.
Astolfo, perché tutto non se 'l beva,
glielo carpí di man con furia pazza.
Ecco il Danese, a cui l'ingiuria aggreva,
stese il bracc[h]io e d'Astolfo prese il piatto,
alza un fagiano e disse: - Scacco matto! -
8
Bebbe in fretta e versò su la tovaglia
il vino Astolfo e 'l fagian gli fu tolto.
Qui di denti e di man si fa battaglia:
già il Danese il fagian di polpe ha spolto.
Ridea Carlo da ben: - Se Dio me vaglia -
disse a Turpin -, tu vedi chiaro e sciolto
rubbarsi a mensa i paladin fra loro:
scrivi ciò che tu vedi in lett[e]re d'oro -.
9
Turpin vecchietto di fresco era raso,
pareva proprio una gazza pelata,
pareva un becco di civetta il naso,
d'un luccio par la bocca sgangherata;
rise d'Astolfo e del Danese a caso.
Danese il guarda e disse a la sboccata:
- Vescovo di Catropoli, or confessa
le donne, i putti e bada a dir la messa.
10
Voleo far co la zuppa il sursum corda;
Astolfo cinciglion m'ha tolto il modo -.
Rispose Astolfo: - In pace te lo scorda.
Il fagian m'hai rubbato, ond'io mi rodo -.
Namo gentile in pace al fin gli accorda,
e mentre ser Turpin sorsava il brodo
lardiero, e' se 'l versò fra 'l seno e ' piei,
e disse: - Prosit vobis, patres mei -.
11
Turpin, ch'avea la memoria locale,
guardò poi Carlo e disse: - I' serbo in mene
e scriverò su la mia fé reale
de' paladin la vita da niente.
Ma ora è tempo a badare al boccale -.
Finito il pacchio e 'l ber, la lieta gente
sciolser la lingua e contar co le dita
tutti i pagani a chi tolser la vita.
12
Tutti eran morti quei pagan bravacci:
Gradasso, Rodomonte e Mandricardo.
I paladin, che non temon piú impacci,
biasmando i morti ognun si fa gagliardo.
Marsiglio sol co le sue sferre e stracci
era rimaso.
Or ecco il sir del pardo
(Astolfo dico) e vivi e ' morti affronta
co le parole, e cosí dice e conta:
13
- Potta del mondo, chi sarebbe mai
Grandonio se non certo grandonaccio
di pochi fatti e di parole assai?
Ferraú fu piccino, ebbe un mostaccio
sí brutto che parea pieno di guai;
era a le donne un dispetto, un impaccio:
Angelica fuggí quel can rognoso,
non già me che so' bello e valoroso.
14
Rodomonte, animal bizarro e duro,
Ruggie
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