ASTOLFEIDA, di Pietro Aretino - pagina 3
...
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Astolfo si scagliò...
e disse: - Ah, bufalon poco discreto!
17
per tasta, s'io ti fo una ferita.
Farò restarti a un colpo mortale
senz'onor, senza robba e senza vita -.
Disse il pagan: - Né paura né male
puoi farmi, e fa', stu sai, la cera ardita.
Deh, s'io ti lego a cintola, bambino,
parrammi avere a canto un fiaschettino -.
18
E corre adosso ad Astolfo di botto
e come un putto lo vuol trar d'arcione.
Astolfo corre per entrarli sotto,
ma urtollo sí forte il bufalone
ch'in terra si trovò, senza far motto,
col petto sopra e 'l dosso sul sabbione,
com'un bello asinin, com'un muletto
si svoltola per terra a suo diletto.
19
Col culo in terra e co' calcagni al cielo,
a gambe larghe, di galantaria,
Astolfo cadde e disse: - Il ver non celo:
la colpa del cavallo par che sia:
è magro, asciutto, ha solo l'osso e 'l pelo -.
Poi si drizzò e disse: - O mamma mia,
se 'l culo aveva denti a questo tratto
tutti se li rompeva a fatto affatto -.
20
Cosí Astolfo a caval risaliva
e l'Arcifanfan, tutto d'ira pieno,
per traboccarlo di nuovo veniva,
quando l'alfana sua si trasse il freno;
mentre portandol qua e là corriva,
col culo il balocon basciò il terreno.
Astolfo allor piantollo e disse: - Guari,
brutto bestione, or ve' che siam par pari -.
21
Or ecco Astolfo ch'a Parigi sprona,
paga il pagan d'una volta di schiena,
e di mano gli uscí come fe' Iona
quando ch'uscí del ventre a la balena,
e disse a Carlo: - I' merto la corona:
son giunto salvo, senza danno e pena,
co l'arme, col cavallo, e so' megliore
che non è Berlinghier berlingatore.
22
Se non era il pagan sí grande e grosso
[io] ti lo portavo qui, su la mia fede,
come porta un facchino il peso addosso -.
Ride ognun che frappare il sente o vede.
L'Arcifanfano intanto s'era mosso
di terra, e poi ch'Astolfo piú non vede,
risuona il corno e tutta Francia sfida,
poi ch'ognun fugge e non è chi l'uccida.
23
Ecco Terigi, il fraschetta cicala,
cava del vaso un nome e sta a vedere;
Turpino legge e biscanta con gala
e dice: - Ugier, danese cavaliere -.
Danese il sente e satellando in sala
si volse a Carlo e disse: - Non temere,
l'animo e 'l cuor mi dice in tempo corto
di menar qui il gigante o vivo o morto.
24
Vorrei sciacquando i denti un po' di vino
e porre in mollo un po' di pan biscotto:
la zuppa fa lo stomaco piú fino.
Che sí ch'io pongo il gigante di sotto -.
Come sguazza ne l'aqua un anitrino
sguazza il Danese e tracanna di botto
una bottiglia e poi il gigante trova
ch'a un cero menava colpi a prova.
25
Il gigante bubú, vistosi a torno
mastro Danese grugno di marzocco,
grida: - Chi è quest'ucel perde-giorno
che mi vien fra le branche a dar trabocco? -
Rispose Ugieri: - Ah, brutto can musorno,
tosto il saprai se col ferro ti tocco! -
L'Arcifafan rispose: - Altro non puoi
far che fuggir come gli altri par tuoi.
26
I' credo se tu fussi tutto acciaio
faresti appena un ago damaschino
e se soffiassi il vento di rovaio
ti porteria come il nibbio un pulcino -.
Ugier rispose: - O stallon da pagliaio,
val per sette giganti un paladino.
I' ti farò veder, brutta bestiaccia,
che la mia forza non si vende a braccia -.
27
L'Arcifanfano adosso alor li corre
e ser Danese adosso corre a lui;
si vengon co le lance in fallo a corre
e su l'arcion si pigliano amendui;
il pagan crede Ugier di sella torre
e Ugier forte sta contro a costui;
si stringon tanto ch'escon de la sella
e dan la schiena su l'erba novella.
28
Drizzati in piè ritornano a le prese;
il pagan crede Ugier pigliare stretto;
l'utile e non pomposo ser Danese
al gigataccio urta il capo nel petto;
col piede a uncino una gamba li prese,
con man lo strigne e col forte gambetto
in terra il caccia; il pagan pur si scuote,
sopra è il Danese, tal ch'uscir non puote.
29
L'Arcifanfano grida e scampar crede;
il buon Danese, ch'una funa ha in seno,
cor una man l'allaccia per un piede,
co l'altra forte il tien sopra il terreno;
il pagan bufalon, come si vede
sotto legato, l'ardir li vien meno;
perde l'orgoglio in mezo de la via
come fa il gran dopo la carestia.
30
Parea proprio da Pescia Baldassarre,
grasso che mal si muova qua e là;
ànfana co la morte e solo garre.
Grida il Danese: - Paladin, qua, qua!
Io solo, senza spade o scimitarre,
vinto ho 'l gigante e sotto a' piè mi sta! -
I paladini, a veder su le mura,
corrono dal Danese a la sicura.
31
Chi ha mai visto un giovenco novello,
che 'l maniscalco a terra lo distende
con funi e lacci per far bove quello,
mentre la bestia grida e 'l cielo offende,
corre a soccorso il popolo israello,
e ' testicoli poi li batte e incende,
cosí par l'Arcifanfano a guardare,
ch'empie di tuoni il ciel col suo mugliare.
32
Mezo di peso e mezo strascinoni
condotto è l'Arcifanfano in Parigi;
corrono i paladini giorneoni,
Carlo ringrazia Dio e san Dionigi.
Cadde il gigante in sala sbalordoni
senza nigromanzie di Malagigi;
ognun bascia il Danese e Gano solo
crepa in se stesso d'invidia e di duolo.
33
Canellon, traditor in eccellenza,
gli occhi simili aveva al basalisco,
come quei d'Agostin Landi in Piacenza:
il cuor coniglio a' tradimenti arisco,
la schiuma de' poltron, la quinta essenza,
con Gano a par tra ' mie versi l'ordisco;
Gianni Anguissola, il ladro, presso a quello
è un nuovo Bertolagi, un Pinabello.
34
Son da Scipione [ecco] i tre Palavicini:
Ieronimo, il maggior, brutto stroppiato,
Alessandro e Camil ladri assassini,
fratelli al brutto zoppo scelerato;
vien Gian Luigi che da' Piacentini
confalonier de' ribaldi è chiamato.
A tradimento ucciser lor signore:
piú di Gano ognun d'essi è traditore.
35
Mentre il gigante in sala iace in terra
s'apparrechia la tavola ritonda.
I paladini, ch'han vinta la guerra,
fra 'l pacchio e 'l bere ognun di rise abbonda.
Or ecco l'Arcifanfan ch'apre e sferra
una correggia, una loffa gioconda,
che la polvere alzò del mattonato
et ogni paladino ha impolverato.
36
Carlo di risa come la castagna
ebbe a crepar fra Namo e ser Turpino;
il duca Amone col re di Brettagna
han chiusi gli occhi pel gran polverino;
Gan di Maganza pieno di magagna
pareva un can polveroso mastino;
Astolfo et Uliver li fer l'occhiaccio
e disser: - Fatti in là, brutto cagnaccio! -
37
e da la mensa l'urtavano a drieto.
Gano volpaccia se l'arreca in berta
e dicea fra se stesso cheto cheto:
« In Roncisvalle farò starvi all'erta ».
Or ecco un tanfo d'altro che d'aceto,
ecco il pagan che tira a la scoperta
un sospiro, un singliozzo, uno sbadacchio,
e fece a' paladini il spaventacchio.
38
Legato in terra il brutto animalaccio
ritorce il grugno e che gli ha fame dice.
Non fu dato a rempir quel gran ventraccio
duo porri, un mezo aglietto o quatro alice;
Turpin, che fu presente, ratto e 'vaccio
scrive che sei fagiani, una pernice,
un porco arrosto, un bue et un castrato
gli entrò nel cozzo e non toccò il palato.
39
Da ber li dero un tino pien di mosto;
sorsa col grifo come il liofante
e prese l'orso e la scimia tantosto
e volle sciorsi, il bufalo galante,
e puzzando di lesso e non d'arrosto
corre a vederlo il ponente e levante
e trovan che 'l figliuol de l'Arcivacca
fatta ha la pisciarella co la cacca.
40
Or tutti i Parigin adosso vanno
a chi la sala ammorba di carogna;
il capo, i piè, le man legate gli hanno;
chi 'l dà a' cani e chi lo vuole in gogna.
Turpino e Namo la sentenza danno
che come bestia castrarlo bisogna.
Come castrata fu sí gran bestiaccia
ne l'altro canto udir non vi dispiaccia.
CANTO TERZO
Nel terzo, per il gigante castrato e buttato in fiume si figurano i superbi, che fanno simil fine; per i paladini ch'hanno ben mangiato a tavola e biasmano i pagani morti e vivi s'intende per gli uomini spensierati che biasmano gli altri e non guardono a loro e l'allegrezza de la tavola li fa biasmar altri e lodar se stessi; per la chimera di Malagigi si figurano i costumi de gli uomini e ch'ognun s'appiglia al suo appetito.
1
Saturno, antico dio, gran menchiatarro,
perduti i coglion suoi, perse ogni gioia;
poi nacque in mar del suo seme bizzarro
Vener, madre d'Amor, dea de la foia.
Vieni, o Saturno, a veder sopra il carro
l'Arcifanfano, a cui vuol torre il boia
i suo coglioni, acciò non resti razza
d'una bestia com'egli ingorda e pazza.
2
Quando i giganti al ciel mossono guerra
fu da Giove da ben quaggiú distrutti
e de lor sangue germogliato in terra
nacquer le scimie, i babbuini brutti;
or l'Arcifanfan, se Turpin non erra,
per che 'l mondo di lui non goda frutti,
vuole il vecchio Carlon che sia castrato,
come Turpino e Amone han consigliato.
3
atto un gran carro in settimane sei,
dove perse il pagan l'ardir, la lena,
gli alberi de' gran monti Pirenei
si tagliar tutti e bastar quasi appena.
Qui legato il bestion gridava: - Ohmei! -
La pancia sopra e sotto avea la shiena,
e raccolse da' chiassi ogni brigata,
non per via Appia o per via Sacra o Lata.
4
Cento fra vacche e buoi co' lor vitelli
il carro trionfal tirano adagio.
Venne a Parigi un gran castra-porcelli,
dico da Norcia un certo mastro Biagio,
e tagliati al gigante i gran granelli[ni],
sfiatò di sotto e poi fet'a suo agio.
Scrive Turpin ch'avea grossi i coglioni
come duo gran ballotte di cannonni.
5
A gli urli, a' gridi, a le voce crudeli
che l'Arcifanfan mosse a suo mugliare,
tremò Parigi, intronò i sette cieli
e fe' le donne gravide sconciare:
altro parean che di pecore i beli!
Finita sí gran bestia di castrare,
chiuso in un sacco fu buttato in Senna,
ch'al collo un sasso avea, non una penna.
6
Summerso in fiume il gigantaccio strano,
tornano a mensa i paladin galanti
tutti a pacchiar; ma il traditor di Cano
voluto avria che 'l pagan tutti quanti
gli avessi morti o ver dati in sua mano,
e cheto si sedea da l'un de' canti.
Danese Ugier, che del pagan fe' preda,
pacchia per dieci e vuol ch'ognun lo veda.
7
Di vin claretto avea piena una tazza
mastro Danese e la zuppa faceva;
come un moscion nel vino nuota e sguaza.
Astolfo, perché tutto non se 'l beva,
glielo carpí di man con furia pazza.
Ecco il Danese, a cui l'ingiuria aggreva,
stese il bracc[h]io e d'Astolfo prese il piatto,
alza un fagiano e disse: - Scacco matto! -
8
Bebbe in fretta e versò su la tovaglia
il vino Astolfo e 'l fagian gli fu tolto.
Qui di denti e di man si fa battaglia:
già il Danese il fagian di polpe ha spolto.
Ridea Carlo da ben: - Se Dio me vaglia -
disse a Turpin -, tu vedi chiaro e sciolto
rubbarsi a mensa i paladin fra loro:
scrivi ciò che tu vedi in lett[e]re d'oro -.
9
Turpin vecchietto di fresco era raso,
pareva proprio una gazza pelata,
pareva un becco di civetta il naso,
d'un luccio par la bocca sgangherata;
rise d'Astolfo e del Danese a caso.
Danese il guarda e disse a la sboccata:
- Vescovo di Catropoli, or confessa
le donne, i putti e bada a dir la messa.
10
Voleo far co la zuppa il sursum corda;
Astolfo cinciglion m'ha tolto il modo -.
Rispose Astolfo: - In pace te lo scorda.
Il fagian m'hai rubbato, ond'io mi rodo -.
Namo gentile in pace al fin gli accorda,
e mentre ser Turpin sorsava il brodo
lardiero, e' se 'l versò fra 'l seno e ' piei,
e disse: - Prosit vobis, patres mei -.
11
Turpin, ch'avea la memoria locale,
guardò poi Carlo e disse: - I' serbo in mene
e scriverò su la mia fé reale
de' paladin la vita da niente.
Ma ora è tempo a badare al boccale -.
Finito il pacchio e 'l ber, la lieta gente
sciolser la lingua e contar co le dita
tutti i pagani a chi tolser la vita.
12
Tutti eran morti quei pagan bravacci:
Gradasso, Rodomonte e Mandricardo.
I paladin, che non temon piú impacci,
biasmando i morti ognun si fa gagliardo.
Marsiglio sol co le sue sferre e stracci
era rimaso.
Or ecco il sir del pardo
(Astolfo dico) e vivi e ' morti affronta
co le parole, e cosí dice e conta:
13
- Potta del mondo, chi sarebbe mai
Grandonio se non certo grandonaccio
di pochi fatti e di parole assai?
Ferraú fu piccino, ebbe un mostaccio
sí brutto che parea pieno di guai;
era a le donne un dispetto, un impaccio:
Angelica fuggí quel can rognoso,
non già me che so' bello e valoroso.
14
Rodomonte, animal bizarro e duro,
Ruggier domollo e morto il cacciò sotto;
con Gradasso era un dar del capo al muro
e pure Orlando l'uccise di botto;
Mandricardo, Agrican due bestie furo:
padre e figliuol da noi fu ucciso e rotto;
Sacripante, una bestia da pastura,
d'Angelica bagascia ebbe sol cura -.
15
Or ecco Berlinghier che pel camino
d'Astolfo viene e disse: - Io vi prometto
che 'l guerrier de la stella Serpentino
è un serpe, una mosca, anzi un dispetto -.
Rinaldo disse: - Io uccisi Mambrino
con sei fratelli -.
- Et io solo soletto,
chiusi gli orecchi, uccisi il re Braviero -
disse il Danese -, e d'ognun so' piú fiero -.
16
Disse Dudon: - Trufaldino e Brunello
fur de' pagani la feccia e la schiuma:
fu di Margutte ognun piú traforello -.
Disse Aquilante: - Or il cervel mi fuma.
Martano il sa s'io li ruppi il cervello
e me la gelosia rode e consumma -.
Disse Griffon: - Per Orrigille ho spenti
mille campioni e cavallier valenti -.
17
Son nati d'un Martan tanti Martani,
ch'assai ci fia da far s'ognun si noma;
son oggi in copia assai barri e ruffiani
ch'a nolo tengon le puttane in Roma;
hanno fra questi il vanto i siciliani:
vanno a cap'alto con scoperta chioma,
moglie, figlie e sorelle hanno al cantone;
Martano presso a questi era un campione.
18
Chi s'adopra in servigio di puttana
fa vita da ruffian, nimico a Dio.
- Io puto uccisi Almonte a la fontana
e liberai l'imperador mio zio -
diceva Orlando -; acquistai Durindana;
Feraú, Agricane uccisi ho io;
mlle e mill'altri ch'io da banda lasso,
nimici a noi, ognun di vita ho casso -.
19
Salomone, Turpin, Namo et Ottone,
vechi impazzati ch'han beuto a iosa,
dissero al guercio figlio di Milone:
- Et anco noi sapiamo far qualcosa! -
- Trar corregge - rispose il re Carlone -,
in letto profumando l'amorosa -.
Terigi rise e Namo a dir li venne:
- Terigi ha come il cucco voce e penne -.
20
- Torniamo a' Saracin - dice Gualtiero -;
diciàn che Falserone è falsa rozza
e Bianciardin vende il bianco pel nero;
Marsiglio d'un laccio a la strozza;
Balugante un baion, bestia Isolero;
Zambugier, Mazzarigi il vento ingozza -.
- Voltianci in Barberia -, soggiunse Namo.
- Agamante è pur morto afflitto e gramo.
21
D'Almonte Dardinel, giovane vano,
Cloridan montanar, Medor gentile,
ognun trovossi co le mosche in mano,
nati fra la rugiada e ' fior d'aprile -.
Replica Astolfo: - Non vi paia strano,
Turpin pulito e Namo signorile,
le donne ricordar di pagania -.
- Sí, sí - disse Turpin, e disse: - Via!
22
Entrando nel gran sesso femminino,
de la donna esce l'uom, chiaro e 'vidente,
com'esce del fossato un granchiolino,
poi ci rientra piú grande e possente.
La donna è detta in vulgare, in latino,
il vaso, il seme in parte de la gente;
la donna e l'uom son due in carne una:
co la natura il natural s'adduna.
23
Con breve dir farò comparazione
da le gran donne antiche a le moderne.
Lasso in mal'or le sterili Amanzòne,
ch'olio non volser ne le lor lucerne;
lodiamo in eccellenza, in perfezzione
le paladine e le pagane esterne -.
Soggiunse Astolfo: - I nomi o dir disio.
Turpin vecchietto, ascolta e dirò io.
24
L'Ancroia fu tanto gran carovana
che non l'avrien tirata cento buoi;
col suo brocchiero era spesso in quintana,
straccando cento giganti par suoi;
Chiariella vacca, Antea marcia puttana.
Dice Pasquin com'oggi son fra noi
sine fine dicentes puttaname;
de l'oro piú che de l'onore han fame.
25
Fallerina legava altri all'incanti
e Doralice co le paroline;
Alcina in becchi mutava gli amanti;
Morgana fu foiosa senza fine;
sfamò Origille i guattri, i furfanti,
ponendo gli altri in miserie, in ruvine;
bella e ritrosa Angelica fu anco,
datasi in preda d'un vil moro bianco -.
26
Cosí dicev'a Carlo, al re Carlone,
col fianco alzato, or che non ha piú fame;
il vin l bolle in capo e nel polmone
come bolle a Viterbo il bollicame,
e giura a Carlo d'ammazzar Macone
e tutti i suoi, questo campion[i] di dame,
et Ulivier il suo detto fa buono
per ch'in amor fratel giurati sono.
27
Or Malagigi, ch'è fra questa schiera
e vede caldi i paladin reali,
disse: - I' farò cangiarvi animo e cera.
Le vostre forze a me non son equali -.
E comparir fa in sala una chimera
con cento capi di cento animali,
cent'occhi e bocche e cento mani e piede,
e Turpino e Pasquin ne fanno fede.
28
Quivi è il leone, il liofante e 'l pardo,
il tigro, la pantera, il cervo e l'orso,
l'asino, il bu', il gaval presto e gagliardo,
il lupo, il cane, il lepre giunto in corso,
la scimmia, il volpe, il porcaccio ifingardo,
l'istrice, il tasso a la tana ricorso,
la testugin, la chioccia, il gallo, il gatto,
la talpa, il ghiro, il topo al buco piatto;
29
v'era una quercia carca de cicale,
un boschetto di panie e di civette,
conigli e grilli co' piedi e co l'ale,
mosche da ragni fra le tele strette,
il camello, il castor savio e leale,
l'armellin bianco.
Or Malagigi mette
l'eletta a tutti a pigliar per cimiero
un animale a lor voglia e pensiero.
30
Scrivonsi i nomi e vengosi a cavare
del vaso; a chi piú è la sorte amica,
chi vien fuor prima un cimier può pigliare
a suo piacer, senz'indugio o fatica.
Di mano in man viensi[i] il vaso a votare:
a chi coglie, san Pier lo benedica.
Turpin li scrisse e Terigi li cava,
Turpin li lege e Terigi li dava.
31
Carlo fu 'l primo e il liofante prese;
Namo la chioccia et ogni suo pulcino,
perch'a quatro figliuoli fa le spese;
la pania e la civetta ebbe Turpino;
prese il veltro Ulivier senza contese,
Dudone l'orso e la gatta Angelino;
Gano, de ladri e traditori archímia,
per cimier prese la volpe e la scimia.
32
Il sir d'Anglante prese il leon sciolto;
il sir di Montalban lo vuol sbarrato;
mastro Danese il porco grasso ha tolto;
il vecchio Amone al bue s'<è> attaccato;
l'inglese Ottone al cervo s'è rivolto;
Salomon prese il cavallo infrenato,
Gherardo il lupo; Aldigieri il mascagno
per cimier prese co la mosca il ragno.
33
Prese il tasso Gualtier da Mulione
e lo spinoso il prese Ricciardetto;
Avolio, Berlinghieri, Avino, Ottone
preser quattro conigli a lor diletto
e la pantera Aquilante e Grifone;
Rugiero il tigro s'ha fra tutti eletto
e Baldovin la tartaruga ha tolta
e Sansonetto al gallo si rivolta.
34
Prese Vivian d'Agrismonte il camello;
prese Ansuigi il castor che co' denti
strappa i coglioni (e forse invita quello);
i Maganzesi, di Gano parenti,
la talpa, il lepre, il ghiro in un drapello
e 'l topolino a pigliar furo intenti;
Terigi, piú a cialar ch'a l'arme esperto,
prese il querciuol di cicale coperto.
35
L'asin restò, che nol prese nessuno,
e pur nessun deveva rifutarlo.
I paladin per passar tempo ognuno
sol Gano non s'accorda con alcuno:
li rode il cuor come fa il legno il tarlo.
Ecco Astolfo ch'un giuoco fa ordinare
ch'a ognun tocchi un tratto il comendare.
36
A ser Danese, babbuasso egregio,
Gualtier comanda: - Che tu facci intendo,
come de' paladin vuole il collegio,
ch'in bocca cacci a Turpin reverendo
fra ' denti un stecco, non già per dilegio,
ma per ischerzo, e che canti comendo
a occhi chiusi i salmi e 'l verbum caro -.
Questo partito a Turpin parve amaro.
37
Pur Turpino obedí, per quant'io trovo
scritto da lui, e di cantar s'affretta:
una gallina par, fatto ch'ha l'uovo,
e fra ' denti s'intriga la linguetta.
Ecco Ulivier ch'impone un giuoco nuovo
a Gano e vuol che giuochi a la civetta
fra 'l Danese e Dudon, cervel balzano,
e giuochi a schiaffi e sia presto di mano.
38
Gan, che si vide comandare un giuoco
ch'in odio l'ha come il diavol la croce,
rispose: - O Ulivier, né assai né poco
t'obedirò -.
E fuggí via veloce.
La pena a chi falliva era in quel luoco
che sopra un asin vad' a viva voce
tre volte a la ritonda mensa in torno
e da ciufoli e gridi abbia gran scorno.
39
Gan per uscir di sala a l'uscio corre;
Rinaldo il chiude e tien Gano a la pancia;
l'asino è in punto e sú lo vuol porre;
Ganellone, ch'ha già smorta ogni guancia,
si volta a Carlo e dice: - Or mi soccorre,
cognato car! - Pur ogni priego è ciancia.
Se sí o no sull'asino andò Gano
ne l'altro canto udir non vi sia strano.
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