ASTOLFEIDA, di Pietro Aretino - pagina 1
ASTOLFEIDA
DEL DIVINO PIETRO ARETINO
DE TUTTI LI PALADINI DI FRANCIA
E DI DOVE NACQUE LA CASA DI MAGANZA
E CHI FU GANO
E DI CHE GENTI E CONDIZIONE FU LA SUA GENOLOGIA
D'AMORE E GRAN BATAGLIE DI ORLANDO E DI RINALDO
A PASQUINO E MARFORIO
ANTICHI ROMANI E AMATORI DEL VERO
PIETRO ARETINO
Il martello ch'i' ho di voi dua, poi ch'io cangiai un fiume al mare e Roma con Venezia, vuol ch'io v'indrizzi la vita d'Astolfo e de gli altri paladini, detta da me l'Astolfeida.
Io la mando a voi perché nascesti innanzi a' paladini, i quali son terra da ceci già 700 anni in circa.
Voi soli avete visto e cognosciuto chi è visso e morto, chi vive ora e chi viverà poi.
Voi soli siate e sarete, vivete e viverete fino al dí del giudizio, e in un tempo siate antichi e moderni.
Voi soli siate amanti del vero e nimici de le menzogne.Voi soli vo[i]rreste morire per il vero, ma il vero vi tien vivi perché siate il paragon de' bugiardi.
Chi è caparbio e ostinato abbaglia in ciò che fa, escetto ch'in dire il vero.
Voi dite il vero a tutti e siate intesi da ogni gente.
Pasquino cantando il vero scuopre le virtú, i vizii di tutti.
Pasquino non cura i bravacci che piú volte l hanno tagliato il naso, i bracci, le mani, i piedi, e mai gli han possuto tagliar la lingua.
Pasquino non si muove mai, se ben Roma va tutta in arme; Marforio non si drizzaria da iacere pel Turco, né per un altro.
Pasquino non si degna a chi é indegno di lui; Marforio non alza il capo a' carri, a le carrette, a' bufoli né a gli asini.
In somma Pasquino e Marforio son sempre d'accordo e stando scoperti al sole e a luna si ridono de gli astrologi bugiardi, e non pigliando mai medicine tirano grata correge a la barba d'i medici.
Quando è carrestia lor dui, che vivono di mamma orientale, fanno i fichi al grano de' riconi miseroni.
A tempo di peste, perché, non son sanguíni, non pigliano anguinaglie, e contro a la guerra hanno sí dura la pelle che non temono gli archibusi.
Pasquino, che senza nigromanzia si transforma in ogni cosa, dice che sa fare ogni cosa.
Quel pazzo d'Ercole de la Cantina in Roma assaltò un tratto con la spada ignuda Pasquino, ignudo come e' gli è, e menandoli mille colpi mai li possette cavar sangue.
Il cielo e ' fati affadorno Pasquino e Marforio in perpetuo.
Orlando e Feraú furono fatati da non poter morir mai, e pur morirono; solo Pasquino e Marforio furono fatati da vero e gli altri da beffe.
Quando ero in Roma si fe' una caccia di toro inanzi a Pasquino: il toro sbudellò un caca-pensieri ch'andò ad affrontarlo e sbalzò in aria dui altri pera-grilli; viddi un artigianello sfacendato che fuggendo dal toro saltò su gli omeri a Pasquino e il toro, avendo rispetto a Pasquino, ebbe riguardo a lui.
Nel sacco di Roma chi fu morto, chi taglieggiato e chi perse i genitali: soli Pasquino e Marforio, per i meriti loro e per grazia bona, non ebbe male alcuno.
Nel diluvio il Tevero da bene, smorbando i mali, portò via case e botteghe, taverne, bordelli, puttane, ruffiani, asini, cavalli, buffoli, cani, gatti e fino a' topi: Pasquino e Marforio non mossero mai i piedi.
Adunque, o miei buon sozii, sotto l'umbra del vostro vero mando al sole l'Astolfeida, perché la salviate de' morsi de le cicale.
Io so che sapete che i paladini furono valenti e da bene, ma non quanto se ne ragiona.
I paladini furono uomini come gli altri; il mondo fu sempre d'una sorte e non mancano oggi, in cambio di paladini, i colonnelli, i capitani, l alfieri, i maestri di campi e de la vigna, e per tutto ci è de l Astolfi e piú de' Martani e - quel ch'è peggio - de' Gani a iosa.
Or, per non vi esser lungo, ecco l'Astolfeida sotto la protezzione vostra, e vi bascio di lontan il cuore e sempre scampando state lieti.
PASQUINO A LI LETTORI
SOPRA L'ASTOLFEIDA
DEL DIVINO PIETRO ARETINO
Alme amorose e spirti peregrini,
voi che svegliate a l'alte imprese il cuore,
del divino Aretin pur or vien fuore
l'Astolfeida.
I fior de' paladini,
de' barbari orgogliosi saracini,
d'erranti cavallier l'arme, l'amore,
di diverse nazion l'ira, il furore,
chi sale al ciel, chi nel centro rovini,
le qualità de' vicin, de gli esterni
costumi e legi non altrove intese
vi mostra l'Aretin, del vero amante,
comparazion d'antichi e di moderni,
e scuopre ogni sentier, terra e paese,
e chi è mosca e si tiene elefante.
Pasquin nostro galante
l'Aretin loda e dice ch'oggi assai
bravi a parol n'ha 'l mondo piú che mai;
dice che d'oggi in crai
crescono al mondo ognor l'usanze acerbe,
come ne l'orto allignon le mal'erbe;
dice che piú superbe
son le puttane che le gentil donne
e lo' par d'esser regine e madonne,
e che le ricche gonne
non ricuoprono i lor vizii furfanti,
che sfamando i facchin rubban gli amanti;
dice che da piú canti
il mondo è pieno di squarta-cantoni
piú che l'aer di grilli e parpaglioni;
dice che de' babbioni
da Mantua n'è per tutto, e de gli alocchi
e de' gattuci ch'hanno aperti gli occhi;
e che vende i finocchi
per confetti ogni strologo mendace,
annunciando la guerra per la pace.
Quel che a Pasquino spiace
che gli è vecchio e Marforio è rimbambito:
or che son vecchi il mondo è imputtanito.
Lettori, oltre v'invito
lieti a cantar d'amor fra l'erbe e ' fiori
sí bel poema, spasso a gentil cuori.
CANTO PRIMO
In questo primo canto si descrive la qualità e ' costumi de' paladini di Francia e dicesi il vero, perché non sono tante cose quanto si dicono, e che 'l mondo fu quasi sempre ad un modo.
Per il gigante Arcifanfano, che fuore di Parigi sfida i paladini a battaglia, s'intende per i bravacci a parole, de' quali è pieno oggi il mondo.
1
Le temerarie imprese, i strani effetti,
i cuor bramosi, l'insaziabil menti
de' cavallieri erranti, i gran concetti,
le sorti, i paragon di tutte genti,
baron da mensa e campioni da letti,
di Carlo Magno e tutti i suoi parenti,
de' paladin da ver, di quei da ciance
canto l'armi, l'amor fra spade e lance.
2
Dirò d'Astolfo, l'uomo del buon tempo,
cose non mai piú in penna o in pennello.
Fuggendo i guai prese i piacer col tempo,
altretanto buon sozio quanto bello;
ricevea burle e scherzi a luogo e tempo
come una sposa riceve l'anello.
Il poema e l'istoria al mondo letta
d'Astolfo l'Astolfeida fia detta.
3
Falsi i poeti e l'istorici vani
di Troia e Tebe, di Sparta e Tesaglia
son presso a l'opra ov'io caccio le mani;
a dir de' paladin, se 'l ver mi vaglia,
son le buggie un abbaiar de cani.
Io in pace dirò piú che in battaglia,
de' cronichisti mendaci al dispetto,
de' paladin di Francia il vero schietto.
4
Dir male e dire il ver genera sdegno,
sogliono dir[e] gl'ipocriti e piangioni;
chi ben dice e mal fa di morte è degno,
come fanno i cagnacci ipocritoni.
A' buon sozii l'orecchia a grattar vegno,
non a gli adulator, non a' poltroni.
Non è vizio piú pregno di veleno
ch'ornar di lode chi di biasmo è pieno.
5
Or stien lontani da l'istoria mia
quei che vendon la logica a le scuole;
lontani stien, col mal che Dio lo' dia,
quei che in piú conto han la luna che 'l sole;
vadi a le forche questa e quella arpia
che sputa perle in cambio di parole;
e da me piú che gli altri fugger[e] denno
quei ch'han malinconia per troppo senno.
6
Uomini [e] santi gloriosi e magni
son quei ch'odon l'istoria ov'io m'attacco:
quei ch'i debiti pagan di calcagni,
quei ch'ognor mangian col capo nel sacco,
quei che non stimon perdite o guadagni,
quei che piú de Saturno adoran Bacco;
a udir l'Astolfeida sien chiamati
i buon compagni allegri e spensierati.
7
I continenti, i rigidi, i severi,
i probi, i coram vobis respettivi
son degni di soposte e di cristeri,
come oggi il tanto de' poeti divi.
Quei ch'hanno poca robba e men pensieri,
quelli vivono e mertan d'esser vivi,
com'ecco il sir Astolfo e gli altri suoi
paladin buon compagni.
Udite or voi.
8
Omeri et Aristotili e Platoni,
Pitagore, Diogeni e Socràti,
Anasarchi viril, giusti Catoni,
i buon Fabrizii, i saldi Zenocràti,
i Demosteni saggi, i Ciceroni
le pastinache stimon pinocchiati
e le rape aman piú de' marzapani:
questi svogliati stien da me lontani.
9
La moltitudin porge confusione;
spiace il dir lungo a li strani, a' vicini;
per fuggir tali error, con gran ragione
nel primo canto sol de' paladini
di Francia e Carlo si farà menzione;
nel secondo de' mori e saracini;
nel terzo liete favole e novelle,
ch'un breve e dolce dir sale a le stelle.
10
I' non chiamo le Muse e manco Apollo
per non esser tenuto partigiano,
di ser Cupido son stracco e satollo,
Minerva è capricciosa e Marte è strano,
Giove è fallito e non può dar piú un crollo:
l'ombra chiam'io di Tiresia tebano,
perché fu uomo e donna, putto e vecchio,
arcivide il futuro in uno specchio.
11
Te solo invoco, o Tiresia eccellente,
ch'avesti il naturale e la natura;
tu fusti a un tempo agente e paziente,
dicesti il vero a tutti a la sicura;
porgimi il tuo favore omnipotente,
ch'io canti il ver, senza dubbio o paura,
de' paladin, de' cavallieri erranti,
piú ver che le menzogne de' furfanti.
12
Il Pulcio fiorentin lodò Morgante
e l'Ariosto in ciel pose Rugiero,
lodò Gradasso il Boiardo galante
e Mandricardo e Rodomonte altiero,
Brandimarte, Agramante e Sacripante;
io piú lontan, per diverso sentiero,
dirò il ver da Verona con bei modi,
la via lassando di Piacenza e Lodi.
13
E perché da Astolfo l'opra mia
piglia il titulo e 'l nome, è ben ragione
ch'Astolfo in capo di tavola fia.
Paladino fedel del re Carlone,
vieni, Astolfo amoroso, vien pur via,
a cuore, a sangue a tutte le persone.
Enea, Ettor e Achille furo un zero
presso a quel ch'io di te cantare spero.
14
Fu Astolfo amoroso, dolce, umano,
di corpo bel, di gusto delicato;
fu de la lingua un po' parabolano,
per buon francese a mensa era chiamato,
era in camiscia un buono italiano,
per mantuano in letto era accettato,
nel cader da cavallo inglese vero,
ch'han di cavalleria poco mestiero.
15
Fu nel resto del viver buon compagno
per sé, per altri in secreto e 'n palese;
diceva allegramente a Carlo Magno
che la malinconia non paga spese.
Rinaldo fu un uom senza sparagno:
fu coragioso e fier, bello e cortese,
ma s'in collera entrava a sorte, a caso,
nessuno ardía toccarli in punta il naso.
16
Mezo da Sutri e mezo da Parigi
fu il sir d'Anglante, Orlando purga-matti,
utile e non pomposo in far servigi;
fu di poche parole e d'assai fatti,
seguí in amor d'Angelica i vestigi,
fu bizarro di cuor, fu fiero in atti,
fu guercio e nero e fu d'ognun terrore,
nipote a Carlo e roman senatore.
17
Il marchese Ulivier fu bello e forte,
e giunse amor fra beltade e fortezza;
d'Astolfo fu caro compagno in corte.
Riciardetto con lor scherzò in cavezza;
Ranier di rana piú debol che forte;
fu Gualtieri d'ognun la stitichezza;
fu il Danese un uomaccio grossolano:
per che li piacque il vin si fe' cristiano.
18
Chiamossi il figlio Dudon de la mazza
perché non oprò mai lancia né spada;
Morgante fu un campanil da piazza,
mangiator, dormiglion, come-va-vada;
fu Buratto una bestia ingorda e pazza;
Don Chiaro il piú vil uom di sua contrada;
Bertolagi il poltron, viso-di-berta,
el cuor d'un lepre avea, Turpin l'accerta.
19
Fu Gano un furfantaccio da Pontieri;
de furbi era il suo sangue, ladro e ghiotto
(nascon de' furbi i traditori veri):
tinti in grana e piegati in ciambellotto,
que' settanta duo conti cavallieri
Maganzesi accattavon col barlotto;
ciurmando il mondo arricchir tutti quanti:
Gano fu 'l capo a' traditor furfanti.
20
Pontier, Maganza, Altariva, Altafoglia
erano i gerghi de' loro spedali;
escivon come i serpi de la scoglia;
di furbi si fer poi ladri immortali;
di ladri, traditor di buona voglia;
rubbar, scannar, veleni e mille mali
facevon, com'or fa piú d'un ribaldo;
la lor vera triaca era Rinaldo.
21
Fu Turpin capellano e cancelliero
e confessor di Carlo e cronichista;
se mai de' paladini scrisse un vero,
aveva poi cento menzogne in lista.
...
[Pagina successiva]