TUTTE LE NOVELLE, di Giovanni Verga - pagina 133
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- Una cosa alla volta, bestia! -
Masticava adagio, facendo i bocconi grossi, colle spalle al muro e il naso sulla grazia di Dio.
Di tanto in tanto volgeva il capo, e dava un'occhiata all'agnella, che cercava di liberarsi, belando, e picchiava della testa sulla tavola .
- Chetati, chetati! - brontolò Lollo infine.
- Chetati, che ancora c'è tempo.
- Ma che volete fare? Parlate almeno! -
Egli la guardò quasi non avesse udito, con quegli occhietti spenti che non dicevano nulla, accendendo la pipa tranquillamente, tanto che la povera donna smarrivasi sempre più, e a un tratto si buttò ginocchioni per slacciargli le ciocie fradice.
- No, - disse lui, respingendola col piede.
- No, torno ad uscire.
- Con questo tempo? - sospirò lei, tirando un gran respiro.
- Non importa il tempo...
Anzi!...
Anzi!...
-
Quando parlava così, con quella faccia squallida, e gli occhi falsi che vi fuggivano, quell'omettino magro e rattrappito faceva proprio paura - in quella solitudine - con quel tempaccio che non si sarebbe udito "Cristo aiutami!".
La moglie sparecchiava, in silenzio.
Lui fumava e sputacchiava di qua e di là.
A un tratto la gallina nera si mise a chiocciare, malaugurosa.
- S'è visto oggi Michelangelo? - domandò Lollo.
- No...
no...
- balbettò la moglie, che fu ad un pelo di lasciarsi cader di mano la grazia di Dio.
- Gli ho detto di scavare la fossa...
Una bella fossa grande...
L'avrà già fatto.
- Oh, Gesummaria! Perché?...
perché?...
- C'è un lupo...
qui vicino...
Voglio pigliarlo -.
Ella istintivamente volse una rapida occhiata all'uscio della cucina, e fissò gli occhi smarriti in volto al marito, che non la guardava neppure, chino sulla sua pipa, assaporandola, quasi assaporasse già il piacere di cogliere la mala bestia.
Ella, facendosi sempre più pallida, colle labbra tremanti, mormorava: - Gesù!...
Gesù!...
- Non aver paura.
Voglio pigliarlo in trappola...
senza rischiarci la pelle...
Ah, no! Sarebbe bella!...
con chi viene a rubarvi il fatto vostro...
rischiarci la pelle anche! Ho già avvisato Zango e Buonocore.
Ci hanno il loro interesse pure -.
Fosse il vinetto che gli scioglieva la lingua, o provasse gusto a rimasticare pian piano la bile che doveva averci dentro, non la finiva più, grattandosi il mento rugoso, appisolandosi quasi sulla pipa, ciarlando come una vecchia gazza.
- Vuoi sapere come si fa?...
Ecco: gli si prepara il suo bravo trabocchetto...
un bel letto sprimacciato di frasche e foglie...
l'agnella legata là sopra...
che lo tira la carne fresca, il mariolo!...
E se ne viene come a nozze, al sentire il belato e la carne fresca...
Col muso al vento, se ne viene, e gli occhi lucenti di voglia...
Ma appena cade nella trappola, poi, diventa un minchione, che chi gliene può fare, gliene fa: sassi, legnate, acqua bollente! -
L'agnella, come se capisse il discorso, ricominciò a belare, con una voce tremola che sembrava il pianto di un bambino, e toccava il cuore.
Sobbalzava di nuovo a scosse, rizzando il capo, e tornava a batterlo sulla tavola come un martello.
- Basta! basta, per carità! - esclamò la donna, giungendo le mani, quasi fuori di sé.
- No, l'agnella non la tocca neppure, appena si trova preso in trappola con essa...
Le gira intorno, nella buca...
gira e rigira...
tutta la notte, per cercar di fuggirla anche...
la tentazione...
Come capisse che è finita, e bisogna domandar perdono a Dio e agli uomini...
Bisogna vederlo, appena spunta il giorno, con quella faccia rivolta in su, che aspetta i cani e i cacciatori, con gli occhi che ardono come due tizzoni...
-
Si alzò finalmente, adagio adagio, e si mise a girondolare per la stanza, come un fantasma, strascicando le ciocie fradice, frucacchiando qua e là, col lume in mano.
- Ma che cercate? Che volete? - chiese la povera moglie, annaspandogli dietro affannata.
Egli rispose con una specie di grugnito, e cacciò il lume sotto il letto.
- Ecco, ecco, l'ho trovato -.
Il turbine in quel momento parve portarsi via la casa.
Uno scompiglio in cucina: la donna che strillava, attaccata all'uscio: una ventata soffiò sul lume a un tratto, e buona notte.
- Santa Barbara! Santa Barbara!...
Aspettate...
Cerco gli zolfanelli...
Dove siete? Dove andate? Rispondete almeno!
- Zitta - disse Lollo ch'era corso a stangare la porta di casa.
- Zitta, non ti muovere, tu! -
E si diede a battere l'acciarino sull'esca, verde come lo zolfanello che aveva acceso, tanto che alla povera moglie tremava il lume in mano.
Egli tornò a girondolare, cheto cheto.
Prese un bastoncello di rovere, lo intaccò da un capo e vi legò una funicella di pelo di capra.
La moglie, che le erano tornati gli spiriti vitali al veder dileguarsi il temporale, e mostrava di stare attenta anzi a quel lavoro, coi gomiti sulla tavola, e il mento fra le mani, volle sapere: - Che è questo?
- Questo?...
Che è questo? - mugolò lui, soffiando e fischettando.
- Questo è il biscotto per chiuder la bocca la lupo...
Ce ne vorrebbe un altro per te, ce ne vorrebbe! Ah, ah!...
Ridi adesso?...
T'è tornato il rossetto in viso?...
Voi altre donne avete sette spiriti, come i gatti...
-
Essa lo guardava fisso fisso, per indovinare quel che covasse sotto quel ghigno: gli si strusciava addosso, proprio come una gatta, col seno palpitante, e il sorriso pallido in bocca.
- Sta ferma, sta ferma, che fai versare l'olio...
L'olio porta disgrazia...
- Sì, che porta disgrazia! - proruppe lei.
- Ma che avete infine? Parlate!
- Tò! Tò! Ecco che vai in collera ora!...
Le sai tutte, le sai!...
Vuoi sapere anche come si fa a pigliarlo? Ecco qua: gli si cala questo gingillo nella buca; il lupo, sciocco, l'addenta; allora, lesto, gli si passa la funicella all'altro capo del bastone, e si lega dietro la testa.
L'affare è fatto.
Dopo, il lupo potete prenderlo e tirarlo su, che non fa più male...
E ne fate quel che volete...
Ma bisogna aspettare a giorno chiaro...
Ora vo a preparare la trappola...
- V'aspetto adunque? Tornate? -
Lollo andò a staccare lo scapolare grugnendo: - Uhm!...
uhm!...
- E tornò a prendere l'agnella: - Vedremo...
Il gusto è a vederlo in trappola...
che ne fate poi quel che volete...
senza dar conto a nessuno...
Anzi vi danno il premio al municipio!...
Tu sta cheta, sta cheta - ripeté mettendosi l'agnella sotto il braccio.
- Sta cheta che il lupo non ti tocca.
Ha da pensare ai casi suoi, piuttosto -.
Uscì così dicendo, senza dar retta alla moglie, e chiuse l'uscio di fuori.
- Che mi chiudete a chiave? - strillò la donna picchiando dietro l'uscio.
- Eh? Che fate? -
Lollo non rispose, e si allontanò fra l'acqua e il vento.
- Oh Vergine santissima! - esclamò la poveretta aggirandosi per la stanza colle mani nei capelli.
S'aprì invece l'uscio della cucina e comparve Michelangelo, pallido come un morto, che non si reggeva in piedi.
- Presi!...
Siamo presi! - balbettò lei con un filo di voce.
- Ci ha chiusi a catenaccio! -
Lui da prima voleva fare il bravo.
Tirò su i calzoni per la cintola, incrocicchiò le braccia sul petto, tentò di balbettare qualche cosa per far animo alla povera donna: - Va bene!...
son qui...
t'aspetto!...
- Poi, tutt'a un tratto, fosse il naturale suo proprio che lo vincesse, o il nervoso che gli metteva addosso il va e vieni di lei che pareva proprio una bestia presa in gabbia, scappò a correre anche lui all'impazzata, di qua e di là per la stanza, in punta di piedi, pallido, stralunato, tentò e ritentò la porta, scosse l'inferriata della finestra, s'arrampicò sulla tavola e sul letto per dar la scalata al tetto annaspando colle braccia tremanti, cieco di paura e di rabbia.
Infine s'arrese, trafelato, guardando bieco la complice, accusandola d'averlo attirato nel precipizio.
- Ah! - scattò allora su lei, colle mani ai fianchi.
- È questa la ricompensa?
- Zitta! - esclamò lui spaventato, chiudendole la bocca colla mano.
- Zitta!...
Non vedi che abbiamo la morte sul collo?
- Doveva cogliermi un accidente, quando mi siete venuto fra i piedi! - seguitò a sbraitare la donna.
- Doveva cogliermi una febbre maligna!
- Ssss!...
- fece lui colle mani e la voce stizzosa.
- Ssss! -.
Si udiva solo il vento, e l'acqua che scrosciava sul tetto.
Lei si teneva il capo fra le mani, e lui stava a guardarla, inebetito.
- Ma che disse? Che fece? - biascicò infine.
- Alle volte...
Ci è parso perché siamo in sospetto...
- No! - rispose la moglie di Lollo.
- È certo! È certo che sapeva!...
- E allora?...
allora?...
- scattò su Michelangelo, tornando ad alzarsi come fuori di sé.
Il lume, a cui mancava l'olio, cominciava a spegnersi.
Egli furioso scuoteva di nuovo porta e finestra, rompendosi le unghie per scalzar l'intonaco, mugolando come una bestia presa al laccio.
- Ave Maria, aiutatemi voi! - supplicava invece la donna.
- Prima dovevi dire le avemarie...
prima!...
- esclamò infine lui.
E cominciò a sfogarsi dicendole ogni sorta d'improperi.
FRAMMENTO II
Nella città straniera, stranieri l'uno all'altra, s'erano trovati accanto alla stessa tavola d'albergo e alla medesima rappresentazione teatrale che attirava da ogni parte gli zingari della gran vita.
Ella fine e delicata come un fiore - egli baldo e rapace come un uccello da preda.
E appena si guardarono in viso la prima volta tornarono a guardarsi, ella facendosi sempre pallida.
- E dopo, nella semioscurità del teatro che concentrava una sensazione estraumana, lo sfolgorio delle scene, e l'ebbrezza delle piene orchestre, egli si impadronì risoluto delle piccole mani tremanti, e le tenne strette quanto durò la loro stagione d'amore.
Dolce stagione che dileguò al pari della visione scenica! - Dolce musica che respirava - gli incanti svaniti colla grazia un po' triste e la tenerezza penetrante delle cose che non son più - là, in quell'altro teatro di un altro paese dove si erano trovati insieme l'ultima volta, ancora accanto, e pure tanto lontani!
Milano, 10 giugno 1900
"NEL CARROZZONE DEI PROFUGHI" (FRAMMENTO III)
Nel carrozzone dei profughi, due povere donne sedute accanto, col fagotto della roba che avevano avuto al Municipio sulle ginocchia, si narravano i loro guai.
Anzi una non parlava più; guardava nella folla con certi occhi stralunati, quasi cercando la figlia che le avevano detto fosse stata salvata da un giovanotto quando trassero anche lei dalle fiamme e dalle macerie.
Una ragazza bella come il sole, che chi l'aveva vista una volta l'avrebbe riconosciuta fra mille.
L'avevano vista rifugiata sotto un portone - tra i feriti del Savoja - alla stazione.
Tutti l'avevano vista, fuori che lei! Dalla stazione aveva visto soltanto la sua casa che bruciava, per due ore, sinché il treno stette lì.
E ora, mentre cercava la sua creatura fra la gente, da otto giorni, e pensava a lei che forse la cercava e chiamava aiuto, vedeva ancora quella distruzione e quell'incendio come un rifugio, una disperata certezza.
- Ora son sola - diceva l'altra.
- Quando incontrai mio marito, qui, per caso, salvo anche lui, non mi pareva vero.
Ma avevo tre figli: una maritata, colla grazia di Dio, e il maggiore che mi portava a casa già la sua giornata...
Tutti! Tutti!...
Io mi ero alzata appunto pel più piccolo ch'era malato, quando successe il terremoto.
Il Signore non mi volle -.
Ne parlava tranquillamente, colla faccia gialla e la testa fasciata.
- Ora, quando lui sarà guarito andremo in America -.
L'altra alzò gli occhi, soltanto, e la guardò.
- Certo, che faremo qui?
- In America? - disse un altro profugo.
- Non sapete che vita da cani! Peggio dei cani li trattano i cristiani! -
Ella a sua volta guardò sbigottita colui, come a ripetere: - Che faremo qui?
- Qui siamo nati; qui sono le pietre delle nostre case! - dissero gli altri.
FRAMMENTO IV
Mi sembra ancora di vederla quella figura sconvolta, uomo o donna, non so.
Rammento solo due occhi pazzi e una bocca spalancata, enorme, urlando forse nel gridìo generale, nera anch'essa, ma di un pallore cadaverico.
Dibattevasi per farsi largo nella ressa dei profughi giunti con le prime corse, che si accavallavano sul balcone del Municipio all'arrivo di altre barelle e di altri carrozzoni che portavano altri profughi e altri gemiti.
Ad un tratto vide, riconobbe qualcuno nella sfilata tragica, laggiù in fondo alla piazza.
Si spinse innanzi disperatamente, quasi volesse buttarsi giù e si mise a chiamare, a gridare, a chiedere chissà? un nome, una notizia di vita o di morte, qualcosa che l'altro soltanto poteva udire e comprendere in quel frastuono immenso, dall'altra estremità della piazza immensa, urlando.
E l'altro, di laggiù, vide lei sola, in quel formicolio umano, udì, indovinò il nome e la domanda ansiosa, e rispose certo con una parola, un segno che al di sopra della folla, della confusione, del frastuono giunsero diritti a lei, che si cacciò le mani nella criniera arruffata, senza una parola, senza un grido, e cadde, scomparve nell'ondata di altri che gridano e chiamano ansiosi, dolorosamente egoisti.
UNA CAPANNA E IL TUO CUORE
La capanna stavolta era l'Albergo della Stella.
Quando vi giunsi, fra quelle quattro case arrampicate in cima al monte, dopo una giornata afosa nelle bassure della zolfara, mi parve di essere davvero nelle stelle, all'ombra della tettoia sgangherata che faceva da angiporto.
- Una stanza? - uscì a dire l'ostessa asciugandosi il sugo di pomidoro dalle braccia.
- Ma ci abbiamo tutta la compagnia.
- Oh!
- Sicuro, quella delle operette.
Però, se si contenta della mia...
-
Passando pel baraccone tutto scompartimenti come una stalla, vidi infatti una bella giovane che si rizzò lesta dal tavolato dov'era distesa, e mi salutò arrossendo un poco anche sotto il rossetto della sera innanzi.
Dovetti accontentarmi, poiché non ci era altro, della stamberga con tanto di letto matrimoniale dell'ostessa, e mentre essa apparecchiava un po' di tavola "per quel che c'era", si udì un baccano dalla parte della compagnia.
- È la lavandaia che viene a fare le solite scenate, - disse l'ostessa.
- Gente senza educazione.
Ora vo a dire che ci sono dei forestieri -.
Ma fu inutile, e il diavoleto peggio di prima.
Appena fui seduto per mandar giù "un po' di quel che c'era", comparve sull'uscio la ragazza della compagnia.
- Scusi.
Avrebbe, per caso, due lire e settantacinque di spiccioli, in piacere?
- Ecco.
- Grazie.
Ora torno -.
Tornò infatti, collo stesso risolino di palcoscenico.
- Che vuole? Scusi tanto.
I nostri comici sono tutti fuori.
Appena tornano...
- Oh, faccia a suo comodo.
- Buon appetito allora - disse sorridendo anche al piatto che recava l'ostessa.
- E a lei pure, giacché vedo ch'è l'ora...
- Oh, noi...
I nostri uomini sono stati invitati a fare una scampagnata dai signori del paese...
- Se vuol favorire dunque...
- Anzi...
Molto gentile.
Se permette, lo dico anche alla mia amica ch'è napoletana e le piacciono tanto gli spaghetti.
- Tanto piacere anche la sua amica napoletana -.
L'ostessa non se lo fece neanche dire e tornò indietro per gli altri spaghetti.
La napoletana si fece pregare un po', di là, ma venne lei pure, col salutino del pubblico.
- Il nostro soprano.
Una voce! Dovrebbe venire a sentirci, domani sera.
- Domani sera spero di essere a casa mia, finalmente.
- Peccato! Qui non si recita che il sabato e la domenica sera, perché gli altri giorni il nostro pubblico è occupato nelle zolfare - .
Il soprano, più contegnoso, si occupava a mandar giù gli spaghetti in punta di forchetta, quasi fosse già il sabato o la domenica sera, dinanzi al pubblico .
- Una vera diva!...
E vederla in costume, con quel décolleté!...
- La diva protestò levando su la forchetta col gomitolo di spaghetti, o per poca modestia, o perché il décolleté non fosse troppo in bella vista.
- Eh, che male c'è se gli uomini hanno occhi per vedere...
e mandar giù le platee?...
È vero, sì o no? Ditelo anche voi -.
Voltandomi, vidi sull'uscio altri visetti che dicevano già di sì, in attesa pur esse.
- Venite, venite anche voi.
Il signore è così gentile...
-
E naturalmente venne anche l'ostessa, carica d'altri piatti.
- La signorina Fides, mezzo soprano.
- La signorina Vanda, contralto.
- La signorina Ines, contraltino, che al bisogno fa le parti d'amoroso.
Come vede i nostri uomini ci lasciano a trarci d'imbarazzo anche nelle parti d'amoroso.
- Vedremo se ci portano almeno dei fiori dalla loro scampagnata.
- Quelli sì, perché non si mangiano.
- Che delizia! - sospirò allora la diva.
- Che paesaggi avete da queste parti...
sotto questo sole!...
- A chi lo dice!
- No? Non è del paese lei?
- È che l'ho avuto tutto il giorno sulla testa, quel sole! -
Dopo gli spaghetti venne del baccalà, poi delle ova sode, poi del caciocavallo, insomma "un po' di quel che c'era"", e dei fichi d'India, già bell'e sbucciati dalle mani stesse della locandiera, chi ne volesse.
Le artiste dicevano sempre di sì; tanto che dopo i fichi d'India chiesero del cognac.
- Cognac non ce n'è.
Abbiamo della menta-sèlse.
Ma ora, dopo tavola...
- Non importa.
È per fare i brindisi -.
Prima naturalmente a me, ch'ero stato tanto gentile.
Poi sfilarono altri nomi e altri ricordi, che brillarono un istante in quegli occhietti lustri.
- A te!...
Sempre! - A quella prima notte...
di luna!...
- Tutta roba passata! - sentenziò la stella napoletana.
- Tout passe, tout lasse, tout casse...
- E volle anche spiegare il suo francese alle compagne che sgranavano gli occhi.
- Passa via...
ti lascio...
La canzone finisce sempre così.
- Sempre, no.
Tu lo sai bene...
- Ella si strinse nelle spalle.
- Il tuo avvocato...
- Un avvocato!
- Sissignore! E ha lasciato moglie e figliuoli per venire a fare il suggeritore.
- Un bell'affare! E quella megera s'è permesso anche di venire a farmi le scene, coi suoi mocciosi, in casa mia!
- Poveretti! Bisognava sentirli piangere...
- Al cuore non si comanda, - conchiuse una delle signorine Ines o Fides.
- Certo, se si sapesse prima...
-
- Prima - il caso - l'incontrarsi in quegli occhi che vi mangiano dalla platea quando vi viene la nota giusta.
- Le scioccheriole che vi contano all'uscita dal teatro - la scappatella che sembrava di passaggio, ahimé!...
Ciascuna rammentava la sua, in quel momento di vino tenero.
Gli occhi ancora umidi, o pei ricordi di prima, o per quelli della scena.
- Così, senza saper come, la scioccheriola che mutavasi in duetto serio - o la passatina sotto la finestra che andava a finire nella stanzetta in due.
Poi il destarsi a bocca asciutta - o amara - o tra gli sbadigli e i - non mi seccare -, ch'è peggio.
- O peggio ancora la farsetta che minaccia di cambiarsi in tragedia...
- Come quando si dovette levar le tende in fretta e furia, tutta la compagnia che non c'entrava affatto...
E a un pelo di rimborsar gli abbonati per giunta! - conchiuse la signorina Fides.
- Oh, questa poi!...
- Sì, in un paesetto qui vicino, allorché quelli del partito contrario vollero giocare un tiro al sindaco che veniva a fare quattro chiacchiere con una di noi; e una bella notte, quando volle tornare a casa della moglie, gli fecero trovare murata la porta della locanda coi materiali della strada in riparazione.
Allora figuriamoci!...
-
Essa non aveva fatto alcun nome; ma tutte le altre guardavano sottecchi da una parte, ridendo, però col naso sul piatto.
La napoletana che invece aveva il naso in su, rimbeccò subito:
- Tu stai zitta, che di queste disgrazie non ne capitano certo pei tuoi begli occhi al tuo banchiere!
- Anche un banchiere?
- Sì, quello che scopa le tavole -.
Fides scattò inviperita: - Prima di scopare le tavole contava dei bei bigliettoni, quello!
- E te li buttava dietro in fiori per le serate e il braccialetto col sempre d'oro.
Per questo dovette fare i conti col principale, che gli sbatté in faccia lo sportello della banca, e te lo lasciò appeso al collo, col sempre del braccialetto! -
Io cercai di mettere qualche buona parola, anzi le loro parole stesse: - Cose che succedono.
Se si sapesse prima...
- Prima o poi, quello era un galantuomo e rimase un galantuomo.
Povero, ma onorato.
Perciò quando me lo vidi comparire dinanzi, con le tasche vuote ma tanto di cuore aperto...
ed anche le braccia, mentre mi diceva: "Eccomi...
Son qua...".
Ella singhiozzava quasi, col tovagliolo al viso, ripetendo quelle parole, tanto che le amiche le si strinsero intorno a confortarla, e la stessa napoletana volle ricordare come succedono queste cose:
- Si sa.
Ogni giorno che veniva, le ariette e i duettini...
Una bella seccatura a sentirli mattina e sera...
- Egli aveva una vocetta promettente allora - aggiunse la signorina Vanda.
- E per una disgrazia leggeva anche dei romanzi, tanto che gli pareva vero...
- Io glielo dissi - riprese Fides con gli occhi ancora umidi.
- E che vuoi fare adesso? "Son qua...
Son qua...".
Non sapeva dir altro, con quel viso pallido, e quelle braccia aperte...
Anch'io ero là...
E mi chiamo Fede...
La mano nella mano dunque...
- Ecco! Sino alla prima voltata.
- Voltata no, e neppure corda al collo - rispose Fides con gli occhi adesso asciutti.
- Io devo fare l'artista, e non posso voltare le spalle a questo e a quello se mi dicono che piaccio.
- O quando fanno dei regalucci.
- Bisogna mandare avanti la baracca anche -.
Quando gli uomini, a sera, tardi, dopo aver mangiato bene e bevuto meglio tornarono alla capanna ed al cuore, furono liti e questioni invece di fiori e paroline dolci.
La vocetta mezzo soprano di Fides che strillava: - Ah, sei stato a far l'assolo? Anch'io ci ho trovato qui per il duetto.
Prendi! -
L'avvocato perdeva il suo tempo a perorare di qua e di là, scusando queste e quelli e cercando di metter pace.
La napoletana gli sbatté con lo scarpone sul muso:
- Porco! Ci vorrebbero qui i tuoi mocciosi a piangerti per il pane, adesso! -
Me li vidi comparire dinanzi io pure, il giorno dopo; lui con la gota fasciata, a spiegarmi quel che doveva essere stato il po' di chiasso che forse avevo udito nella notte.
Ma la napoletana, ancora imbronciata, tagliò corto:
- Basta, basta.
Arrivederci dunque.
Il mondo è tondo, e chi non muore si rivede -.
Io non ho più rivisto quegli occhi rapaci e quel décolleté petulante.
- FINE -
...
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