TRIONFI, di Francesco Petrarca - pagina 1
FRANCESCO PETRARCA
TRIONFI
TRIUMPHUS CUPIDINIS
Trionfo d'Amore
I
Al tempo che rinnova i miei sospiri
per la dolce memoria di quel giorno
che fu principio a sì lunghi martiri,
già il sole al Toro l'uno e l'altro corno
scaldava, e la fanciulla di Titone
correa gelata al suo usato soggiorno.
Amor, gli sdegni, e 'l pianto, e la stagione
ricondotto m'aveano al chiuso loco
ov'ogni fascio il cor lasso ripone.
Ivi fra l'erbe, già del pianger fioco,
vinto dal sonno, vidi una gran luce,
e dentro, assai dolor con breve gioco,
vidi un vittorïoso e sommo duce
pur com'un di color che 'n Campidoglio
triunfal carro a gran gloria conduce.
I' che gioir di tal vista non soglio
per lo secol noioso in ch'i' mi trovo,
voto d'ogni valor, pien d'ogni orgoglio,
l'abito in vista sì leggiadro e novo
mirai, alzando gli occhi gravi e stanchi,
ch'altro diletto che 'mparar non provo:
quattro destrier vie più che neve bianchi;
sovr'un carro di foco un garzon crudo
con arco in man e con saette a' fianchi;
nulla temea, però non maglia o scudo,
ma sugli omeri avea sol due grand'ali
di color mille, tutto l'altro ignudo;
d'intorno innumerabili mortali,
parte presi in battaglia e parte occisi,
parte feriti di pungenti strali.
Vago d'udir novelle, oltra mi misi
tanto ch'io fui in esser di quegli uno
che per sua man di vita eran divisi.
Allor mi strinsi a rimirar s'alcuno
riconoscessi ne la folta schiera
del re sempre di lagrime digiuno.
Nessun vi riconobbi; e s'alcun v'era
di mia notizia, avea cangiata vista
per morte o per prigion crudele e fera.
Un'ombra alquanto men che l'altre trista
mi venne incontra e mi chiamò per nome,
dicendo: - Or questo per amar s'acquista! -
Ond'io meravigliando dissi: - Or come
conosci me, ch'io te non riconosca? -
Et ei: - Questo m'aven per l'aspre some
de' legami ch'io porto, e l'aer fosca
contende agli occhi tuoi; ma vero amico
ti son e teco nacqui in terra tosca.
-
Le sue parole e 'l ragionare antico
scoverson quel che 'l viso mi celava;
e così n'assidemmo in loco aprico,
e cominciò: - Gran tempo è ch'io pensava
vederti qui fra noi, ché da' primi anni
tal presagio di te tua vita dava.
-
- E' fu ben ver, ma gli amorosi affanni,
mi spaventar sì ch'io lasciai la 'mpresa;
ma squarciati ne porto il petto e' panni.
-
Così diss'io; et ei, quando ebbe intesa
la mia risposta, sorridendo disse:
- O figliuol mio, qual per te fiamma è accesa! -
Io nol intesi allor, ma or sì fisse
sue parole mi trovo entro la testa,
che mai più saldo in marmo non si scrisse;
e per la nova età, ch'ardita e presta
fa la mente e la lingua, il dimandai:
- Dimmi per cortesia, che gente è questa? -
- Di qui a poco tempo tel saprai
per te stesso - rispose - e sarai d'elli:
tal per te nodo fassi, e tu nol sai;
e prima cangerai volto e capelli
che 'l nodo di ch'io parlo si discioglia
dal collo e da' tuo' piedi anco ribelli.
Ma per empier la tua giovenil voglia
dirò di noi, e 'n prima del maggiore,
che così vita e libertà ne spoglia.
Questi è colui che 'l mondo chiama Amore:
amaro come vedi e vedrai meglio
quando fia tuo com'è nostro signore:
giovencel mansueto, e fiero veglio:
ben sa chi 'l prova, e fi' a te cosa piana
anzi mill'anni: infin ad or ti sveglio.
Ei nacque d'ozio e di lascivia umana,
nudrito di penser dolci soavi,
fatto signor e dio da gente vana.
Qual è morto da lui, qual con più gravi
leggi mena sua vita aspra et acerba
sotto mille catene e mille chiavi.
Quel che 'n sì signorile e sì superba
vista vien primo è Cesar, che 'n Egitto
Cleopatra legò tra' fiori e l'erba;
or di lui si triunfa, et è ben dritto,
se vinse il mondo et altri ha vinto lui,
che del suo vincitor sia gloria il vitto.
L'altro è suo figlio; e pure amò costui
più giustamente: egli è Cesare Augusto,
che Livia sua, pregando, tolse altrui.
Neron è il terzo, dispietato e 'ngiusto;
vedilo andar pien d'ira e di disdegno;
femina 'l vinse, e par tanto robusto.
Vedi 'l buon Marco d'ogni laude degno,
pien di filosofia la lingua e 'l petto;
ma pur Faustina il fa qui star a segno.
Que' duo pien di paura e di sospetto,
l'un è Dionisio e l'altr'è Alessandro;
ma quel di suo temer ha degno effetto.
L'altro è colui che pianse sotto Antandro
la morte di Creusa, e 'l suo amor tolse
a que' che 'l suo figliuol tolse ad Evandro.
Udito hai ragionar d'un che non volse
consentir al furor de la matrigna
e da' suoi preghi per fuggir si sciolse,
ma quella intenzïon casta e benigna
l'occise, sì l'amore in odio torse
Fedra amante terribile e maligna,
et ella ne morio: vendetta forse
d'Ippolito, e di Teseo, e d'Adrianna,
ch'a morte, tu 'l sai bene, amando corse.
Tal biasma altrui che se stesso condanna;
ché chi prende diletto di far frode,
non si de' lamentar s'altri lo 'nganna.
Vedi 'l famoso, con sua tanta lode,
preso menar tra due sorelle morte:
l'una di lui, ed ei de l'altra gode.
Colui ch'è seco è quel possente e forte
Ercole, ch'Amor prese; e l'altro è Achille,
ch'ebbe in suo amar assai dogliose sorte.
Quello è Demofoon, e quella è Fille;
quello è Giasone, e quell'altra è Medea
ch'Amor e lui seguio per tante ville;
e quanto al padre et al fratel più rea,
tanto al suo amante è più turbata e fella,
ché del suo amor più degna esser credea.
Isifile vien poi, e duolsi anch'ella
del barbarico amor che 'l suo l'ha tolto.
Poi ven colei ch'ha 'l titol d'esser bella:
seco è 'l pastor che male il suo bel volto
mirò sì fiso, ond'uscir gran tempeste,
e funne il mondo sottosopra vòlto.
Odi poi lamentar fra l'altre meste
Enone di Parìs, e Menelao
d'Elena, et Ermïon chiamare Oreste,
e Laodamia il suo Protesilao,
et Argia Polinice, assai più fida
che l'avara moglier d'Anfïarao.
Odi 'l pianto e i sospiri, odi le strida
de le misere accese, che li spirti
rendero a lui che 'n tal modo li guida.
Non poria mai di tutti il nome dirti,
che non uomini pur, ma dèi gran parte
empion del bosco e degli ombrosi mirti.
Vedi Venere bella e con lei Marte,
cinto di ferri i piè, le braccia e 'l collo,
e Plutone e Proserpina in disparte;
vedi Iunon gelosa, e 'l biondo Apollo
che solea disprezzar l'etate e l'arco
che gli diede in Tessaglia poi tal crollo.
Che debb'io dir? In un passo men varco:
tutti son qui in prigion gli dèi di Varro;
e di lacciuoli innumerabil carco
ven catenato Giove innanzi al carro.
-
II
or quinci or quindi mi volgea guardando
cose ch'a ricordarle è breve l'ora.
Giva 'l cor di pensiero in pensier, quando
tutto a sé il trasser due ch'a mano a mano
passavan dolcemente lagrimando.
Mossemi 'l lor leggiadro abito e strano
e 'l parlar pellegrin, che m'era oscuro,
ma l'interprete mio mel facea piano.
Poi che seppi chi eran, più securo
m'accostai a lor, ché l'un spirito amico
al nostro nome, l'altro era empio e duro.
Fecimi al primo: - O Massinissa antico,
per lo tuo Scipïone e per costei -
cominciai - non t'incresca quel ch'i' dico.
-
Mirommi, e disse: - Volentier saprei
chi tu se' innanzi, da poi che sì bene
hai spiato ambeduo gli affetti miei.
-
- L'esser mio - gli risposi - non sostene
tanto conoscitor, ché così lunge
di poca fiamma gran luce non vene;
ma tua fama real per tutto aggiunge,
e tal che mai non ti vedrà né vide,
con bel nodo d'amor teco congiunge.
Or dimmi, se colui in pace vi guide, -
e mostrai 'l duca lor - che coppia è questa
che mi par delle cose rade e fide? -
- La lingua tua al mio nome sì presta,
prova - diss'ei - che 'l sappi per te stesso;
ma dirò per sfogar l'anima mesta.
Avend'io in quel sommo uom tutto 'l cor messo,
tanto ch'a Lelio ne dò vanto a pena,
ovunque fur sue insegne, e fui lor presso.
A lui Fortuna fu sempre serena,
ma non già quanto degno era il valore,
del qual più d'altro mai l'alma ebbe piena.
Poi che l'arme romane a grande onore
per l'estremo occidente furo sparse,
ivi n'aggiunse e ne congiunse Amore;
né mai più dolce fiamma in duo cori arse,
né farà, credo.
Omè, ma poche notti
fur a tanti desir sì brevi e scarse,
indarno a marital giogo condotti,
ché del nostro furor scuse non false,
e i legittimi nodi furon rotti.
Quel che sol più che tutto 'l mondo valse
ne dipartì con sue sante parole,
ché di nostri sospir nulla gli calse;
e benché fosse onde mi dolse e dole,
pur vidi in lui chiara virtute accesa,
ché 'n tutto è orbo chi non vede il sole.
Gran giustizia agli amanti è grave offesa:
però di tanto amico un tal consiglio
fu quasi un scoglio a l'amorosa impresa.
Padre m'era in onore, in amor figlio,
fratel negli anni; onde obedir convenne,
ma col cor tristo e con turbato ciglio.
Così questa mia cara a morte venne,
che vedendosi giunta in forza altrui,
morir in prima che servir sostenne:
et io del dolor mio ministro fui,
ché 'l pregator e i preghi eran sì ardenti
ch'offesi me per non offender lui,
e manda' le 'l velen con sì dolenti
pensier, com'io so bene, et ella il crede,
e tu, se tanto o quanto d'amor senti.
Pianto fu 'l mio di tanta sposa erede:
lei, et ogni mio bene, ogni speranza
perder elessi per non perder fede.
Ma cerca omai se trovi in questa danza
notabil cosa, perché 'l tempo è leve,
e più de l'opra che del giorno avanza.
-
Pien di pietate, e ripensando 'l breve
spazio al gran foco di duo tali amanti,
pareami al sol aver un cor di neve;
quand'io udi' dir su nel passar avanti:
- Costui certo per sé già non mi spiace,
ma ferma son d'odiarli tutti quanti.
-
- Pon - diss'io - il core, o Sofonisba, in pace,
ché Cartagine tua per le man nostre
tre volte cadde, et a la terza giace.
-
Et ella: - Altro vogl'io che tu mi mostre:
s'Africa pianse, Italia non ne rise:
dimandatene pur l'istorie vostre.
-
A tanto, il nostro e suo amico si mise,
sorridendo, con lei nella gran calca
e fur da lor le mie luci divise.
Come uom che per terren dubio cavalca,
che va restando ad ogni passo, e guarda,
e 'l pensier de l'andar molto difalca,
così l'andata mia dubiosa e tarda
facean gli amanti, di che ancor m'aggrada
saver quanto ciascun e in qual foco arda.
I' vidi ir a man manca un fuor di strada,
a guisa di chi brami e trovi cosa
onde poi vergognoso e lieto vada.
Donar altrui la sua diletta sposa,
o sommo amore e nova cortesia!
tal ch'ella stessa lieta e vergognosa
parea del cambio; e givansi per via
parlando insieme de' lor dolci affetti,
e sospirando il regno di Soria.
Trassimi a que' tre spirti che ristretti
eran già per seguire altro cammino,
e dissi al primo: - I' prego che t'aspetti.
-
Et egli al suon del ragionar latino,
turbato in vista, si rattenne un poco;
e poi, del mio voler quasi indivino,
disse: - Io Seleuco son, questi è Antïoco
mio figlio, che gran guerra ebbe con voi;
ma ragion contra forza non ha loco.
Questa, mia in prima, sua donna fu poi,
ché per scamparlo d'amorosa morte
gliel diedi, e 'l don fu lecito tra noi.
Stratonica è 'l suo nome, e nostra sorte,
come vedi, indivisa; e per tal segno
si vede il nostro amor tenace e forte,
ch'è contenta costei lasciarme il regno,
io il mio diletto, e questi la sua vita,
per far, vie più che sé, l'un l'altro degno.
E se non fosse la discreta aita
del fisico gentil, che ben s'accorse,
l'età sua in sul fiorir era finita.
Tacendo, amando, quasi a morte corse,
e l'amar forza, e 'l tacer fu virtute;
la mia, vera pietà, ch'a lui soccorse.
-
Così disse; e come uom che voler mute,
col fin de le parole i passi volse,
ch'a pena gli potei render salute.
Poi che dagli occhi miei l'ombra si tolse,
rimasi grave e sospirando andai,
ché 'l mio cor dal suo dir non si disciolse
infin che mi fu detto: - Troppo stai
in un penser a le cose diverse;
e 'l tempo ch'è brevissimo ben sai.
-
Non menò tanti armati in Grecia Serse
quant'ivi erano amanti ignudi e presi,
tal che l'occhio la vista non sofferse,
vari di lingue e vari di paesi,
tanto che di mille un non seppi 'l nome,
e fanno istoria que' pochi ch'intesi.
Perseo era l'uno, e volsi saper come
Andromeda gli piacque in Etiopia,
vergine bruna i begli occhi e le chiome;
ivi 'l vano amador che la sua propia
bellezza desiando fu distrutto,
povero sol per troppo averne copia,
che divenne un bel fior senz'alcun frutto;
e quella che, lui amando, ignuda voce
ivi quell'altro al suo mal sì veloce,
Ifi, ch'amando altrui in odio s'ebbe,
con più altri dannati a simil croce,
gente cui per amar viver increbbe,
ove raffigurai alcun moderni
ch'a nominar perduta opra sarebbe.
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