[Pagina precedente]... questi un guerrier canuto e prode
Che per senno e virtù pregiato e culto
D'un vano perigliar la vana lode
Fuggia, vivendo a più potere occulto,
Trattar le ciance come cose sode
A genti di cervel non bene adulto
Lasciando, e sotto non superbo tetto
Schifando del servaggio il grave aspetto.
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Infermo egli a giacer s'era trovato
Quando il granchio alle spalle ebbero i suoi,
Ed a congiure sceniche invitato
Chiusi sempre gli orecchi avea di poi,
Onde cattivo cittadin chiamato
Era talor dai fuggitivi eroi,
Ed ei, tranquillo in sua virtù, la poco
Saggia natura altrui prendeva in gioco.
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Tale oracolo avuto alle superne
Contrade i passi ritorceva il conte,
Scritto portando delle valli inferne
Lo spavento negli atti e nella fronte.
Qual di Trofonio già nelle caverne
Agli arcani di Stige e d'Acheronte
Ammesso il volgo, in su l'aperta riva
Pallido e trasformato indi reddiva.
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Presso alla soglia dell'avaro speco
Dedalo ritrovò che l'attendeva,
E poi ch'alquanto ragionando seco
Di quel che dentro là veduto aveva,
Riposato si fu sotto quel cieco
Vel di nebbia che mai non si solleva,
Rassettatesi l'ali in su la schiena
Con lui di novo abbandonò l'arena.
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Riviver parve al semivivo, uscito
Che fu del buio a riveder le stelle.
Era notte e splendean per l'infinito
Ocean le volubili facelle,
Leggermente quel mar che non ha lito
Sferzavan l'auree fuggitive e snelle,
E s'andava a quel suono accompagnando
Il rombo che color facean volando.
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Rapido sì che non cedeva al vento
Ver Topaia drizzàr subito il volo,
Portando l'occhio per seguire intento
I due lumi ch'ha sempre il nostro polo.
D'isole sparso il liquido elemento
Scoprian passando, e su l'oscuro suolo
Volare allocchi, e più d'un pipistrello
Che al topo s'accostò come fratello.
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Valiche l'acque, valicàr gran tratto
Di terra ferma ed altro mar di poi,
E così come prima avevan fatto
La parte rivarcàr che abitiam noi.
Già di rincontro a lor nasceva e ratto
Si spandeva il mattin sui monti eoi,
Quando là di Topaia accanto al sasso
Chinàr Dedalo e il conte i vanni al basso.
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Quivi non visti rintegràr le dome
Forze con bacche e con silvestri ghiande.
Poscia Dedalo, avuta io non so come
Una pelle di granchio in quelle bande,
L'altro coprì delle nemiche some
Tal che parve di poi tra le nefande
Bestie un granchio più ver che appresso i Franchi
Non paion delle donne i petti e i fianchi.
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Alfin del conte alle onorate imprese
Fausto evento pregando e fortunato
L'ospite e duce e consiglier cortese,
Partendosi, da lui prese commiato.
Piangeva il topo, e con le braccia stese
Cor gli giurava eternamente grato.
Quei l'abbracciò come poteva, e solo
Poi verso il nido suo riprese il volo.
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L'esule a rientrar nella dolente
Città non fe' dimora, e poi che l'ebbe
Con gli occhi intorno affettuosamente
Ricorsa, e con gli orecchi avido bebbe
Le patrie voci, a quel che alla sua gente
Udito avea che lume esser potrebbe,
Senza punto indugiarsi andò diritto,
Dico al guerrier di cui più sopra è scritto.
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A conoscer si diede, e qual desire
Il movesse a venir fece palese.
Quegli onorollo assai, ma nulla udire
Volle di trame o di civili imprese.
Cercollo il conte orando ammorbidire,
Ma tacque il volo e l'infernal paese,
Perché temé da quel guerrier canuto
Per visionario e sciocco esser tenuto.
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Più volte l'instancabile oratore
Or solo ed or con altra compagnia
Tornato era agli assalti, ed a quel core
Aperta non s'aveva alcuna via.
Ultimamente un dì che Assaggiatore
Con più giovani allato egli assalia,
Quei ragionò tra lor nella maniera
Che di qui recitar creduto io m'era.
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Perché, se ben le antiche pergamene
Dietro le quali ho fino a qui condotta
La storia mia qui mancano, e se bene
Per tal modo la via m'era interrotta,
La leggenda che in quella si contiene
Altrove in qual si fosse lingua dotta
Sperai compiuta ritrovar: ma vòto
Ritornommi il pensiero e contro il voto
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Questa in lingua sanscrita e tibetana
Indostanica, pahli e giapponese,
Arabica, rabbinica, persiana,
Etiopica, tartara e cinese,
Siriaca, caldaica, egiziana,
Mesogotica, sassone e gallese,
Finnica, serviana e dalmatina,
Valacca, provenzal, greca e latina,
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Celata in molte biblioteche e molte
Di levante si trova e di ponente,
Che vidi io stesso o che per me rivolte
fur da più d'un amico intelligente.
Ma di tali scritture ivi sepolte
Nessuna al caso mio valse niente,
Che non v'ha testo alcun della leggenda
Ove più che nel nostro ella si stenda.
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Però con gran dolor son qui costretto
Troncando abbandonar l'istoria mia,
Tutti mancando in fin, siccome ho detto,
I testi, qual che la cagion si sia:
Come viaggiator, cui per difetto
Di cavalli o di rote all'osteria
Restar sia forza, o qual nocchiero intento
Al corso suo, cui venga meno il vento.
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Voi, leggitori miei, l'involontario
Mancamento imputar non mi dovete.
Se mai perfetto in qualche leggendario
Troverò quel che in parte inteso avete,
Al narrato dinanzi un corollario
Aggiungerò, se ancor legger vorrete.
Paghi del buon desio restate intanto,
E finiscasi qui l'ottavo canto.