ORLANDO FURIOSO, di Ludovico Ariosto - pagina 109
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41
Non ha poter d'una risposta sola;
triema il cor dentro, e trieman fuor le labbia;
non può la lingua disnodar parola;
la bocca ha amara, e par che tosco v'abbia.
Da Malagigi subito s'invola;
e come il caccia la gelosa rabbia,
dopo gran pianto e gran ramaricarsi,
verso Levante fa pensier tornarsi.
42
Chiede licenza al figlio di Pipino:
e trova scusa che 'l destrier Baiardo,
che ne mena Gradasso saracino
contra il dover di cavallier gagliardo,
lo muove per suo onore a quel camino,
acciò che vieti al Serican bugiardo
di mai vantarsi che con spada o lancia
l'abbia levato a un paladin di Francia.
43
Lasciollo andar con sua licenza Carlo,
ben che ne fu con tutta Francia mesto;
ma finalmente non seppe negarlo,
tanto gli parve il desiderio onesto.
Vuol Dudon, vuol Guidone accompagnarlo;
ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi, e se ne va via solo,
pien di sospiri e d'amoroso duolo.
44
Sempre ha in memoria, e mai non se gli tolle,
ch'averla mille volte avea potuto,
e mille volte avea ostinato e folle
di sì rara beltà fatto rifiuto;
e di tanto piacer ch'aver non volle,
sì bello e sì buon tempo era perduto:
ed ora eleggerebbe un giorno corto
averne solo, e rimaner poi morto.
45
Ha sempre in mente, e mai non se ne parte,
come esser puote ch'un povero fante
abbia del cor di lei spinto da parte
merito e amor d'ogni altro primo amante.
Con tal pensier che 'l cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne va verso Levante;
e dritto al Reno e a Basilea si tiene,
fin che d'Ardenna alla gran selva viene.
46
Poi che fu dentro a molte miglia andato
il paladin pel bosco aventuroso,
da ville e da castella allontanato,
ove aspro era più il luogo e periglioso,
tutto in un tratto vide il ciel turbato,
sparito il sol tra nuvoli nascoso,
ed uscir fuor d'una caverna oscura
un strano mostro in feminil figura.
47
Mill'occhi in capo avea senza palpèbre;
non può serrarli, e non credo che dorma:
non men che gli occhi, avea l'orecchie crebre;
avea in loco de crin serpi a gran torma.
Fuor de le diaboliche tenèbre
nel mondo uscì la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda,
che pel petto si gira e che l'annoda.
48
Quel ch'a Rinaldo in mille e mille imprese
più non avvenne mai, quivi gli avviene;
che come vede il mostro ch'all'offese
se gli apparecchia, e ch'a trovar lo viene,
tanta paura, quanta mai non scese
in altri forse, gli entra ne le vene:
ma pur l'usato ardir simula e finge,
e con trepida man la spada stringe.
49
S'acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
che si può dir che sia mastro di guerra:
vibra il serpente venenoso in alto,
e poi contra Rinaldo si disserra;
di qua di là gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo contra lui vaneggia ed erra:
colpi a dritto e a riverso tira assai,
ma non ne tira alcun che fera mai.
50
Il mostro al petto il serpe ora gli appicca,
che sotto l'arme e sin nel cor l'agghiaccia;
ora per la visiera gliele ficca,
e fa ch'erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo da l'impresa si dispicca,
e quanto può con sproni il destrier caccia:
ma la Furia infernal già non par zoppa,
che spicca un salto, e gli è subito in groppa.
51
Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,
sempre ha con lui la maledetta peste;
né sa modo trovar, che se ne scioglia,
ben che 'l destrier di calcitrar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
non ch'altrimente il serpe lo moleste;
ma tanto orror ne sente e tanto schivo,
che stride e geme, e duolsi ch'egli è vivo.
52
Nel più tristo sentier, nel peggior calle
scorrendo va, nel più intricato bosco,
ove ha più asprezza il balzo, ove la valle
è più spinosa, ov'è l'aer più fosco,
così sperando torsi da le spalle
quel brutto, abominoso, orrido tosco;
e ne saria mal capitato forse,
se tosto non giungea chi lo soccorse.
53
Ma lo soccorse a tempo un cavalliero
di bello armato e lucido metallo,
che porta un giogo rotto per cimiero,
di rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
così trapunto il suo vestire altiero,
così la sopravesta del cavallo:
la lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,
e la mazza all'arcion, che getta foco.
54
Piena d'un foco eterno è quella mazza,
che senza consumarsi ognora avampa:
né per buon scudo o tempra di corazza
o per grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque si debbe il cavallier far piazza,
giri ove vuol l'inestinguibil lampa:
né manco bisognava al guerrier nostro,
per levarlo di man del crudel mostro.
55
E come cavallier d'animo saldo,
ove ha udito il rumor, corre e galoppa,
tanto che vede il mostro che Rinaldo
col brutto serpe in mille nodi agroppa,
e sentir fagli a un tempo freddo e caldo;
che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavalliero, e fere il mostro al fianco,
e lo fa trabboccar dal lato manco.
56
Ma quello è a pena in terra che si rizza,
e il lungo serpe intorno aggira e vibra.
Quest'altro più con l'asta non l'attizza;
ma di farla col fuoco si delibra.
La mazza impugna, e dove il serpe guizza,
spessi come tempesta i colpi libra;
né lascia tempo a quel brutto animale,
che possa farne un solo o bene o male:
57
e mentre a dietro il caccia o tiene a bada,
e lo percuote, e vendica mille onte,
consiglia il paladin che se ne vada
per quella via che s'alza verso il monte.
Quel s'appiglia al consiglio ed alla strada;
e senza dietro mai volger la fronte,
non cessa, che di vista se gli tolle,
ben che molto aspro era a salir quel colle.
58
Il cavallier, poi ch'alla scura buca
fece tornare il mostro da l'inferno,
ove rode se stesso e si manuca,
e da mille occhi versa il pianto eterno;
per esser di Rinaldo guida e duca
gli salì dietro, e sul giogo superno
gli fu alle spalle, e si mise con lui
per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.
59
Come Rinaldo il vide ritornato,
gli disse che gli avea grazia infinita,
e ch'era debitore in ogni lato
di porre a beneficio suo la vita.
Poi lo domanda come sia nomato,
acciò dir sappia chi gli ha dato aita,
e tra guerrieri possa e inanzi a Carlo
de l'alta sua bontà sempre esaltarlo.
60
Rispose il cavallier: - Non ti rincresca
se 'l nome mio scoprir non ti vogli'ora:
ben tel dirò prima ch'un passo cresca
l'ombra; che ci sarà poca dimora.
-
Trovaro, andando insieme, un'acqua fresca
che col suo mormorio facea talora
pastori e viandanti al chiaro rio
venire, e berne l'amoroso oblio.
61
Signor, queste eran quelle gelide acque,
quelle che spengon l'amoroso caldo;
di cui bevendo, ad Angelica nacque
l'odio ch'ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s'ella un tempo a lui prima dispiacque,
e se ne l'odio il ritrovò sì saldo,
non derivò, Signor, la causa altronde,
se non d'aver beuto di queste onde.
62
Il cavallier che con Rinaldo viene,
come si vede inanzi al chiaro rivo,
caldo per la fatica il destrier tiene,
e dice: - Il posar qui non fia nocivo.
-
- Non fia (disse Rinaldo) se non bene;
ch'oltre che prema il mezzogiorno estivo,
m'ha così il brutto mostro travagliato,
che 'l riposar mi fia commodo e grato.
-
63
L'un e l'altro smontò del suo cavallo,
e pascer lo lasciò per la foresta;
e nel fiorito verde a rosso e a giallo
ambi si trasson l'elmo de la testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo,
spinto da caldo e da sete molesta,
e cacciò, a un sorso del freddo liquore,
dal petto ardente e la sete e l'amore.
64
Quando lo vide l'altro cavalliero
la bocca sollevar de l'acqua molle,
e ritrarne pentito ogni pensiero
di quel desir ch'ebbe d'amor sì folle;
si levò ritto, e con sembiante altiero
gli disse quel che dianzi dir non volle:
- Sappi, Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno,
venuto sol per sciorti il giogo indegno.
-
65
Così dicendo, subito gli sparve,
e sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve;
s'aggirò intorno, e disse: - Ove è costui? -
Stimar non sa se sian magiche larve,
che Malagigi un de' ministri sui
gli abbia mandato a romper la catena
che lungamente l'ha tenuto in pena:
66
o pur che Dio da l'alta ierarchia
gli abbia per ineffabil sua bontade
mandato, come già mandò a Tobia,
un angelo a levar di cecitade.
Ma buono o rio demonio, o quel che sia,
che gli ha renduta la sua libertade,
ringrazia e loda; e da lui sol conosce
che sano ha il cor da l'amorose angosce.
67
Gli fu nel primier odio ritornata
Angelica; e gli parve troppo indegna
d'esser, non che sì lungi seguitata,
ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per Baiardo riaver tutta fiata
verso India in Sericana andar disegna,
sì perché l'onor suo lo stringe a farlo,
sì per averne già parlato a Carlo.
68
Giunse il giorno seguente a Basilea,
ove la nuova era venuta inante,
che 'l conte Orlando aver pugna dovea
contra Gradasso e contro il re Agramante.
Né questo per aviso si sapea,
ch'avesse dato il cavallier d'Anglante;
ma di Sicilia in fretta venut'era
chi la novella v'apportò per vera.
69
Rinaldo vuol trovarsi con Orlando
alla battaglia, e se ne vede lunge.
Di dieci in dieci miglia va mutando
cavalli e guide, e corre e sferza e punge.
Passa il Reno a Costanza, e in su volando,
traversa l'Alpe, ed in Italia giunge.
Verona a dietro, a dietro Mantua lassa;
sul Po si trova, e con gran fretta il passa.
70
Già s'inchinava il sol molto alla sera,
e già apparia nel ciel la prima stella,
quando Rinaldo in ripa alla riviera
stando in pensier s'avea da mutar sella,
o tanto soggiornar, che l'aria nera
fuggisse inanzi all'altra aurora bella,
venir si vede un cavalliero inanti
cortese ne l'aspetto e nei sembianti.
71
Costui, dopo il saluto, con bel modo
gli domandò s'aggiunto a moglie fosse.
Disse Rinaldo: - Io son nel giugal nodo: -
ma di tal domandar maravigliosse.
Soggiunse quel: - Che sia così, ne godo.
-
Poi, per chiarir perché tal detto mosse,
disse: - Io ti priego che tu sia contento
ch'io ti dia questa sera alloggiamento;
72
che ti farò veder cosa che debbe
ben volentieri veder chi ha moglie a lato.
-
Rinaldo, sì perché posar vorrebbe,
ormai di correr tanto affaticato;
sì perché di vedere e d'udire ebbe
sempre aventure un desiderio innato;
accettò l'offerir del cavalliero,
e dietro gli pigliò nuovo sentiero.
73
Un tratto d'arco fuor di strada usciro,
e inanzi un gran palazzo si trovaro,
onde scudieri in gran frotta veniro
con torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò Rinaldo, e voltò gli occhi in giro,
e vide loco il qual si vede raro,
di gran fabrica e bella e bene intesa;
né a privato uom convenia tanta spesa.
74
Di serpentin, di porfido le dure
pietre fan de la porta il ricco volto.
Quel che chiude è di bronzo, con figure
che sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto un arco poi s'entra, ove misture
di bel musaico ingannan l'occhio molto.
Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia
de le sue logge ha lunga cento braccia.
75
La sua porta ha per sé ciascuna loggia,
e tra la porta e sé ciascuna ha un arco:
d'ampiezza pari son, ma varia foggia
fe' d'ornamenti il mastro lor non parco.
Da ciascuno arco s'entra, ove si poggia
sì facil, ch'un somier vi può gir carco.
Un altro arco di su trova ogni scala;
e s'entra per ogni arco in una sala.
76
Gli archi di sopra escono fuor del segno
tanto, che fan coperchio alle gran porte;
e ciascun due colonne ha per sostegno,
altre di bronzo, altre di pietra forte.
Lungo sarà, se tutti vi disegno
gli ornati alloggiamenti de la corte;
e oltr'a quel ch'appar, quanti agi sotto
la cava terra il mastro avea ridotto.
77
L'alte colonne e i capitelli d'oro,
da che i gemmati palchi eran suffulti,
i peregrini marmi che vi foro
da dotta mano in varie forme sculti,
pitture e getti, e tant'altro lavoro
(ben che la notte agli occhi il più ne occulti),
mostran che non bastaro a tanta mole
di duo re insieme le ricchezze sole.
78
Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
ch'erano assai ne la gioconda stanza,
v'era una fonte che per più ruscelli
spargea freschissime acque in abondanza.
Poste le mense avean quivi i donzelli;
ch'era nel mezzo per ugual distanza:
vedeva, e parimente veduta era
da quattro porte de la casa altiera.
79
Fatta da mastro diligente e dotto
la fonte era con molta e suttil opra,
di loggia a guisa, o padiglion ch'in otto
facce distinto, intorno adombri e cuopra.
Un ciel d'oro, che tutto era di sotto
colorito di smalto, le sta sopra;
ed otto statue son di marmo bianco,
che sostengon quel ciel col braccio manco.
80
Ne la man destra il corno d'Amaltea
sculto aveva lor l'ingenioso mastro,
onde con grato murmure cadea
l'acqua di fuore in vaso d'alabastro;
ed a sembianza di gran donna avea
ridutto con grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e di faccia differente,
ma grazia hanno e beltà tutte ugualmente.
81
Fermava il piè ciascuno di questi segni
sopra due belle imagini più basse,
che con la bocca aperta facean segni
che 'l canto e l'armonia lor dilettasse;
e quell'atto in che son, par che disegni
che l'opra e studio lor tutto lodasse
le belle donne che sugli omeri hanno,
se fosser quei di cu' in sembianza stanno.
82
I simulacri inferiori in mano
avean lunghe ed amplissime scritture,
ove facean con molta laude piano
i nomi de le più degne figure;
e mostravano ancor poco lontano
i propri loro in note non oscure.
Mirò Rinaldo a lume di doppieri
le donne ad una ad una e i cavallieri.
83
La prima iscrizion ch'agli occhi occorre,
con lungo onor Lucrezia Borgia noma,
la cui bellezza ed onestà preporre
debbe all'antiqua la sua patria Roma.
I duo che voluto han sopra sé torre
tanto eccellente ed onorata soma,
noma lo scritto, Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza: un Lino ed uno Orfeo.
84
Non men gioconda statua né men bella
si vede appresso, e la scrittura dice:
- Ecco la figlia d'Ercole, Issabella,
per cui Ferrara si terrà felice
via più, perché in lei nata sarà quella,
che d'altro ben che prospera e fautrice
e benigna Fortuna dar le deve,
volgendo gli anni nel suo corso lieve.
-
85
I duo che mostran disiosi affetti
che la gloria di lei sempre risuone,
Gian Iacobi ugualmente erano detti,
l'uno Calandra, e l'altro Bardelone.
Nel terzo e quarto loco ove per stretti
rivi l'acqua esce fuor del padiglione,
due donne son, che patria, stirpe, onore
hanno di par, di par beltà e valore.
86
Elissabetta l'una e Leonora
nominata era l'altra: e fia, per quanto
narrava il marmo sculto, d'esse ancora
sì gloriosa la terra di Manto,
che di Vergilio, che tanto l'onora,
più che di queste, non si darà vanto.
Avea la prima a piè del sacro lembo
Iacobo Sadoletto e Pietro Bembo.
87
Uno elegante Castiglione, e un culto
Muzio Arelio de l'altra eran sostegni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto,
ignoti allora, or sì famosi e degni.
Veggon poi quella a cui dal cielo indulto
tanta virtù sarà, quanta ne regni,
o mai regnata in alcun tempo sia,
versata da Fortuna or buona or ria.
88
Lo scritto d'oro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglia; e fra le lode
pone di lei, che 'l duca di Ferrara
d'esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e chiara
voce un Camil che 'l Reno e Felsina ode
con tanta attenzion, tanto stupore,
con quanta Anfriso udì già il suo pastore;
89
ed un per cui la terra, ove l'Isauro
le sue dolci acque insala in maggior vase,
nominata sarà da l'Indo al Mauro,
e da l'austrine all'iperboree case,
via più che per pesare il romano auro,
di che perpetuo nome le rimase;
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci, e quindi Febo dona.
90
L'altra che segue in ordine, è Diana.
- Non guardar (dice il marmo scritto) ch'ella
sia altiera in vista; che nel core umana
non sarà però men ch'in viso bella.
-
Il dotto Celio Calcagnin lontana
farà la gloria e 'l bel nome di quella
nel regno di Monese, in quel di Iuba,
in India e Spagna udir con chiara tuba:
91
ed un Marco Cavallo, che tal fonte
farà di poesia nascer d'Ancona,
qual fe' il cavallo alato uscir del monte,
non so se di Parnasso o d'Elicona.
Beatrice appresso a questo alza la fronte,
di cui lo scritto suo così ragiona:
- Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
e lo lascia infelice alla sua morte;
92
anzi tutta l'Italia, che con lei
fia triunfante, e senza lei, captiva.
-
Un signor di Coreggio di costei
con alto stil par che cantando scriva,
e Timoteo, l'onor de' Bendedei:
ambi faran tra l'una e l'altra riva
fermare al suon de' lor soavi plettri
il fiume ove sudar gli antiqui elettri.
93
Tra questo loco e quel de la colonna
che fu sculpita in Borgia, com'è detto,
formata in alabastro una gran donna
era di tanto e sì sublime aspetto,
che sotto puro velo, in nera gonna,
senza oro e gemme, in un vestire schietto,
tra le più adorne non parea men bella,
che sia tra l'altre la ciprigna stella.
94
Non si potea, ben contemplando fiso,
conoscer se più grazia o più beltade,
o maggior maestà fosse nel viso,
o più indizio d'ingegno o d'onestade.
- Chi vorrà di costei (dicea l'inciso
marmo) parlar, quanto parlar n'accade,
ben torrà impresa più d'ogn'altra degna;
ma non però ch'a fin mai se ne vegna.
-
95
Dolce quantunque e pien di grazia tanto
fosse il suo bello e ben formato segno,
parea sdegnarsi che con umil canto
ardisse lei lodar sì rozzo ingegno,
com'era quel che sol, senz'altri a canto
(non so perché), le fu fatto sostegno.
Di tutto 'l resto erano i nomi sculti;
sol questi due l'artefice avea occulti.
96
Fanno le statue in mezzo un luogo tondo,
che 'l pavimento asciutto ha di corallo,
di freddo soavissimo giocondo,
che rendea il puro e liquido cristallo,
che di fuor cade in un canal fecondo,
che 'l prato verde, azzurro, bianco e giallo
rigando, scorre per vari ruscelli,
grato alle morbide erbe e agli arbuscelli.
97
Col cortese oste ragionando stava
il paladino a mensa; e spesso spesso,
senza più differir, gli ricordava
che gli attenesse quanto avea promesso:
e ad or ad or mirandolo, osservava
ch'avea di grande affanno il core oppresso;
che non può star momento che non abbia
un cocente sospiro in su le labbia.
98
Spesso la voce dal disio cacciata
viene a Rinaldo sin presso alla bocca
per domandarlo; e quivi, raffrenata
di cortese modestia, fuor non scocca.
Ora essendo la cena terminata,
ecco un donzello a chi l'ufficio tocca,
pon su la mensa un bel nappo d'or fino,
di fuor di gemme, e dentro pien di vino.
99
Il signor de la casa allora alquanto
sorridendo, a Rinaldo levò il viso;
ma chi ben lo notava, più di pianto
parea ch'avesse voglia che di riso.
Disse: - Ora a quel che mi ricordi tanto,
che tempo sia di sodisfar m'è aviso;
mostrarti un paragon ch'esser de' grato
di vedere a ciascun c'ha moglie allato.
100
Ciascun marito, a mio giudizio, deve
sempre spiar se la sua donna l'ama;
saper s'onore o biasmo ne riceve,
se per lei bestia, o se pur uom si chiama.
L'incarco de le corna è lo più lieve
ch'al mondo sia, se ben l'uom tanto infama:
lo vede quasi tutta l'altra gente;
e chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
101
Se tu sai che fedel la moglie sia,
hai di più amarla e d'onorar ragione,
che non ha quel che la conosce ria,
o quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n'hanno a torto gelosia
i lor mariti, che son caste e buone:
molti di molte anco sicuri stanno,
che con le corna in capo se ne vanno.
102
Se vuoi saper se la tua sia pudica
(come io credo che credi, e creder déi;
ch'altrimente far credere è fatica,
se chiaro già per prova non ne sei),
tu per te stesso, senza ch'altri il dica,
te n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
che per altra cagion non è qui messo,
che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
103
Se béi con questo, vedrai grande effetto;
che se porti il cimier di Cornovaglia,
il vin ti spargerai tutto sul petto,
né gocciola sarà ch'in bocca saglia:
ma s'hai moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia.
-
Così dicendo, per mirar tien gli occhi,
ch'in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.
104
Quasi Rinaldo di cercar suaso
quel che poi ritrovar non vorria forse,
messa la mano inanzi, e preso il vaso,
fu presso di volere in prova porse:
poi, quanto fosse periglioso il caso
a porvi i labri, col pensier discorse.
Ma lasciate, Signor, ch'io mi ripose;
poi dirò quel che 'l paladin rispose.
CANTO QUARANTATREESIMO
1
O esecrabile Avarizia, o ingorda
fame d'avere, io non mi maraviglio
ch'ad alma vile e d'altre macchie lorda,
sì facilmente dar possi di piglio;
ma che meni legato in una corda,
e che tu impiaghi del medesmo artiglio
alcun, che per altezza era d'ingegno,
se te schivar potea, d'ogni onor degno.
2
Alcun la terra e 'l mare e 'l ciel misura,
e render sa tutte le cause a pieno
d'ogni opra, d'ogni effetto di Natura,
e poggia sì ch'a Dio riguarda in seno;
e non può aver più ferma e maggior cura,
morso dal tuo mortifero veleno,
ch'unir tesoro: e questo sol gli preme,
e ponvi ogni salute, ogni sua speme.
3
Rompe eserciti alcuno, e ne le porte
si vede entrar di bellicose terre,
ed esser primo a porre il petto forte,
ultimo a trarre, in perigliose guerre;
e non può riparar che sino a morte
tu nel tuo cieco carcere nol serre.
Altri d'altre arti e d'altri studi industri,
oscuri fai, che sarian chiari e illustri.
4
Che d'alcune dirò belle e gran donne
ch'a bellezza, a virtù de fidi amanti,
a lunga servitù, più che colonne
io veggo dure, immobili e costanti?
Veggo venir poi l'Avarizia, e ponne
far sì, che par che subito le incanti:
in un dì, senza amor (chi fia che 'l creda?)
a un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà in preda.
5
Non è senza cagion s'io me ne doglio:
intendami chi può, che m'intend'io.
Né però di proposito mi toglio,
né la materia del mio canto oblio;
ma non più a quel c'ho detto, adattar voglio,
ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a contar del paladino
ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.
6
Io vi dicea ch'alquanto pensar volle,
prima ch'ai labri il vaso s'appressasse.
Pensò, e poi disse: - Ben sarebbe folle
chi quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia donna è donna, ed ogni donna è molle:
lasciàn star mia credenza come stasse.
Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
che poss'io megliorar per farne prova?
7
Potria poco giovare e nuocer molto;
che 'l tentar qualche volta Idio disdegna.
Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto;
ma non vo' più saper, che mi convegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto:
sete non n'ho, né vo' che me ne vegna;
che tal certezza ha Dio più proibita,
ch'al primo padre l'arbor de la vita.
8
Che come Adam, poi che gustò del pomo
che Dio con propria bocca gl'interdisse,
da la letizia al pianto fece un tomo,
onde in miseria poi sempre s'afflisse;
così, se de la moglie sua vuol l'uomo
tutto saper quanto ella fece e disse,
cade de l'allegrezze in pianti e in guai,
onde non può più rilevarsi mai.
-
9
Così dicendo il buon Rinaldo, e intanto
respingendo da sé l'odiato vase,
vide abondare un gran rivo di pianto
dagli occhi del signor di quelle case,
che disse, poi che racchetossi alquanto:
- Sia maledetto chi mi persuase
ch'io facesse la prova, ohimè! di sorte,
che mi levò la dolce mia consorte.
10
Perché non ti conobbi già dieci anni,
sì che io mi fossi consigliato teco,
prima che cominciassero gli affanni,
e 'l lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo' levarti da la scena i panni;
che 'l mio mal vegghi, e te ne dogli meco:
e ti dirò il principio e l'argumento
del mio non comparabile tormento.
11
Qua su lasciasti una città vicina,
a cui fa intorno un chiaro fiume laco,
che poi si stende e in questo Po declina,
e l'origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la città, quando a ruina
le mura andar de l'agenoreo draco.
Quivi nacque io di stirpe assai gentile,
ma in pover tetto e in facultade umile.
12
Se Fortuna di me non ebbe cura
sì che mi desse al nascer mio ricchezza,
al diffetto di lei supplì Natura,
che sopra ogni mio ugual mi diè bellezza.
Donne e donzelle già di mia figura
arder più d'una vidi in giovanezza;
ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
ben che stia mal che l'uom se stesso lodi.
13
Ne la nostra cittade era un uom saggio,
di tutte l'arti oltre ogni creder dotto,
che quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
contava gli anni suoi cento e ventotto.
Visse tutta sua età solo e selvaggio,
se non l'estrema; che d'Amor condotto,
con premio ottenne una matrona bella,
e n'ebbe di nascosto una cittella.
14
E per vietar che simil la figliuola
alla matre non sia, che per mercede
vendé sua castità che valea sola
più che quanto oro al mondo si possiede,
fuor del commercio popular la invola;
ed ove più solingo il luogo vede,
questo amplo e bel palagio e ricco tanto
fece fare a' demoni per incanto.
15
A vecchie donne e caste fe' nutrire
la figlia qui, ch'in gran beltà poi venne;
né che potesse altr'uom veder, né udire
pur ragionarne in quella età, sostenne.
E perch'avesse esempio da seguire,
ogni pudica donna che mai tenne
contra illicito amor chiuse le sbarre,
ci fe' d'intaglio o di color ritrarre:
16
non quelle sol che di virtude amiche
hanno sì il mondo all'età prisca adorno;
di quai la fama per l'istorie antiche
non è per veder mai l'ultimo giorno:
ma nel futuro ancora altre pudiche
che faran bella Italia d'ogn'intorno,
ci fe' ritrarre in lor fattezze conte,
come otto che ne vedi a questa fonte.
17
Poi che la figlia al vecchio par matura
sì, che ne possa l'uom cogliere i frutti;
o fosse mia disgrazia o mia aventura,
eletto fui degno di lei fra tutti.
I lati campi oltre alle belle mura,
non meno i pescarecci, che gli asciutti,
che ci son d'ogn'intorno a venti miglia,
mi consegnò per dote de la figlia.
18
Ella era bella e costumata tanto,
che più desiderar non si potea.
Di bei trapunti e di riccami, quanto
mai ne sapesse Pallade, sapea.
Vedila andare, odine il suono e 'l canto:
celeste e non mortal cosa parea.
E in modo all'arti liberali attese,
che, quanto il padre, o poco men n'intese.
19
Con grande ingegno, e non minor bellezza
che fatta l'avria amabil fin ai sassi,
era giunto un amore, una dolcezza,
che par ch'a rimembrarne il cor mi passi.
Non aveva più piacer né più vaghezza,
che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.
Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:
l'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo.
20
Morto il suocero mio dopo cinque anni
ch'io sottoposi il collo al giugal nodo,
non stero molto a cominciar gli affanni
ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi rinchiudea tutto coi vanni
l'amor di questa mia che sì ti lodo,
una femina nobil del paese,
quanto accender si può, di me s'accese.
21
Ella sapea d'incanti e di malie
quel che saper ne possa alcuna maga:
rendea la notte chiara, oscuro il die
fermava il sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie,
che le sanassin l'amorosa piaga
col rimedio che dar non le potria
senza alta ingiuria de la donna mia.
22
Non perché fosse assai gentile e bella,
né perché sapess'io che sì me amassi,
né per gran don, né per promesse ch'ella
mi fêsse molte, e di continuo instassi,
ottener poté mai ch'una fiammella,
per darla a lei, del primo amor levassi;
ch'a dietro ne traea tutte mie voglie
il conoscermi fida la mia moglie.
23
La speme, la credenza, la certezza
che de la fede di mia moglie avea,
m'avria fatto sprezzar quanta bellezza
avesse mai la giovane ledea,
o quanto offerto mai senno e ricchezza
fu al gran pastor de la montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto,
che potesson levarmela da canto.
24
Un dì che mi trovò fuor del palagio
la maga, che nomata era Melissa,
e mi poté parlare a suo grande agio,
modo trovò da por mia pace in rissa,
e con lo spron di gelosia malvagio
cacciar del cor la fé che v'era fissa.
Comincia a comendar la intenzion mia,
ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.
25
- Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,
prima che di sua fé prova non vedi.
S'ella non falle, e che potria fallire,
che sia fedel, che sia pudica credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire,
se mai vedere altr'uom non le concedi,
onde hai questa baldanza, che tu dica
e mi vogli affermar che sia pudica?
26
Scostati un poco, scostati da casa;
fa che le cittadi odano e i villaggi,
che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa;
agli amanti dà commodo e ai messaggi.
S'a prieghi, a doni non fia persuasa
di fare al letto maritale oltraggi,
e che, facendol, creda che si cele,
allora dir potrai che sia fedele.
-
27
Con tal parole e simili non cessa
l'incantatrice, fin che mi dispone
che de la donna mia la fede espressa
veder voglia, e provare a paragone.
- Ora pogniamo (le soggiungo) ch'essa
sia qual non posso averne opinione:
come potrò di lei poi farmi certo
che sia di punizion degna o di merto? -
28
Disse Melissa: - Io ti darò un vasello
fatto da ber, di virtù rara e strana;
qual già per fare accorto il suo fratello
del fallo di Genevra, fe' Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bee con quello:
ma non vi può già ber chi l'ha puttana;
che 'l vin, quando lo crede in bocca porre,
tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.
29
Prima che parti, ne farai la prova,
e per lo creder mio tu berai netto;
che credo ch'ancor netta si ritrova
la moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.
Ma s'al ritorno esperienza nuova
poi ne farai, non t'assicuro il petto:
che se tu non lo immolli, e netto bèi,
d'ogni marito il più felice sei.
-
30
L'offerta accetto; il vaso ella mi dona:
ne fo la prova, e mi succede a punto;
che, com'era il disio, pudica e buona
la cara moglie mia trovo a quel punto.
Dice Melissa: - Un poco l'abbandona;
per un mese o per duo stanne disgiunto:
poi torna; poi di nuovo il vaso tolli;
prova se bevi, o pur se 'l petto immolli.
-
31
A me duro parea pur di partire;
non perché di sua fe' sì dubitassi,
come ch'io non potea duo dì patire,
né un'ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa: - Io ti farò venire
a conoscere il ver con altri passi.
Vo' che muti il parlare e i vestimenti,
e sotto viso altrui te l'appresenti.
-
32
Signor, qui presso una città difende
il Po fra minacciose e fiere corna;
la cui iuridizion di qui si stende
fin dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede d'antiquità, ma ben contende
con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliquie troiane la fondaro,
che dal flagello d'Attila camparo.
33
Astringe e lenta a questa terra il morso
un cavallier giovene, ricco e bello,
che dietro un giorno a un suo falcone iscorso,
essendo capitato entro il mio ostello,
vide la donna, e sì nel primo occorso
gli piacque, che nel cor portò il suggello;
né cessò molte pratiche far poi,
per inchinarla ai desideri suoi.
34
Ella gli fece dar tante repulse,
che più tentarla al fine egli non volse;
ma la beltà di lei, ch'Amor vi sculse,
di memoria però non se gli tolse.
Tanto Melissa allosingommi e mulse,
ch'a tor la forma di colui mi volse;
e mi mutò (né so ben dirti come)
di faccia, di parlar, d'occhi e di chiome.
35
Già con mia moglie avendo simulato
d'esser partito e gitone in Levante,
nel giovene amator così mutato
l'andar, la voce, l'abito e 'l sembiante,
me ne ritorno, ed ho Melissa a lato,
che s'era trasformata, e parea un fante;
e le più ricche gemme avea con lei,
che mai mandassin gl'Indi o gli Eritrei.
36
Io che l'uso sapea del mio palagio,
entro sicuro e vien Melissa meco;
e madonna ritrovo a sì grande agio,
che non ha né scudier né donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
stimulo inanzi del mal far le arreco:
i rubini, i diamanti e gli smeraldi,
che mosso arebbon tutti i cor più saldi.
37
E le dico che poco è questo dono
verso quel che sperar da me dovea:
de la commodità poi le ragiono,
che, non v'essendo il suo marito, avea:
e le ricordo che gran tempo sono
stato suo amante, com'ella sapea;
e che l'amar mio lei con tanta fede
degno era avere al fin qualche mercede.
38
Turbossi nel principio ella non poco,
divenne rossa, ed ascoltar non volle;
ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
le belle gemme, il duro cor fe' molle:
e con parlar rispose breve e fioco,
quel che la vita a rimembrar mi tolle;
che mi compiaceria, quando credesse
ch'altra persona mai nol risapesse.
39
Fu tal risposta un venenato telo
di che me ne senti' l'alma traffissa:
per l'ossa andommi e per le vene un gelo;
ne le fauci restò la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il velo,
ne la mia forma mi tornò Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi,
ch'in tanto error da me vide trovarsi.
40
Divenimmo ambi di color di morte,
muti ambi, ambi restiàn con gli occhi bassi.
Potei la lingua a pena aver sì forte,
e tanta voce a pena, ch'io gridassi:
- Me tradiresti dunque tu, consorte,
quando tu avessi chi 'l mio onor comprassi ? -
Altra risposta darmi ella non puote,
che di rigar di lacrime le gote.
41
Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno
ch'ella ha, da me veder farsi quella onta;
e multiplica sì senza ritegno,
ch'in ira al fine e in crudele odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno;
e ne l'ora che 'l Sol del carro smonta,
al fiume corre, e in una sua barchetta
si fa calar tutta la notte in fretta:
42
e la matina s'appresenta avante
al cavallier che l'avea un tempo amata,
sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
fu contra l'onor mio da me tentata.
A lui che n'era stato ed era amante,
creder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fe' dir ch'io non sperassi
che mai più fosse mia, né più m'amassi.
43
Ah lasso! da quel dì con lui dimora
in gran piacere, e di me prende giuoco;
ed io del mal che procacciammi allora,
ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne muora;
e resta omai da consumarci poco.
Ben credo che 'l primo anno sarei morto,
se non mi dava aiuto un sol conforto.
44
Il conforto ch'io prendo, è che di quanti
per dieci anni mai fur sotto al mio tetto
(ch'a tutti questo vaso ho messo inanti),
non ne trovo un che non s'immolli il petto.
Aver nel caso mio compagni tanti
mi dà fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra infiniti sol sei stato saggio,
che far negasti il periglioso saggio.
45
Il mio voler cercare oltre alla meta
che de la donna sua cercar si deve,
fa che mai più trovare ora quieta
non può la vita mia, sia lunga o breve.
Di ciò Melissa fu a principio lieta:
ma cessò tosto la sua gioia lieve;
ch'essendo causa del mio mal stata ella,
io l'odiai sì, che non potea vedella.
46
Ella d'esser odiata impaziente
da me che dicea amar più che sua vita,
ove donna restarne immantinente
creduto avea, che l'altra ne fosse ita;
per non aver sua doglia sì presente,
non tardò molto a far di qui partita;
e in modo abbandonò questo paese,
che dopo mai per me non se n'intese.
-
47
Così narrava il mesto cavalliero:
e quando fine alla sua istoria pose,
Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,
da pietà vinto, e poi così rispose:
- Mal consiglio di diè Melissa in vero,
che d'attizzar le vespe ti propose;
e tu fusti a cercar poco avveduto
quel che tu avresti non trovar voluto.
48
Se d'avarizia la tua donna vinta
a voler fede romperti fu indutta,
non t'ammirar; né prima ella né quinta
fu de le donne prese in sì gran lutta;
e mente via più salda ancora è spinta
per minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini odi tu, che già per oro
han traditi padroni e amici loro?
49
Non dovevi assalir con sì fiere armi,
se bramavi veder farle difesa.
Non sai tu, contra l'oro, che né i marmi
né 'l durissimo acciar sta alla contesa?
Che più fallasti tu a tentarla parmi,
di lei che così tosto restò presa.
Se te altretanto avesse ella tentato,
non so se tu più saldo fossi stato.
-
50
Qui Rinaldo fe' fine, e da la mensa
levossi a un tempo, e domandò dormire;
che riposare un poco, e poi si pensa
inanzi al dì d'un'ora o due partire.
Ha poco tempo, e 'l poco c'ha, dispensa
con gran misura, e invan nol lascia gire.
Il signor di là dentro, a suo piacere,
disse, che si potea porre a giacere;
51
ch'apparecchiata era la stanza e 'l letto:
ma che se volea far per suo consiglio,
tutta notte dormir potria a diletto,
e dormendo avanzarsi qualche miglio.
- Acconciar ti farò (disse) un legnetto,
con che volando, e senz'alcun periglio
tutta notte dormendo vo' che vada,
e una giornata avanzi de la strada.
-
52
La proferta a Rinaldo accettar piacque,
e molto ringraziò l'oste cortese:
poi senza indugio là, dove ne l'acque
da' naviganti era aspettato, scese.
Quivi a grande agio riposato giacque,
mentre il corso del fiume il legno prese,
che da sei remi spinto, lieve e snello
pel fiume andò, come per l'aria augello.
53
Così tosto come ebbe il capo chino,
il cavallier di Francia adormentosse;
imposto avendo già, come vicino
giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lito mancino;
nel lito destro Sermide restosse:
Figarolo e Stellata il legno passa,
ove le corna il Po iracondo abbassa.
54
De le due corna il nocchier prese il destro,
e lasciò andar verso Vinegia il manco;
passò il Bondeno: e già il color cilestro
si vedea in oriente venir manco,
che votando di fior tutto il canestro,
l'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
quando, lontan scoprendo di Tealdo
ambe le rocche, il capo alzò Rinaldo.
55
- O città bene aventurosa (disse),
di cui già Malagigi, il mio cugino,
contemplando le stelle erranti e fisse,
e costringendo alcun spirto indovino,
nei secoli futuri mi predisse
(già ch'io facea con lui questo camino)
ch'ancor la gloria tua salirà tanto,
ch'avrai di tutta Italia il pregio e 'l vanto.
-
56
Così dicendo, e pur tuttavia in fretta
su quel battel che parea aver le penne,
scorrendo il re de' fiumi, all'isoletta
ch'alla cittade è più propinqua, venne:
e ben che fosse allora erma e negletta,
pur s'allegrò di rivederla, e fenne
non poca festa; che sapea quanto ella,
volgendo gli anni, saria ornata e bella.
57
Altra fiata che fe' questa via,
udì da Malagigi, il qual seco era,
che settecento volte che si sia
girata col monton la quarta sfera,
questa la più ioconda isola fia
di quante cinga mar, stagno o riviera;
sì che, veduta lei, non sarà ch'oda
dar più alla patria di Nausicaa loda.
58
Udì che di bei tetti posta inante
sarebbe a quella sì a Tiberio cara;
che cederian l'Esperide alle piante
ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
che tante spezie d'animali, quante
vi fien, né in mandra Circe ebbe né in hara;
che v'avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro o in Gnido:
59
e che sarebbe tal per studio e cura
di chi al sapere ed al potere unita
la voglia avendo, d'argini e di mura
avria sì ancor la sua città munita,
che contra tutto il mondo star sicura
potria, senza chiamar di fuori aita:
e che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe
padre il signor che questo e quel far debbe.
60
Così venìa Rinaldo ricordando
quel che già il suo cugin detto gli avea,
de le future cose divinando,
che spesso conferir seco solea.
E tuttavia l'umil città mirando:
- Come esser può ch'ancor (seco dicea)
debban così fiorir queste paludi
de tutti i liberali e degni studi?
61
e crescer abbia di sì piccol borgo
ampla cittade e di sì gran bellezza?
e ciò ch'intorno è tutto stagno e gorgo,
sien lieti e pieni campi di ricchezza?
Città, sin ora a riverire assorgo
l'amor, la cortesia, la gentilezza
de' tuoi signori, e gli onorati pregi
dei cavallier, dei cittadini egregi.
62
L'ineffabil bontà del Redentore,
de' tuoi principi il senno e la iustizia,
sempre con pace, sempre con amore
ti tenga in abondanza ed in letizia;
e ti difenda contra ogni furore
de' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
del tuo contento ogni vicino arrabbi,
più tosto che tu invidia ad alcuno abbi.
-
63
Mentre Rinaldo così parla, fende
con tanta fretta il suttil legno l'onde,
che con maggiore a logoro non scende
falcon ch'al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Georgio a dietro, a dietro s'allontana
la torre e de la Fossa e di Gaibana.
64
Rinaldo, come accade ch'un pensiero
un altro dietro, e quello un altro mena,
si venne a ricordar del cavalliero
nel cui palagio fu la sera a cena;
che per questa cittade, a dire il vero,
avea giusta cagion di stare in pena:
e ricordossi del vaso da bere,
che mostra altrui l'error de la mogliere;
65
e ricordossi insieme de la prova
che d'aver fatta il cavallier narrolli;
che di quanti avea esperti, uomo non trova
che bea nel vaso, e 'l petto non s'immolli.
Or si pente, or tra sé dice: - È mi giova
ch'a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
non riuscendo, a che partito era io?
66
Gli è questo creder mio, come io l'avessi
ben certo, e poco accrescer lo potrei:
sì che, s'al paragon mi succedessi,
poco il meglio saria ch'io ne trarrei;
ma non già poco il mal, quando vedessi
quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco;
che perder si può molto, e acquistar poco.
-
67
Stando in questo pensoso il cavalliero
di Chiaramonte, e non alzando il viso,
con molta attenzion fu da un nocchiero
che gli era incontra, riguardato fiso:
e perché di veder tutto il pensiero
che l'occupava tanto, gli fu aviso,
come uom che ben parlava ed avea ardire,
a seco ragionar lo fece uscire.
68
La somma fu del lor ragionamento,
che colui malaccorto era ben stato,
che ne la moglie sua l'esperimento
maggior che può far donna, avea tentato;
che quella che da l'oro e da l'argento
difende il cor di pudicizia armato,
tra mille spade via più facilmente
difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
69
Il nocchler suggiungea: - Ben gli dicesti,
che non dovea offerirle sì gran doni;
che contrastare a questi assalti e a questi
colpi non sono tutti i petti buoni.
Non so se d'una giovane intendesti
(ch'esser pò che tra voi se ne ragioni),
che nel medesmo error vide il consorte,
di ch'esso avea lei condannata a morte.
70
Dovea in memoria avere il signor mio,
che l'oro e 'l premio ogni durezza inchina;
ma, quando bisognò, l'ebbe in oblio,
ed ei si procacciò la sua ruina.
Così sapea lo esempio egli, com'io,
che fu in questa città di qui vicina,
sua patria e mia, che 'l lago e la palude
del rifrenato Menzo intorno chiude:
71
d'Adonio voglio dir, che 'l ricco dono
fe' alla moglie del giudice, d'un cane.
-
- Di questo (disse il paladino) il suono
non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
perché né in Francia, né dove ito sono,
parlar n'udi' ne le contrade estrane:
sì che dì pur, se non t'incresce il dire;
che volentieri io mi t'acconcio a udire.
-
72
Il nocchier cominciò: - Già fu di questa
terra un Anselmo di famiglia degna,
che la sua gioventù con lunga vesta
spese in saper ciò ch'Ulpiano insegna
e di nobil progenie, bella e onesta
moglie cercò, ch'al grado suo convegna;
e d'una terra quindi non lontana
n'ebbe una di bellezza sopraumana;
73
e di bei modi e tanto graziosi,
che parea tutto amore e leggiadria;
e di molto più forse, ch'ai riposi,
ch'allo stato di lui non convenia.
Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi
al mondo fur, passò di gelosia:
non già ch'altra cagion gli ne desse ella,
che d'esser troppo accorta e troppo bella.
74
Ne la città medesma un cavalliero
era d'antiqua e d'onorata gente,
che discendea da quel lignaggio altiero
ch'uscì d'una mascella di serpente,
onde già Manto, e chi con essa fero
la patria mia, disceser similmente.
Il cavallier, ch'Adonio nominosse,
di questa bella donna inamorosse.
75
E per venire a fin di questo amore,
a spender cominciò senza ritegno
in vestire, in conviti, in farsi onore,
quanto può farsi un cavallier più degno.
Il tesor di Tiberio imperatore
non saria stato a tante spese al segno.
Io credo ben che non passar duo verni,
ch'egli uscì fuor di tutti i ben paterni.
76
La casa ch'era dianzi frequentata
matina e sera tanto dagli amici,
sola restò, tosto che fu privata
di starne, di fagian, di coturnici.
Egli che capo fu de la brigata,
rimase dietro, e quasi fra mendici.
Pensò, poi ch'in miseria era venuto,
d'andare ove non fosse conosciuto.
77
Con questa intenzione una mattina,
senza far motto altrui, la patria lascia;
e con sospiri e lacrime camina
lungo lo stagno che le mura fascia.
La donna che del cor gli era regina,
già non oblia per la seconda ambascia.
Ecco un'alta aventura che lo viene
di sommo male a porre in sommo bene.
78
Vede un villan che con un gran bastone
intorno alcuni sterpi s'affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan, che dentro a quel macchione
veduto avea una serpe molto antica,
di che più lunga e grossa a' giorni suoi
non vide, né credea mai veder poi;
79
e che non si voleva indi partire,
che non l'avesse ritrovata e morta.
Come Adonio lo sente così dire,
con poca pazienza lo sopporta.
Sempre solea le serpi favorire;
che per insegna il sangue suo le porta
in memoria ch'uscì sua prima gente
de' denti seminati di serpente.
80
e disse e fece col villano in guisa
che, suo mal grado, abbandonò l'impresa;
sì che da lui non fu la serpe uccisa,
né più cercata, né altrimenti offesa.
Adonio ne va poi dove s'avisa
che sua condizion sia meno intesa;
e dura con disagio e con affanno
fuor de la patria appresso al settimo anno.
81
Né mai per lontananza, né strettezza
del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
cessa Amor che sì gli ha la mano avezza,
ch'ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
È forza al fin che torni alla bellezza
che son di riveder sì gli occhi vaghi.
Barbuto, afflitto, e assai male in arnese,
là donde era venuto, il camin prese.
82
In questo tempo alla mia patria accade
mandare uno oratore al Padre santo,
che resti appresso alla sua Santitade
per alcun tempo e non fu detto quanto.
Gettan la sorte, e nel giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fe' scuse, pregò assai, diede e promesse
per non partirsi; e al fin sforzato cesse.
83
Non gli parea crudele e duro manco
a dover sopportar tanto dolore,
che se veduto aprir s'avesse il fianco,
e vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
per la sua donna, mentre staria fuore,
lei con quei modi che giovar si crede,
supplice priega a non mancar di fede:
84
dicendole ch'a donna né bellezza,
né nobiltà, né gran fortuna basta,
sì che di vero onor monti in altezza,
se per nome e per opre non è casta;
e che quella virtù via più si prezza,
che di sopra riman quando contrasta,
e ch'or gran campo avria per questa assenza,
di far di pudicizia esperienza.
85
Con tai le cerca ed altre assai parole
persuader ch'ella gli sia fedele.
De la dura partita ella si duole,
con che lacrime, oh Dio! con che querele!
E giura che più tosto oscuro il sole
vedrassi, che gli sia mai sì crudele,
che rompa fede; e che vorria morire
più tosto ch'aver mai questo desire.
86
Ancor ch'a sue promesse e a suoi scongiuri
desse credenza e si achetasse alquanto,
non resta che più intender non procuri,
e che materia non procacci al pianto.
Avea uno amico suo, che dei futuri
casi predir teneva il pregio e 'l vanto;
e d'ogni sortilegio e magica arte,
o il tutto, o ne sapea la maggior parte.
87
Diegli, pregando di vedere assunto,
se la sua moglie, nominata Argia,
nel tempo che da lei starà disgiunto,
fedele e casta, o pel contario fia.
Colui da prieghi vinto, tolle il punto,
il ciel figura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno
a lui per la risposta fa ritorno.
88
L'astrologo tenea le labra chiuse,
per non dire al dottor cosa che doglia,
e cerca di tacer con molte scuse.
Quando pur del suo mal vede c'ha voglia,
che gli romperà fede gli concluse,
tosto ch'egli abbia il piè fuor de la soglia,
non da bellezza né da prieghi indotta,
ma da guadagno e da prezzo corrotta.
89
Giunte al timore, al dubbio ch'avea prima,
queste minacce dei superni moti,
come gli stesse il cor, tu stesso stima,
se d'amor gli accidenti ti son noti.
E sopra ogni mestizia che l'opprima,
e che l'afflitta mente aggiri e arruoti,
è 'l saper come, vinta d'avarizia,
per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
90
Or per far quanti potea far ripari
da non lasciarla in quel error cadere
(perché il bisogno a dispogliar gli altari
tra' l'uom talvolta, che sel trova avere),
ciò che tenea di gioie e di danari
(che n'avea somma) pose in suo potere:
rendite e frutti d'ogni possessione,
e ciò c'ha al mondo, in man tutto le pone.
91
- Con facultade (disse) che ne' tuoi
non sol bisogni te li goda e spenda,
ma che ne possi far ciò che ne vuoi,
li consumi, li getti, e doni e venda;
altro conto saper non ne vo' poi,
pur che, qual ti lascio or, tu mi ti renda:
pur che, come or tu sei, mi sie rimasa,
fa che io non trovi né poder né casa.
-
92
La prega che non faccia, se non sente
ch'egli ci sia, ne la città dimora;
ma ne la villa, ove più agiatamente
viver potrà d'ogni commercio fuora.
Questo dicea, però che l'umil gente
che nel gregge o ne' campi gli lavora,
non gli era aviso che le caste voglie
contaminar potessero alla moglie.
93
Tenendo tuttavia le belle braccia
al timido marito al collo Argia,
e di lacrime empiendogli la faccia,
ch'un fiumicel dagli occhi le n'uscia;
s'attrista che colpevole la faccia,
come di fé mancata già gli sia;
che questa sua sospizion procede,
perché non ha ne la sua fede fede.
94
Troppo sarà, s'io voglio ir rimembrando
ciò ch'al partir da tramendua fu detto.
- Il mio onor (dice al fin) ti raccomando: -
piglia licenza, e partesi in effetto;
e ben si sente veramente, quando
volge il cavallo, uscire il cor del petto.
Ella lo segue, quanto seguir puote,
con gli occhi che le rigano le gote.
95
Adonio intanto misero e tapino,
e (come io dissi) pallido e barbuto,
verso la patria avea preso il camino,
sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alla città vicino,
là dove avea dato alla biscia aiuto,
ch'era assediata entro la macchia forte
da quel villan che por la volea a morte.
96
Quivi arrivando in su l'aprir del giorno,
ch'ancor splendea nel cielo alcuna stella,
si vede in peregrino abito adorno
venir pel lito incontra una donzella
in signoril sembiante, ancor ch'intorno
non l'apparisse né scudier né ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
e poi la lingua a tai parole sciolse:
97
- Se ben non mi conosci, o cavalliero,
son tua parente, e grande obligo t'aggio:
parente son, perché da Cadmo fiero
scende d'amenduo noi l'alto lignaggio.
Io son la fata Manto, che 'l primiero
sasso messi a fondar questo villaggio;
e dal mio nome (come ben forse hai
contare udito) Mantua la nomai.
98
De le fate io son una; ed il fatale
stato per farti anco saper ch'importe,
nascemo a un punto, che d'ogn'altro male
siamo capaci, fuor che de la morte.
Ma giunto è con questo essere immortale
condizion non men del morir forte;
ch'ogni settimo giorno ogniuna è certa
che la sua forma in biscia si converta.
99
Il vedersi coprir del brutto scoglio,
e gir serpendo, è cosa tanto schiva,
che non è pare al mondo altro cordoglio;
tal che bestemmia ogniuna d'esser viva.
E l'obbligo ch'io t'ho (perché ti voglio
insiememente dire onde deriva),
tu saprai che quel dì, per esser tali,
siamo a periglio d'infiniti mali.
100
Non è sì odiato altro animale in terra,
come la serpe; e noi, che n'abbiàn faccia,
patimo da ciascuno oltraggio e guerra;
che chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se non troviamo ove tornar sotterra,
sentiamo quanto pesa altrui le braccia.
Meglio saria poter morir, che rotte
e storpiate restar sotto le botte.
101
L'obligo ch'io t'ho grande, è ch'una volta
che tu passavi per quest'ombre amene,
per te di mano fui d'un villan tolta,
che gran travagli m'avea dati e pene.
Se tu non eri, io non andava asciolta,
ch'io non portassi rotto e capo e schene,
e che sciancata non restassi e storta,
se ben non vi potea rimaner morta:
102
perché quei giorni che per terra il petto
traemo avvolte in serpentile scorza,
il ciel ch'in altri tempi è a noi suggetto,
niega ubbidirci, e prive siàn di forza.
In altri tempi ad un sol nostro detto
il sol si ferma e la sua luce ammorza;
l'immobil terra gira e muta loco;
s'infiamma il ghiaccio, e si congela il fuoco.
103
Ora io son qui per renderti mercede
del beneficio che mi festi allora.
Nessuna grazia indarno or mi si chiede
ch'io son del manto viperino fuora.
Tre volte più che di tuo padre erede
non rimanesti, io ti fo ricco or ora:
né vo' che mai più povero diventi,
ma quanto spendi più, che più augumenti.
104
E perché so che ne l'antiquo nodo,
in che già Amor t'avinse, anco ti trovi,
voglioti dimostrar l'ordine e 'l modo
ch'a disbramar tuoi desideri giovi.
Io voglio, or che lontano il marito odo,
che senza indugio il mio consiglio provi;
vadi a trovar la donna che dimora
fuori alla villa, e sarò teco io ancora.
-
105
E seguitò narrandogli in che guisa
alla sua donna vuol che s'appresenti;
dico come vestir, come precisa-
mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;
e che forma essa vuol pigliar, devisa;
che, fuor che 'l giorno ch'erra tra serpenti,
in tutti gli altri si può far, secondo
che più le pare, in quante forme ha il mondo.
106
Messe in abito lui di peregrino
il qual per Dio di porta in porta accatti:
mutosse ella in un cane, il più piccino
di quanti mai n'abbia Natura fatti,
di pel lungo, più bianco ch'armellino,
di grato aspetto e di mirabili atti.
Così trasfigurato, entraro in via
verso la casa de la bella Argia:
107
e dei lavoratori alle capanne
prima ch'altrove, il giovene fermosse;
e cominciò a sonar certe sue canne,
al cui suono danzando il can rizzosse.
La voce e 'l grido alla padrona vanne,
e fece sì, che per veder si mosse.
Fece il romeo chiamar ne la sua corte,
sì come del dottor traea la sorte.
108
E quivi Adonio a comandare al cane
incominciò, ed il cane a ubbidir lui,
e far danze nostral, farne d'estrane,
con passi e continenze e modi sui,
e finalmente con maniere umane
far ciò che comandar sapea colui,
con tanta attenzion, che chi lo mira,
non batte gli occhi, e a pena il fiato spira.
109
Gran maraviglia, ed indi gran desire
venne alla donna di quel can gentile;
e ne fa per la balia proferire
al cauto peregrin prezzo non vile,
- S'avessi più tesor, che mai sitire
potesse cupidigia feminile
(colui rispose), non saria mercede
di comprar degna del mio cane un piede.
-
110
E per mostrar che veri i detti foro,
con la balia in un canto si ritrasse,
e disse al cane, ch'una marca d'oro
a quella donna in cortesia donasse.
Scossesi il cane, e videsi il tesoro.
Disse Adonio alla balia, che pigliasse,
soggiungendo: - Ti par che prezzo sia,
per cui sì bello e util cane io dia?
111
Cosa, qual vogli sia, non gli domando,
di ch'io ne torni mai con le man vote;
e quando perle, e quando annella, e quando
leggiadra veste e di gran prezzo scuote.
Pur di' a madonna, che fia al suo comando;
per oro no, ch'oro pagar nol puote:
ma se vuol ch'una notte seco io giaccia,
abbiasi il cane, e 'l suo voler ne faccia.
-
112
Così dice: e una gemma allora nata
le dà, ch'alla padrona l'appresenti.
Pare alla balia averne più derata,
che di pagar dieci ducati o venti.
Torna alla donna, e le fa l'imbasciata;
e la conforta poi, che si contenti
d'acquistare il bel cane; ch'acquistarlo
per prezzo può, che non si perde a darlo.
113
La bella Argia sta ritrosetta in prima;
parte, che la sua fé romper non vuole,
parte, ch'esser possibile non stima
tutto ciò che ne suonan le parole.
La balia le ricorda, e rode e lima,
che tanto ben di rado avvenir suole;
e fe' che l'agio un altro dì si tolse,
che 'l can veder senza tanti occhi volse.
114
Quest'altro comparir ch'Adonio fece,
fu la ruina e del dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece,
filze di perle, e gemme d'ogni sorte:
sì che il superbo cor mansuefece,
che tanto meno a contrastar fu forte,
quanto poi seppe che costui ch'inante
gli fa partito, è 'l cavallier suo amante.
115
De la puttana sua balia i conforti,
i prieghi de l'amante e la presenza,
il veder che guadagno se l'apporti,
del misero dottor la lunga assenza,
lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti,
fero ai casti pensier tal violenza,
ch'ella accettò il bel cane, e per mercede
in braccio e in preda al suo amator si diede.
116
Adonio lungamente frutto colse
de la sua bella donna, a cui la fata
grande amor pose, e tanto le ne volse,
che sempre star con lei si fu ubligata.
Per tutti i segni il sol prima si volse,
ch'al giudice licenza fosse data:
al fin tornò, ma pien di gran sospetto
per quel che già l'astrologo avea detto.
117
Fa, giunto ne la patria, il primo volo
a casa de l'astrologo, e gli chiede,
se la sua donna fatto inganno e dolo,
o pur servato gli abbia amore e fede.
Il sito figurò colui del polo,
ed a tutti i pianeti il luogo diede:
poi rispose che quel ch'avea temuto,
come predetto fu, gli era avvenuto;
118
che da doni grandissimi corrotta,
data ad altri s'avea la donna in preda.
Questa al dottor nel cor fu sì gran botta,
che lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne più certo, ne va allotta
(ben che pur troppo allo indivino creda)
ov'è la balia, e la tira da parte,
e per saperne il certo usa grande arte.
119
Con larghi giri circondando prova
or qua or là di ritrovar la traccia;
e da principio nulla ne ritrova,
con ogni diligenza che ne faccia;
ch'ella, che non avea tal cosa nuova,
stava negando con immobil faccia;
e come bene istrutta, più d'un mese
tra il dubbio e 'l certo il suo patron sospese.
120
Quanto dovea parergli il dubio buono,
se pensava il dolor ch'avria del certo!
Poi ch'indarno provò con priego e dono,
che da la balia il ver gli fosse aperto,
né toccò tasto ove sentisse suono
altro che falso; come uom ben esperto,
aspettò che discordia vi venisse;
ch'ove femine son, son liti e risse.
121
E come egli aspettò, così gli avvenne;
ch'al primo sdegno che tra loro nacque,
senza suo ricercar, la balia venne
il tutto a ricontargli, e nulla tacque.
Lungo a dir fôra ciò che 'l cor sostenne,
come la mente costernata giacque
del giudice meschin, che fu sì oppresso,
che stette per uscir fuor di se stesso:
122
e si dispose al fin, da l'ira vinto,
morir, ma prima uccider la sua moglie;
e che d'amendue i sangui un ferro tinto
levassi lei di biasmo, e sé di doglie.
Ne la città se ne ritorna, spinto
da così furibonde e cieche voglie;
indi alla villa un suo fidato manda,
e quanto esequir debba, gli commanda.
123
Commanda al servo, ch'alla moglie Argia
torni alla villa, e in nome suo le dica
ch'egli è da febbre oppresso così ria,
che di trovarlo vivo avrà fatica;
sì che, senza aspettar più compagnia,
venir debba con lui, s'ella gli è amica
(verrà: sa ben che non farà parola);
e che tra via le seghi egli la gola.
124
A chiamar la patrona andò il famiglio,
per far di lei quanto il signor commesse.
Dato prima al suo cane ella di piglio,
montò a cavallo ed a camin si messe.
L'avea il cane avisata del periglio,
ma che d'andar per questo ella non stesse;
ch'avea ben disegnato e proveduto
onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.
125
Levato il servo del camino s'era;
e per diverse e solitarie strade
a studio capitò su una riviera
che d'Apennino in questo fiume cade;
ov'era bosco e selva oscura e nera,
lungi da villa e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
per l'effetto crudel che gli fu imposto.
126
Trasse la spada e alla padrona disse
quanto commesso il suo signor gli avea;
sì che chiedesse, prima che morisse,
perdono a Dio d'ogni colpa rea.
Non ti so dir com'ella si coprisse:
quando il servo ferirla si credea,
più non la vide, e molto d'ogn'intorno
l'andò cercando, e al fin restò con scorno.
127
Torna al patron con gran vergogna ed onta,
tutto attonito in faccia e sbigottito;
e l'insolito caso gli racconta,
ch'egli non sa come si sia seguito.
Ch'a' suoi servigi abbia la moglie pronta
la fata Manto, non sapea il marito;
che la balia onde il resto avea saputo,
questo, non so perché, gli avea taciuto.
128
Non sa che far; che né l'oltraggio grave
vendicato ha, né le sue pene ha sceme.
Quel ch'era una festuca, ora è una trave,
tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
L'error che sapean pochi, or sì aperto have,
che senza indugio si palesi, teme.
Potea il primo celarsi; ma il secondo,
publico in breve fia per tutto il mondo.
129
Conosce ben che, poi che 'l cor fellone
avea scoperto il misero contra essa,
ch'ella, per non tornargli in suggezione,
d'alcun potente in man si sarà messa;
il qual se la terrà con irrisione
ed ignominia del marito espressa;
e forse anco verrà d'alcuno in mano,
che ne fia insieme adultero e ruffiano.
130
Sì che, per rimediarvi, in fretta manda
intorno messi e lettere a cercarne:
ch'in quel loco, ch'in questo ne domanda
per Lombardia, senza città lasciarne.
Poi va in persona, e non si lascia banda
ove o non vada o mandivi a spiarne:
né mai può ritrovar capo né via
di venire a notizia, che ne sia.
131
Al fin chiama quel servo a chi fu imposta
l'opra crudel che poi non ebbe effetto,
e fa che lo conduce ove nascosta
se gli era Argia, sì come gli avea detto;
che forse in qualche macchia il dì reposta,
la notte si ripara ad alcun tetto.
Lo guida il servo ove trovar si crede
la folta selva, e un gran palagio vede.
132
Fatto avea farsi alla sua fata intanto
la bella Argia con subito lavoro
d'alabastri un palagio per incanto,
dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.
Né lingua dir, né cor pensar può quanto
avea beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel che iersera sì ti parve bello,
del mio signor, saria un tugurio a quello.
133
E di panni di razza, e di cortine
tessute riccamente e a varie fogge,
ornate eran le stalle e le cantine,
non sale pur, non pur camere e logge;
vasi d'oro e d'argento senza fine,
gemme cavate, azzurre e verdi e rogge,
e formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
e senza fin d'oro e di seta drappi.
134
Il giudice, sì come io vi dicea,
venne a questo palagio a dar di petto,
quando né una capanna si credea
di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per l'alta maraviglia che n'avea,
esser si credea uscito d'intelletto:
non sapea se fosse ebbro o se sognassi,
o pur se 'l cervel scemo a volo andassi.
135
Vede inanzi alla porta uno Etiopo
con naso e labri grossi; e ben gli è avviso
che non vedesse mai, prima né dopo,
un così sozzo e dispiacevol viso;
poi di fattezze, qual si pinge Esopo,
d'attristar, se vi fosse, il paradiso;
bisunto e sporco, e d'abito mendico:
né a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
136
Anselmo che non vede altro da cui
possa saper di chi la casa sia,
a lui s'accosta, e ne domanda a lui;
ed ei risponde: - Questa casa è mia.
-
Il giudice è ben certo che colui
lo beffi e che gli dica la bugia:
ma con scongiuri il negro ad affermare
che sua è la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
137
e gli offerisce, se la vuol vedere,
che dentro vada, e cerchi come voglia;
e se v'ha cosa che gli sia in piacere
o per sé o per gli amici, se la toglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e messe il piè dentro alla soglia;
e per sale e per camere condutto,
da basso e d'alto andò mirando il tutto.
138
La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
va contemplando, e l'ornamento regio;
e spesso dice: - Non potria quant'oro
è sotto il sol pagare il loco egregio.
-
A questo gli risponde il brutto Moro,
e dice: - E questo ancor trova il suo pregio:
se non d'oro o d'argento, nondimeno
pagar lo può quel che vi costa meno.
-
139
E gli fa la medesima richiesta
ch'avea già Adonio alla sua moglie fatta.
De la brutta domanda e disonesta,
persona lo stimò bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta;
e tanti modi a persuaderlo adatta,
sempre offerendo in merito il palagio,
che fe' inchinarlo al suo voler malvagio.
140
La moglie Argia che stava appresso ascosa,
poi che lo vide nel suo error caduto,
saltò fuora gridando: - Ah degna cosa
che io veggo di dottor saggio tenuto! -
Trovato in sì mal'opra e viziosa,
pensa se rosso far si deve e muto.
O terra, acciò ti si gettassi dentro,
perché allor non t'apristi insino al centro?
141
La donna in suo discarco, ed in vergogna
d'Anselmo, il capo gl'intronò di gridi,
dicendo: - Come te punir bisogna
di quel che far con sì vil uom ti vidi,
se per seguir quel che natura agogna,
me, vinta a' prieghi del mio amante, uccidi?
ch'era bello e gentile; e un dono tale
mi fe', ch'a quel nulla il palagio vale.
142
S'io ti parvi esser degna d'una morte,
conosci che ne sei degno di cento:
e ben ch'in questo loco io sia sì forte,
ch'io possa di te fare il mio talento;
pure io non vo' pigliar di peggior sorte
altra vendetta del tuo fallimento.
Di par l'avere e 'l dar, marito, poni;
fa, com'io a te, che tu a me ancor perdoni:
143
e sia la pace e sia l'accordo fatto,
ch'ogni passato error vada in oblio;
né ch'in parole io possa mai né in atto
ricordarti il tuo error, né a me tu il mio.
-
Il marito ne parve aver buon patto,
né dimostrossi al perdonar restio.
Così a pace e concordia ritornaro,
e sempre poi fu l'uno all'altro caro.
-
144
Così disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo al fin de la sua istoria un poco;
e diventar gli fece a un tratto il viso,
per l'onta del dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia molto lodò, ch'avviso
ebbe d'alzare a quello augello un gioco
ch'alla medesma rete fe' cascallo,
in che cadde ella, ma con minor fallo.
145
Poi che più in alto il sole il camin prese,
fe' il paladino apparecchiar la mensa,
ch'avea la notte il Mantuan cortese
provista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese,
ed a man destra la palude immensa:
viene e fuggesi Argenta e 'l suo girone
col lito ove Santerno il capo pone.
146
Allora la Bastia credo non v'era,
di che non troppo si vantar Spagnuoli
d'avervi su tenuta la bandiera;
ma più da pianger n'hanno i Romagniuoli.
E quindi a filo alla dritta riviera
cacciano il legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi per una fossa morta,
ch'a mezzodì presso a Ravenna il porta.
147
Ben che Rinaldo con pochi danari
fosse sovente, pur n'avea sì alora,
che cortesia ne fece a' marinari,
prima che li lasciasse alla buon'ora.
Quindi mutando bestie e cavallari,
Arimino passò la sera ancora;
né in Montefiore aspetta il matutino,
e quasi a par col sol giunge in Urbino.
148
Quivi non era Federico allora,
né l'Issabetta, né 'l buon Guido v'era,
né Francesco Maria, ne Leonora,
che con cortese forza e non altiera
avesse astretto a far seco dimora
sì famoso guerrier più d'una sera;
come fer già molti anni, ed oggi fanno
a donne e a cavallier che di là vanno.
149
Poi che quivi alla briglia alcun nol prende,
smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta.
Pel monte che 'l Metauro o il Gauno fende,
passa Apennino e più non l'ha a man ritta;
passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
da Roma ad Ostia; e quindi si tragitta
per mare alla cittade a cui commise
il pietoso figliuol l'ossa d'Anchise.
150
Muta ivi legno, e verso l'isoletta
di Lipadusa fa ratto levarsi;
quella che fu dai combattenti eletta,
ed ove già stati erano a trovarsi.
Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
ch'a vela e a remi fan ciò che può farsi;
ma i venti avversi e per lui mal gagliardi,
lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151
Giunse ch'a punto il principe d'Anglante
fatta avea l'utile opra e gloriosa:
avea Gradasso ucciso ed Agramante,
ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n'era il figliuol di Monodante;
e di grave percossa e perigliosa
stava Olivier languendo in su l'arena,
e del piè guasto avea martìre e pena.
152
Tener non poté il conte asciutto il viso,
quando abbracciò Rinaldo, e che narrolli
che gli era stato Brandimarte ucciso,
che tanta fede e tanto amor portolli.
Né men Rinaldo, quando sì diviso
vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:
poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier che sedea col piede rotto.
153
La consolazion che seppe, tutta
diè lor, ben che per sé tor non la possa;
che giunto si vedea quivi alle frutta,
anzi poi che la mensa era rimossa.
Andaro i servi alla città distrutta,
e di Gradasso e d'Agramante l'ossa
ne le ruine ascoser di Biserta,
e quivi divulgar la cosa certa.
154
De la vittoria ch'avea avuto Orlando,
s'allegrò Astolfo e Sansonetto molto;
non sì però, come avrian fatto, quando
non fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui morto il gaudio va scemando
sì, che non ponno asserenare il volto.
Or chi sarà di lor, ch'annunzio voglia
a Fiordiligi dar di sì gran doglia?
155
La notte che precesse a questo giorno,
Fiordiligi sognò che quella vesta
che, per mandarne Brandimarte adorno,
avea trapunta e di sua man contesta,
vedea per mezzo sparsa e d'ogn'intorno
di gocce rosse, a guisa di tempesta:
parea che di sua man così l'avesse
riccamata ella, e poi se ne dogliessse.
156
E parea dir: - Pur hammi il signor mio
commesso ch'io la faccia tutta nera:
or perché dunque riccamata holl'io
contra sua voglia in sì strana maniera? -
Di questo sogno fe' giudicio rio;
poi la novella giunse quella sera:
ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
ch'a lei con Sansonetto se ne venne.
157
Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso
vide di gaudio in tal vittoria privo;
senz'altro annunzio sa, senz'altro avviso,
che Brandimarte suo non è più vivo.
Di ciò le resta il cor così conquiso,
e così gli occhi hanno la luce a schivo,
e così ogn'altro senso se le serra,
che come morta andar si lascia in terra.
158
Al tornar de lo spirto, ella alle chiome
caccia le mani; ed alle belle gote,
indarno ripetendo il caro nome,
fa danno ed onta più che far lor puote:
straccia i capelli e sparge; e grida, come
donna talor che 'l demon rio percuote,
o come s'ode che già a suon di corno
Menade corse, ed aggirossi intorno.
159
Or questo or quel pregando va, che porto
le sia un coltel, sì che nel cor si fera:
or correr vuol là dove il legno in porto
dei duo signor defunti arrivato era,
e de l'uno e de l'altro così morto
far crudo strazio e vendetta acra e fiera:
or vuol passare il mare, e cercar tanto,
che possa al suo signor morire a canto.
160
- Deh perché, Brandimarte, ti lasciai
senza me andare a tanta impresa? (disse).
Vedendoti partir, non fu più mai
che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei giovato, s'io veniva, assai,
ch'avrei tenute in te le luci fisse;
e se Gradasso avessi dietro avuto,
con un sol grido io t'avrei dato aiuto;
161
o forse esser potrei stata sì presta,
ch'entrando in mezzo, il colpo t'avrei tolto:
fatto scudo t'avrei con la mia testa;
che morendo io, non era il danno molto.
Ogni modo io morrò; né fia di questa
dolente morte alcun profitto colto,
che, quando io fossi morta in tua difesa,
non potrei meglio aver la vita spesa.
162
Se pur ad aiutarti i duri fati
avessi avuti e tutto il cielo avverso,
gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
almen t'avrei di pianto il viso asperso;
e prima che con gli angeli beati
fosse lo spirto al suo Fattor converso,
detto gli avrei: Va in pace, e là m'aspetta;
ch'ovunque sei, son per seguirti in fretta.
163
È questo, Brandimarte, è questo il regno
di che pigliar lo scettro ora dovevi?
Or così teco a Dammogire io vegno?
così nel real seggio mi ricevi?
Ah Fortuna crudel, quanto disegno
mi rompi! oh che speranze oggi mi levi!
Deh, che cesso io, poi c'ho perduto questo
tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto? -
164
Questo ed altro dicendo, in lei risorse
il furor con tanto impeto e la rabbia,
ch'a stracciare il bel crin di nuovo corse,
come il bel crin tutta la colpa n'abbia.
Le mani insieme si percosse e morse,
nel sen si cacciò l'ugne e ne le labbia.
Ma torno a Orlando ed a' compagni, intanto
ch'ella si strugge e si consuma in pianto.
165
Orlando, col cognato che non poco
bisogno avea di medico e di cura,
ed altretanto, perché in degno loco
avesse Brandimarte sepultura,
verso il monte ne va che fa col fuoco
chiara la notte, e il dì di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano
non e quel lito lor molto lontano.
166
Con fresco vento ch'in favor veniva,
sciolser la fune al declinar del giorno,
mostrando lor la taciturna diva
la dritta via col luminoso corno;
e sorser l'altro dì sopra la riva
ch'amena giace ad Agringento intorno.
Quivi Orlando ordinò per l'altra sera
ciò ch'a funeral pompa bisogno era.
167
Poi che l'ordine suo vide essequito,
essendo omai del sole il lume spento,
fra molta nobiltà ch'era allo 'nvito
de' luoghi intorno corsa in Agringento,
d'accesi torchi tutto ardendo 'l lito,
e di grida sonando e di lamento,
tornò Orlando ove il corpo fu lasciato,
che vivo e morto avea con fede amato.
168
Quivi Bardin di soma d'anni grave
stava piangendo alla bara funèbre,
che pel gran pianto ch'avea fatto in nave,
dovrìa gli occhi aver pianti e le palpèbre.
Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,
ruggia come un leon ch'abbia la febre.
Le mani erano intanto empie e ribelle
ai crin canuti e alla rugosa pelle.
169
Levossi, al ritornar del paladino,
maggiore il grido, e raddoppiossi il pianto.
Orlando, fatto al corpo più vicino,
senza parlar stette a mirarlo alquanto,
pallido come colto al matutino
è da sera il ligustro o il molle acanto;
e dopo un gran sospir, tenendo fisse
sempre le luci in lui, così gli disse:
170
- O forte, o caro, o mio fedel compagno,
che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
e d'una vita v'hai fatto guadagno,
che non ti può mai tor caldo né gielo,
perdonami, se ben vedi ch'io piagno;
perché d'esser rimaso mi querelo,
e ch'a tanta letizia io non son teco;
non già perché qua giù tu non sia meco.
171
Solo senza te son; né cosa in terra
senza te posso aver più, che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra,
perché non anco in ozio ed in bonaccia?
Ben grande e 'l mio fallir, poi che mi serra
di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui, perch'ora
non sono a parte del guadagno ancora?
172
Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:
sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe fatto e del dolor mio
l'Italia, il regno franco e l'alemanno.
Oh quanto, quanto il mio signore e zio,
oh quanto i paladin da doler s'hanno!
quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa,
che perduto han la sua maggior difesa!
173
Oh quanto si torrà per la tua morte
di terrore a' nimici e di spavento!
Oh quanto Pagania sarà più forte!
quanto animo n'avrà, quanto ardimento!
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto, e 'l grido sento.
So che m'accusa, e forse odio mi porta,
che per me teco ogni sua speme è morta.
174
Ma, Fiordiligi, almen resti un conforto
a noi che siàn di Brandimarte privi;
ch'invidiar lui con tanta gloria morto
denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Deci, e quel nel roman foro absorto,
quel sì lodato Codro dagli Argivi,
non con più altrui profitto e più suo onore
a morte si donar, del tuo signore.
-
175
Queste parole ed altre dicea Orlando.
Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
e tutti gli altri chierci, seguitando
andavan con lungo ordine accoppiati,
per l'alma del defunto Dio pregando,
che gli donasse requie tra' beati.
Lumi inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,
mutata aver parean la notte in giorno.
176
Levan la bara, ed a portarla foro
messi a vicenda conti e cavallieri.
Purpurea seta la copria, che d'oro
e di gran perle avea compassi altieri:
di non men bello e signoril lavoro
avean gemmati e splendidi origlieri;
e giacea quivi il cavallier con vesta
di color pare, e d'un lavor contesta.
177
Trecento agli altri eran passati inanti,
de' più poveri tolti de la terra,
parimente vestiti tutti quanti
di panni negri e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altretanti
grossi cavalli e tutti buoni a guerra;
e i cavalli coi paggi ivano il suolo
radendo col lor abito di duolo.
178
Molte bandiere inanzi e molte dietro,
che di diverse insegne eran dipinte,
spiegate accompagnavano il ferètro;
le quai già tolte a mille schiere vinte,
e guadagnate a Cesare ed a Pietro
avean le forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
179
Venian cento e cent'altri a diversi usi
de l'esequie ordinati; ed avean questi,
come anco il resto, accesi torchi; e chiusi,
più che vestiti, eran di nere vesti.
Poi seguia Orlando, e ad or ad or suffusi
di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;
né più lieto di lui Rinaldo venne:
il piè Olivier, che rotto avea, ritenne.
180
Lungo sarà s'io vi vo' dire in versi
le cerimonie, e raccontarvi tutti
i dispensati manti oscuri e persi,
gli accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi alla chiesa catedral conversi,
dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti:
sì bel, sì buon, sì giovene a pietade
mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
181
Fu posto in chiesa; e poi che da le donne
di lacrime e di pianti inutil opra,
e che dai sacerdoti ebbe eleisonne
e gli altri santi detti avuto sopra,
in una arca il serbar su due colonne:
e quella vuole Orlando che si cuopra
di ricco drappo d'or, sin che reposto
in un sepulcro sia di maggior costo.
182
Orlando di Sicilia non si parte,
che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
inarrar con gran premio i miglior mastri.
Fe' le lastre, venendo in questa parte,
poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
che quivi (essendo Orlando già partito)
si fe' portar da l'africano lito.
183
E vedendo le lacrime indefesse,
ed ostinati a uscir sempre i sospiri,
né per far sempre dire uffici e messe,
mai satisfar potendo a' suoi disiri;
di non partirsi quindi in cor si messe,
fin che del corpo l'anima non spiri:
e nel sepolcro fe' fare una cella,
e vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.
184
Oltre che messi e lettere le mande,
vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pension ben grande
compagna vuol di Galerana farla:
quando tornare al padre anco domande,
sin alla Lizza vuole accompagnarla:
edificar le vuole un monastero,
quando servire a Dio faccia pensiero.
185
Stava ella nel sepulcro; e quivi attrita
da penitenza, orando giorno e notte,
non durò lunga età, che di sua vita
da la Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avea da l'isola partita,
ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
i tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
che 'l quarto lor compagno a dietro resti.
186
Non volean senza medico levarsi,
che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
la qual, perché a principio mal pigliarsi
poté, fatt'era faticosa e dura:
e quello udiano in modo lamentarsi,
che del suo caso avean tutti paura.
Tra lor di ciò parlando, al nocchier nacque
un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
187
Disse ch'era di là poco lontano
in un solingo scoglio uno eremita,
a cui ricorso mai non s'era invano,
o fosse per consiglio o per aita;
e facea alcuno effetto soprumano,
dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,
fermare il vento ad un segno di croce,
e far tranquillo il mar quando è più atroce:
188
e che non denno dubitare, andando
a ritrovar quel uomo a Dio sì caro,
che lor non renda Olivier sano, quando
fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio sì piacque ad Orlando,
che verso il santo loco si drizzaro;
né mai piegando dal camin la prora,
vider lo scoglio al sorger de l'aurora.
189
Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,
sicuramente s'accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti,
declinano il marchese nel battello:
e per le spumose onde fur condotti
nel duro scoglio, ed indi al santo ostello;
al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
190
Il servo del Signor del paradiso
raccolse Orlando ed i compagni suoi,
e benedilli con giocondo viso,
e de' lor casi dimandolli poi;
ben che de lor venuta avuto avviso
avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
per ritrovare al suo Oliviero aiuto;
191
ch'era, pugnando per la fé di Cristo,
a periglioso termine ridutto.
Levògli il santo ogni sospetto tristo,
e gli promisse di sanarlo in tutto.
Né d'unguento trovandosi provisto,
né d'altra umana medicina istrutto,
andò alla chiesa, ed orò al Salvatore;
ed indi uscì con gran baldanza fuore:
192
e in nome de le eterne tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtù che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò dal cavalliero ogni passione,
e ritornolli a sanitade il piede,
più fermo e più espedito che mai fosse:
e presente Sobrino a ciò trovosse.
193
Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,
che star peggio ogni giorno se ne sente,
tosto che vede del monaco santo
il miracolo grande ed evidente,
si dispon di lasciar Macon da canto,
e Cristo confessar vivo e potente:
e domanda con cor di fede attrito,
d'iniciarsi al nostro sacro rito.
194
Così l'uom giusto lo battezza, ed anco
gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavallier non manco
di tal conversion letizia fero,
che di veder che liberato e franco
del periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;
e molto in fede e in devozione accrebbe.
195
Era Ruggier dal dì che giunse a nuoto
su questo scoglio, poi statovi ognora.
Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto
sta dolcemente, e li conforta ed ora
a voler, schivi di pantano e loto,
mondi passar per questa morta gora
c'ha nome vita, che sì piace a' sciocchi;
ed alla via del ciel sempre aver gli occhi.
196
Orlando un suo mandò sul legno, e trarne
fece pane e buon vin, cacio e persutti;
e l'uom di Dio, ch'ogni sapor di starne
pose in oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,
per carità mangiar fecero carne,
e ber del vino, e far quel che fer tutti.
Poi ch'alla mensa consolati foro,
di molte cose ragionar tra loro.
197
E come accade nel parlar sovente,
ch'una cosa vien l'altra dimostrando,
Ruggier riconosciuto finalmente
fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
per quel Ruggiero in arme sì eccellente,
il cui valor s'accorda ognun lodando:
né Rinaldo l'avea raffigurato
per quel che provò già ne lo steccato.
198
Ben l'avea il re Sobrin riconosciuto,
tosto che 'l vide col vecchio apparire;
ma volse inanzi star tacito e muto,
che porsi in aventura di fallire.
Poi ch'a notizia agli altri fu venuto
che questo era Ruggier, di cui l'ardire,
la cortesia e 'l valore alto e profondo
si facea nominar per tutto il mondo;
199
e sapendosi già ch'era cristiano,
tutti con lieta e con serena faccia
vengono a lui: chi gli tocca la mano,
e chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbano
d'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso più degli altri, io 'l serbo a dire
ne l'altro canto, se 'l vorrete udire.
CANTO QUARANTAQUATTRESIMO
1
Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
ne le calamitadi e nei disagi,
meglio s'aggiungon d'amicizia i petti,
che fra ricchezze invidiose ed agi
de le piene d'insidie e di sospetti
corti regali e splendidi palagi,
ove la caritade è in tutto estinta,
né si vede amicizia, se non finta.
2
Quindi avvien che tra principi e signori
patti e convenzion son sì frali.
Fan lega oggi re, papi e imperatori;
doman saran nimici capitali:
perché, qual l'apparenze esteriori,
non hanno i cor, non han gli animi tali;
che non mirando al torto più ch'al dritto,
attendon solamente al lor profitto.
3
Questi, quantunque d'amicizia poco
sieno capaci, perché non sta quella
ove per cose gravi, ove per giuoco
mai senza finzion non si favella;
pur, se talor gli ha tratti in umil loco
insieme una fortuna acerba e fella,
in poco tempo vengono a notizia
(quel che in molto non fer) de l'amicizia.
4
Il santo vecchiarel ne la sua stanza
giunger gli ospiti suoi con nodo forte
ad amor vero meglio ebbe possanza,
ch'altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
che non si sciolse mai fin alla morte.
Il vecchio li trovò tutti benigni,
candidi più nel cor, che di fuor cigni.
5
Trovolli tutti amabili e cortesi,
non de la iniquità ch'io v'ho dipinta
di quei che mai non escono palesi,
ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s'eran per adietro offesi
ogni memoria fu tra loro estinta;
e se d'un ventre fossero e d'un seme,
non si potriano amar più tutti insieme.
6
Sopra gli altri il signor di Montalbano
accarezzava e riveria Ruggiero;
sì perché già l'avea con l'arme in mano
provato quanto era animoso e fiero,
sì per trovarlo affabile ed umano
più che mai fosse al mondo cavalliero:
ma molto più, che da diverse bande
si conoscea d'avergli obligo grande.
7
Sapea che di gravissimo periglio
egli avea liberato Ricciardetto,
quando il re ispano gli fe' dar di piglio
e con la figlia prendere nel letto;
e ch'avea tratto l'uno e l'altro figlio
del duca Buovo (com'io v'ho detto)
di man dei Saracini e dei malvagi
ch'eran col maganzese Bertolagi.
8
Questo debito a lui parea di sorte,
ch'ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
e gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
che prima non avea potuto farlo,
quando era l'un ne l'africana corte,
e l'altro agli servigi era di Carlo.
Or che fatto cristian quivi lo trova,
quel che non fece prima, or far gli giova.
9
Proferte senza fine, onore e festa
fece a Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente eremita, come questa
benivolenza vide, adito prese.
Entrò dicendo: - A fare altro non resta
(e lo spero ottener senza contese),
che come l'amicizia è tra voi fatta,
tra voi sia ancora affinità contratta;
10
acciò che de le due progenie illustri
che non han par di nobiltade al mondo,
nasca un lignaggio che più chiaro lustri,
che 'l chiaro sol, per quanto gira a tondo;
e come andran più inanzi ed anni e lustri,
sarà più bello, e durerà (secondo
che Dio m'ispira, acciò ch'a voi nol celi)
fin che terran l'usato corso i cieli.
-
11
E seguitando il suo parlar più inante,
fa il santo vecchio sì, che persuade
che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben che pregar né l'un né l'altro accade.
Loda Olivier col principe d'Anglante,
che far si debba questa affinitade;
il che speran ch'approvi Amone e Carlo,
e debba tutta Francia commendarlo.
12
Così dicean; ma non sapean ch'Amone,
con voluntà del figlio di Pipino,
n'avea dato in quei giorni intenzione
all'imperator greco Costantino,
che gliele domandava per Leone
suo figlio e successor nel gran domìno.
Se n'era, pel valor che n'avea inteso,
senza vederla, il giovinetto acceso.
13
Riposto gli avea Amon, che da sé solo
non era per concludere altramente,
né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da la corte allora assente;
il qual credea che vi verrebbe a volo,
e che di grazia avria sì gran parente:
pur, per molto rispetto che gli avea,
risolver senza lui non si volea.
14
Or Rinaldo lontan dal padre, quella
pratica imperial tutta ignorando,
quivi a Ruggier promette la sorella
di suo parere, e di parer d'Orlando
e degli altri ch'avea seco alla cella,
ma sopra tutti l'eremita instando:
e crede veramente che piacere
debba ad Amon quel parentado avere.
15
Quel dì e la notte, e del seguente giorno
steron gran parte col monaco saggio,
quasi obliando al legno far ritorno,
ben che il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea omai, mandar più d'un messaggio,
che sì li stimular de la partita,
ch'a forza li spiccar da l'eremita.
16
Ruggier che stato era in esilio tanto,
né da lo scoglio avea mai mosso il piede,
tolse licenza da quel mastro santo
ch'insegnata gli avea la vera fede.
La spada Orlando gli rimesse a canto,
l'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
sì per mostrar del suo amor segno espresso,
sì per saper che dianzi erano d'esso.
17
E quantunque miglior ne l'incantata
spada ragione avesse il paladino,
che con pena e travaglio già levata
l'avea dal formidabile giardino,
che non avea Ruggiero a cui donata
dal ladro fu, che gli diè ancor Frontino;
pur volentier gliele donò col resto
de l'arme, tosto che ne fu richiesto.
18
Fur benedetti dal vecchio devoto,
e sul navilio al fin si ritornaro.
I remi all'acqua, e dier le vele al Noto;
e fu lor sì sereno il tempo e chiaro,
che non vi bisognò priego né voto,
fin che nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, ch'io conduca
insieme Astolfo, il glorioso duca.
19
Poi che de la vittoria Astolfo intese,
che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
vedendo che sicura da l'offese
d'Africa oggimai Francia esser potrebbe,
pensò che 'l re de' Nubi in suo paese
con l'esercito suo rimanderebbe
per la strada medesima che tenne
quando contra Biserta se ne venne.
20
L'armata che i pagan roppe ne l'onde,
già rimandata avea il figliuol d'Ugiero;
di cui, nuovo miracolo, le sponde
(tosto che ne fu uscito il popul nero)
e le poppe e le prore mutò in fronde,
e ritornolle al suo stato primiero:
poi venne il vento, e come cosa lieve
levolle in aria, e fe' sparire in breve.
21
Chi a piedi e chi in arcion tutte partita
d'Africa fer le nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
grazia al Senapo ed immortale avere;
che gli venne in persona a dare aita
con ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor ne l'uterino claustro
a portar diede il fiero e turbido austro.
22
Negli utri, dico, il vento diè lor chiuso,
ch'uscir di mezzodì suol con tal rabbia,
che muove a guisa d'onde, e leva in suso,
e ruota fin in ciel l'arrida sabbia;
acciò se lo portassero a lor uso,
che per camino a far danno non abbia;
e che poi, giunti ne la lor regione,
avessero a lassar fuor di prigione.
23
Scrive Turpino, come furo ai passi
de l'alto Atlante, che i cavalli loro
tutti in un tempo diventaron sassi;
sì che, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo è omai ch'Astolfo in Francia passi;
e così, poi che del paese moro
ebbe provisto ai luoghi principali,
all'ippogrifo suo fe' spiegar l'ali.
24
Volò in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna andò nel lito corso;
e quindi sopra il mar la strada tenne,
torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme all'ultimo ritenne
de la ricca Provenza il leggier corso;
dove seguì de l'ippogrifo quanto
gli disse già l'evangelista santo.
25
Hagli commesso il santo evangelista,
che più, giunto in Provenza, non lo sproni;
e ch'all'impeto fier più non resista
con sella e fren, ma libertà gli doni.
Già avea il più basso ciel che sempre acquista
del perder nostro, al corno tolti i suoni;
che muto era restato, non che roco,
tosto ch'entrò 'l guerrier nel divin loco.
26
Venne Astolfo a Marsilia, e venne a punto
il dì che v'era Orlando ed Oliviero
e quel da Montalbano insieme giunto
col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
vietò che i paladini non potero
insieme così a punto rallegrarsi,
come in tanta vittoria dovea farsi.
27
Carlo avea di Sicilia avuto avviso
dei duo re morti e di Sobrino preso,
e ch'era stato Brandimarte ucciso;
poi di Ruggiero avea non meno inteso:
e ne stava col lor lieto e col viso
d'aver gittato intolerabil peso,
che gli fu sopra gli omeri sì greve,
che starà un pezzo pria che si rileve.
28
Per onorar costor ch'eran sostegno
del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli uscì poi col suo drappel più degno
di re e di duci, e con la propria donna,
fuor de le mura, in compagnia di belle
e ben ornate e nobili donzelle.
29
L'imperator con chiara e lieta fronte,
i paladini e gli amici e i parenti,
la nobiltà, la plebe fanno al conte
ed agli altri d'amor segni evidenti:
gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte.
Sì tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero
al signor loro appresentar Ruggiero;
30
e gli narrar che di Ruggier di Risa
era figliuol, di virtù uguale al padre:
se sia animoso e forte, ed a che guisa
sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfisa,
le due compagne nobili e leggiadre:
ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
con più rispetto sta l'altra donzella.
31
L'imperator Ruggier fa risalire,
ch'era per riverenza sceso a piede,
e lo fa a par a par seco venire,
e di ciò ch'a onorarlo si richiede,
un punto sol non lassa preterire.
Ben sapea che tornato era alla fede;
che tosto che i guerrier furo all'asciutto,
certificato avean Carlo del tutto.
32
Con pompa trionfal, con festa grande
tornaro insieme dentro alla cittade,
che di frondi verdeggia e di ghirlande:
coperte a panni son tutte le strade:
nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
e sopra e intorno ai vincitori cade,
che da verroni e da finestre amene
donne e donzelle gittano a man piene.
33
Al volgersi dei canti in vari lochi
trovano archi e trofei subito fatti,
che di Biserta le ruine e i fochi
mostran dipinti, ed altri degni fatti;
altrove palchi con diversi giuochi
e spettacoli e mimmi e scenici atti:
ed è per tutti i canti il titol vero
scritto: - Ai liberatori de l'Impero.
-
34
Fra il suon d'argute trombe e di canore
pifare e d'ogni musica armonia,
fra riso e plauso, iubilo e favore
del populo ch'a pena vi capia,
smontò al palazzo il magno imperatore,
ove più giorni quella compagnia
con torniamenti, personaggi e farse,
danze e conviti attese a dilettarse.
35
Rinaldo un giorno al padre fe' sapere
che la sorella a Ruggier dar volea;
ch'in presenza d'Orlando per mogliere,
e d'Olivier, promessa glie l'avea;
li quali erano seco d'un parere,
che parentado far non si potea
per nobiltà di sangue e per valore,
che fosse a questo par, non che migliore.
36
Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
che, senza conferirlo seco, gli osa
la figlia maritar, ch'esso ha disegno
che del figliuol di Costantin sia sposa,
non di Ruggier, il qual non ch'abbi regno,
ma non può al mondo dir: questa è mia cosa;
né sa che nobiltà poco si prezza,
e men virtù, se non v'è ancor ricchezza.
37
Ma più d'Amon la moglie Beatrice
biasma il figliuolo e chiamalo arrogante;
e in segreto e in palese contradice
che di Ruggier sia moglie Bradamante:
a tutta sua possanza imperatrice
ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato che non vuole
che manchi un iota de le sue parole.
38
La madre, ch'aver crede alle sue voglie
la magnanima figlia, la conforta
che dica che, più tosto ch'esser moglie
d'un pover cavallier, vuole esser morta;
né mai più per figliuola la raccoglie,
se questa ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi pur con audacia, e tenga saldo;
che per sforzar non la sarà Rinaldo.
39
Sta Bradamante tacita, né al detto
de la madre s'arrisca a contradire;
che l'ha in tal riverenza e in tal rispetto,
che non potria pensar non l'ubbidire.
Da l'altra parte terria gran difetto,
se quel che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perché non può; che 'l poco e 'l molto
poter di sé disporre Amor le ha tolto.
40
Né negar, né mostrarsene contenta
s'ardisce; e sol sospira, e non risponde:
poi quando è in luogo ch'altri non la senta,
versan lacrime gli occhi a guisa d'onde;
e parte del dolor che la tormenta,
sentir fa al petto ed alle chiome bionde,
che l'un percuote, e l'altro straccia e frange;
e così parla, e così seco piange:
41
- Ahimè ! vorrò quel che non vuol chi deve
poter del voler mio più che poss'io?
Il voler di mia madre avrò in sì lieve
stima, ch'io lo posponga al voler mio?
Deh! qual peccato puote esser sì grieve
a una donzella, qual biasmo sì rio,
come questo sarà, se, non volendo
chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?
42
Avrà, misera me! dunque possanza
la materna pietà, ch'io t'abandoni,
o mio Ruggiero, e ch'a nuova speranza,
a desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
O pur la riverenza e l'osservanza
ch'ai buoni padri denno i figli buoni,
porrò da parte, e solo avrò rispetto
al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?
43
So quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto
di buona figlia al debito conviensi;
io 'l so: ma che mi val, se non può tanto
la ragion, che non possino più i sensi?
s'Amor la caccia e la far star da canto,
né lassa ch'io disponga, né ch'io pensi
di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
e sol, quanto egli detti, io dica e faccia?
44
Figlia d'Amone e di Beatrice sono,
e son, misera me! serva d'Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
spero e pietà, s'io caderò in errore:
ma s'io offenderò Amor, chi sarà buono
a schivarmi con prieghi il suo furore,
che sol voglia una di mie scuse udire,
e non mi faccia subito morire?
45
Ohimè! con lunga ed ostinata prova
ho cercato Ruggier trarre alla fede;
ed hollo tratto al fin: ma che mi giova,
se 'l mio ben fare in util d'altri cede?
Così, ma non per sé, l'ape rinuova
il mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero,
ch'io pigli altro marito, che Ruggiero.
46
S'io non sarò al mio padre ubbidiente,
né alla mia madre, io sarò al mio fratello,
che molto e molto è più di lor prudente,
né gli ha la troppa età tolto il cervello.
E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora; e per me ho questo e quello:
li quali duo più onora il mondo e teme,
che l'altra nostra gente tutta insieme.
47
Se questi il fior, se questi ognuno stima
la gloria e lo splendor di Chiaramonte;
se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
più che non è del piede alta la fronte;
perché debbo voler che di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e 'l conte?
Voler nol debbo, tanto men, che messa
in dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa.
-
48
Se la donna s'affligge e si tormenta,
né di Ruggier la mente è più quieta;
ch'ancor che di ciò nuova non si senta
per la città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
la qual fruir tanto suo ben gli vieta,
poi che ricchezze non gli ha date e regni,
di che è stata sì larga a mille indegni.
49
Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
aver tanta e tal parte egli si vede,
qual e quanta altri aver mai s'abbia vista;
ch'a sua bellezza ogni bellezza cede,
ch'a sua possanza è raro chi resista:
di magnanimità, di splendor regio
a nessun, più ch'a lui, si debbe il pregio.
50
Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
che, come pare a lui, li leva e dona
(né dal nome del volgo voglio fuori,
eccetto l'uom prudente, trar persona;
che né papi né re né imperatori
non ne tra' scettro, mitra né corona;
ma la prudenza, ma il giudizio buono,
grazie che dal ciel date a pochi sono);
51
questo volgo (per dir quel ch'io vo' dire)
ch'altro non riverisce che ricchezza,
né vede cosa al mondo, che più ammire,
e senza, nulla cura e nulla apprezza,
sia quanto voglia la beltà, l'ardire,
la possanza del corpo, la destrezza,
la virtù, il senno, la bontà; e più in questo
di ch'ora vi ragiono, che nel resto.
52
Dicea Ruggier: - Se pur è Amon disposto
che la figliuola imperatrice sia,
con Leon non concluda così tosto:
almen termine un anno anco mi dia;
ch'io spero intanto, che da me deposto
Leon col padre de l'imperio fia;
e poi che tolto avrò lor le corone,
genero indegno non sarò d'Amone.
53
Ma se fa senza indugio, come ha detto,
suocero de la figlia Costantino;
s'alla promessa non avrà rispetto
di Rinaldo e d'Orlando suo cugino,
fattami inanzi al vecchio benedetto,
al marchese Uliviero, al re Sobrino,
che farò? vo' patir sì grave torto?
o, prima che patirlo, esser pur morto?
54
Deh che farò? farò dunque vendetta
contra il padre di lei di questo oltraggio?
Non miro ch'io non son per farlo in fretta,
o s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma voglio presupor ch'a morte io metta
l'iniquo vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo non mi farà però contento;
anzi in tutto sarà contra il mio intento.
55
E fu sempre il mio intento, ed è, che m'ami
la bella donna, e non che mi sia odiosa:
ma, quando Amone uccida, o facci o trami
cosa al fratello o agli altri suoi dannosa,
non le do iusta causa che mi chiami
nimico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio! più tosto io vo' morire.
56
Anzi non vo' morir; ma vo' che muoia
con più ragion questo Leone Augusto,
venuto a disturbar tanta mia gioia:
o vo' che muoia egli e 'l suo padre ingiusto.
Elena bella all'amator di Troia
non costò sì, né a tempo più vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
ch'al padre e al figlio costi il mio cordoglio.
57
Può esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà tuo padre far che tu lo toglia,
ancor ch'avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, ch'abbi più tosto voglia
d'esser d'accordo con Amon, che meco;
e che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, ch'un privato uom marito.
58
Sarà possibil mai che nome regio,
titolo imperial, grandezza e pompa,
di Bradamante mia l'animo egregio,
il gran valor, l'alta virtù corrompa?
sì ch'abbia da tenere in minor pregio
la data fede, e le promesse rompa?
né più tosto d'Amon farsi nimica,
che quel che detto m'ha, sempre non dica? -
59
Diceva queste ed altre cose molte
ragionando fra sé Ruggiero; e spesso
le dicea in guisa ch'erano raccolte
da chi talor se gli trovava appresso:
sì che il tormento suo più di due volte
era a colei per cui pativa, espresso,
a cui non dolea meno il sentir lui
così doler, che i propri affanni sui.
60
Ma più d'ogni altro duol che le sia detto,
che tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
ch'intende che s'affligge per sospetto
ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, acciò si conforti, e che del petto
questa credenza e questo error si toglia,
per una di sue fide cameriere
gli fe' queste parole un dì sapere:
61
- Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin alla morte, e più, se più si puote.
O siami Amor benigno o m'usi orgoglio,
o me Fortuna in alto o in basso ruote,
immobil son di vera fede scoglio
che d'ogn'intorno il vento e il mar percuote:
né già mai per bonaccia né per verno
luogo mutai, né muterò in eterno.
62
Scarpello si vedrà di piombo o lima
formare in varie imagini diamante,
prima che colpo di Fortuna, o prima
ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante;
e si vedrà tornar verso la cima
de l'alpe il fiume turbido e sonante,
che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino altro viaggio i pensier miei.
63
A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che forse è più ch'altri non crede.
So ben ch'a nuovo principe giurato
non fu di questa mai la maggior fede.
So che né al mondo il più sicuro stato
di questo, re né imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa né torre,
per dubbio ch'altri a voi lo venga a torre.
64
Che, senza ch'assoldiate altra persona,
non verrà assalto a cui non si resista.
Non è ricchezza ad espugnarmi buona,
né sì vil prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltà, né altezza di corona,
ch'al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non beltà, ch'in lieve animo può assai,
vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65
Non avete a temer ch'in forma nuova
intagliare il mio cor mai più si possa:
sì l'imagine vostra si ritrova
sculpita in lui, ch'esser non può rimossa.
Che 'l cor non ho di cera, è fatto prova;
che gli diè cento, non ch'una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
quando all'imagin vostra lo ritrasse.
66
Avorio e gemma ed ogni pietra dura
che meglio da l'intaglio si difende,
romper si può; ma non ch'altra figura
prenda, che quella ch'una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
del marmo o d'altro ch'al ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze,
che lo possa sculpir d'altre bellezze.
-
67
Suggiunse a queste altre parole molte,
piene d'amor, di fede e di conforto,
da ritornarlo in vita mille volte,
se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più de la tempesta tolte
queste speranze esser credeano in porto,
da un nuovo turbo impetuoso e scuro
rispinte in mar, lungi dal lito, furo:
68
però che Bradamante, ch'eseguire
vorria molto più ancor, che non ha detto,
rivocando nel cor l'usato ardire,
e lasciando ir da parte ogni rispetto,
s'appresenta un dì a Carlo, e dice: - Sire,
s'a vostra Maestade alcuno effetto
io feci mai, che le paresse buono,
contenta sia di non negarmi un dono.
69
E prima che più espresso io le lo chieggia,
su la real sua fede mi prometta
farmene grazia; e vorrò poi, che veggia
che sarà iusta la domanda e retta.
-
- Merta la tua virtù che dar ti deggia
ciò che domandi, o giovane diletta
(rispose Carlo); e giuro, se ben parte
chiedi del regno mio, di contentarte.
-
70
- Il don ch'io bramo da l'Altezza vostra,
è che non lasci mai marito darme
(disse la damigella), se non mostra
che più di me sia valoroso in arme.
Con qualunche mi vuol, prima o con giostra
o con la spada in mano ho da provarme.
Il primo che mi vinca, mi guadagni:
chi vinto sia, con altra s'accompagni.
-
71
Disse l'imperator con viso lieto,
che la domanda era di lei ben degna;
e che stesse con l'animo quieto,
che farà a punto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
sì, ch'a notizia altrui tosto non vegna;
e quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all'orecchia.
72
Li quali parimente arser di grande
sdegno contro alla figlia, e di grand'ira;
che vider ben con queste sue domande,
ch'ella a Ruggier più ch'a Leone aspira:
e presti per vietar che non si mande
questo ad effetto, a ch'ella intende e mira,
la levaro con fraude de la corte,
e la menaron seco a Roccaforte.
73
Quest'era una fortezza ch'ad Amone
donato Carlo avea pochi dì inante,
tra Pirpignano assisa e Carcassone,
in loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione
con pensier di mandarla un dì in Levante;
sì ch'ogni modo, voglia ella o non voglia,
lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
74
La valorosa donna, che non meno
era modesta, ch'animosa e forte;
ancor che posto guardia non l'avieno,
e potea entrare e uscir fuor de le porte;
pur stava ubbidiente sotto il freno
del padre: ma patir prigione e morte,
ogni martìre e crudeltà più tosto
che mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
75
Rinaldo, che si vide la sorella
per astuzia d'Amon tolta di mano,
e che dispor non potrà più di quella,
e ch'a Ruggier l'avrà promessa invano;
si duol del padre, e contra a lui favella,
posto il rispetto filial lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
e di sua figlia a modo suo far vuole.
76
Ruggier, che questo sente, ed ha timore
di rimaner de la sua donna privo,
e che l'abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
senza parlarne altrui si mette in core
di far che muoia, e sia d'Augusto, Divo;
e tor, se non l'inganna la sua speme,
al padre e a lui la vita e 'l regno insieme.
77
L'arme che fur già del troiano Ettorre,
e poi di Mandricardo, si riveste,
e fa la sella al buon Frontino porre,
e cimier muta, scudo e sopraveste.
A questa impresa non gli piacque torre
l'aquila bianca nel color celeste,
ma un candido liocorno, come giglio,
vuol ne lo scudo, e 'l campo abbia vermiglio.
78
Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
e quel vuole e non altri in compagnia;
e gli fa commission, che non rivele
in alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e 'l Reno, e passa de le
contrade d'Ostericche, in Ungheria;
e lungo l'Istro per la destra riva
tanto cavalca, ch'a Belgrado arriva.
79
Ove la Sava nel Danubio scende,
e verso il mar maggior con lui dà volta,
vede gran gente in padiglioni e tende
sotto l'insegne imperial raccolta;
che Costantino ricovrare intende
quella città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v'è in persona, e 'l figliuol seco
con quanto può tutto l'imperio greco.
80
Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
e giù fin dove il fiume il piè gli lava,
l'esercito del Bulgari gli è a fronte;
e l'uno e l'altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco per gittare il ponte,
il Bulgar per vietarlo armato stava,
quando Ruggier vi giunse; e zuffa grande
attaccata trovò fra le due bande.
81
I Greci son quattro contr'uno, ed hanno
navi coi ponti da gittar ne l'onda;
e di voler fiero sembiante fanno
passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
dal fiume discostandosi, circonda
molto paese, e poi vi torna, e getta
ne l'altra ripa i ponti, e passa in fretta:
82
e con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(che non n'avea di ventimila un manco),
cavalcò lungo la riviera, e diede
con fiero assalto agl'inimici al fianco.
L'imperator, tosto che 'l figlio vede
sul fiume comparirsi al lato manco,
ponte aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa di là con quanto esercito have.
83
Il capo, il re de' Bulgari Vatrano,
animoso e prudente e pro' guerriero,
di qua e di là s'affaticava invano
per riparare a un impeto sì fiero;
quando cingendol con robusta mano
Leon, gli fe' cader sotto il destriero:
e poi che dar prigion mai non si volse,
con mille spade la vita gli tolse.
84
I Bulgari sin qui fatto avean testa;
ma quando il lor signor si vider tolto,
e crescer d'ogn'intorno la tempesta,
voltar le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta vede, senza pensar molto,
i Bulgari soccorrer si dispone,
perch'odia Costantino e più Leone.
85
Sprona Frontin che sembra al corso un vento,
e inanzi a tutti i corridori passa;
e tra la gente vien, che per spavento
al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
contra i nimici, e poi la lancia abassa;
e con sì fier sembiante il destrier muove,
che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
86
Dinanzi agli altri un cavalliero adocchia,
che riccamato nel vestir vermiglio
avea d'oro e di seta una pannocchia
con tutto il garbo, che parea di miglio;
nipote a Costantin per la sirocchia,
ma che non gli era men caro, che figlio:
gli spezza scudo e osbergo, come vetro,
e fa la lancia un palmo apparir dietro.
87
Lascia quel morto, e Balisarda stringe
verso uno stuol che più si vede appresso;
e contra a questo e contra a quel si spinge,
ed a chi tronco ed a chi il capo ha fesso:
a chi nel petto, a chi nel fianco tinge
il brando, e a chi l'ha ne la gola messo:
taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
e il sangue, come un rio, corre alla valle.
88
Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto più, così n'è ognun smarrito;
sì che si cangia subito la faccia
de la battaglia; che tornando ardito,
il petto volge, e ai Greci dà la caccia
il Bulgaro che dianzi era fuggito:
in un momento ogni ordine disciolto
si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
89
Leone Augusto s'un poggio eminente,
vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
e sbigottito e mesto ponea mente
(perch'era in loco che scopriva il tutto)
al cavallier ch'uccidea tanta gente,
che per lui sol quel campo era distrutto:
e non può far, se ben n'è offeso tanto,
che non lo lodi e gli dia in arme il vanto.
90
Ben comprende all'insegne e sopravesti,
all'arme luminose e ricche d'oro,
che quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici suoi, non sia però di loro.
Stupido mira i soprumani gesti,
e talor pensa che dal sommo coro
sia per punire i Greci un agnol sceso,
che tante e tante volte hanno Dio offeso.
91
E come uom d'alto e di sublime core,
ove l'avrian molt'altri in odio avuto,
egli s'innamorò del suo valore,
né veder fargli oltraggio avria voluto:
gli sarebbe per un de' suoi che muore,
vederne morir sei manco spiaciuto,
e perder anco parte del suo regno,
che veder morto un cavallier sì degno.
92
Come bambin, se ben la cara madre
iraconda lo batte e da sé caccia,
non ha ricorso alla sorella o al padre,
ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia;
così Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l'altre gli minaccia,
non lo può odiar, perch'all'amor più tira
l'alto valor, che quella offesa all'ira.
93
Ma se Leon Ruggiero ammira ed ama,
mi par che duro cambio ne riporte;
che Ruggiero odia lui, né cosa brama
più che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, ed alcun chiama,
che gliele mostri; ma la buona sorte
e la prudenza de l'esperto Greco
non lasciò mai che s'affrontasse seco.
94
Leone, acciò che la sua gente affatto
non fosse uccisa, fe' sonar raccolta;
ed all'imperatore un messo ratto
a pregarlo mandò, che desse volta
e ripassasse il fiume; e che buon patto
n'avrebbe, se la via non gli era tolta:
ed esso con non molti che raccolse,
al ponte ond'era entrato, i passi volse.
95
Molti in poter de' Bulgari restaro
per tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
e vi restavan tutti, se 'l riparo
non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cader dai ponti e s'affogaro;
e molti, senza mai volgere i visi,
quindi lontano iro a trovare il guado;
e molti fur prigion tratti in Belgrado.
96
Finita la battaglia di quel giorno,
ne la qual, poi che il lor signor fu estinto,
danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
se per lor non avesse il guerrier vinto,
il buon guerrier che 'l candido liocorno
ne lo scudo vermiglio avea dipinto;
a lui si trasson tutti, da cui questa
vittoria conoscean, con gioia e festa.
97
Uno il saluta, un altro se gl'inchina,
altri la mano, altri gli bacia il piede:
ognun, quanto più può, se gli avvicina,
e beato si tien chi appresso il vede,
e più chi 'l tocca; che toccar divina
e sopranatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
che sia lor re, lor capitan, lor guida.
98
Ruggier rispose lor, che capitano
e re sarà, quel che fia lor più a grado;
ma né a baston né a scettro ha da por mano,
né per quel giorno entrar vuole in Belgrado:
che prima che si faccia più lontano
Leon Augusto, e che ripassi il guado,
lo vuol seguir, né torsi da la traccia,
fin che nol giunga e che morir nol faccia;
99
che mille miglia e più, per questo solo
era venuto, e non per altro effetto.
Così senza indugiar lascia lo stuolo,
e si volge al camin che gli vien detto,
che verso il ponte fa Leone a volo,
forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l'orma in tanta fretta,
che 'l suo scudier non chiama e non aspetta.
100
Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(fuggir si può ben dir, più che ritrarse),
che trova aperto e libero il passaggio;
poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio
era del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca inanzi, che lucea la luna,
né mai trova castel né villa alcuna.
101
Perché non sa dove si por, camina
tutta la notte, né d'arcion mai scende.
Ne lo spuntar del nuovo sol vicina
a man sinistra una città comprende;
ove di star tutto quel dì destina,
acciò l'ingiuria al suo Frontino emende,
a cui, senza posarlo o trargli briglia,
la notte fatto avea far tante miglia.
102
Ungiardo era signor di quella terra,
suddito e caro a Costantino molto,
ove avea per cagion di quella guerra
da cavallo e da piè buon numer tolto.
Quivi ove altrui l'entrata non si serra,
entra Ruggiero, e v'è sì ben raccolto,
che non gli accade di passar più avante
per aver miglior loco e più abondante.
103
Nel medesimo albergo in su la sera
un cavallier di Romania alloggiosse,
che si trovò ne la battaglia fiera,
quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
ed a pena di man fuggito gli era,
ma spaventato più ch'altri mai fosse;
sì ch'ancor triema, e pargli ancora intorno
avere il cavallier dal liocorno.
104
Conosce, tosto che lo scudo vede,
che 'l cavallier che quella insegna porta,
è quel che la sconfitta ai Greci diede,
per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo, ed udienza chiede,
per dire a quel signor cosa ch'importa;
e subito intromesso, dice quanto
io mi riserbo a dir ne l'altro canto.
CANTO QUARANTACINQUESIMO
1
Quanto più su l'instabil ruota vedi
di Fortuna ire in alto il miser uomo,
tanto più tosto hai da vedergli i piedi
ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policràte, e il re di
Lidia, e Dionigi, ed altri ch'io non nomo,
che ruinati son da la suprema
gloria in un dì ne la miseria estrema.
2
Così all'incontro, quanto più depresso,
quanto è più l'uom di questa ruota al fondo,
tanto a quel punto più si trova appresso,
ch'a da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
che l'altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio l'hanno mostro
al tempo antico, e il re Luigi al nostro:
3
il re Luigi, suocero del figlio
del duca mio; che rotto a Santo Albino,
e giunto al suo nimico ne l'artiglio,
a restar senza capo fu vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
non molto inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi l'un, de' Franchi passato quel punto,
l'altro al regno degli Ungari fu assunto.
4
Si vede per gli esempi di che piene
sono l'antiche e le moderne istorie,
che 'l ben va dietro al male, e 'l male al bene,
e fin son l'un de l'altro e biasmi e glorie;
e che fidarsi a l'uom non si conviene
in suo tesor, suo regno e sue vittorie,
né disperarsi per Fortuna avversa,
che sempre la sua ruota in giro versa.
5
Ruggier per la vittoria ch'avea avuto
di Leone e del padre imperatore,
in tanta confidenza era venuto
di sua fortuna e di suo gran valore,
che senza compagnia, senz'altro aiuto,
di poter egli sol gli dava il core
fra cento a piè e a cavallo armate squadre
uccider di sua mano il figlio e il padre.
6
Ma quella, che non vuol che si prometta
alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni,
come tosto alzi e tosto al basso metta,
e tosto avversa e tosto amica torni.
Lo fe' conoscer quivi da chi in fretta
a procacciargli andò disagi e scorni,
dal cavallier che ne la pugna fiera
di man fuggito a gran fatica gli era.
7
Costui fece ad Ungiardo saper, come
quivi il guerrier ch'avea le genti rotte
di Costantino e per molt'anni dome,
stato era il giorno, e vi staria la notte;
e che Fortuna presa per le chiome,
senza che più travagli o che più lotte,
darà al suo re, se fa costui prigione;
ch'a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8
Ungiardo da la gente, che fuggita
de la battaglia, a lui s'era ridutta
(ch'a parte a parte v'arrivò infinita,
perch'al ponte passar non potea tutta),
sapea come la strage era seguita,
che la metà de' Greci avea distrutta;
e come un cavallier solo era stato,
ch'un campo rotto, e l'altro avea salvato:
9
e che sia da se stesso senza caccia
venuto a dar del capo ne la rete,
si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
poi manda le sue gente chete chete,
e fa il buon cavallier, ch'alcun sospetto
di questo non avea, prender nel letto.
10
Accusato Ruggier dal proprio scudo,
ne la città di Novengrado resta
prigion d'Ungiardo, il più d'ogni altro crudo,
che fa di ciò maravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poi che gli è nudo,
ed è legato già, quando si desta?
Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta
a dar la nuova a Costantino in fretta.
11
Avea levato Costantin la notte
da le ripe di Sava ogni sua schiera;
e seco a Beleticche avea ridotte,
che città del cognato Androfilo era,
padre di quello a cui forate e rotte
(come se state fossino di cera)
al primo incontro l'arme avea il gagliardo
cavallier, or prigion del fiero Ungiardo.
12
Quivi fortificar facea le mura
l'imperatore, e riparar le porte;
che de' Bulgari ben non s'assicura,
che con la guida d'un guerrier sì forte
non gli faccino peggio che paura,
e 'l resto ponghin di sua gente a morte.
Or che l'ode prigion, né quelli teme,
né se con lor sia il mondo tutto insieme.
13
L'imperator nuota in un mar di latte,
né per letizia sa quel che si faccia.
- Ben son le genti bulgare disfatte, -
dice con lieta e con sicura faccia.
Come de la vittoria, chi combatte,
se troncasse al nimico ambe le braccia,
certo saria, così n'è certo, e gode
l'imperator, poi che 'l guerrier preso ode.
14
Non ha minor cagion di rallegrarsi
del padre il figlio; ch'oltre che si spera
di racquistar Belgrado, e soggiugarsi
ogni contrada che de' Bulgari era;
disegna anco il guerriero amico farsi
con benefici, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
ha da invidiar, se gli è costui compagno.
15
Da questa voglia è ben diversa quella
di Teodora, a chi 'l figliuolo uccise
Ruggier con l'asta che da la mammella
passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella,
costei si gittò a' piedi, e gli conquise
e intenerigli il cor d'alta pietade
col largo pianto che nel sen le cade.
16
- Io non mi leverò da questi piedi
(diss'ella), signor mio, se del fellone
ch'uccise il mio figliuol, non mi conciedi
di vendicare, or che l'abbiàn prigione.
Oltre che stato t'è nipote, vedi
quanto t'amò, vedi quant'opre buone
ha per te fatto, e vedi s'avrai torto
di non lo vendicar di chi l'ha morto.
17
Vedi che per pietà del nostro duolo
ha Dio fatto levar da la campagna
questo crudele, e come augello a volo,
a dar ce l'ha condotto ne la ragna,
acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento
ch'io disacerbi il mio col suo tormento.
-
18
Così ben piange, e così ben si duole,
e così bene ed efficace parla;
né dai piedi levar mai se gli vuole,
ben che tre volte e quattro per levarla
usasse Costantino atti e parole;
ch'egli è forzato al fin di contentarla:
e così comandò che si facesse
colui condurre, e in man di lei si desse.
19
E per non fare in ciò lunga dimora,
condotto hanno il guerrier del liocorno,
e dato in mano alla crudel Teodora,
che non vi fu intervallo più d'un giorno.
Il far che sia squartato vivo, e muora
publicamente con obbrobrio e scorno,
poca pena le pare, e studia e pensa
altra trovarne inusitata e immensa.
20
La femina crudel lo fece porre,
incatenato e mani e piedi e collo,
nel tenebroso fondo d'una torre,
ove mai non entrò raggio d'Apollo.
Fuor ch'un poco di pan muffato, torre
gli fe' ogni cibo, e senza ancor lassollo
duo dì talora; e lo diè in guardia a tale,
ch'era di lei più pronto a fargli male.
21
Oh! se d'Amon la valorosa e bella
figlia, oh se la magnanima Marfisa
avesse avuto di Ruggier novella,
ch'in prigion tormentasse a questa guisa;
per liberarlo saria questa e quella
postasi al rischio di restarne uccisa;
né Bradamante avria, per dargli aiuto,
a Beatrice o Amon rispetto avuto.
22
Re Carlo intanto avendo la promessa
a costei fatta in mente, che consorte
dar non le lascierà, che sia men d'essa
al paragon de l'arme ardito e forte;
questa sua voluntà con trombe espressa
non solamente fe' ne la sua corte,
ma in ogni terra al suo imperio soggetta;
onde la fama andò pel mondo in fretta.
23
Questa condizion contiene il bando:
chi la figlia d'Amon per moglie vuole,
star con lei debba a paragon del brando
da l'apparire al tramontar del sole;
e fin a questo termine durando,
e non sia vinto, senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda,
né possa ella negar che non lo prenda;
24
e che l'eletta ella de l'arme dona,
senza mirar chi sia di lor, che chiede.
E lo potea ben far, perch'era buona
con tutte l'arme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la Corona
non può né vuole, al fin sforzato cede;
e ritornare a corte si consiglia,
dopo molti discorsi, egli e la figlia.
25
Ancor che sdegno e colera la madre
contra la figlia avea, pur per suo onore
vesti le fece far ricche e leggiadre
a varie fogge e di più d'un colore.
Bradamante alla corte andò col padre;
e quando quivi non trovò il suo amore,
più non le parve quella corte, quella
che le solea parer già così bella.
26
Come chi visto abbia, l'aprile o il maggio,
giardin di frondi e di bei fiori adorno,
e lo rivegga poi che 'l sol il raggio
all'austro inchina, e lascia breve il giorno,
lo trova deserto, orrido e selvaggio;
così pare alla donna al suo ritorno,
che da Ruggier la corte abandonata
quella non sia, ch'avea al partir lasciata.
27
Domandar non ardisce che ne sia,
acciò di sé non dia maggior sospetto;
ma pon l'orecchia, e cerca tuttavia
che senza domandar le ne sia detto.
Si sa ch'egli è partito, ma che via
pres'abbia, non fa alcun vero concetto;
perché partendo ad altri non fe' motto,
ch'allo scudier che seco avea condotto.
28
Oh come ella sospira! oh come teme,
sentendo che se n'è come fuggito!
Oh come sopra ogni timor le preme,
che per porla in oblio se ne sia gito!
che vistosi Amon contra, ed ogni speme
perduta mai più d'esserle marito,
si sia fatto da lei lontano, forse
così sperando dal suo amor disciorse;
29
e che fatt'abbia ancor qualche disegno,
per più tosto levarsela dal core,
d'andar cercando d'uno in altro regno
donna per cui si scordi il primo amore,
come si dice che si suol d'un legno
talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier ch'a questo poi succede,
le dipinge Ruggier pieno di fede;
30
e lei, che dato orecchie abbia, riprende,
a tanta iniqua suspizione e stolta.
E così l'un pensier Ruggier difende,
l'altro l'accusa: ed ella amenduo ascolta,
e quando a questo e quando a quel s'apprende,
né risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all'opinion più tosto corre,
che più le giova, e la contraria aborre.
31
E talor anco che le torna a mente
quel che più volte il suo Ruggier le ha detto,
come di grave error, si duole e pente,
ch'avuto n'abbia gelosia e sospetto;
e come fosse al suo Ruggier presente,
chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
- Ho fatto error (dice ella), e me n'aveggio;
ma chi n'è causa, è causa ancor di peggio.
32
Amor n'è causa, che nel cor m'ha impresso
la forma tua così leggiadra e bella;
e posto ci ha l'ardir, l'ingegno appresso,
e la virtù di che ciascun favella;
ch'impossibil mi par, ch'ove concesso
ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
di sciorti dal mio amore e al suo legarte.
33
Deh avesse Amor così nei pensier miei
il tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
Io son ben certa che lo troverei
palese tal, qual io lo stimo occulto;
e che sì fuor di gelosia sarei,
ch'ad or ad or non mi farebbe insulto;
e dove a pena or è da me respinta,
rimarria morta, non che rotta e vinta.
34
Son simile all'avar c'ha il cor sì intento
al suo tesoro, e sì ve l'ha sepolto,
che non ne può lontan viver contento,
né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, ch'io non ti veggo e sento,
in me, più de la speme, il timor molto,
il qual ben che bugiardo e vano io creda,
non posso far di non mi dargli in preda.
35
Ma non apparirà il lume sì tosto
agli occhi miei del tuo viso giocondo,
contra ogni mia credenza a me nascosto,
non so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come il falso timor sarà deposto
da la vera speranza e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
la speme che 'l timor quasi m'ha morta!
36
Come al partir del sol si fa maggiore
l'ombra, onde nasce poi vana paura;
e come all'apparir del suo splendore
vien meno l'ombra, e 'l timido assicura:
così senza Ruggier sento timore;
se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
che 'l timor la speranza in tutto opprima!
37
Come la notte ogni fiammella è viva,
e riman spenta subito ch'aggiorna;
così, quando il mio sol di sé mi priva,
mi leva incontra il rio timor le corna:
ma non sì tosto all'orizzonte arriva,
che 'l timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il rio timor che mi consume!
38
Se 'l sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto di bello avea la terra asconde;
fremono i venti, e portan ghiacci e nievi;
non canta augel, né fior si vede o fronde:
così, qualora avvien che da me levi,
o mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille timori, e tutti iniqui, fanno
un aspro verno in me più volte l'anno.
39
Deh torna a me, mio sol, torna, e rimena
la desiata dolce primavera!
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia sì nubilosa e nera.
-
Qual Progne si lamenta o Filomena
ch'a cercar esca ai figliolini ita era,
e trova il nido voto; o qual si lagna
turture c'ha perduto la compagna:
40
tal Bradamante si dolea, che tolto
le fosse stato il suo Ruggier temea,
di lacrime bagnando spesso il volto,
ma più celatamente che potea.
Oh quanto, quanto si dorria più molto,
s'ella sapesse quel che non sapea,
che con pena e con strazio il suo consorte
era in prigion, dannato a crudel morte!
41
La crudeltà ch'usa l'iniqua vecchia
contra il buon cavallier che preso tiene,
e che di dargli morte s'apparecchia
con nuovi strazi e non usate pene,
la superna Bontà fa ch'all'orecchia
del cortese figliuol di Cesar viene;
e che gli mette in cor, come l'aiute,
e non lasci perir tanta virtute.
42
Il cortese Leon che Ruggiero ama
(non che sappi però che Ruggier sia),
mosso da quel valor ch'unico chiama,
e che gli par che soprumano sia,
molto fra sé discorre, ordisce e trama,
e di salvarlo al fin trova la via,
in guisa che da lui la zia crudele
offesa non si tenga e si querele.
43
Parlò in secreto a chi tenea la chiave
de la prigione; e che volea, gli disse,
vedere il cavallier pria che sì grave
sentenza, contra lui data, seguisse.
Giunta la notte, un suo fedel seco have
audace e forte, ed atto a zuffe e a risse;
e fa che 'l castellan, senz'altrui dire
ch'egli fosse Leon, gli viene aprire.
44
Il castellan, senza ch'alcun de' sui
seco abbia, occultamente Leon mena
col compagno alla torre ove ha colui
che si serba all'estrema d'ogni pena.
Giunti là dentro, gettano amendui
al castellan che volge lor la schena
per aprir lo sportello, al collo un laccio,
e subito gli dan l'ultimo spaccio.
45
Apron la cataratta, onde sospeso
al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
là dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s'una grata steso
lo trova, all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria in un mese e in termine più corto,
per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
46
Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
e dice: - Cavallier, la tua virtude
indissolubilmente a te m'allaccia
di voluntaria eterna servitute;
e vuol che più il tuo ben, che 'l mio, mi piaccia,
né curi per la tua la mia salute,
e che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti io m'abbia al mondo, io metta inanti.
47
Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
di Costantin, che vengo a darti aiuto,
come vedi, in persona, con periglio
(se mai dal padre mio sarà saputo)
d'esser cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente esser da lui veduto;
che per la gente la qual rotta e morta
da te gli fu a Belgrado, odio ti porta.
-
48
E seguitò, più cose altre dicendo
da farlo ritornar da morte a vita;
e lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli dice: - Io v'ho grazia infinita;
e questa vita ch'or mi date, intendo
che sempremai vi sia restituita,
che la vogliate riavere, ed ogni
volta che per voi spenderla bisogni.
-
49
Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
e in vece sua morto il guardian rimase;
né conosciuto egli né gli altri furo.
Leon menò Ruggiero alle sue case,
ove a star seco tacito e sicuro
per quattro o per sei dì gli persuase;
che riaver l'arme e 'l destrier gagliardo
gli faria intanto, che gli tolse Ungiardo.
50
Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato
si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato;
ne parla ognun, né però alcun s'appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
più tosto si saria, che di Leone;
che pare a molti ch'avria causa avuto
di farne strazio, e non di dargli aiuto.
51
Riman di tanta cortesia Ruggiero
confuso sì, sì pien di maraviglia,
e tramutato sì da quel pensiero
che quivi tratto l'avea tante miglia,
che mettendo il secondo col primiero,
né a questo quel, né questo a quel simiglia.
Il primo tutto era odio, ira e veneno;
di pietade è il secondo e d'amor pieno.
52
Molto la notte e molto il giorno pensa,
d'altro non cura ed altro non disia,
che da l'obbligazion che gli avea immensa,
sciorsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
in lui servire, o breve o lunga sia,
e se s'espone a mille morti certe,
non gli può tanto far, che più non merte.
53
Venuta quivi intanto era la nuova
del bando ch'avea fatto il re di Francia,
che chi vuol Bradamante, abbia a far prova
con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon sì poco giova,
che se gli vede impallidir la guancia;
perché, come uom che le sue forze ha note,
sa ch'a lei pare in arme esser non puote.
54
Fra sé discorre, e vede che supplire
può con l'ingegno, ove il vigor sia manco,
facendo con sue insegne comparire
questo guerrier di cui non sa il nome anco;
che di possanza iudica e d'ardire
poter star contra a qualsivoglia Franco:
e crede ben, s'a lui ne dà l'impresa,
che ne fia vinta Bradamante e presa.
55
Ma due cose ha da far: l'una, disporre
il cavallier, che questa impresa accetti;
l'altra, nel campo in vece sua lui porre
in modo che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama, e 'l caso gli discorre,
e pregal poi con efficaci detti,
ch'egli sia quel ch'a questa pugna vegna
col nome altrui, sotto mentita insegna.
56
L'eloquenza del Greco assai potea;
ma più de l'eloquenza potea molto
l'obbligo grande che Ruggier gli avea,
da mai non ne dovere essere isciolto:
sì che quantunque duro gli parea,
e non possibil quasi; pur con volto,
più che con cor giocondo, gli rispose
ch'era per far per lui tutte le cose.
57
Ben che da fier dolor, tosto che questa
parola ha detta, il cor ferir si senta,
che giorno e notte e sempre lo molesta,
sempre l'affligge e sempre lo tormenta,
e vegga la sua morte manifesta;
pur è mai per dir che se ne penta;
che prima ch'a Leon non ubbidire,
mille volte, non ch'una, è per morire.
58
Ben certo è di morir; perché, se lascia
la donna, ha da lasciar la vita ancora:
o che l'accorerà il duolo e l'ambascia;
o se 'l duolo e l'ambascia non l'accora,
con le man proprie squarcerà la fascia
che cinge l'alma, e ne la trarrà fuora;
ch'ogni altra cosa più facil gli fia,
che poter lei veder, che sua non sia.
59
Gli è di morir disposto; ma che sorte
di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
e porger nudo alla donzella il fianco;
che non fu mai la più beata morte,
che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
sia di Leon, che l'obbligo non scioglie:
60
perché ha promesso contra Bradamante
entrare in campo a singular battaglia;
non simulare, e farne sol sembiante,
sì che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque starà nel detto suo costante;
e ben che or questo or quel pensier l'assaglia,
tutti li scaccia, e solo a questo cede,
il qual l'esorta a non mancar di fede.
61
Avea già fatto apparecchiar Leone,
con licenza del patre Costantino,
arme e cavalli, e un numer di persone
qual gli convenne, e entrato era in camino;
e seco avea Ruggiero, a cui le buone
arme avea fatto rendere e Frontino:
e tanto un giorno e un altro e un altro andaro
ch'in Francia ed a Parigi si trovaro.
62
Non volse entrar Leon ne la cittate,
e i padiglioni alla campagna tese;
e fe' il medesmo dì per imbasciate,
che di sua giunta il re di Francia intese.
L'ebbe il re caro; e gli fu più fiate,
donando e visitandolo, cortese.
De la venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò che l'espedisse:
63
ch'entrar facesse in campo la donzella
che marito non vuol di lei men forte;
quando venuto era per fare o ch'ella
moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l'assunto, e fece quella
comparir l'altro dì fuor de le porte,
ne lo steccato che la notte sotto
all'alte mura fu fatto di botto.
64
La notte ch'andò inanzi al terminato
giorno de la battaglia, Ruggiero ebbe
simile a quella che suole il dannato
aver, che la matina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
perch'esser conosciuto non vorrebbe;
né lancia né destriero adoprar volse,
né, fuor che 'l brando, arme d'offesa tolse.
65
Lancia non tolse; non perché temesse
di quella d'or, che fu de l'Argalia,
e poi d'Astolfo a cui costei successe,
che far gli arcion votar sempre solia:
perché nessun, ch'ella tal forza avesse,
o fosse fatta per negromanzia,
avea saputo, eccetto quel re solo
che far la fece e la donò al figliuolo.
66
Anzi Astolfo e la donna, che portata
l'aveano poi, credean che non l'incanto,
ma la propria possanza fosse stata,
che dato loro in giostra avesse il vanto;
e che con ogni altra asta ch'incontrata
fosse da lor, farebbono altretanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra,
è per non far del suo Frontino mostra:
67
che lo potria la donna facilmente
conoscer, se da lei fosse veduto;
però che cavalcato, e lungamente
in Montalban l'avea seco tenuto.
Ruggier che solo studia e solo ha mente
come da lei non sia riconosciuto,
né vuol Frontin, né vuol cos'altra avere,
che di far di sé indizio abbia potere.
68
A questa impresa un'altra spada volle;
che ben sapea che contra a Balisarda
saria ogn'osbergo, come pasta, molle;
ch'alcuna tempra quel furor non tarda:
e tutto 'l taglio anco a quest'altra tolle
con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme Ruggiero al primo lampo
ch'apparve all'orizzonte, entrò nel campo.
69
E per parer Leon, le sopraveste
che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
e l'aquila de l'or con le due teste
porta dipinta ne lo scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
finzion; ch'era ugualmente grande e grosso
l'un come l'altro.
Appresentossi l'uno;
l'altro non si lasciò veder d'alcuno.
70
Era la voluntà de la donzella
da quest'altra diversa di gran lunga;
che, se Ruggier su la spada martella
per rintuzzarla, che non tagli o punga,
la sua la donna aguzza, e brama ch'ella
entri nel ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi ogni colpo sì ben tagli e fore,
che vada sempre a ritrovargli il core.
71
Qual su le mosse il barbaro si vede,
che 'l cenno del partir fugoso attende,
né qua né là poter fermare il piede,
gonfiar le nare, e che l'orecchie tende;
tal l'animosa donna che non crede
che questo sia Ruggier con chi contende,
aspettando la tromba, par che fuoco
ne le vene abbia, e non ritrovi loco.
72
Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
subito segue, che sozzopra volve
l'ondoso mare, e leva in un momento
da terra fin al ciel l'oscura polve;
fuggon le fiere, e col pastor l'armento;
l'aria in grandine e in pioggia si risolve;
udito il segno la donzella, tale
stringe la spada, e 'l suo Ruggiero assale.
73
Ma non più quercia antica, o grosso muro
di ben fondata torre a borea cede,
né più all'irato mar lo scoglio duro,
che d'ogni intorno il dì e la notte il fiede;
che sotto l'arme il buon Ruggier sicuro,
che già al troiano Ettòr Vulcano diede,
ceda all'odio e al furor che lo tempesta
or ne' fianchi, or nel petto, or ne la testa.
74
Quando di taglio la donzella, quando
mena di punta; e tutta intenta mira
ove cacciar tra ferro e ferro il brando,
sì che si sfoghi e disacerbi l'ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
quando di qua, quando di là s'aggira;
e si rode e si duol che non le avegna
mai fatta alcuna cosa che disegna.
75
Come chi assedia una città che forte
sia di buon fianchi e di muraglia grossa,
spesso l'assalta, or vuol batter le porte,
or l'alte torri, or atturar la fossa;
e pone indarno le sue genti a morte,
né via sa ritrovar ch'entrar vi possa:
così molto s'affanna e si travaglia,
né può la donna aprir piastra né maglia.
76
Quando allo scudo e quando al buon elmetto,
quando all'osbergo fa gittar scintille
con colpi ch'alle braccia, al capo, al petto
mena dritti e riversi, e mille e mille,
e spessi più, che sul sonante tetto
la grandine far soglia de le ville.
Ruggier sta su l'avviso, e si difende
con gran destrezza, e lei mai non offende.
77
Or si ferma, or volteggia, or si ritira,
e con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, ed or la spada gira
ove girar la man nimica vede.
O lei non fere, o se la fere, mira
ferirla in parte ove men nuocer crede.
La donna, prima che quel dì s'inchine,
brama di dare alla battaglia fine.
78
Si ricordò del bando, e si ravvide
del suo periglio, se non era presta;
che se in un dì non prende o non uccide
il suo domandator, presa ella resta.
Era già presso ai termini d'Alcide
per attuffar nel mar Febo la testa,
quando ella cominciò di sua possanza
a difidarsi, e perder la speranza.
79
Quanto mancò più la speranza, crebbe
tanto più l'ira, e radoppiò le botte;
che pur quell'arme rompere vorrebbe,
ch'in tutto un dì non avea ancora rotte:
come colui ch'al lavorio che debbe,
sia stato lento, e già vegga esser notte,
s'affretta indarno, si travaglia e stanca,
fin che la forza a un tempo e il dì gli manca.
80
O misera donzella, se costui
tu conoscessi, a cui dar morte brami,
se lo sapessi esser Ruggier, da cui
de la tua vita pendono li stami;
so ben ch'uccider te, prima che lui,
vorresti; che di te so che più l'ami:
e quando lui Ruggiero esser saprai,
di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
81
Carlo e molt'altri seco, che Leone
esser costui credeansi, e non Ruggiero,
veduto come in arme, al paragone
di Bradamante, forte era e leggiero;
e, senza offender lei, con che ragione
difender si sapea; mutan pensiero,
e dicon: - Ben convengono amendui;
ch'egli è di lei ben degno, ella di lui.
-
82
Poi che Febo nel mar tutt'è nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
giudica che la donna per suo sposo
prenda Leon, ne ricusar lo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo,
senz'elmo trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra un picciol ronzin torna in gran fretta
ai padiglioni ove Leon l'aspetta.
83
Gittò Leone al cavallier le braccia
duo volte e più fraternamente al collo;
e poi, trattogli l'elmo da la faccia,
di qua e di là con grande amor baciollo.
- Vo' (disse) che di me sempre tu faccia
come ti par; che mai trovar satollo
non mi potrai, che me e lo stato mio
spender tu possa ad ogni tuo disio.
84
Né veggo ricompensa che mai questa
obligazion ch'io t'ho, possi disciorre;
e non, s'ancora io mi levi di testa
la mia corona, e a te la venghi a porre.
-
Ruggier, di cui la mente ange e molesta
alto dolore, e che la vita aborre,
poco risponde, e l'insegne gli rende,
che n'avea aute, e 'l suo liocorno prende.
85
E stanco dimostrandosi e svogliato,
più tosto che poté, da lui levosse;
ed al suo alloggiamento ritornato,
poi che fu mezzanotte, tutto armosse;
e sellato il destrier, senza commiato,
e senza che d'alcun sentito fosse,
sopra vi salse, e si drizzò al camino
che più piacer gli parve al suo Frontino.
86
Frontino or per via dritta or per via torta,
quando per selve e quando per campagna
il suo signor tutta la notte porta,
che non cessa un momento che non piagna:
chiama la morte, e in quella si conforta,
che l'ostinata doglia sola fragna;
né vede, altro che morte, chi finire
possa l'insopportabil suo martire.
87
- Di chi mi debbo, ohimè! (dicea) dolere,
che così m'abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh, s'io non vo' l'ingiuria sostenere
senza vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuor che me stesso, altri non so vedere,
che m'abbia offeso ed in miseria volto.
Io m'ho dunque di me contra a me stesso
da vendicar, c'ho tutto il mal commesso.
88
Pur, quando io avessi fatto solamente
a me l'ingiuria, a me forse potrei
donar perdon, se ben difficilmente;
anzi vo' dir che far non lo vorrei:
or quanto, poi che Bradamante sente
meco l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando bene a me ancora io perdonassi,
lei non convien ch'invendicata lassi.
89
Per vendicar lei dunque debbo e voglio
ogni modo morir, né ciò mi pesa;
ch'altra cosa non so ch'al mio cordoglio,
fuor che la morte, far possa difesa.
Ma sol, ch'allora io non mori', mi doglio,
che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice, s'io moriva allora
ch'era prigion de la crudel Teodora!
90
Se ben m'avesse ucciso, tormentato
prima ad arbitrio di sua crudeltade,
da Bradamante almeno avrei sperato
di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprà ch'avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
io me ne sia, perch'egli l'abbia, privo;
avrà ragion d'odiarmi e morto e vivo.
-
91
Questo dicendo e molte altre parole
che sospiri accompagnano e singulti,
si trova all'apparir del nuovo sole
fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
e perché è disperato, e morir vuole,
e, più che può, che 'l suo morir s'occulti,
questo luogo gli par molto nascosto,
ed atto a far quant'ha di sé disposto.
92
Entra nel folto bosco, ove più spesse
l'ombrose frasche e più intricate vede;
ma Frontin prima al tutto sciolto messe
da sé lontano, e libertà gli diede.
- O mio Frontin (gli disse), s'a me stesse
di dare a' merti tuoi degna mercede,
avresti a quel destrier da invidiar poco,
che volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
93
Cillaro, so, non fu, non fu Arione
di te miglior, né meritò più lode;
né alcun altro destrier di cui menzione
fatta da' Greci o da' Latini s'ode.
Se ti fur par ne l'altre parti buone,
di questa so ch'alcun di lor non gode,
di potersi vantar ch'avuto mai
abbia il pregio e l'onor che tu avuto hai;
94
poi ch'alla più che mai sia stata o sia
donna gentile e valorosa e bella
sì caro stato sei, che ti nutria,
e di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alla mia donna: ah perché mia
la dirò più, se mia non è più quella?
s'io l'ho donata ad altri? Ohimè! che cesso
di volger questa spada ora in me stesso?
95
Se Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
e le fere e gli augelli a pietà muove
(ch'altri non è che questi gridi senta
né vegga il pianto che nel sen gli piove),
non dovete pensar che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
poi che scusa non ha che la difenda,
o più l'indugi, che Leon non prenda.
96
Ella, prima ch'avere altro consorte
che 'l suo Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
mancar del detto suo; Carlo e la corte,
i parenti e gli amici inimicarsi:
e quando altro non possa, al fin la morte
o col veneno o con la spada darsi;
che le par meglio assai non esser viva,
che, vivendo, restar di Ruggier priva.
97
- Deh, Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote esser che tu sia tanto discosto,
che tu non abbi questo bando udito,
a nessun altro, fuor ch'a te, nascosto?
Se tu 'l sapesse, io so che comparito
nessun altro saria di te più tosto.
Misera me! ch'altro pensar mi deggio,
se non quel che pensar si possa peggio?
98
Come è, Ruggier, possibil che tu solo
non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso l'hai, né sei venuto a volo,
come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
di Costantin t'avrà alcun laccio teso;
il traditor t'avrà chiusa la via,
acciò prima di lui tu qui non sia.
99
Da Carlo impetrai grazia, ch'a nessuno
men di me forte avessi ad esser data,
con credenza che tu fossi quell'uno
a cui star contra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno:
ma de l'audacia mia m'ha Dio pagata;
poi che costui che mai più non fe' impresa
d'onore in vita sua, così m'ha presa.
100
Se però presa son per non avere
uccider lui né prenderlo potuto;
il che non mi par giusto; né al parere
mai son per star, ch'in questo ha Carlo avuto.
So ch'incostante io mi farò tenere,
se da quel c'ho già detto ora mi muto;
ma né la prima son né la sezzaia,
la qual paruta sia incostante, e paia.
101
Basti che nel servar fede al mio amante,
d'ogni scoglio più salda mi ritrovi,
e passi in questo di gran lunga quante
mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dichino incostante,
non curo, pur che l'incostanza giovi:
pur ch'io non sia di costui torre astretta,
volubil più che foglia anco sia detta.
-
102
Queste parole ed altre, ch'interrotte
da sospiri e da pianti erano spesso,
seguì dicendo tutta quella notte
ch'all'infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimerie grotte
con l'ombre sue Notturno fu rimesso,
il ciel, ch'eternamente avea voluto
farla di Ruggier moglie, le diè aiuto.
103
Fe' la mattina la donzella altiera
Marfisa inanzi a Carlo comparire,
dicendo ch'al fratel suo Ruggier era
fatto gran torto, e nol volea patire,
che gli fosse levata la mogliera,
né pure una parola gliene dire:
e contra chi si vuol di provar toglie,
che Bradamante di Ruggiero è moglie.
104
E inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
quando pur di negarlo fosse ardita,
ch'in sua presenza ella ha quelle parole
dette a Ruggier, che fa chi si marita;
e con la cerimonia che si suole,
già sì tra lor la cosa è stabilita,
che più di sé non possono disporre,
né l'un l'altro lasciar, per altri torre.
105
Marfisa, o 'l vero o 'l falso che dicesse,
pur lo dicea, ben credo con pensiero,
perché Leon più tosto interrompesse
a dritto e a torto, che per dire il vero,
e che di volontade lo facesse
di Bradamante, che a riaver Ruggiero
ed escluder Leon, né la più onesta
né la più breve via vedea di questa.
106
Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente;
e quanto di provar Marfisa ha tolto,
le fa sapere, ed ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
e confusa non niega né consente,
in guisa che comprender di leggiero
si può che Marfisa abbia detto il vero.
107
Piace a Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
tal cosa udir, ch'esser potrà cagione
che 'l parentado non andrà più inante,
che già conchiuso aver credea Leone;
e pur Ruggier la bella Bradamante
mal grado avrà de l'ostinato Amone;
e potran senza lite, e senza trarla
di man per forza al padre, a Ruggier darla.
108
Che se tra lor queste parole stanno,
la cosa è ferma, e non andrà per terra,
così atterràn quel che promesso gli hanno,
più onestamente e senza nuova guerra.
- Questo è (diceva Amon), questo è un inganno
contra me ordito: ma 'l pensier vostro erra;
ch'ancor che fosse ver quanto voi finto
tra voi v'avete, io non son però vinto.
109
Che prosupposto (che né ancor confesso,
né vo' credere ancor) ch'abbia costei
scioccamente a Ruggier così promesso,
come voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando e dove fu questo? che più espresso,
più chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non è, se non è stato
prima che Ruggier fosse battezzato.
110
Ma se gli è stato inanzi che cristiano
fosse Ruggier, non vo' che me ne caglia;
ch'essendo ella fedele, egli pagano,
non crederò che 'l matrimonio vaglia.
Non si debbe per questo essere invano
posto al risco Leon de la battaglia;
né il nostro imperator credo vogli anco
venir del detto suo per questo manco.
111
Quel ch'or mi dite, era da dirmi quando
era intera la cosa, né ancor fatto
a prieghi costei Carlo avea il bando
che qui Leone alla battaglia ha tratto.
-
Così contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea, per rompere il contratto
fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
né per l'un né per l'altro volea dire.
112
Come si senton, s'austro o borea spira,
per l'alte selve murmurar le fronde;
o come soglion, s'Eolo s'adira
contra Nettunno, al lito fremer l'onde:
così un rumor che corre e che s'aggira,
e che per tutta Francia si difonde,
di questo dà da dire e da udir tanto,
ch'ogni altra cosa è muta in ogni canto.
113
Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
ma la più parte è con Ruggiero in lega:
son dieci e più per un che n'abbia Amone.
L'imperator né qua né là si piega;
ma la causa rimette alla ragione,
ed al suo parlamento la delega.
Or vien Marfisa, poi ch'è diferito
lo sponsalizio, e pon nuovo partito;
114
e dice: - Con ciò sia ch'esser non possa
d'altri costei, fin che 'l fratel mio vive;
se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
adopri sì, che lui di vita prive:
e chi manda di lor l'altro alla fossa,
senza rivale al suo contento arrive.
-
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
come anco intender gli avea fatto il resto.
115
Leon che, quando seco il cavalliero
del liocorno sia, si tien sicuro
di riportar vittoria di Ruggiero,
né gli abbia alcun assunto a parer duro;
non sappiendo che l'abbia il dolor fiero
tratto nel bosco solitario e oscuro,
ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
sia andato a spasso, il mal partito piglia.
116
Ben se ne pente in breve; che colui
del qual più del dover si promettea,
non comparve quel dì, né gli altri dui
che lo seguir, né nuova se n'avea;
e tor questa battaglia senza lui
contra Ruggier, sicur non gli parea:
mandò, per schivar dunque danno e scorno,
per trovar il guerrier dal liocorno.
117
Per cittadi mandò, ville e castella,
d'appresso e da lontan, per ritrovarlo;
né contento di questo, montò in sella
egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n'avrebbe avuto già novella,
né l'avria avuta uom di quei di Carlo,
se non era Melissa che fe' quanto
mi serbo a farvi udir ne l'altro canto.
CANTO QUARANTASEIESIMO
1
Or, se mi mostra la mia carta il vero,
non è lontano a discoprirsi il porto;
sì che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
ove, o di non tornar col legno intero,
o d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che l'alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s'allegrino ch'io sia
venuto a fin di così lunga via.
3
Oh di che belle e sagge donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio
veggo del molo in su l'estremo corno:
Veronica da Gambera è con loro,
sì grata a Febo e al santo aonio coro.
4
Veggo un'altra Genevra, pur uscita
del medesmo sangue, e Iulia seco;
veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella rivulzia al sacro speco:
veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
ch'Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e l'altre lor sorelle.
5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna è Laura:
non vede il sol di più bontà di questa
coppia da l'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
casa col suo valor sì ingemma e inaura,
che mai palagi imperiali o regi
non ebbon più onorati e degni fregi.
6
S'a quella etade ella in Arimino era,
quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio, s'oltre alla riviera
dovea passando inimicarsi Roma;
crederò che piegata ogni bandiera,
e scarca di trofei la ricca soma,
tolto avria leggi e patti a voglia d'essa,
né forse mai la libertade oppressa.
7
Del mio signor di Bozolo la moglie,
la madre, le sirocchie e le cugine,
e le Torelle con le Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavigine;
ecco qui a quante oggi ne sono, toglie,
e a quante o greche o barbere o latine
ne furon mai, di quai la fama s'oda,
di grazia e di beltà la prima loda,
8
Iulia Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e dovunque i sereni occhi gira,
non pur ogn'altra di beltà le cede,
ma, come scesa dal ciel dea, l'ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
non mosse mai, perché l'avesse in ira
Fortuna che le fe' lungo contrasto.
Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
di castità, di fede e d'amor tempio.
La sorella è con lei, ch'ove ne irraggia
l'alta beltà, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e fa con non più visto esempio,
mal grado de le Parche e de la Morte,
splender nel ciel l'invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d'Urbino; e riconosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese tosco.
Il cavallier che tra lor viene, e ch'elle
onoran sì, s'io non ho l'occhio losco,
da la luce offuscato de' bei volti,
è 'l gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
c'ha purpureo il capel, purpureo il manto,
col cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria e splendor del consistorio santo:
e ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del mio ritorno, che non facil parmi
ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa e 'l Dresino e Latino
Iuvenal parmi, e i Capilupi miei,
e 'l Sasso e 'l Molza e Florian Montino;
e quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e più breve altro camino,
Iulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna,
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
13
Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese:
oh dotta compagnia che seco mena!
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
d'alta facondia inessicabil vena,
e Lascari e Mussuro e Navagero,
e Andrea Marone e 'l monaco Severo.
14
Ecco altri duo Alessandri in quel drappello,
dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino.
Ecco Mario d'Olvito, ecco il flagello
de' principi, il divin Pietro Aretino.
Duo Ieronimi veggo, l'uno è quello
di Veritade, e l'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno,
il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15
Là Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo, che 'l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro Obizi è quel che gli vien dietro,
ch'ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
Io veggo il Fracastorio, il Bevazano,
Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
16
Veggo Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso ch'a vedermi appresso
al lito mostra gaudio e maraviglia.
Il mio Valerio è quel che là s'è messo
fuor de le donne; e forse si consiglia
col Barignan c'ha seco, come, offeso
sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17
Veggo sublimi e soprumani ingegni
di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da' più degni
ha tanto onor, mai più non conobbi io;
ma, se me ne fur dati veri segni,
è l'uom che di veder tanto desio,
Iacobo Sanazar, ch'alle Camene
lasciar fa i monti ed abitar l'arene.
18
Ecco il dotto, il fedele, il diligente
secretario Pistofilo, ch'insieme
con gli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente
piacer, che più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente,
veggo con l'Adoardo, che gran speme
mi dà, ch'ancor del mio nativo nido
udir farà da Calpe agli Indi il grido.
19
Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
mia ritornata ognun parer contento.
Dunque, a finir la breve via che resta,
non sia più indugio, or ch'ho propizio il vento;
e torniamo a Melissa, e con che aita
salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.
20
Questa Melissa, come so che detto
v'ho molte volte, avea sommo desire
che Bradamante con Ruggier di stretto
nodo s'avesse in matrimonio a unire;
e d'ambi il bene e il male avea sì a petto,
che d'ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
che, quando andava l'un, l'altro venìa.
21
In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
il qual di non gustar d'alcuna sorte
mai più vivanda fermo era e disposto,
e col digiun si volea dar la morte:
ma fu l'aiuto di Melissa tosto;
che, del suo albergo uscita, la via tenne
ove in Leone ad incontrar si venne:
22
il qual mandato, l'uno a l'altro appresso,
sua gente avea per tutti i luoghi intorno;
e poscia era in persona andato anch'esso
per trovare il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice, la qual messo
freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
e l'avea sotto in forma di ronzino,
trovò questo figliuol di Costantino.
23
- Se de l'animo è tal la nobiltate,
qual fuor, signor (diss'ella), il viso mostra;
se la cortesia dentro e la bontade
ben corrisponde alla presenza vostra,
qualche conforto, qualche aiuto date
al miglior cavallier de l'età nostra;
che s'aiuto non ha tosto e conforto,
non è molto lontano a restar morto.
24
Il miglior cavallier, che spada a lato
e scudo in braccio mai portassi o porti;
il più bello e gentil ch'al mondo stato
mai sia di quanti ne son vivi o morti,
sol per un'alta cortesia c'ha usato,
sta per morir, se non ha chi 'l conforti.
Per Dio, signor, venite, e fate prova
s'allo suo scampo alcun consiglio giova.
-
25
Ne l'animo a Leon subito cade
che 'l cavallier di chi costei ragiona,
sia quel che per trovar fa le contrade
cercare intorno, e cerca egli in persona;
sì ch'a lei dietro, che gli persuade
sì pietosa opra, in molta fretta sprona:
la qual lo trasse (e non fer gran camino)
ove alla morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovar che senza cibo stato
era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
ch'in piè a fatica si saria levato,
per ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea disteso in terra tutto armato,
con l'elmo in testa, e de la spada cinto;
e guancial de lo scudo s'avea fatto,
in che 'l bianco liocorno era ritratto.
27
Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente le sia stato, arrabbia,
non pur si duole; e se n'affligge tanto,
che si morde le man, morde le labbia,
sparge le guance di continuo pianto;
e per la fantasia che v'ha sì fissa,
né Leon venir sente né Melissa;
28
né per questo interrompe il suo lamento,
né cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
conosce ben; ma la persona espressa
non gli è, per cui sostien tanto martire;
ch'anco Ruggier non glie l'ha fatto udire.
29
Più inanzi, e poi più inanzi i passi muta,
tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
e con fraterno affetto lo saluta,
e se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so quanto ben questa venuta
di Leone improvisa a Ruggier piaccia;
che teme che lo turbi e gli dia noia,
e se gli voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le più dolci e più soavi
parole che sa dir, con quel più amore
che può mostrar, gli dice: - Non ti gravi
d'aprirmi la cagion del tuo dolore;
che pochi mali al mondo son sì pravi,
che l'uomo trar non se ne possa fuore,
se la cagion si sa; né debbe privo
di speranza esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol che celar t'abbi voluto
da me, che sai s'io ti son vero amico,
non sol dipoi ch'io ti son sì tenuto,
che mai dal nodo tuo non mi districo,
ma fin allora ch'avrei causa avuto
d'esserti sempre capital nimico;
e dèi sperar ch'io sia per darti aita
con l'aver, con gli amici e con la vita.
32
Di meco conferir non ti rincresca
il tuo dolore, e lasciami far prova,
se forza, se lusinga, acciò tu n'esca,
se gran tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi, quando l'opra mia non ti riesca,
la morte sia ch'al fin te ne rimuova:
ma non voler venir prima a quest'atto,
che ciò che si può far, non abbi fatto.
-
33
E seguitò con sì efficaci prieghi,
e con parlar sì umano e sì benigno,
che non può far Ruggier che non si pieghi;
che né di ferro ha il cor né di macigno,
e vede, quando la risposta nieghi,
che farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s'incocca
prima il parlar, ch'uscir voglia di bocca.
34
- Signor mio (disse al fin), quando saprai
colui ch'io son (che son per dirtel ora),
mi rendo certo che di me sarai
non men contento, e forse più, ch'io muora.
Sappi ch'io son colui che sì in odio hai:
io son Ruggier ch'ebbi te in odio ancora;
e che con intenzion di porti a morte,
già son più giorni, usci' di questa corte;
35
acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d'Amone
la voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perché ordina l'uomo, e Dio dispone,
venne il bisogno ove mi fe' la molta
tua cortesia mutar d'opinione;
e non pur l'odio ch'io t'avea, deposi,
ma fe' ch'esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi pregasti, non sapendo ch'io
fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere
la donna; ch'altretanto saria il mio
cor fuor del corpo, o l'anima volere.
Se sodisfar più tosto al tuo disio,
ch'al mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta è Bradamante; abbila in pace:
molto più che 'l mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te ancora, se privo di lei
mi son, ch'insieme io sia di vita privo;
che più tosto senz'anima potrei,
che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
mai legitimamente, fin ch'io vivo:
che tra noi sposalizio è già contratto,
né duo mariti ella può avere a un tratto.
-
38
Riman Leon sì pien di maraviglia,
quando Ruggiero esser costui gli è noto,
che senza muover bocca o batter ciglia
o mutar piè, come una statua, è immoto:
a statua, più ch'ad uomo, s'assimiglia,
che ne le chiese alcun metta per voto.
Ben sì gran cortesia questa gli pare,
che non ha avuto e non avrà mai pare.
39
E conosciutol per Ruggier, non solo
non scema il ben che gli voleva pria;
ma sì l'accresce, che non men del duolo
di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
d'imperator meritamente sia,
non vuol, se ben nel resto a Ruggier cede,
ch'in cortesia gli metta inanzi il piede.
40
E dice: - Se quel dì, Ruggier, ch'offeso
fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
ancor ch'io t'avea in odio, avessi inteso
che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
così la tua virtù m'avrebbe preso,
come fece anco allor, non lo sapendo;
e così spinto dal cor l'odio, e tosto
questo amor ch'io ti porto, v'avria posto.
41
Che prima il nome di Ruggiero odiassi,
ch'io sapessi che tu fosse Ruggiero,
non negherò: ma ch'or più inanzi passi
l'odio ch'io t'ebbi, t'esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi,
n'avesse, come or n'ho, saputo il vero;
il medesimo avrei fatto anco allora,
ch'a benefizio tuo son per far ora.
42
E s'allor volentier fatto l'avrei,
ch'io non t'era, come or sono, obligato;
quant'or più farlo debbo, che sarei,
non lo facendo, il più d'ogn'altro ingrato;
poi che negando il tuo voler, ti sei
privo d'ogni tuo bene, e a me l'hai dato.
Ma te lo rendo, e più contento sono
renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
43
Molto più a te, ch'a me, costei conviensi,
la qual, ben ch'io per li suoi merit'ami,
non è però, s'altri l'avrà, ch'io pensi,
come tu, al viver mio romper li stami.
Non vo' che la tua morte mi dispensi,
che possi, sciolto ch'ella avrà i legami
che son del matrimonio ora fra voi,
per legitima moglie averla io poi.
44
Non che di lei, ma restar privo voglio
di ciò c'ho al mondo, e de la vita appresso,
prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio
per mia cagion tal cavalliero oppresso.
De la tua difidenza ben mi doglio;
che tu che puoi, non men che di te stesso,
di me dispor, più tosto abbi voluto
morir di duol, che da me avere aiuto.
-
45
Queste parole ed altre suggiungendo,
che tutte saria lungo riferire,
e sempre le ragion redarguendo,
ch'in contrario Ruggier gli potea dire;
fe' tanto, ch'al fin disse: - Io mi ti rendo,
e contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò l'obligo mai,
ché due volte la vita dato m'hai? -
46
Cibo soave e precioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto;
e confortò Ruggier, ch'era vicino,
non s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
cavalli quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar da li scudieri suoi
lo fe' e sellare, ed a Ruggier dar poi;
47
il qual con gran fatica, ancor ch'aiuto
avesse da Leon, sopra vi salse:
così quel vigor manco era venuto,
che pochi giorni inanzi in modo valse,
che vincer tutto un campo avea potuto,
e far quel che fe' poi con l'arme false.
Quindi partiti, giunser, che più via
non fer di mezza lega, a una badia:
48
ove posaro il resto di quel giorno,
e l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
tanto che 'l cavallier dal liocorno
tornato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
alla città real fece Ruggiero,
e vi trovò che la passata sera
l'imbasciaria de' Bulgari giunt'era.
49
Che quella nazion, la qual s'avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
mandava questi suoi, che si credea
d'averlo in Francia appresso al magno Carlo:
perché giurargli fedeltà volea,
e dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
con questa gente, ha di lui dato nuova.
50
De la battaglia ha detto, ch'in favore
de' Bulgari a Belgrado egli avea fatta,
ove Leon col padre imperatore
vinto, e sua gente avea morta e disfatta;
e per questo l'avean fatto signore,
messo da parte ogni uomo di sua schiatta:
e come a Novengrado era poi stato
preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
51
e che venuta era la nuova certa,
che 'l suo guardian s'era trovato ucciso,
e lui fuggito, e la prigione aperta:
che poi ne fosse, non v'era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
ne la città, né fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e 'l compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
52
S'appresentò Ruggier con l'augel d'oro
che nel campo vermiglio avea due teste,
e come disegnato era fra loro,
con le medesme insegne e sopraveste
che, come dianzi ne la pugna foro,
eran tagliate ancor, forate e peste;
sì che tosto per quel fu conosciuto,
ch'avea con Bradamante combattuto.
53
Con ricche vesti e regalmente ornato
Leon senz'arme a par con lui venìa;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato
avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s'inchinò, che già levato
se gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per man, nel qual intente e fisse
ognuno avea le luci, così disse:
54
- Questo è il buon cavalliero il qual difeso
s'è dal nascer del giorno al giorno estinto;
e poi che Bradamante o morto o preso
o fuor non l'ha de lo steccato spinto,
magnanimo signor, se bene inteso
ha il vostro bando, è certo d'aver vinto,
e d'aver lei per moglie guadagnata;
e così viene, acciò che gli sia data.
55
Oltre che di ragion, per lo tenore
del bando, non v'ha altr'uom da far disegno:
se s'ha da meritarla per valore,
qual cavallier più di costui n'è degno?
s'aver la dee chi più le porta amore,
non è chi 'l passi o ch'arrivi al suo segno.
Ed è qui presto contra a chi s'oppone,
per difender con l'arme sua ragione.
-
56
Carlo e tutta la corte stupefatta,
questo udendo, restò; ch'avea creduto
che Leon la battaglia avesse fatta,
non questo cavallier non conosciuto.
Marfisa, che con gli altri quivi tratta
s'era ad udire, e ch'a pena potuto
avea tacer fin che Leon finisse
il suo parlar, si fece inanzi e disse:
57
- Poi che non c'è Ruggier, che la contesa
de la moglier fra sé e costui discioglia;
acciò per mancamento di difesa
così senza rumor non se gli toglia,
io che gli son sorella, questa impresa
piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
che dica aver ragione in Bradamante,
o di merto a Ruggiero andare inante.
-
58
E con tant'ira e tanto sdegno espresse
questo parlar, che molti ebber sospetto,
che senza attender Carlo che le desse
campo, ella avesse a far quivi l'effetto.
Or non parve a Leon che più dovesse
Ruggier celarsi, e gli cavò l'elmetto;
e rivolto a Marfisa: - Ecco lui pronto
a rendervi di sé (disse) buon conto.
-
59
Quale il canuto Egeo rimase, quando
si fu alla mensa scelerata accorto,
che quello era il suo figlio, al quale, instando
l'iniqua moglie, avea il veneno porto;
e poco più che fosse ito indugiando
di conoscer la spada, l'avria morto:
tal fu Marfisa, quando il cavalliero
ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
60
E corse senza indugio ad abbracciarlo,
né dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo
di qua e di là con grand'amor baciollo.
Né Dudon né Olivier d'accarezzarlo,
né 'l re Sobrin si può veder satollo.
Dei paladini e dei baron nessuno
di far festa a Ruggier restò digiuno.
61
Leone, il qual sapea molto ben dire,
finiti che si fur gli abbracciamenti,
cominciò inanzi a Carlo a riferire,
udendo tutti quei ch'eran presenti,
come la gagliardia, come l'ardire
(ancor che con gran danno di sue genti)
di Ruggier, ch'a Belgrado avea veduto,
più d'ogni offesa avea di sé potuto;
62
sì ch'essendo di poi preso e condutto
a colei ch'ogni strazio n'avria fatto,
di prigione egli, mal grado di tutto
il parentado suo, l'aveva tratto;
e come il buon Ruggier, per render frutto
e mercede a Leon del suo riscatto,
fe' l'alta cortesia che sempre a quante
ne furo o saran mai, passarà inante.
63
E seguendo narrò di punto in punto
ciò che per lui fatto Ruggiero avea;
e come poi da gran dolor compunto,
che di lasciar la moglie gli premea,
s'era disposto di morire; e giunto
v'era vicin, se non si soccorrea.
E con sì dolci affetti il tutto espresse,
che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
64
Rivolse poi con sì efficaci preghi
le sue parole all'ostinato Amone,
che non sol che lo muova, che lo pieghi,
che lo faccia mutar d'opinione;
ma fa ch'egli in persona andar non nieghi
a supplicar Ruggier che gli perdone,
e per padre e per suocero l'accette;
e così Bradamante gli promette.
65
A cui là dove, de la vita in forse,
piangea i suoi casi in camera segreta,
con lieti gridi in molta fretta corse
per più d'un messo la novella lieta:
onde il sangue ch'al cor, quando lo morse
prima il dolor, fu tratto da la pieta,
a questo annunzio il lasciò solo in guisa,
che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66
Ella riman d'ogni vigor sì vota,
che di tenersi in piè non ha balìa;
ben che di quella forza ch'esser nota
vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia condannato o ad altra morte ria,
e che già agli occhi abbia la benda negra,
gridar sentendo grazia, si rallegra.
67
Si rallegra Mongrana e Chiaramonte,
di nuovo nodo i dui raggiunti rami:
altretanto si duol Gano col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami;
ma pur coprendo sotto un'altra fronte
van lor pensieri invidiosi e grami;
e occasione attendon di vendetta,
come la volpe al varco il lepre aspetta.
68
Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso
molti in più volte avean di quei malvagi;
ben che l'ingiurie fur con saggio avviso
dal re acchetate, ed i commun disagi;
avea di nuovo lor levato il riso
l'ucciso Pinabello e Bertolagi:
ma pur la fellonia tenean coperta,
dissimulando aver la cosa certa.
69
Gli imbasciatori bulgari che in corte
di Carlo eran venuti, come ho detto,
con speme di trovare il guerrier forte
del liocorno, al regno loro eletto;
sentendol quivi, chiamar buona sorte
la lor, che dato avea alla speme effetto;
e riverenti ai piè se gli gittaro,
e che tornassi in Bulgheria il pregaro;
70
ove in Adrianopoli servato
gli era lo scettro e la real corona:
ma venga egli a difendersi lo stato;
ch'a danni lor di nuovo si ragiona
che più numer di gente apparecchiato
ha Costantino, e torna anco in persona:
ed essi, se 'l suo re ponno aver seco,
speran di torre a lui l'imperio greco.
71
Ruggiero accettò il regno, e non contese
ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
di ritrovarsi dopo il terzo mese,
quando Fortuna altro di lui non fêsse.
Leone Augusto che la cosa intese,
disse a Ruggier, ch'alla sua fede stesse,
che, poi ch'egli de' Bulgari ha il domìno,
la pace è tra lor fatta e Costantino:
72
né da partir di Francia s'avrà in fretta,
per esser capitan de le sue squadre;
che d'ogni terra ch'abbiano suggetta,
far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù che di Ruggier sia detta,
ch'a muover sì l'ambiziosa madre
di Bradamante, e far che 'l genero ami,
vaglia, come ora udir, che re si chiami.
73
Fansi le nozze splendide e reali,
convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
farebbe, maritando una sua figlia.
I merti de la donna erano tali,
oltre a quelli di tutta sua famiglia,
ch'a quel signor non parria uscir del segno,
se spendesse per lei mezzo il suo regno.
74
Libera corte fa bandire intorno,
ove sicuro ognun possa venire;
e campo franco sin al nono giorno
concede a chi contese ha da partire.
Fe' alla campagna l'apparato adorno
di rami intesti e di bei fiori ordire,
d'oro e di seta poi, tanto giocondo,
che 'l più bel luogo mai non fu nel mondo.
75
Dentro a Parigi non sariano state
l'innumerabil genti peregrine,
povare e ricche e d'ogni qualitate,
che v'eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e imbascierie mandate
di tutto 'l mondo, non aveano fine:
erano in padiglion, tende e frascati
con gran commodità tutti alloggiati.
76
Con eccellente e singulare ornato
la notte inanzi avea Melissa maga
il maritale albergo apparecchiato,
di ch'era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo inanzi desiato
questa copula avea quella presaga:
de l'avvenir presaga, sapea quanta
bontade uscir dovea da la lor pianta.
77
Posto avea il genial letto fecondo
in mezzo un padiglione amplo e capace,
il più ricco, il più ornato, il più giocondo
che già mai fosse o per guerra o per pace,
o prima o dopo, teso in tutto 'l mondo;
e tolto ella l'avea dal lito trace:
l'avea di sopra a Costantin levato,
ch'a diporto sul mar s'era attendato.
78
Melissa di consenso di Leone,
o più tosto per dargli maraviglia,
e mostrargli de l'arte paragone,
ch'al gran vermo infernal mette la briglia,
e che di lui, come a lei par, dispone,
e de la a Dio nimica empia famiglia;
fe' da Costantinopoli a Parigi
portare il padiglion dai messi stigi.
79
Di sopra a Costantin ch'avea l'impero
di Grecia, lo levò da mezzo giorno,
con le corde e col fusto, e con l'intero
guernimento ch'avea dentro e d'intorno:
lo fe' portar per l'aria, e di Ruggiero
quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi, finite le nozze, anco tornollo
miraculosamente onde levollo.
80
Eran degli anni appresso che duo milia
che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella de la terra d'Ilia,
ch'avea il furor profetico congiunto,
con studio di gran tempo e con vigilia
lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
inclito Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più cortese cavallier che mai
dovea del ceppo uscir del suo germano
(ben che sapea, da la radice assai
che quel per molti rami era lontano)
ritratto avea nei bei ricami gai
d'oro e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio
per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch'a tradimento ebbe la morte,
e fu 'l popul troian da' Greci afflitto;
che Sinon falso aperse lor le porte,
e peggio seguitò, che non è scritto;
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
col quale a capitar venne in Egitto,
ove al re Proteo lo lasciò, se volse
la moglie aver, che quel tiran gli tolse.
83
Elena nominata era colei
per cui lo padiglione a Proteo diede;
che poi successe in man de' Tolomei,
tanto che Cleopatra ne fu erede.
Da le genti d'Agrippa tolto a lei
nel mar Leucadio fu con altre prede:
in man d'Augusto e di Tiberio venne,
e in Roma sin a Costantin si tenne;
84
quel Costantin di cui doler si debbe
la bella Italia, fin che gir il cielo.
Costantin, poi che 'l Tevero gl'increbbe,
portò in Bisanzio il prezioso velo:
da un altro Costantin Melissa l'ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
tutto trapunto con figure belle,
più che mai con pennel facesse Apelle.
85
Quivi le Grazie in abito giocondo
una regina aiutavano al parto:
sì bello infante n'apparia, che 'l mondo
non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l'avevano sparto
a man piene e spargean d'eterei fiori,
di dolce ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In età poi più ferma l'Aventura
l'avea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nove genti la pittura
con veste e chiome lunghe, che venute
a domandar la parte di Corvino
erano al padre il tenero bambino.
87
Da Ercole partirsi riverente
si vede, e da la madre Leonora;
e venir sul Danubio, ove la gente
corre a vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
che 'l maturo sapere ammira e onora
in non matura età tenera e molle,
e sopra tutti i suoi baron l'estolle.
88
V'è che negli infantili e teneri anni
lo scettro di Strigonia in man gli pone:
sempre il fanciullo se gli vede a' panni,
sia nel palagio, sia nel padiglione:
o contra Turchi, o contra gli Alemanni
quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
a' magnanimi gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si vede, come il fior dispensi
de' suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi
chiari gli espone de l'antiche carte.
- Questo schivar, questo seguir conviensi,
se immortal brami e glorioso farte, -
par che gli dica: così avea ben finti
i gesti lor chi già gli avea dipinti.
90
Poi cardinale appar, ma giovinetto,
sedere in Vaticano a consistoro,
e con facondia aprir l'alto intelletto,
e far di sé stupir tutto quel coro.
- Qual fia dunque costui d'età perfetto?
(parean con maraviglia dir tra loro).
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
che fortunata età! che secol santo! -
91
In altra parte i liberali spassi
erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta sugli alpini sassi,
ora i cingiali in valle ima e palustre:
or s'un gianetto par che 'l vento passi,
seguendo o caprio o cerva multilustre,
che giunta par che bipartita cada
in parti uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi altrove e di poeti
si vede in mezzo un'onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
questi la terra, quello il ciel gli squadra:
questi meste elegie, quel versi lieti,
quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici ascolta, e vari suoni altrove;
né senza somma grazia un passo muove.
93
In questa prima parte era dipinta
del sublime garzon la puerizia.
Cassandra l'altra avea tutta distinta
di gesti di prudenza, di iustizia,
di valor, di modestia, e de la quinta
che tien con lor strettissima amicizia,
dico de la virtù che dona e spende;
de le qual tutte illuminato splende.
94
In questa parte il giovene si vede
col duca sfortunato degl'Insubri,
ch'ora in pace a consiglio con lui siede,
or armato con lui spiega i colubri;
e sempre par d'una medesma fede,
o ne' felici tempi o nei lugubri:
ne la fuga lo segue, lo conforta
ne l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede altrove a gran pensieri intento
per salute d'Alfonso e di Ferrara;
che va cercando per strano argumento,
e trova, e fa veder per cosa chiara
al giustissimo frate il tradimento
che gli usa la famiglia sua più cara:
e per questo si fa del nome erede,
che Roma a Ciceron libera diede.
96
Vedesi altrove in arme relucente,
ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e con tumultuaria e poca gente
a un esercito istrutto si va opporre;
e solo il ritrovarsi egli presente
tanto agli Ecclesiastici soccorre,
che 'l fuoco estingue pria ch'arder comince:
sì che può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi altrove da la patria riva
pugnar incontra la più forte armata,
che contra Turchi o contra gente argiva
da' Veneziani mai fosse mandata:
la rompe e vince, ed al fratel captiva
con la gran preda l'ha tutta donata;
né per sé vedi altro serbarsi lui,
che l'onor sol, che non può dare altrui.
98
Le donne e i cavallier mirano fisi,
senza trarne costrutto, le figure;
perché non hanno appresso che gli avvisi
che tutte quelle sien cose future.
Prendon piacere a riguardare i visi
belli e ben fatti, e legger le scritture.
Sol Bradamante da Melissa istrutta
gode tra sé; che sa l'istoria tutta.
99
Ruggiero, ancor ch'a par di Bradamante
non ne sia dotto, pur gli torna a mente
che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi a pieno dir le tante
cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di vari giochi è sempre festa grande,
e la mensa ognor piena di vivande.
100
Vedesi quivi chi è buon cavalliero;
che vi son mille lance il giorno rotte:
fansi battaglie a piedi e a destriero,
altre accoppiate, altre confuse in frotte.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
che vince sempre, e giostra il dì e la notte;
e così in danza, in lotta ed in ogni opra
sempre con molto onor resta di sopra.
101
L'ultimo dì, ne l'ora che 'l solenne
convito era a gran festa incominciato;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e 'l destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
102
Quest'era il re d'Algier, che per lo scorno
che gli fe' sopra il ponte la donzella,
giurato avea di non porsi arme intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Così a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavallier di tali eccessi.
103
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo;
per non disdirsi, non più l'arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto l'anno e tutto 'l mese
vede finito, e tutto 'l giorno appresso
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or ne vien quivi in Francia.
104
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenza,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
e de tanti signor l'alta presenza.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenza.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò che 'l guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con alta voce ed orgoglioso grido:
- Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo', prima che 'l sol tramonte,
provar ch'al tuo signor sei stato infido;
e che non merti, che sei traditore,
fra questi cavallieri alcun onore.
106
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perché essendo cristian non pòi negarla;
pur per farla apparere anco più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n'accetto;
e a tutte manterrò quel ch'io t'ho detto.
-
107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenza rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
che sempre col suo re così portosse,
che giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch'era apparecchiato sostenere
che verso lui fe' sempre il suo dovere:
108
e ch'a difender la sua causa era atto,
senza torre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e 'l figlio bianco e 'l bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran per la difesa di Ruggiero;
109
mostrando ch'essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: - State in riposo;
che per me fôran queste scuse sozze.
-
L'arme che tolse al Tartaro famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto l'altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.
111
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da' granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de' venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e 'l nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a' campi strage e danno:
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale.
112
Così a tutta la plebe e alla più parte
dei cavallieri e dei baron parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch'in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113
Tremava, più ch'a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch'ella credesse
che 'l Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l'onore
a chi l'ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non può senza sospetto;
che di temere, amando, ha degno effetto.
114
Oh quanto volentier sopra sé tolta
l'impresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata più che certa!
Avria eletto a morir più d'una volta,
se può più d'una morte esser sofferta,
più tosto che patir che 'l suo consorte
si ponesse a pericol de la morte.
115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lance all'incontrar parver di gielo;
i tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116
La lancia del pagan, che venne a corre
lo scudo a mezzo, fe' debole effetto:
tanto l'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto che fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
117
E se non che la lancia non sostenne
il grave scontro, e mancò al primo assalto,
e rotta in schegge e in tronchi aver le penne
parve per l'aria, tanto volò in alto;
l'osbergo aprìa (si furiosa venne),
se fosse stato adamantino smalto,
e finìa la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gittar l'aste, preso il brando,
si tornato a ferir crudeli e fieri:
di qua di là con maestria girando
gli animosi cavalli atti e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era più raro.
119
Non si trovò lo scoglio del serpente,
che fu sì duro, al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né 'l solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l'usate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi,
come di sopra avervi detto parmi.
120
Egli avea un'altra assai buona armatura,
non come era la prima già perfetta:
ma né questa né quella né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fattura,
né finezza d'acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là sì ben lavora,
ch'al pagan l'arme in più d'un loco fora.
121
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan l'arme, e non poter schivare
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor si mosse,
ch'a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su l'elmo di Ruggiero a due man fere.
122
Con quella estrema forza che percuote
la machina ch'in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi:
giova l'elmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero andò due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a riaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per questo non s'arresta,
ma s'aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra,
che de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra sì tosto, che risorse,
via più che d'ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell'onta,
stringe la spada, e col pagan s'affronta.
126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe' sentirgli angoscia,
l'una nel fianco, e l'altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
il pome e l'elsa de la spada rotta,
Ruggier su l'elmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all'altra botta.
Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo alla destra l'altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan sì, ch'a Ruggier resti al paro:
vo dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo così grande e così grosso.
129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l'altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa e 'l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.
130
Ne la guancia de l'elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e 'l volersi affrettar più del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sì curto,
che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sì, che l'abbraccia:
l'uno e l'altro s'aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e 'l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il sangue uscir vede più sciolto,
e dove più ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e l'uno e l'altro piede.
133
Rodomonte pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all'altro attraversogli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tornollo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c'ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l'una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come talvolta, ove si cava l'oro
là tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
così fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch'in terra messo.
137
Alla vista de l'elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch'avea già tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s'affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla al pagano ogni pensiero
d'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che 'l pugnal tiene,
che trasse anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s'accorse de l'errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
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