ORLANDO FURIOSO, di Ludovico Ariosto - pagina 115
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171
Solo senza te son; né cosa in terra
senza te posso aver più, che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra,
perché non anco in ozio ed in bonaccia?
Ben grande e 'l mio fallir, poi che mi serra
di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui, perch'ora
non sono a parte del guadagno ancora?
172
Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:
sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe fatto e del dolor mio
l'Italia, il regno franco e l'alemanno.
Oh quanto, quanto il mio signore e zio,
oh quanto i paladin da doler s'hanno!
quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa,
che perduto han la sua maggior difesa!
173
Oh quanto si torrà per la tua morte
di terrore a' nimici e di spavento!
Oh quanto Pagania sarà più forte!
quanto animo n'avrà, quanto ardimento!
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto, e 'l grido sento.
So che m'accusa, e forse odio mi porta,
che per me teco ogni sua speme è morta.
174
Ma, Fiordiligi, almen resti un conforto
a noi che siàn di Brandimarte privi;
ch'invidiar lui con tanta gloria morto
denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Deci, e quel nel roman foro absorto,
quel sì lodato Codro dagli Argivi,
non con più altrui profitto e più suo onore
a morte si donar, del tuo signore.
-
175
Queste parole ed altre dicea Orlando.
Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
e tutti gli altri chierci, seguitando
andavan con lungo ordine accoppiati,
per l'alma del defunto Dio pregando,
che gli donasse requie tra' beati.
Lumi inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,
mutata aver parean la notte in giorno.
176
Levan la bara, ed a portarla foro
messi a vicenda conti e cavallieri.
Purpurea seta la copria, che d'oro
e di gran perle avea compassi altieri:
di non men bello e signoril lavoro
avean gemmati e splendidi origlieri;
e giacea quivi il cavallier con vesta
di color pare, e d'un lavor contesta.
177
Trecento agli altri eran passati inanti,
de' più poveri tolti de la terra,
parimente vestiti tutti quanti
di panni negri e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altretanti
grossi cavalli e tutti buoni a guerra;
e i cavalli coi paggi ivano il suolo
radendo col lor abito di duolo.
178
Molte bandiere inanzi e molte dietro,
che di diverse insegne eran dipinte,
spiegate accompagnavano il ferètro;
le quai già tolte a mille schiere vinte,
e guadagnate a Cesare ed a Pietro
avean le forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
179
Venian cento e cent'altri a diversi usi
de l'esequie ordinati; ed avean questi,
come anco il resto, accesi torchi; e chiusi,
più che vestiti, eran di nere vesti.
Poi seguia Orlando, e ad or ad or suffusi
di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;
né più lieto di lui Rinaldo venne:
il piè Olivier, che rotto avea, ritenne.
180
Lungo sarà s'io vi vo' dire in versi
le cerimonie, e raccontarvi tutti
i dispensati manti oscuri e persi,
gli accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi alla chiesa catedral conversi,
dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti:
sì bel, sì buon, sì giovene a pietade
mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
181
Fu posto in chiesa; e poi che da le donne
di lacrime e di pianti inutil opra,
e che dai sacerdoti ebbe eleisonne
e gli altri santi detti avuto sopra,
in una arca il serbar su due colonne:
e quella vuole Orlando che si cuopra
di ricco drappo d'or, sin che reposto
in un sepulcro sia di maggior costo.
182
Orlando di Sicilia non si parte,
che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
inarrar con gran premio i miglior mastri.
Fe' le lastre, venendo in questa parte,
poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
che quivi (essendo Orlando già partito)
si fe' portar da l'africano lito.
183
E vedendo le lacrime indefesse,
ed ostinati a uscir sempre i sospiri,
né per far sempre dire uffici e messe,
mai satisfar potendo a' suoi disiri;
di non partirsi quindi in cor si messe,
fin che del corpo l'anima non spiri:
e nel sepolcro fe' fare una cella,
e vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.
184
Oltre che messi e lettere le mande,
vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pension ben grande
compagna vuol di Galerana farla:
quando tornare al padre anco domande,
sin alla Lizza vuole accompagnarla:
edificar le vuole un monastero,
quando servire a Dio faccia pensiero.
185
Stava ella nel sepulcro; e quivi attrita
da penitenza, orando giorno e notte,
non durò lunga età, che di sua vita
da la Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avea da l'isola partita,
ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
i tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
che 'l quarto lor compagno a dietro resti.
186
Non volean senza medico levarsi,
che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
la qual, perché a principio mal pigliarsi
poté, fatt'era faticosa e dura:
e quello udiano in modo lamentarsi,
che del suo caso avean tutti paura.
Tra lor di ciò parlando, al nocchier nacque
un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
187
Disse ch'era di là poco lontano
in un solingo scoglio uno eremita,
a cui ricorso mai non s'era invano,
o fosse per consiglio o per aita;
e facea alcuno effetto soprumano,
dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,
fermare il vento ad un segno di croce,
e far tranquillo il mar quando è più atroce:
188
e che non denno dubitare, andando
a ritrovar quel uomo a Dio sì caro,
che lor non renda Olivier sano, quando
fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio sì piacque ad Orlando,
che verso il santo loco si drizzaro;
né mai piegando dal camin la prora,
vider lo scoglio al sorger de l'aurora.
189
Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,
sicuramente s'accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti,
declinano il marchese nel battello:
e per le spumose onde fur condotti
nel duro scoglio, ed indi al santo ostello;
al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
190
Il servo del Signor del paradiso
raccolse Orlando ed i compagni suoi,
e benedilli con giocondo viso,
e de' lor casi dimandolli poi;
ben che de lor venuta avuto avviso
avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
per ritrovare al suo Oliviero aiuto;
191
ch'era, pugnando per la fé di Cristo,
a periglioso termine ridutto.
Levògli il santo ogni sospetto tristo,
e gli promisse di sanarlo in tutto.
Né d'unguento trovandosi provisto,
né d'altra umana medicina istrutto,
andò alla chiesa, ed orò al Salvatore;
ed indi uscì con gran baldanza fuore:
192
e in nome de le eterne tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtù che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò dal cavalliero ogni passione,
e ritornolli a sanitade il piede,
più fermo e più espedito che mai fosse:
e presente Sobrino a ciò trovosse.
193
Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,
che star peggio ogni giorno se ne sente,
tosto che vede del monaco santo
il miracolo grande ed evidente,
si dispon di lasciar Macon da canto,
e Cristo confessar vivo e potente:
e domanda con cor di fede attrito,
d'iniciarsi al nostro sacro rito.
194
Così l'uom giusto lo battezza, ed anco
gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavallier non manco
di tal conversion letizia fero,
che di veder che liberato e franco
del periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;
e molto in fede e in devozione accrebbe.
195
Era Ruggier dal dì che giunse a nuoto
su questo scoglio, poi statovi ognora.
Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto
sta dolcemente, e li conforta ed ora
a voler, schivi di pantano e loto,
mondi passar per questa morta gora
c'ha nome vita, che sì piace a' sciocchi;
ed alla via del ciel sempre aver gli occhi.
196
Orlando un suo mandò sul legno, e trarne
fece pane e buon vin, cacio e persutti;
e l'uom di Dio, ch'ogni sapor di starne
pose in oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,
per carità mangiar fecero carne,
e ber del vino, e far quel che fer tutti.
Poi ch'alla mensa consolati foro,
di molte cose ragionar tra loro.
197
E come accade nel parlar sovente,
ch'una cosa vien l'altra dimostrando,
Ruggier riconosciuto finalmente
fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
per quel Ruggiero in arme sì eccellente,
il cui valor s'accorda ognun lodando:
né Rinaldo l'avea raffigurato
per quel che provò già ne lo steccato.
198
Ben l'avea il re Sobrin riconosciuto,
tosto che 'l vide col vecchio apparire;
ma volse inanzi star tacito e muto,
che porsi in aventura di fallire.
Poi ch'a notizia agli altri fu venuto
che questo era Ruggier, di cui l'ardire,
la cortesia e 'l valore alto e profondo
si facea nominar per tutto il mondo;
199
e sapendosi già ch'era cristiano,
tutti con lieta e con serena faccia
vengono a lui: chi gli tocca la mano,
e chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbano
d'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso più degli altri, io 'l serbo a dire
ne l'altro canto, se 'l vorrete udire.
CANTO QUARANTAQUATTRESIMO
1
Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
ne le calamitadi e nei disagi,
meglio s'aggiungon d'amicizia i petti,
che fra ricchezze invidiose ed agi
de le piene d'insidie e di sospetti
corti regali e splendidi palagi,
ove la caritade è in tutto estinta,
né si vede amicizia, se non finta.
2
Quindi avvien che tra principi e signori
patti e convenzion son sì frali.
Fan lega oggi re, papi e imperatori;
doman saran nimici capitali:
perché, qual l'apparenze esteriori,
non hanno i cor, non han gli animi tali;
che non mirando al torto più ch'al dritto,
attendon solamente al lor profitto.
3
Questi, quantunque d'amicizia poco
sieno capaci, perché non sta quella
ove per cose gravi, ove per giuoco
mai senza finzion non si favella;
pur, se talor gli ha tratti in umil loco
insieme una fortuna acerba e fella,
in poco tempo vengono a notizia
(quel che in molto non fer) de l'amicizia.
4
Il santo vecchiarel ne la sua stanza
giunger gli ospiti suoi con nodo forte
ad amor vero meglio ebbe possanza,
ch'altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
che non si sciolse mai fin alla morte.
Il vecchio li trovò tutti benigni,
candidi più nel cor, che di fuor cigni.
5
Trovolli tutti amabili e cortesi,
non de la iniquità ch'io v'ho dipinta
di quei che mai non escono palesi,
ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s'eran per adietro offesi
ogni memoria fu tra loro estinta;
e se d'un ventre fossero e d'un seme,
non si potriano amar più tutti insieme.
6
Sopra gli altri il signor di Montalbano
accarezzava e riveria Ruggiero;
sì perché già l'avea con l'arme in mano
provato quanto era animoso e fiero,
sì per trovarlo affabile ed umano
più che mai fosse al mondo cavalliero:
ma molto più, che da diverse bande
si conoscea d'avergli obligo grande.
7
Sapea che di gravissimo periglio
egli avea liberato Ricciardetto,
quando il re ispano gli fe' dar di piglio
e con la figlia prendere nel letto;
e ch'avea tratto l'uno e l'altro figlio
del duca Buovo (com'io v'ho detto)
di man dei Saracini e dei malvagi
ch'eran col maganzese Bertolagi.
8
Questo debito a lui parea di sorte,
ch'ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
e gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
che prima non avea potuto farlo,
quando era l'un ne l'africana corte,
e l'altro agli servigi era di Carlo.
Or che fatto cristian quivi lo trova,
quel che non fece prima, or far gli giova.
9
Proferte senza fine, onore e festa
fece a Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente eremita, come questa
benivolenza vide, adito prese.
Entrò dicendo: - A fare altro non resta
(e lo spero ottener senza contese),
che come l'amicizia è tra voi fatta,
tra voi sia ancora affinità contratta;
10
acciò che de le due progenie illustri
che non han par di nobiltade al mondo,
nasca un lignaggio che più chiaro lustri,
che 'l chiaro sol, per quanto gira a tondo;
e come andran più inanzi ed anni e lustri,
sarà più bello, e durerà (secondo
che Dio m'ispira, acciò ch'a voi nol celi)
fin che terran l'usato corso i cieli.
-
11
E seguitando il suo parlar più inante,
fa il santo vecchio sì, che persuade
che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben che pregar né l'un né l'altro accade.
Loda Olivier col principe d'Anglante,
che far si debba questa affinitade;
il che speran ch'approvi Amone e Carlo,
e debba tutta Francia commendarlo.
12
Così dicean; ma non sapean ch'Amone,
con voluntà del figlio di Pipino,
n'avea dato in quei giorni intenzione
all'imperator greco Costantino,
che gliele domandava per Leone
suo figlio e successor nel gran domìno.
Se n'era, pel valor che n'avea inteso,
senza vederla, il giovinetto acceso.
13
Riposto gli avea Amon, che da sé solo
non era per concludere altramente,
né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da la corte allora assente;
il qual credea che vi verrebbe a volo,
e che di grazia avria sì gran parente:
pur, per molto rispetto che gli avea,
risolver senza lui non si volea.
14
Or Rinaldo lontan dal padre, quella
pratica imperial tutta ignorando,
quivi a Ruggier promette la sorella
di suo parere, e di parer d'Orlando
e degli altri ch'avea seco alla cella,
ma sopra tutti l'eremita instando:
e crede veramente che piacere
debba ad Amon quel parentado avere.
15
Quel dì e la notte, e del seguente giorno
steron gran parte col monaco saggio,
quasi obliando al legno far ritorno,
ben che il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea omai, mandar più d'un messaggio,
che sì li stimular de la partita,
ch'a forza li spiccar da l'eremita.
16
Ruggier che stato era in esilio tanto,
né da lo scoglio avea mai mosso il piede,
tolse licenza da quel mastro santo
ch'insegnata gli avea la vera fede.
La spada Orlando gli rimesse a canto,
l'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
sì per mostrar del suo amor segno espresso,
sì per saper che dianzi erano d'esso.
17
E quantunque miglior ne l'incantata
spada ragione avesse il paladino,
che con pena e travaglio già levata
l'avea dal formidabile giardino,
che non avea Ruggiero a cui donata
dal ladro fu, che gli diè ancor Frontino;
pur volentier gliele donò col resto
de l'arme, tosto che ne fu richiesto.
18
Fur benedetti dal vecchio devoto,
e sul navilio al fin si ritornaro.
I remi all'acqua, e dier le vele al Noto;
e fu lor sì sereno il tempo e chiaro,
che non vi bisognò priego né voto,
fin che nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, ch'io conduca
insieme Astolfo, il glorioso duca.
19
Poi che de la vittoria Astolfo intese,
che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
vedendo che sicura da l'offese
d'Africa oggimai Francia esser potrebbe,
pensò che 'l re de' Nubi in suo paese
con l'esercito suo rimanderebbe
per la strada medesima che tenne
quando contra Biserta se ne venne.
20
L'armata che i pagan roppe ne l'onde,
già rimandata avea il figliuol d'Ugiero;
di cui, nuovo miracolo, le sponde
(tosto che ne fu uscito il popul nero)
e le poppe e le prore mutò in fronde,
e ritornolle al suo stato primiero:
poi venne il vento, e come cosa lieve
levolle in aria, e fe' sparire in breve.
21
Chi a piedi e chi in arcion tutte partita
d'Africa fer le nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
grazia al Senapo ed immortale avere;
che gli venne in persona a dare aita
con ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor ne l'uterino claustro
a portar diede il fiero e turbido austro.
22
Negli utri, dico, il vento diè lor chiuso,
ch'uscir di mezzodì suol con tal rabbia,
che muove a guisa d'onde, e leva in suso,
e ruota fin in ciel l'arrida sabbia;
acciò se lo portassero a lor uso,
che per camino a far danno non abbia;
e che poi, giunti ne la lor regione,
avessero a lassar fuor di prigione.
23
Scrive Turpino, come furo ai passi
de l'alto Atlante, che i cavalli loro
tutti in un tempo diventaron sassi;
sì che, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo è omai ch'Astolfo in Francia passi;
e così, poi che del paese moro
ebbe provisto ai luoghi principali,
all'ippogrifo suo fe' spiegar l'ali.
24
Volò in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna andò nel lito corso;
e quindi sopra il mar la strada tenne,
torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme all'ultimo ritenne
de la ricca Provenza il leggier corso;
dove seguì de l'ippogrifo quanto
gli disse già l'evangelista santo.
25
Hagli commesso il santo evangelista,
che più, giunto in Provenza, non lo sproni;
e ch'all'impeto fier più non resista
con sella e fren, ma libertà gli doni.
Già avea il più basso ciel che sempre acquista
del perder nostro, al corno tolti i suoni;
che muto era restato, non che roco,
tosto ch'entrò 'l guerrier nel divin loco.
26
Venne Astolfo a Marsilia, e venne a punto
il dì che v'era Orlando ed Oliviero
e quel da Montalbano insieme giunto
col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
vietò che i paladini non potero
insieme così a punto rallegrarsi,
come in tanta vittoria dovea farsi.
27
Carlo avea di Sicilia avuto avviso
dei duo re morti e di Sobrino preso,
e ch'era stato Brandimarte ucciso;
poi di Ruggiero avea non meno inteso:
e ne stava col lor lieto e col viso
d'aver gittato intolerabil peso,
che gli fu sopra gli omeri sì greve,
che starà un pezzo pria che si rileve.
28
Per onorar costor ch'eran sostegno
del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli uscì poi col suo drappel più degno
di re e di duci, e con la propria donna,
fuor de le mura, in compagnia di belle
e ben ornate e nobili donzelle.
29
L'imperator con chiara e lieta fronte,
i paladini e gli amici e i parenti,
la nobiltà, la plebe fanno al conte
ed agli altri d'amor segni evidenti:
gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte.
Sì tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero
al signor loro appresentar Ruggiero;
30
e gli narrar che di Ruggier di Risa
era figliuol, di virtù uguale al padre:
se sia animoso e forte, ed a che guisa
sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfisa,
le due compagne nobili e leggiadre:
ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
con più rispetto sta l'altra donzella.
31
L'imperator Ruggier fa risalire,
ch'era per riverenza sceso a piede,
e lo fa a par a par seco venire,
e di ciò ch'a onorarlo si richiede,
un punto sol non lassa preterire.
Ben sapea che tornato era alla fede;
che tosto che i guerrier furo all'asciutto,
certificato avean Carlo del tutto.
32
Con pompa trionfal, con festa grande
tornaro insieme dentro alla cittade,
che di frondi verdeggia e di ghirlande:
coperte a panni son tutte le strade:
nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
e sopra e intorno ai vincitori cade,
che da verroni e da finestre amene
donne e donzelle gittano a man piene.
33
Al volgersi dei canti in vari lochi
trovano archi e trofei subito fatti,
che di Biserta le ruine e i fochi
mostran dipinti, ed altri degni fatti;
altrove palchi con diversi giuochi
e spettacoli e mimmi e scenici atti:
ed è per tutti i canti il titol vero
scritto: - Ai liberatori de l'Impero.
-
34
Fra il suon d'argute trombe e di canore
pifare e d'ogni musica armonia,
fra riso e plauso, iubilo e favore
del populo ch'a pena vi capia,
smontò al palazzo il magno imperatore,
ove più giorni quella compagnia
con torniamenti, personaggi e farse,
danze e conviti attese a dilettarse.
35
Rinaldo un giorno al padre fe' sapere
che la sorella a Ruggier dar volea;
ch'in presenza d'Orlando per mogliere,
e d'Olivier, promessa glie l'avea;
li quali erano seco d'un parere,
che parentado far non si potea
per nobiltà di sangue e per valore,
che fosse a questo par, non che migliore.
36
Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
che, senza conferirlo seco, gli osa
la figlia maritar, ch'esso ha disegno
che del figliuol di Costantin sia sposa,
non di Ruggier, il qual non ch'abbi regno,
ma non può al mondo dir: questa è mia cosa;
né sa che nobiltà poco si prezza,
e men virtù, se non v'è ancor ricchezza.
37
Ma più d'Amon la moglie Beatrice
biasma il figliuolo e chiamalo arrogante;
e in segreto e in palese contradice
che di Ruggier sia moglie Bradamante:
a tutta sua possanza imperatrice
ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato che non vuole
che manchi un iota de le sue parole.
38
La madre, ch'aver crede alle sue voglie
la magnanima figlia, la conforta
che dica che, più tosto ch'esser moglie
d'un pover cavallier, vuole esser morta;
né mai più per figliuola la raccoglie,
se questa ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi pur con audacia, e tenga saldo;
che per sforzar non la sarà Rinaldo.
39
Sta Bradamante tacita, né al detto
de la madre s'arrisca a contradire;
che l'ha in tal riverenza e in tal rispetto,
che non potria pensar non l'ubbidire.
Da l'altra parte terria gran difetto,
se quel che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perché non può; che 'l poco e 'l molto
poter di sé disporre Amor le ha tolto.
40
Né negar, né mostrarsene contenta
s'ardisce; e sol sospira, e non risponde:
poi quando è in luogo ch'altri non la senta,
versan lacrime gli occhi a guisa d'onde;
e parte del dolor che la tormenta,
sentir fa al petto ed alle chiome bionde,
che l'un percuote, e l'altro straccia e frange;
e così parla, e così seco piange:
41
- Ahimè ! vorrò quel che non vuol chi deve
poter del voler mio più che poss'io?
Il voler di mia madre avrò in sì lieve
stima, ch'io lo posponga al voler mio?
Deh! qual peccato puote esser sì grieve
a una donzella, qual biasmo sì rio,
come questo sarà, se, non volendo
chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?
42
Avrà, misera me! dunque possanza
la materna pietà, ch'io t'abandoni,
o mio Ruggiero, e ch'a nuova speranza,
a desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
O pur la riverenza e l'osservanza
ch'ai buoni padri denno i figli buoni,
porrò da parte, e solo avrò rispetto
al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?
43
So quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto
di buona figlia al debito conviensi;
io 'l so: ma che mi val, se non può tanto
la ragion, che non possino più i sensi?
s'Amor la caccia e la far star da canto,
né lassa ch'io disponga, né ch'io pensi
di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
e sol, quanto egli detti, io dica e faccia?
44
Figlia d'Amone e di Beatrice sono,
e son, misera me! serva d'Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
spero e pietà, s'io caderò in errore:
ma s'io offenderò Amor, chi sarà buono
a schivarmi con prieghi il suo furore,
che sol voglia una di mie scuse udire,
e non mi faccia subito morire?
45
Ohimè! con lunga ed ostinata prova
ho cercato Ruggier trarre alla fede;
ed hollo tratto al fin: ma che mi giova,
se 'l mio ben fare in util d'altri cede?
Così, ma non per sé, l'ape rinuova
il mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero,
ch'io pigli altro marito, che Ruggiero.
46
S'io non sarò al mio padre ubbidiente,
né alla mia madre, io sarò al mio fratello,
che molto e molto è più di lor prudente,
né gli ha la troppa età tolto il cervello.
E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora; e per me ho questo e quello:
li quali duo più onora il mondo e teme,
che l'altra nostra gente tutta insieme.
47
Se questi il fior, se questi ognuno stima
la gloria e lo splendor di Chiaramonte;
se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
più che non è del piede alta la fronte;
perché debbo voler che di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e 'l conte?
Voler nol debbo, tanto men, che messa
in dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa.
-
48
Se la donna s'affligge e si tormenta,
né di Ruggier la mente è più quieta;
ch'ancor che di ciò nuova non si senta
per la città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
la qual fruir tanto suo ben gli vieta,
poi che ricchezze non gli ha date e regni,
di che è stata sì larga a mille indegni.
49
Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
aver tanta e tal parte egli si vede,
qual e quanta altri aver mai s'abbia vista;
ch'a sua bellezza ogni bellezza cede,
ch'a sua possanza è raro chi resista:
di magnanimità, di splendor regio
a nessun, più ch'a lui, si debbe il pregio.
50
Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
che, come pare a lui, li leva e dona
(né dal nome del volgo voglio fuori,
eccetto l'uom prudente, trar persona;
che né papi né re né imperatori
non ne tra' scettro, mitra né corona;
ma la prudenza, ma il giudizio buono,
grazie che dal ciel date a pochi sono);
51
questo volgo (per dir quel ch'io vo' dire)
ch'altro non riverisce che ricchezza,
né vede cosa al mondo, che più ammire,
e senza, nulla cura e nulla apprezza,
sia quanto voglia la beltà, l'ardire,
la possanza del corpo, la destrezza,
la virtù, il senno, la bontà; e più in questo
di ch'ora vi ragiono, che nel resto.
52
Dicea Ruggier: - Se pur è Amon disposto
che la figliuola imperatrice sia,
con Leon non concluda così tosto:
almen termine un anno anco mi dia;
ch'io spero intanto, che da me deposto
Leon col padre de l'imperio fia;
e poi che tolto avrò lor le corone,
genero indegno non sarò d'Amone.
53
Ma se fa senza indugio, come ha detto,
suocero de la figlia Costantino;
s'alla promessa non avrà rispetto
di Rinaldo e d'Orlando suo cugino,
fattami inanzi al vecchio benedetto,
al marchese Uliviero, al re Sobrino,
che farò? vo' patir sì grave torto?
o, prima che patirlo, esser pur morto?
54
Deh che farò? farò dunque vendetta
contra il padre di lei di questo oltraggio?
Non miro ch'io non son per farlo in fretta,
o s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma voglio presupor ch'a morte io metta
l'iniquo vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo non mi farà però contento;
anzi in tutto sarà contra il mio intento.
55
E fu sempre il mio intento, ed è, che m'ami
la bella donna, e non che mi sia odiosa:
ma, quando Amone uccida, o facci o trami
cosa al fratello o agli altri suoi dannosa,
non le do iusta causa che mi chiami
nimico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio! più tosto io vo' morire.
56
Anzi non vo' morir; ma vo' che muoia
con più ragion questo Leone Augusto,
venuto a disturbar tanta mia gioia:
o vo' che muoia egli e 'l suo padre ingiusto.
Elena bella all'amator di Troia
non costò sì, né a tempo più vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
ch'al padre e al figlio costi il mio cordoglio.
57
Può esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà tuo padre far che tu lo toglia,
ancor ch'avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, ch'abbi più tosto voglia
d'esser d'accordo con Amon, che meco;
e che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, ch'un privato uom marito.
58
Sarà possibil mai che nome regio,
titolo imperial, grandezza e pompa,
di Bradamante mia l'animo egregio,
il gran valor, l'alta virtù corrompa?
sì ch'abbia da tenere in minor pregio
la data fede, e le promesse rompa?
né più tosto d'Amon farsi nimica,
che quel che detto m'ha, sempre non dica? -
59
Diceva queste ed altre cose molte
ragionando fra sé Ruggiero; e spesso
le dicea in guisa ch'erano raccolte
da chi talor se gli trovava appresso:
sì che il tormento suo più di due volte
era a colei per cui pativa, espresso,
a cui non dolea meno il sentir lui
così doler, che i propri affanni sui.
60
Ma più d'ogni altro duol che le sia detto,
che tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
ch'intende che s'affligge per sospetto
ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, acciò si conforti, e che del petto
questa credenza e questo error si toglia,
per una di sue fide cameriere
gli fe' queste parole un dì sapere:
61
- Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin alla morte, e più, se più si puote.
O siami Amor benigno o m'usi orgoglio,
o me Fortuna in alto o in basso ruote,
immobil son di vera fede scoglio
che d'ogn'intorno il vento e il mar percuote:
né già mai per bonaccia né per verno
luogo mutai, né muterò in eterno.
62
Scarpello si vedrà di piombo o lima
formare in varie imagini diamante,
prima che colpo di Fortuna, o prima
ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante;
e si vedrà tornar verso la cima
de l'alpe il fiume turbido e sonante,
che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino altro viaggio i pensier miei.
63
A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che forse è più ch'altri non crede.
So ben ch'a nuovo principe giurato
non fu di questa mai la maggior fede.
So che né al mondo il più sicuro stato
di questo, re né imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa né torre,
per dubbio ch'altri a voi lo venga a torre.
64
Che, senza ch'assoldiate altra persona,
non verrà assalto a cui non si resista.
Non è ricchezza ad espugnarmi buona,
né sì vil prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltà, né altezza di corona,
ch'al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non beltà, ch'in lieve animo può assai,
vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65
Non avete a temer ch'in forma nuova
intagliare il mio cor mai più si possa:
sì l'imagine vostra si ritrova
sculpita in lui, ch'esser non può rimossa.
Che 'l cor non ho di cera, è fatto prova;
che gli diè cento, non ch'una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
quando all'imagin vostra lo ritrasse.
66
Avorio e gemma ed ogni pietra dura
che meglio da l'intaglio si difende,
romper si può; ma non ch'altra figura
prenda, che quella ch'una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
del marmo o d'altro ch'al ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze,
che lo possa sculpir d'altre bellezze.
-
67
Suggiunse a queste altre parole molte,
piene d'amor, di fede e di conforto,
da ritornarlo in vita mille volte,
se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più de la tempesta tolte
queste speranze esser credeano in porto,
da un nuovo turbo impetuoso e scuro
rispinte in mar, lungi dal lito, furo:
68
però che Bradamante, ch'eseguire
vorria molto più ancor, che non ha detto,
rivocando nel cor l'usato ardire,
e lasciando ir da parte ogni rispetto,
s'appresenta un dì a Carlo, e dice: - Sire,
s'a vostra Maestade alcuno effetto
io feci mai, che le paresse buono,
contenta sia di non negarmi un dono.
69
E prima che più espresso io le lo chieggia,
su la real sua fede mi prometta
farmene grazia; e vorrò poi, che veggia
che sarà iusta la domanda e retta.
-
- Merta la tua virtù che dar ti deggia
ciò che domandi, o giovane diletta
(rispose Carlo); e giuro, se ben parte
chiedi del regno mio, di contentarte.
-
70
- Il don ch'io bramo da l'Altezza vostra,
è che non lasci mai marito darme
(disse la damigella), se non mostra
che più di me sia valoroso in arme.
Con qualunche mi vuol, prima o con giostra
o con la spada in mano ho da provarme.
Il primo che mi vinca, mi guadagni:
chi vinto sia, con altra s'accompagni.
-
71
Disse l'imperator con viso lieto,
che la domanda era di lei ben degna;
e che stesse con l'animo quieto,
che farà a punto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
sì, ch'a notizia altrui tosto non vegna;
e quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all'orecchia.
72
Li quali parimente arser di grande
sdegno contro alla figlia, e di grand'ira;
che vider ben con queste sue domande,
ch'ella a Ruggier più ch'a Leone aspira:
e presti per vietar che non si mande
questo ad effetto, a ch'ella intende e mira,
la levaro con fraude de la corte,
e la menaron seco a Roccaforte.
73
Quest'era una fortezza ch'ad Amone
donato Carlo avea pochi dì inante,
tra Pirpignano assisa e Carcassone,
in loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione
con pensier di mandarla un dì in Levante;
sì ch'ogni modo, voglia ella o non voglia,
lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
74
La valorosa donna, che non meno
era modesta, ch'animosa e forte;
ancor che posto guardia non l'avieno,
e potea entrare e uscir fuor de le porte;
pur stava ubbidiente sotto il freno
del padre: ma patir prigione e morte,
ogni martìre e crudeltà più tosto
che mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
75
Rinaldo, che si vide la sorella
per astuzia d'Amon tolta di mano,
e che dispor non potrà più di quella,
e ch'a Ruggier l'avrà promessa invano;
si duol del padre, e contra a lui favella,
posto il rispetto filial lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
e di sua figlia a modo suo far vuole.
76
Ruggier, che questo sente, ed ha timore
di rimaner de la sua donna privo,
e che l'abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
senza parlarne altrui si mette in core
di far che muoia, e sia d'Augusto, Divo;
e tor, se non l'inganna la sua speme,
al padre e a lui la vita e 'l regno insieme.
77
L'arme che fur già del troiano Ettorre,
e poi di Mandricardo, si riveste,
e fa la sella al buon Frontino porre,
e cimier muta, scudo e sopraveste.
A questa impresa non gli piacque torre
l'aquila bianca nel color celeste,
ma un candido liocorno, come giglio,
vuol ne lo scudo, e 'l campo abbia vermiglio.
78
Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
e quel vuole e non altri in compagnia;
e gli fa commission, che non rivele
in alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e 'l Reno, e passa de le
contrade d'Ostericche, in Ungheria;
e lungo l'Istro per la destra riva
tanto cavalca, ch'a Belgrado arriva.
79
Ove la Sava nel Danubio scende,
e verso il mar maggior con lui dà volta,
vede gran gente in padiglioni e tende
sotto l'insegne imperial raccolta;
che Costantino ricovrare intende
quella città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v'è in persona, e 'l figliuol seco
con quanto può tutto l'imperio greco.
80
Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
e giù fin dove il fiume il piè gli lava,
l'esercito del Bulgari gli è a fronte;
e l'uno e l'altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco per gittare il ponte,
il Bulgar per vietarlo armato stava,
quando Ruggier vi giunse; e zuffa grande
attaccata trovò fra le due bande.
81
I Greci son quattro contr'uno, ed hanno
navi coi ponti da gittar ne l'onda;
e di voler fiero sembiante fanno
passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
dal fiume discostandosi, circonda
molto paese, e poi vi torna, e getta
ne l'altra ripa i ponti, e passa in fretta:
82
e con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(che non n'avea di ventimila un manco),
cavalcò lungo la riviera, e diede
con fiero assalto agl'inimici al fianco.
L'imperator, tosto che 'l figlio vede
sul fiume comparirsi al lato manco,
ponte aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa di là con quanto esercito have.
83
Il capo, il re de' Bulgari Vatrano,
animoso e prudente e pro' guerriero,
di qua e di là s'affaticava invano
per riparare a un impeto sì fiero;
quando cingendol con robusta mano
Leon, gli fe' cader sotto il destriero:
e poi che dar prigion mai non si volse,
con mille spade la vita gli tolse.
84
I Bulgari sin qui fatto avean testa;
ma quando il lor signor si vider tolto,
e crescer d'ogn'intorno la tempesta,
voltar le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta vede, senza pensar molto,
i Bulgari soccorrer si dispone,
perch'odia Costantino e più Leone.
85
Sprona Frontin che sembra al corso un vento,
e inanzi a tutti i corridori passa;
e tra la gente vien, che per spavento
al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
contra i nimici, e poi la lancia abassa;
e con sì fier sembiante il destrier muove,
che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
86
Dinanzi agli altri un cavalliero adocchia,
che riccamato nel vestir vermiglio
avea d'oro e di seta una pannocchia
con tutto il garbo, che parea di miglio;
nipote a Costantin per la sirocchia,
ma che non gli era men caro, che figlio:
gli spezza scudo e osbergo, come vetro,
e fa la lancia un palmo apparir dietro.
87
Lascia quel morto, e Balisarda stringe
verso uno stuol che più si vede appresso;
e contra a questo e contra a quel si spinge,
ed a chi tronco ed a chi il capo ha fesso:
a chi nel petto, a chi nel fianco tinge
il brando, e a chi l'ha ne la gola messo:
taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
e il sangue, come un rio, corre alla valle.
88
Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto più, così n'è ognun smarrito;
sì che si cangia subito la faccia
de la battaglia; che tornando ardito,
il petto volge, e ai Greci dà la caccia
il Bulgaro che dianzi era fuggito:
in un momento ogni ordine disciolto
si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
89
Leone Augusto s'un poggio eminente,
vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
e sbigottito e mesto ponea mente
(perch'era in loco che scopriva il tutto)
al cavallier ch'uccidea tanta gente,
che per lui sol quel campo era distrutto:
e non può far, se ben n'è offeso tanto,
che non lo lodi e gli dia in arme il vanto.
90
Ben comprende all'insegne e sopravesti,
all'arme luminose e ricche d'oro,
che quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici suoi, non sia però di loro.
Stupido mira i soprumani gesti,
e talor pensa che dal sommo coro
sia per punire i Greci un agnol sceso,
che tante e tante volte hanno Dio offeso.
91
E come uom d'alto e di sublime core,
ove l'avrian molt'altri in odio avuto,
egli s'innamorò del suo valore,
né veder fargli oltraggio avria voluto:
gli sarebbe per un de' suoi che muore,
vederne morir sei manco spiaciuto,
e perder anco parte del suo regno,
che veder morto un cavallier sì degno.
92
Come bambin, se ben la cara madre
iraconda lo batte e da sé caccia,
non ha ricorso alla sorella o al padre,
ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia;
così Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l'altre gli minaccia,
non lo può odiar, perch'all'amor più tira
l'alto valor, che quella offesa all'ira.
93
Ma se Leon Ruggiero ammira ed ama,
mi par che duro cambio ne riporte;
che Ruggiero odia lui, né cosa brama
più che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, ed alcun chiama,
che gliele mostri; ma la buona sorte
e la prudenza de l'esperto Greco
non lasciò mai che s'affrontasse seco.
94
Leone, acciò che la sua gente affatto
non fosse uccisa, fe' sonar raccolta;
ed all'imperatore un messo ratto
a pregarlo mandò, che desse volta
e ripassasse il fiume; e che buon patto
n'avrebbe, se la via non gli era tolta:
ed esso con non molti che raccolse,
al ponte ond'era entrato, i passi volse.
95
Molti in poter de' Bulgari restaro
per tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
e vi restavan tutti, se 'l riparo
non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cader dai ponti e s'affogaro;
e molti, senza mai volgere i visi,
quindi lontano iro a trovare il guado;
e molti fur prigion tratti in Belgrado.
96
Finita la battaglia di quel giorno,
ne la qual, poi che il lor signor fu estinto,
danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
se per lor non avesse il guerrier vinto,
il buon guerrier che 'l candido liocorno
ne lo scudo vermiglio avea dipinto;
a lui si trasson tutti, da cui questa
vittoria conoscean, con gioia e festa.
97
Uno il saluta, un altro se gl'inchina,
altri la mano, altri gli bacia il piede:
ognun, quanto più può, se gli avvicina,
e beato si tien chi appresso il vede,
e più chi 'l tocca; che toccar divina
e sopranatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
che sia lor re, lor capitan, lor guida.
98
Ruggier rispose lor, che capitano
e re sarà, quel che fia lor più a grado;
ma né a baston né a scettro ha da por mano,
né per quel giorno entrar vuole in Belgrado:
che prima che si faccia più lontano
Leon Augusto, e che ripassi il guado,
lo vuol seguir, né torsi da la traccia,
fin che nol giunga e che morir nol faccia;
99
che mille miglia e più, per questo solo
era venuto, e non per altro effetto.
Così senza indugiar lascia lo stuolo,
e si volge al camin che gli vien detto,
che verso il ponte fa Leone a volo,
forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l'orma in tanta fretta,
che 'l suo scudier non chiama e non aspetta.
100
Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(fuggir si può ben dir, più che ritrarse),
che trova aperto e libero il passaggio;
poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio
era del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca inanzi, che lucea la luna,
né mai trova castel né villa alcuna.
101
Perché non sa dove si por, camina
tutta la notte, né d'arcion mai scende.
Ne lo spuntar del nuovo sol vicina
a man sinistra una città comprende;
ove di star tutto quel dì destina,
acciò l'ingiuria al suo Frontino emende,
a cui, senza posarlo o trargli briglia,
la notte fatto avea far tante miglia.
102
Ungiardo era signor di quella terra,
suddito e caro a Costantino molto,
ove avea per cagion di quella guerra
da cavallo e da piè buon numer tolto.
Quivi ove altrui l'entrata non si serra,
entra Ruggiero, e v'è sì ben raccolto,
che non gli accade di passar più avante
per aver miglior loco e più abondante.
103
Nel medesimo albergo in su la sera
un cavallier di Romania alloggiosse,
che si trovò ne la battaglia fiera,
quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
ed a pena di man fuggito gli era,
ma spaventato più ch'altri mai fosse;
sì ch'ancor triema, e pargli ancora intorno
avere il cavallier dal liocorno.
104
Conosce, tosto che lo scudo vede,
che 'l cavallier che quella insegna porta,
è quel che la sconfitta ai Greci diede,
per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo, ed udienza chiede,
per dire a quel signor cosa ch'importa;
e subito intromesso, dice quanto
io mi riserbo a dir ne l'altro canto.
CANTO QUARANTACINQUESIMO
1
Quanto più su l'instabil ruota vedi
di Fortuna ire in alto il miser uomo,
tanto più tosto hai da vedergli i piedi
ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policràte, e il re di
Lidia, e Dionigi, ed altri ch'io non nomo,
che ruinati son da la suprema
gloria in un dì ne la miseria estrema.
2
Così all'incontro, quanto più depresso,
quanto è più l'uom di questa ruota al fondo,
tanto a quel punto più si trova appresso,
ch'a da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
che l'altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio l'hanno mostro
al tempo antico, e il re Luigi al nostro:
3
il re Luigi, suocero del figlio
del duca mio; che rotto a Santo Albino,
e giunto al suo nimico ne l'artiglio,
a restar senza capo fu vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
non molto inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi l'un, de' Franchi passato quel punto,
l'altro al regno degli Ungari fu assunto.
4
Si vede per gli esempi di che piene
sono l'antiche e le moderne istorie,
che 'l ben va dietro al male, e 'l male al bene,
e fin son l'un de l'altro e biasmi e glorie;
e che fidarsi a l'uom non si conviene
in suo tesor, suo regno e sue vittorie,
né disperarsi per Fortuna avversa,
che sempre la sua ruota in giro versa.
5
Ruggier per la vittoria ch'avea avuto
di Leone e del padre imperatore,
in tanta confidenza era venuto
di sua fortuna e di suo gran valore,
che senza compagnia, senz'altro aiuto,
di poter egli sol gli dava il core
fra cento a piè e a cavallo armate squadre
uccider di sua mano il figlio e il padre.
6
Ma quella, che non vuol che si prometta
alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni,
come tosto alzi e tosto al basso metta,
e tosto avversa e tosto amica torni.
Lo fe' conoscer quivi da chi in fretta
a procacciargli andò disagi e scorni,
dal cavallier che ne la pugna fiera
di man fuggito a gran fatica gli era.
7
Costui fece ad Ungiardo saper, come
quivi il guerrier ch'avea le genti rotte
di Costantino e per molt'anni dome,
stato era il giorno, e vi staria la notte;
e che Fortuna presa per le chiome,
senza che più travagli o che più lotte,
darà al suo re, se fa costui prigione;
ch'a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8
Ungiardo da la gente, che fuggita
de la battaglia, a lui s'era ridutta
(ch'a parte a parte v'arrivò infinita,
perch'al ponte passar non potea tutta),
sapea come la strage era seguita,
che la metà de' Greci avea distrutta;
e come un cavallier solo era stato,
ch'un campo rotto, e l'altro avea salvato:
9
e che sia da se stesso senza caccia
venuto a dar del capo ne la rete,
si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
poi manda le sue gente chete chete,
e fa il buon cavallier, ch'alcun sospetto
di questo non avea, prender nel letto.
10
Accusato Ruggier dal proprio scudo,
ne la città di Novengrado resta
prigion d'Ungiardo, il più d'ogni altro crudo,
che fa di ciò maravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poi che gli è nudo,
ed è legato già, quando si desta?
Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta
a dar la nuova a Costantino in fretta.
11
Avea levato Costantin la notte
da le ripe di Sava ogni sua schiera;
e seco a Beleticche avea ridotte,
che città del cognato Androfilo era,
padre di quello a cui forate e rotte
(come se state fossino di cera)
al primo incontro l'arme avea il gagliardo
cavallier, or prigion del fiero Ungiardo.
12
Quivi fortificar facea le mura
l'imperatore, e riparar le porte;
che de' Bulgari ben non s'assicura,
che con la guida d'un guerrier sì forte
non gli faccino peggio che paura,
e 'l resto ponghin di sua gente a morte.
Or che l'ode prigion, né quelli teme,
né se con lor sia il mondo tutto insieme.
13
L'imperator nuota in un mar di latte,
né per letizia sa quel che si faccia.
- Ben son le genti bulgare disfatte, -
dice con lieta e con sicura faccia.
Come de la vittoria, chi combatte,
se troncasse al nimico ambe le braccia,
certo saria, così n'è certo, e gode
l'imperator, poi che 'l guerrier preso ode.
14
Non ha minor cagion di rallegrarsi
del padre il figlio; ch'oltre che si spera
di racquistar Belgrado, e soggiugarsi
ogni contrada che de' Bulgari era;
disegna anco il guerriero amico farsi
con benefici, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
ha da invidiar, se gli è costui compagno.
15
Da questa voglia è ben diversa quella
di Teodora, a chi 'l figliuolo uccise
Ruggier con l'asta che da la mammella
passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella,
costei si gittò a' piedi, e gli conquise
e intenerigli il cor d'alta pietade
col largo pianto che nel sen le cade.
16
- Io non mi leverò da questi piedi
(diss'ella), signor mio, se del fellone
ch'uccise il mio figliuol, non mi conciedi
di vendicare, or che l'abbiàn prigione.
Oltre che stato t'è nipote, vedi
quanto t'amò, vedi quant'opre buone
ha per te fatto, e vedi s'avrai torto
di non lo vendicar di chi l'ha morto.
17
Vedi che per pietà del nostro duolo
ha Dio fatto levar da la campagna
questo crudele, e come augello a volo,
a dar ce l'ha condotto ne la ragna,
acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento
ch'io disacerbi il mio col suo tormento.
-
18
Così ben piange, e così ben si duole,
e così bene ed efficace parla;
né dai piedi levar mai se gli vuole,
ben che tre volte e quattro per levarla
usasse Costantino atti e parole;
ch'egli è forzato al fin di contentarla:
e così comandò che si facesse
colui condurre, e in man di lei si desse.
19
E per non fare in ciò lunga dimora,
condotto hanno il guerrier del liocorno,
e dato in mano alla crudel Teodora,
che non vi fu intervallo più d'un giorno.
Il far che sia squartato vivo, e muora
publicamente con obbrobrio e scorno,
poca pena le pare, e studia e pensa
altra trovarne inusitata e immensa.
20
La femina crudel lo fece porre,
incatenato e mani e piedi e collo,
nel tenebroso fondo d'una torre,
ove mai non entrò raggio d'Apollo.
Fuor ch'un poco di pan muffato, torre
gli fe' ogni cibo, e senza ancor lassollo
duo dì talora; e lo diè in guardia a tale,
ch'era di lei più pronto a fargli male.
21
Oh! se d'Amon la valorosa e bella
figlia, oh se la magnanima Marfisa
avesse avuto di Ruggier novella,
ch'in prigion tormentasse a questa guisa;
per liberarlo saria questa e quella
postasi al rischio di restarne uccisa;
né Bradamante avria, per dargli aiuto,
a Beatrice o Amon rispetto avuto.
22
Re Carlo intanto avendo la promessa
a costei fatta in mente, che consorte
dar non le lascierà, che sia men d'essa
al paragon de l'arme ardito e forte;
questa sua voluntà con trombe espressa
non solamente fe' ne la sua corte,
ma in ogni terra al suo imperio soggetta;
onde la fama andò pel mondo in fretta.
23
Questa condizion contiene il bando:
chi la figlia d'Amon per moglie vuole,
star con lei debba a paragon del brando
da l'apparire al tramontar del sole;
e fin a questo termine durando,
e non sia vinto, senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda,
né possa ella negar che non lo prenda;
24
e che l'eletta ella de l'arme dona,
senza mirar chi sia di lor, che chiede.
E lo potea ben far, perch'era buona
con tutte l'arme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la Corona
non può né vuole, al fin sforzato cede;
e ritornare a corte si consiglia,
dopo molti discorsi, egli e la figlia.
25
Ancor che sdegno e colera la madre
contra la figlia avea, pur per suo onore
vesti le fece far ricche e leggiadre
a varie fogge e di più d'un colore.
Bradamante alla corte andò col padre;
e quando quivi non trovò il suo amore,
più non le parve quella corte, quella
che le solea parer già così bella.
26
Come chi visto abbia, l'aprile o il maggio,
giardin di frondi e di bei fiori adorno,
e lo rivegga poi che 'l sol il raggio
all'austro inchina, e lascia breve il giorno,
lo trova deserto, orrido e selvaggio;
così pare alla donna al suo ritorno,
che da Ruggier la corte abandonata
quella non sia, ch'avea al partir lasciata.
27
Domandar non ardisce che ne sia,
acciò di sé non dia maggior sospetto;
ma pon l'orecchia, e cerca tuttavia
che senza domandar le ne sia detto.
Si sa ch'egli è partito, ma che via
pres'abbia, non fa alcun vero concetto;
perché partendo ad altri non fe' motto,
ch'allo scudier che seco avea condotto.
28
Oh come ella sospira! oh come teme,
sentendo che se n'è come fuggito!
Oh come sopra ogni timor le preme,
che per porla in oblio se ne sia gito!
che vistosi Amon contra, ed ogni speme
perduta mai più d'esserle marito,
si sia fatto da lei lontano, forse
così sperando dal suo amor disciorse;
29
e che fatt'abbia ancor qualche disegno,
per più tosto levarsela dal core,
d'andar cercando d'uno in altro regno
donna per cui si scordi il primo amore,
come si dice che si suol d'un legno
talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier ch'a questo poi succede,
le dipinge Ruggier pieno di fede;
30
e lei, che dato orecchie abbia, riprende,
a tanta iniqua suspizione e stolta.
E così l'un pensier Ruggier difende,
l'altro l'accusa: ed ella amenduo ascolta,
e quando a questo e quando a quel s'apprende,
né risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all'opinion più tosto corre,
che più le giova, e la contraria aborre.
31
E talor anco che le torna a mente
quel che più volte il suo Ruggier le ha detto,
come di grave error, si duole e pente,
ch'avuto n'abbia gelosia e sospetto;
e come fosse al suo Ruggier presente,
chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
- Ho fatto error (dice ella), e me n'aveggio;
ma chi n'è causa, è causa ancor di peggio.
32
Amor n'è causa, che nel cor m'ha impresso
la forma tua così leggiadra e bella;
e posto ci ha l'ardir, l'ingegno appresso,
e la virtù di che ciascun favella;
ch'impossibil mi par, ch'ove concesso
ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
di sciorti dal mio amore e al suo legarte.
33
Deh avesse Amor così nei pensier miei
il tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
Io son ben certa che lo troverei
palese tal, qual io lo stimo occulto;
e che sì fuor di gelosia sarei,
ch'ad or ad or non mi farebbe insulto;
e dove a pena or è da me respinta,
rimarria morta, non che rotta e vinta.
34
Son simile all'avar c'ha il cor sì intento
al suo tesoro, e sì ve l'ha sepolto,
che non ne può lontan viver contento,
né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, ch'io non ti veggo e sento,
in me, più de la speme, il timor molto,
il qual ben che bugiardo e vano io creda,
non posso far di non mi dargli in preda.
35
Ma non apparirà il lume sì tosto
agli occhi miei del tuo viso giocondo,
contra ogni mia credenza a me nascosto,
non so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come il falso timor sarà deposto
da la vera speranza e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
la speme che 'l timor quasi m'ha morta!
36
Come al partir del sol si fa maggiore
l'ombra, onde nasce poi vana paura;
e come all'apparir del suo splendore
vien meno l'ombra, e 'l timido assicura:
così senza Ruggier sento timore;
se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
che 'l timor la speranza in tutto opprima!
37
Come la notte ogni fiammella è viva,
e riman spenta subito ch'aggiorna;
così, quando il mio sol di sé mi priva,
mi leva incontra il rio timor le corna:
ma non sì tosto all'orizzonte arriva,
che 'l timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il rio timor che mi consume!
38
Se 'l sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto di bello avea la terra asconde;
fremono i venti, e portan ghiacci e nievi;
non canta augel, né fior si vede o fronde:
così, qualora avvien che da me levi,
o mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille timori, e tutti iniqui, fanno
un aspro verno in me più volte l'anno.
39
Deh torna a me, mio sol, torna, e rimena
la desiata dolce primavera!
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia sì nubilosa e nera.
-
Qual Progne si lamenta o Filomena
ch'a cercar esca ai figliolini ita era,
e trova il nido voto; o qual si lagna
turture c'ha perduto la compagna:
40
tal Bradamante si dolea, che tolto
le fosse stato il suo Ruggier temea,
di lacrime bagnando spesso il volto,
ma più celatamente che potea.
Oh quanto, quanto si dorria più molto,
s'ella sapesse quel che non sapea,
che con pena e con strazio il suo consorte
era in prigion, dannato a crudel morte!
41
La crudeltà ch'usa l'iniqua vecchia
contra il buon cavallier che preso tiene,
e che di dargli morte s'apparecchia
con nuovi strazi e non usate pene,
la superna Bontà fa ch'all'orecchia
del cortese figliuol di Cesar viene;
e che gli mette in cor, come l'aiute,
e non lasci perir tanta virtute.
42
Il cortese Leon che Ruggiero ama
(non che sappi però che Ruggier sia),
mosso da quel valor ch'unico chiama,
e che gli par che soprumano sia,
molto fra sé discorre, ordisce e trama,
e di salvarlo al fin trova la via,
in guisa che da lui la zia crudele
offesa non si tenga e si querele.
43
Parlò in secreto a chi tenea la chiave
de la prigione; e che volea, gli disse,
vedere il cavallier pria che sì grave
sentenza, contra lui data, seguisse.
Giunta la notte, un suo fedel seco have
audace e forte, ed atto a zuffe e a risse;
e fa che 'l castellan, senz'altrui dire
ch'egli fosse Leon, gli viene aprire.
44
Il castellan, senza ch'alcun de' sui
seco abbia, occultamente Leon mena
col compagno alla torre ove ha colui
che si serba all'estrema d'ogni pena.
Giunti là dentro, gettano amendui
al castellan che volge lor la schena
per aprir lo sportello, al collo un laccio,
e subito gli dan l'ultimo spaccio.
45
Apron la cataratta, onde sospeso
al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
là dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s'una grata steso
lo trova, all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria in un mese e in termine più corto,
per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
46
Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
e dice: - Cavallier, la tua virtude
indissolubilmente a te m'allaccia
di voluntaria eterna servitute;
e vuol che più il tuo ben, che 'l mio, mi piaccia,
né curi per la tua la mia salute,
e che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti io m'abbia al mondo, io metta inanti.
47
Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
di Costantin, che vengo a darti aiuto,
come vedi, in persona, con periglio
(se mai dal padre mio sarà saputo)
d'esser cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente esser da lui veduto;
che per la gente la qual rotta e morta
da te gli fu a Belgrado, odio ti porta.
-
48
E seguitò, più cose altre dicendo
da farlo ritornar da morte a vita;
e lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli dice: - Io v'ho grazia infinita;
e questa vita ch'or mi date, intendo
che sempremai vi sia restituita,
che la vogliate riavere, ed ogni
volta che per voi spenderla bisogni.
-
49
Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
e in vece sua morto il guardian rimase;
né conosciuto egli né gli altri furo.
Leon menò Ruggiero alle sue case,
ove a star seco tacito e sicuro
per quattro o per sei dì gli persuase;
che riaver l'arme e 'l destrier gagliardo
gli faria intanto, che gli tolse Ungiardo.
50
Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato
si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato;
ne parla ognun, né però alcun s'appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
più tosto si saria, che di Leone;
che pare a molti ch'avria causa avuto
di farne strazio, e non di dargli aiuto.
51
Riman di tanta cortesia Ruggiero
confuso sì, sì pien di maraviglia,
e tramutato sì da quel pensiero
che quivi tratto l'avea tante miglia,
che mettendo il secondo col primiero,
né a questo quel, né questo a quel simiglia.
Il primo tutto era odio, ira e veneno;
di pietade è il secondo e d'amor pieno.
52
Molto la notte e molto il giorno pensa,
d'altro non cura ed altro non disia,
che da l'obbligazion che gli avea immensa,
sciorsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
in lui servire, o breve o lunga sia,
e se s'espone a mille morti certe,
non gli può tanto far, che più non merte.
53
Venuta quivi intanto era la nuova
del bando ch'avea fatto il re di Francia,
che chi vuol Bradamante, abbia a far prova
con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon sì poco giova,
che se gli vede impallidir la guancia;
perché, come uom che le sue forze ha note,
sa ch'a lei pare in arme esser non puote.
54
Fra sé discorre, e vede che supplire
può con l'ingegno, ove il vigor sia manco,
facendo con sue insegne comparire
questo guerrier di cui non sa il nome anco;
che di possanza iudica e d'ardire
poter star contra a qualsivoglia Franco:
e crede ben, s'a lui ne dà l'impresa,
che ne fia vinta Bradamante e presa.
55
Ma due cose ha da far: l'una, disporre
il cavallier, che questa impresa accetti;
l'altra, nel campo in vece sua lui porre
in modo che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama, e 'l caso gli discorre,
e pregal poi con efficaci detti,
ch'egli sia quel ch'a questa pugna vegna
col nome altrui, sotto mentita insegna.
56
L'eloquenza del Greco assai potea;
ma più de l'eloquenza potea molto
l'obbligo grande che Ruggier gli avea,
da mai non ne dovere essere isciolto:
sì che quantunque duro gli parea,
e non possibil quasi; pur con volto,
più che con cor giocondo, gli rispose
ch'era per far per lui tutte le cose.
57
Ben che da fier dolor, tosto che questa
parola ha detta, il cor ferir si senta,
che giorno e notte e sempre lo molesta,
sempre l'affligge e sempre lo tormenta,
e vegga la sua morte manifesta;
pur è mai per dir che se ne penta;
che prima ch'a Leon non ubbidire,
mille volte, non ch'una, è per morire.
58
Ben certo è di morir; perché, se lascia
la donna, ha da lasciar la vita ancora:
o che l'accorerà il duolo e l'ambascia;
o se 'l duolo e l'ambascia non l'accora,
con le man proprie squarcerà la fascia
che cinge l'alma, e ne la trarrà fuora;
ch'ogni altra cosa più facil gli fia,
che poter lei veder, che sua non sia.
59
Gli è di morir disposto; ma che sorte
di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
e porger nudo alla donzella il fianco;
che non fu mai la più beata morte,
che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
sia di Leon, che l'obbligo non scioglie:
60
perché ha promesso contra Bradamante
entrare in campo a singular battaglia;
non simulare, e farne sol sembiante,
sì che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque starà nel detto suo costante;
e ben che or questo or quel pensier l'assaglia,
tutti li scaccia, e solo a questo cede,
il qual l'esorta a non mancar di fede.
61
Avea già fatto apparecchiar Leone,
con licenza del patre Costantino,
arme e cavalli, e un numer di persone
qual gli convenne, e entrato era in camino;
e seco avea Ruggiero, a cui le buone
arme avea fatto rendere e Frontino:
e tanto un giorno e un altro e un altro andaro
ch'in Francia ed a Parigi si trovaro.
62
Non volse entrar Leon ne la cittate,
e i padiglioni alla campagna tese;
e fe' il medesmo dì per imbasciate,
che di sua giunta il re di Francia intese.
L'ebbe il re caro; e gli fu più fiate,
donando e visitandolo, cortese.
De la venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò che l'espedisse:
63
ch'entrar facesse in campo la donzella
che marito non vuol di lei men forte;
quando venuto era per fare o ch'ella
moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l'assunto, e fece quella
comparir l'altro dì fuor de le porte,
ne lo steccato che la notte sotto
all'alte mura fu fatto di botto.
64
La notte ch'andò inanzi al terminato
giorno de la battaglia, Ruggiero ebbe
simile a quella che suole il dannato
aver, che la matina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
perch'esser conosciuto non vorrebbe;
né lancia né destriero adoprar volse,
né, fuor che 'l brando, arme d'offesa tolse.
65
Lancia non tolse; non perché temesse
di quella d'or, che fu de l'Argalia,
e poi d'Astolfo a cui costei successe,
che far gli arcion votar sempre solia:
perché nessun, ch'ella tal forza avesse,
o fosse fatta per negromanzia,
avea saputo, eccetto quel re solo
che far la fece e la donò al figliuolo.
66
Anzi Astolfo e la donna, che portata
l'aveano poi, credean che non l'incanto,
ma la propria possanza fosse stata,
che dato loro in giostra avesse il vanto;
e che con ogni altra asta ch'incontrata
fosse da lor, farebbono altretanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra,
è per non far del suo Frontino mostra:
67
che lo potria la donna facilmente
conoscer, se da lei fosse veduto;
però che cavalcato, e lungamente
in Montalban l'avea seco tenuto.
Ruggier che solo studia e solo ha mente
come da lei non sia riconosciuto,
né vuol Frontin, né vuol cos'altra avere,
che di far di sé indizio abbia potere.
68
A questa impresa un'altra spada volle;
che ben sapea che contra a Balisarda
saria ogn'osbergo, come pasta, molle;
ch'alcuna tempra quel furor non tarda:
e tutto 'l taglio anco a quest'altra tolle
con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme Ruggiero al primo lampo
ch'apparve all'orizzonte, entrò nel campo.
69
E per parer Leon, le sopraveste
che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
e l'aquila de l'or con le due teste
porta dipinta ne lo scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
finzion; ch'era ugualmente grande e grosso
l'un come l'altro.
Appresentossi l'uno;
l'altro non si lasciò veder d'alcuno.
70
Era la voluntà de la donzella
da quest'altra diversa di gran lunga;
che, se Ruggier su la spada martella
per rintuzzarla, che non tagli o punga,
la sua la donna aguzza, e brama ch'ella
entri nel ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi ogni colpo sì ben tagli e fore,
che vada sempre a ritrovargli il core.
71
Qual su le mosse il barbaro si vede,
che 'l cenno del partir fugoso attende,
né qua né là poter fermare il piede,
gonfiar le nare, e che l'orecchie tende;
tal l'animosa donna che non crede
che questo sia Ruggier con chi contende,
aspettando la tromba, par che fuoco
ne le vene abbia, e non ritrovi loco.
72
Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
subito segue, che sozzopra volve
l'ondoso mare, e leva in un momento
da terra fin al ciel l'oscura polve;
fuggon le fiere, e col pastor l'armento;
l'aria in grandine e in pioggia si risolve;
udito il segno la donzella, tale
stringe la spada, e 'l suo Ruggiero assale.
73
Ma non più quercia antica, o grosso muro
di ben fondata torre a borea cede,
né più all'irato mar lo scoglio duro,
che d'ogni intorno il dì e la notte il fiede;
che sotto l'arme il buon Ruggier sicuro,
che già al troiano Ettòr Vulcano diede,
ceda all'odio e al furor che lo tempesta
or ne' fianchi, or nel petto, or ne la testa.
74
Quando di taglio la donzella, quando
mena di punta; e tutta intenta mira
ove cacciar tra ferro e ferro il brando,
sì che si sfoghi e disacerbi l'ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
quando di qua, quando di là s'aggira;
e si rode e si duol che non le avegna
mai fatta alcuna cosa che disegna.
75
Come chi assedia una città che forte
sia di buon fianchi e di muraglia grossa,
spesso l'assalta, or vuol batter le porte,
or l'alte torri, or atturar la fossa;
e pone indarno le sue genti a morte,
né via sa ritrovar ch'entrar vi possa:
così molto s'affanna e si travaglia,
né può la donna aprir piastra né maglia.
76
Quando allo scudo e quando al buon elmetto,
quando all'osbergo fa gittar scintille
con colpi ch'alle braccia, al capo, al petto
mena dritti e riversi, e mille e mille,
e spessi più, che sul sonante tetto
la grandine far soglia de le ville.
Ruggier sta su l'avviso, e si difende
con gran destrezza, e lei mai non offende.
77
Or si ferma, or volteggia, or si ritira,
e con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, ed or la spada gira
ove girar la man nimica vede.
O lei non fere, o se la fere, mira
ferirla in parte ove men nuocer crede.
La donna, prima che quel dì s'inchine,
brama di dare alla battaglia fine.
78
Si ricordò del bando, e si ravvide
del suo periglio, se non era presta;
che se in un dì non prende o non uccide
il suo domandator, presa ella resta.
Era già presso ai termini d'Alcide
per attuffar nel mar Febo la testa,
quando ella cominciò di sua possanza
a difidarsi, e perder la speranza.
79
Quanto mancò più la speranza, crebbe
tanto più l'ira, e radoppiò le botte;
che pur quell'arme rompere vorrebbe,
ch'in tutto un dì non avea ancora rotte:
come colui ch'al lavorio che debbe,
sia stato lento, e già vegga esser notte,
s'affretta indarno, si travaglia e stanca,
fin che la forza a un tempo e il dì gli manca.
80
O misera donzella, se costui
tu conoscessi, a cui dar morte brami,
se lo sapessi esser Ruggier, da cui
de la tua vita pendono li stami;
so ben ch'uccider te, prima che lui,
vorresti; che di te so che più l'ami:
e quando lui Ruggiero esser saprai,
di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
81
Carlo e molt'altri seco, che Leone
esser costui credeansi, e non Ruggiero,
veduto come in arme, al paragone
di Bradamante, forte era e leggiero;
e, senza offender lei, con che ragione
difender si sapea; mutan pensiero,
e dicon: - Ben convengono amendui;
ch'egli è di lei ben degno, ella di lui.
-
82
Poi che Febo nel mar tutt'è nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
giudica che la donna per suo sposo
prenda Leon, ne ricusar lo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo,
senz'elmo trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra un picciol ronzin torna in gran fretta
ai padiglioni ove Leon l'aspetta.
83
Gittò Leone al cavallier le braccia
duo volte e più fraternamente al collo;
e poi, trattogli l'elmo da la faccia,
di qua e di là con grande amor baciollo.
- Vo' (disse) che di me sempre tu faccia
come ti par; che mai trovar satollo
non mi potrai, che me e lo stato mio
spender tu possa ad ogni tuo disio.
84
Né veggo ricompensa che mai questa
obligazion ch'io t'ho, possi disciorre;
e non, s'ancora io mi levi di testa
la mia corona, e a te la venghi a porre.
-
Ruggier, di cui la mente ange e molesta
alto dolore, e che la vita aborre,
poco risponde, e l'insegne gli rende,
che n'avea aute, e 'l suo liocorno prende.
85
E stanco dimostrandosi e svogliato,
più tosto che poté, da lui levosse;
ed al suo alloggiamento ritornato,
poi che fu mezzanotte, tutto armosse;
e sellato il destrier, senza commiato,
e senza che d'alcun sentito fosse,
sopra vi salse, e si drizzò al camino
che più piacer gli parve al suo Frontino.
86
Frontino or per via dritta or per via torta,
quando per selve e quando per campagna
il suo signor tutta la notte porta,
che non cessa un momento che non piagna:
chiama la morte, e in quella si conforta,
che l'ostinata doglia sola fragna;
né vede, altro che morte, chi finire
possa l'insopportabil suo martire.
87
- Di chi mi debbo, ohimè! (dicea) dolere,
che così m'abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh, s'io non vo' l'ingiuria sostenere
senza vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuor che me stesso, altri non so vedere,
che m'abbia offeso ed in miseria volto.
Io m'ho dunque di me contra a me stesso
da vendicar, c'ho tutto il mal commesso.
88
Pur, quando io avessi fatto solamente
a me l'ingiuria, a me forse potrei
donar perdon, se ben difficilmente;
anzi vo' dir che far non lo vorrei:
or quanto, poi che Bradamante sente
meco l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando bene a me ancora io perdonassi,
lei non convien ch'invendicata lassi.
89
Per vendicar lei dunque debbo e voglio
ogni modo morir, né ciò mi pesa;
ch'altra cosa non so ch'al mio cordoglio,
fuor che la morte, far possa difesa.
Ma sol, ch'allora io non mori', mi doglio,
che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice, s'io moriva allora
ch'era prigion de la crudel Teodora!
90
Se ben m'avesse ucciso, tormentato
prima ad arbitrio di sua crudeltade,
da Bradamante almeno avrei sperato
di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprà ch'avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
io me ne sia, perch'egli l'abbia, privo;
avrà ragion d'odiarmi e morto e vivo.
-
91
Questo dicendo e molte altre parole
che sospiri accompagnano e singulti,
si trova all'apparir del nuovo sole
fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
e perché è disperato, e morir vuole,
e, più che può, che 'l suo morir s'occulti,
questo luogo gli par molto nascosto,
ed atto a far quant'ha di sé disposto.
92
Entra nel folto bosco, ove più spesse
l'ombrose frasche e più intricate vede;
ma Frontin prima al tutto sciolto messe
da sé lontano, e libertà gli diede.
- O mio Frontin (gli disse), s'a me stesse
di dare a' merti tuoi degna mercede,
avresti a quel destrier da invidiar poco,
che volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
93
Cillaro, so, non fu, non fu Arione
di te miglior, né meritò più lode;
né alcun altro destrier di cui menzione
fatta da' Greci o da' Latini s'ode.
Se ti fur par ne l'altre parti buone,
di questa so ch'alcun di lor non gode,
di potersi vantar ch'avuto mai
abbia il pregio e l'onor che tu avuto hai;
94
poi ch'alla più che mai sia stata o sia
donna gentile e valorosa e bella
sì caro stato sei, che ti nutria,
e di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alla mia donna: ah perché mia
la dirò più, se mia non è più quella?
s'io l'ho donata ad altri? Ohimè! che cesso
di volger questa spada ora in me stesso?
95
Se Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
e le fere e gli augelli a pietà muove
(ch'altri non è che questi gridi senta
né vegga il pianto che nel sen gli piove),
non dovete pensar che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
poi che scusa non ha che la difenda,
o più l'indugi, che Leon non prenda.
96
Ella, prima ch'avere altro consorte
che 'l suo Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
mancar del detto suo; Carlo e la corte,
i parenti e gli amici inimicarsi:
e quando altro non possa, al fin la morte
o col veneno o con la spada darsi;
che le par meglio assai non esser viva,
che, vivendo, restar di Ruggier priva.
97
- Deh, Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote esser che tu sia tanto discosto,
che tu non abbi questo bando udito,
a nessun altro, fuor ch'a te, nascosto?
Se tu 'l sapesse, io so che comparito
nessun altro saria di te più tosto.
Misera me! ch'altro pensar mi deggio,
se non quel che pensar si possa peggio?
98
Come è, Ruggier, possibil che tu solo
non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso l'hai, né sei venuto a volo,
come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
di Costantin t'avrà alcun laccio teso;
il traditor t'avrà chiusa la via,
acciò prima di lui tu qui non sia.
99
Da Carlo impetrai grazia, ch'a nessuno
men di me forte avessi ad esser data,
con credenza che tu fossi quell'uno
a cui star contra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno:
ma de l'audacia mia m'ha Dio pagata;
poi che costui che mai più non fe' impresa
d'onore in vita sua, così m'ha presa.
100
Se però presa son per non avere
uccider lui né prenderlo potuto;
il che non mi par giusto; né al parere
mai son per star, ch'in questo ha Carlo avuto.
So ch'incostante io mi farò tenere,
se da quel c'ho già detto ora mi muto;
ma né la prima son né la sezzaia,
la qual paruta sia incostante, e paia.
101
Basti che nel servar fede al mio amante,
d'ogni scoglio più salda mi ritrovi,
e passi in questo di gran lunga quante
mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dichino incostante,
non curo, pur che l'incostanza giovi:
pur ch'io non sia di costui torre astretta,
volubil più che foglia anco sia detta.
-
102
Queste parole ed altre, ch'interrotte
da sospiri e da pianti erano spesso,
seguì dicendo tutta quella notte
ch'all'infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimerie grotte
con l'ombre sue Notturno fu rimesso,
il ciel, ch'eternamente avea voluto
farla di Ruggier moglie, le diè aiuto.
103
Fe' la mattina la donzella altiera
Marfisa inanzi a Carlo comparire,
dicendo ch'al fratel suo Ruggier era
fatto gran torto, e nol volea patire,
che gli fosse levata la mogliera,
né pure una parola gliene dire:
e contra chi si vuol di provar toglie,
che Bradamante di Ruggiero è moglie.
104
E inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
quando pur di negarlo fosse ardita,
ch'in sua presenza ella ha quelle parole
dette a Ruggier, che fa chi si marita;
e con la cerimonia che si suole,
già sì tra lor la cosa è stabilita,
che più di sé non possono disporre,
né l'un l'altro lasciar, per altri torre.
105
Marfisa, o 'l vero o 'l falso che dicesse,
pur lo dicea, ben credo con pensiero,
perché Leon più tosto interrompesse
a dritto e a torto, che per dire il vero,
e che di volontade lo facesse
di Bradamante, che a riaver Ruggiero
ed escluder Leon, né la più onesta
né la più breve via vedea di questa.
106
Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente;
e quanto di provar Marfisa ha tolto,
le fa sapere, ed ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
e confusa non niega né consente,
in guisa che comprender di leggiero
si può che Marfisa abbia detto il vero.
107
Piace a Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
tal cosa udir, ch'esser potrà cagione
che 'l parentado non andrà più inante,
che già conchiuso aver credea Leone;
e pur Ruggier la bella Bradamante
mal grado avrà de l'ostinato Amone;
e potran senza lite, e senza trarla
di man per forza al padre, a Ruggier darla.
108
Che se tra lor queste parole stanno,
la cosa è ferma, e non andrà per terra,
così atterràn quel che promesso gli hanno,
più onestamente e senza nuova guerra.
- Questo è (diceva Amon), questo è un inganno
contra me ordito: ma 'l pensier vostro erra;
ch'ancor che fosse ver quanto voi finto
tra voi v'avete, io non son però vinto.
109
Che prosupposto (che né ancor confesso,
né vo' credere ancor) ch'abbia costei
scioccamente a Ruggier così promesso,
come voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando e dove fu questo? che più espresso,
più chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non è, se non è stato
prima che Ruggier fosse battezzato.
110
Ma se gli è stato inanzi che cristiano
fosse Ruggier, non vo' che me ne caglia;
ch'essendo ella fedele, egli pagano,
non crederò che 'l matrimonio vaglia.
Non si debbe per questo essere invano
posto al risco Leon de la battaglia;
né il nostro imperator credo vogli anco
venir del detto suo per questo manco.
111
Quel ch'or mi dite, era da dirmi quando
era intera la cosa, né ancor fatto
a prieghi costei Carlo avea il bando
che qui Leone alla battaglia ha tratto.
-
Così contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea, per rompere il contratto
fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
né per l'un né per l'altro volea dire.
112
Come si senton, s'austro o borea spira,
per l'alte selve murmurar le fronde;
o come soglion, s'Eolo s'adira
contra Nettunno, al lito fremer l'onde:
così un rumor che corre e che s'aggira,
e che per tutta Francia si difonde,
di questo dà da dire e da udir tanto,
ch'ogni altra cosa è muta in ogni canto.
113
Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
ma la più parte è con Ruggiero in lega:
son dieci e più per un che n'abbia Amone.
L'imperator né qua né là si piega;
ma la causa rimette alla ragione,
ed al suo parlamento la delega.
Or vien Marfisa, poi ch'è diferito
lo sponsalizio, e pon nuovo partito;
114
e dice: - Con ciò sia ch'esser non possa
d'altri costei, fin che 'l fratel mio vive;
se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
adopri sì, che lui di vita prive:
e chi manda di lor l'altro alla fossa,
senza rivale al suo contento arrive.
-
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
come anco intender gli avea fatto il resto.
115
Leon che, quando seco il cavalliero
del liocorno sia, si tien sicuro
di riportar vittoria di Ruggiero,
né gli abbia alcun assunto a parer duro;
non sappiendo che l'abbia il dolor fiero
tratto nel bosco solitario e oscuro,
ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
sia andato a spasso, il mal partito piglia.
116
Ben se ne pente in breve; che colui
del qual più del dover si promettea,
non comparve quel dì, né gli altri dui
che lo seguir, né nuova se n'avea;
e tor questa battaglia senza lui
contra Ruggier, sicur non gli parea:
mandò, per schivar dunque danno e scorno,
per trovar il guerrier dal liocorno.
117
Per cittadi mandò, ville e castella,
d'appresso e da lontan, per ritrovarlo;
né contento di questo, montò in sella
egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n'avrebbe avuto già novella,
né l'avria avuta uom di quei di Carlo,
se non era Melissa che fe' quanto
mi serbo a farvi udir ne l'altro canto.
CANTO QUARANTASEIESIMO
1
Or, se mi mostra la mia carta il vero,
non è lontano a discoprirsi il porto;
sì che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
ove, o di non tornar col legno intero,
o d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che l'alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s'allegrino ch'io sia
venuto a fin di così lunga via.
3
Oh di che belle e sagge donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio
veggo del molo in su l'estremo corno:
Veronica da Gambera è con loro,
sì grata a Febo e al santo aonio coro.
4
Veggo un'altra Genevra, pur uscita
del medesmo sangue, e Iulia seco;
veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella rivulzia al sacro speco:
veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
ch'Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e l'altre lor sorelle.
5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna è Laura:
non vede il sol di più bontà di questa
coppia da l'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
casa col suo valor sì ingemma e inaura,
che mai palagi imperiali o regi
non ebbon più onorati e degni fregi.
6
S'a quella etade ella in Arimino era,
quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio, s'oltre alla riviera
dovea passando inimicarsi Roma;
crederò che piegata ogni bandiera,
e scarca di trofei la ricca soma,
tolto avria leggi e patti a voglia d'essa,
né forse mai la libertade oppressa.
7
Del mio signor di Bozolo la moglie,
la madre, le sirocchie e le cugine,
e le Torelle con le Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavigine;
ecco qui a quante oggi ne sono, toglie,
e a quante o greche o barbere o latine
ne furon mai, di quai la fama s'oda,
di grazia e di beltà la prima loda,
8
Iulia Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e dovunque i sereni occhi gira,
non pur ogn'altra di beltà le cede,
ma, come scesa dal ciel dea, l'ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
non mosse mai, perché l'avesse in ira
Fortuna che le fe' lungo contrasto.
Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
di castità, di fede e d'amor tempio.
La sorella è con lei, ch'ove ne irraggia
l'alta beltà, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e fa con non più visto esempio,
mal grado de le Parche e de la Morte,
splender nel ciel l'invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d'Urbino; e riconosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese tosco.
Il cavallier che tra lor viene, e ch'elle
onoran sì, s'io non ho l'occhio losco,
da la luce offuscato de' bei volti,
è 'l gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
c'ha purpureo il capel, purpureo il manto,
col cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria e splendor del consistorio santo:
e ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del mio ritorno, che non facil parmi
ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa e 'l Dresino e Latino
Iuvenal parmi, e i Capilupi miei,
e 'l Sasso e 'l Molza e Florian Montino;
e quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e più breve altro camino,
Iulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna,
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
13
Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese:
oh dotta compagnia che seco mena!
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
d'alta facondia inessicabil vena,
e Lascari e Mussuro e Navagero,
e Andrea Marone e 'l monaco Severo.
14
Ecco altri duo Alessandri in quel drappello,
dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino.
Ecco Mario d'Olvito, ecco il flagello
de' principi, il divin Pietro Aretino.
Duo Ieronimi veggo, l'uno è quello
di Veritade, e l'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno,
il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15
Là Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo, che 'l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro Obizi è quel che gli vien dietro,
ch'ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
Io veggo il Fracastorio, il Bevazano,
Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
16
Veggo Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso ch'a vedermi appresso
al lito mostra gaudio e maraviglia.
Il mio Valerio è quel che là s'è messo
fuor de le donne; e forse si consiglia
col Barignan c'ha seco, come, offeso
sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17
Veggo sublimi e soprumani ingegni
di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da' più degni
ha tanto onor, mai più non conobbi io;
ma, se me ne fur dati veri segni,
è l'uom che di veder tanto desio,
Iacobo Sanazar, ch'alle Camene
lasciar fa i monti ed abitar l'arene.
18
Ecco il dotto, il fedele, il diligente
secretario Pistofilo, ch'insieme
con gli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente
piacer, che più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente,
veggo con l'Adoardo, che gran speme
mi dà, ch'ancor del mio nativo nido
udir farà da Calpe agli Indi il grido.
19
Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
mia ritornata ognun parer contento.
Dunque, a finir la breve via che resta,
non sia più indugio, or ch'ho propizio il vento;
e torniamo a Melissa, e con che aita
salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.
20
Questa Melissa, come so che detto
v'ho molte volte, avea sommo desire
che Bradamante con Ruggier di stretto
nodo s'avesse in matrimonio a unire;
e d'ambi il bene e il male avea sì a petto,
che d'ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
che, quando andava l'un, l'altro venìa.
21
In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
il qual di non gustar d'alcuna sorte
mai più vivanda fermo era e disposto,
e col digiun si volea dar la morte:
ma fu l'aiuto di Melissa tosto;
che, del suo albergo uscita, la via tenne
ove in Leone ad incontrar si venne:
22
il qual mandato, l'uno a l'altro appresso,
sua gente avea per tutti i luoghi intorno;
e poscia era in persona andato anch'esso
per trovare il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice, la qual messo
freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
e l'avea sotto in forma di ronzino,
trovò questo figliuol di Costantino.
23
- Se de l'animo è tal la nobiltate,
qual fuor, signor (diss'ella), il viso mostra;
se la cortesia dentro e la bontade
ben corrisponde alla presenza vostra,
qualche conforto, qualche aiuto date
al miglior cavallier de l'età nostra;
che s'aiuto non ha tosto e conforto,
non è molto lontano a restar morto.
24
Il miglior cavallier, che spada a lato
e scudo in braccio mai portassi o porti;
il più bello e gentil ch'al mondo stato
mai sia di quanti ne son vivi o morti,
sol per un'alta cortesia c'ha usato,
sta per morir, se non ha chi 'l conforti.
Per Dio, signor, venite, e fate prova
s'allo suo scampo alcun consiglio giova.
-
25
Ne l'animo a Leon subito cade
che 'l cavallier di chi costei ragiona,
sia quel che per trovar fa le contrade
cercare intorno, e cerca egli in persona;
sì ch'a lei dietro, che gli persuade
sì pietosa opra, in molta fretta sprona:
la qual lo trasse (e non fer gran camino)
ove alla morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovar che senza cibo stato
era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
ch'in piè a fatica si saria levato,
per ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea disteso in terra tutto armato,
con l'elmo in testa, e de la spada cinto;
e guancial de lo scudo s'avea fatto,
in che 'l bianco liocorno era ritratto.
27
Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente le sia stato, arrabbia,
non pur si duole; e se n'affligge tanto,
che si morde le man, morde le labbia,
sparge le guance di continuo pianto;
e per la fantasia che v'ha sì fissa,
né Leon venir sente né Melissa;
28
né per questo interrompe il suo lamento,
né cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
conosce ben; ma la persona espressa
non gli è, per cui sostien tanto martire;
ch'anco Ruggier non glie l'ha fatto udire.
29
Più inanzi, e poi più inanzi i passi muta,
tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
e con fraterno affetto lo saluta,
e se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so quanto ben questa venuta
di Leone improvisa a Ruggier piaccia;
che teme che lo turbi e gli dia noia,
e se gli voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le più dolci e più soavi
parole che sa dir, con quel più amore
che può mostrar, gli dice: - Non ti gravi
d'aprirmi la cagion del tuo dolore;
che pochi mali al mondo son sì pravi,
che l'uomo trar non se ne possa fuore,
se la cagion si sa; né debbe privo
di speranza esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol che celar t'abbi voluto
da me, che sai s'io ti son vero amico,
non sol dipoi ch'io ti son sì tenuto,
che mai dal nodo tuo non mi districo,
ma fin allora ch'avrei causa avuto
d'esserti sempre capital nimico;
e dèi sperar ch'io sia per darti aita
con l'aver, con gli amici e con la vita.
32
Di meco conferir non ti rincresca
il tuo dolore, e lasciami far prova,
se forza, se lusinga, acciò tu n'esca,
se gran tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi, quando l'opra mia non ti riesca,
la morte sia ch'al fin te ne rimuova:
ma non voler venir prima a quest'atto,
che ciò che si può far, non abbi fatto.
-
33
E seguitò con sì efficaci prieghi,
e con parlar sì umano e sì benigno,
che non può far Ruggier che non si pieghi;
che né di ferro ha il cor né di macigno,
e vede, quando la risposta nieghi,
che farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s'incocca
prima il parlar, ch'uscir voglia di bocca.
34
- Signor mio (disse al fin), quando saprai
colui ch'io son (che son per dirtel ora),
mi rendo certo che di me sarai
non men contento, e forse più, ch'io muora.
Sappi ch'io son colui che sì in odio hai:
io son Ruggier ch'ebbi te in odio ancora;
e che con intenzion di porti a morte,
già son più giorni, usci' di questa corte;
35
acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d'Amone
la voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perché ordina l'uomo, e Dio dispone,
venne il bisogno ove mi fe' la molta
tua cortesia mutar d'opinione;
e non pur l'odio ch'io t'avea, deposi,
ma fe' ch'esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi pregasti, non sapendo ch'io
fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere
la donna; ch'altretanto saria il mio
cor fuor del corpo, o l'anima volere.
Se sodisfar più tosto al tuo disio,
ch'al mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta è Bradamante; abbila in pace:
molto più che 'l mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te ancora, se privo di lei
mi son, ch'insieme io sia di vita privo;
che più tosto senz'anima potrei,
che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
mai legitimamente, fin ch'io vivo:
che tra noi sposalizio è già contratto,
né duo mariti ella può avere a un tratto.
-
38
Riman Leon sì pien di maraviglia,
quando Ruggiero esser costui gli è noto,
che senza muover bocca o batter ciglia
o mutar piè, come una statua, è immoto:
a statua, più ch'ad uomo, s'assimiglia,
che ne le chiese alcun metta per voto.
Ben sì gran cortesia questa gli pare,
che non ha avuto e non avrà mai pare.
39
E conosciutol per Ruggier, non solo
non scema il ben che gli voleva pria;
ma sì l'accresce, che non men del duolo
di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
d'imperator meritamente sia,
non vuol, se ben nel resto a Ruggier cede,
ch'in cortesia gli metta inanzi il piede.
40
E dice: - Se quel dì, Ruggier, ch'offeso
fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
ancor ch'io t'avea in odio, avessi inteso
che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
così la tua virtù m'avrebbe preso,
come fece anco allor, non lo sapendo;
e così spinto dal cor l'odio, e tosto
questo amor ch'io ti porto, v'avria posto.
41
Che prima il nome di Ruggiero odiassi,
ch'io sapessi che tu fosse Ruggiero,
non negherò: ma ch'or più inanzi passi
l'odio ch'io t'ebbi, t'esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi,
n'avesse, come or n'ho, saputo il vero;
il medesimo avrei fatto anco allora,
ch'a benefizio tuo son per far ora.
42
E s'allor volentier fatto l'avrei,
ch'io non t'era, come or sono, obligato;
quant'or più farlo debbo, che sarei,
non lo facendo, il più d'ogn'altro ingrato;
poi che negando il tuo voler, ti sei
privo d'ogni tuo bene, e a me l'hai dato.
Ma te lo rendo, e più contento sono
renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
43
Molto più a te, ch'a me, costei conviensi,
la qual, ben ch'io per li suoi merit'ami,
non è però, s'altri l'avrà, ch'io pensi,
come tu, al viver mio romper li stami.
Non vo' che la tua morte mi dispensi,
che possi, sciolto ch'ella avrà i legami
che son del matrimonio ora fra voi,
per legitima moglie averla io poi.
44
Non che di lei, ma restar privo voglio
di ciò c'ho al mondo, e de la vita appresso,
prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio
per mia cagion tal cavalliero oppresso.
De la tua difidenza ben mi doglio;
che tu che puoi, non men che di te stesso,
di me dispor, più tosto abbi voluto
morir di duol, che da me avere aiuto.
-
45
Queste parole ed altre suggiungendo,
che tutte saria lungo riferire,
e sempre le ragion redarguendo,
ch'in contrario Ruggier gli potea dire;
fe' tanto, ch'al fin disse: - Io mi ti rendo,
e contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò l'obligo mai,
ché due volte la vita dato m'hai? -
46
Cibo soave e precioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto;
e confortò Ruggier, ch'era vicino,
non s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
cavalli quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar da li scudieri suoi
lo fe' e sellare, ed a Ruggier dar poi;
47
il qual con gran fatica, ancor ch'aiuto
avesse da Leon, sopra vi salse:
così quel vigor manco era venuto,
che pochi giorni inanzi in modo valse,
che vincer tutto un campo avea potuto,
e far quel che fe' poi con l'arme false.
Quindi partiti, giunser, che più via
non fer di mezza lega, a una badia:
48
ove posaro il resto di quel giorno,
e l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
tanto che 'l cavallier dal liocorno
tornato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
alla città real fece Ruggiero,
e vi trovò che la passata sera
l'imbasciaria de' Bulgari giunt'era.
49
Che quella nazion, la qual s'avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
mandava questi suoi, che si credea
d'averlo in Francia appresso al magno Carlo:
perché giurargli fedeltà volea,
e dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
con questa gente, ha di lui dato nuova.
50
De la battaglia ha detto, ch'in favore
de' Bulgari a Belgrado egli avea fatta,
ove Leon col padre imperatore
vinto, e sua gente avea morta e disfatta;
e per questo l'avean fatto signore,
messo da parte ogni uomo di sua schiatta:
e come a Novengrado era poi stato
preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
51
e che venuta era la nuova certa,
che 'l suo guardian s'era trovato ucciso,
e lui fuggito, e la prigione aperta:
che poi ne fosse, non v'era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
ne la città, né fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e 'l compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
52
S'appresentò Ruggier con l'augel d'oro
che nel campo vermiglio avea due teste,
e come disegnato era fra loro,
con le medesme insegne e sopraveste
che, come dianzi ne la pugna foro,
eran tagliate ancor, forate e peste;
sì che tosto per quel fu conosciuto,
ch'avea con Bradamante combattuto.
53
Con ricche vesti e regalmente ornato
Leon senz'arme a par con lui venìa;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato
avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s'inchinò, che già levato
se gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per man, nel qual intente e fisse
ognuno avea le luci, così disse:
54
- Questo è il buon cavalliero il qual difeso
s'è dal nascer del giorno al giorno estinto;
e poi che Bradamante o morto o preso
o fuor non l'ha de lo steccato spinto,
magnanimo signor, se bene inteso
ha il vostro bando, è certo d'aver vinto,
e d'aver lei per moglie guadagnata;
e così viene, acciò che gli sia data.
55
Oltre che di ragion, per lo tenore
del bando, non v'ha altr'uom da far disegno:
se s'ha da meritarla per valore,
qual cavallier più di costui n'è degno?
s'aver la dee chi più le porta amore,
non è chi 'l passi o ch'arrivi al suo segno.
Ed è qui presto contra a chi s'oppone,
per difender con l'arme sua ragione.
-
56
Carlo e tutta la corte stupefatta,
questo udendo, restò; ch'avea creduto
che Leon la battaglia avesse fatta,
non questo cavallier non conosciuto.
Marfisa, che con gli altri quivi tratta
s'era ad udire, e ch'a pena potuto
avea tacer fin che Leon finisse
il suo parlar, si fece inanzi e disse:
57
- Poi che non c'è Ruggier, che la contesa
de la moglier fra sé e costui discioglia;
acciò per mancamento di difesa
così senza rumor non se gli toglia,
io che gli son sorella, questa impresa
piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
che dica aver ragione in Bradamante,
o di merto a Ruggiero andare inante.
-
58
E con tant'ira e tanto sdegno espresse
questo parlar, che molti ebber sospetto,
che senza attender Carlo che le desse
campo, ella avesse a far quivi l'effetto.
Or non parve a Leon che più dovesse
Ruggier celarsi, e gli cavò l'elmetto;
e rivolto a Marfisa: - Ecco lui pronto
a rendervi di sé (disse) buon conto.
-
59
Quale il canuto Egeo rimase, quando
si fu alla mensa scelerata accorto,
che quello era il suo figlio, al quale, instando
l'iniqua moglie, avea il veneno porto;
e poco più che fosse ito indugiando
di conoscer la spada, l'avria morto:
tal fu Marfisa, quando il cavalliero
ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
60
E corse senza indugio ad abbracciarlo,
né dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo
di qua e di là con grand'amor baciollo.
Né Dudon né Olivier d'accarezzarlo,
né 'l re Sobrin si può veder satollo.
Dei paladini e dei baron nessuno
di far festa a Ruggier restò digiuno.
61
Leone, il qual sapea molto ben dire,
finiti che si fur gli abbracciamenti,
cominciò inanzi a Carlo a riferire,
udendo tutti quei ch'eran presenti,
come la gagliardia, come l'ardire
(ancor che con gran danno di sue genti)
di Ruggier, ch'a Belgrado avea veduto,
più d'ogni offesa avea di sé potuto;
62
sì ch'essendo di poi preso e condutto
a colei ch'ogni strazio n'avria fatto,
di prigione egli, mal grado di tutto
il parentado suo, l'aveva tratto;
e come il buon Ruggier, per render frutto
e mercede a Leon del suo riscatto,
fe' l'alta cortesia che sempre a quante
ne furo o saran mai, passarà inante.
63
E seguendo narrò di punto in punto
ciò che per lui fatto Ruggiero avea;
e come poi da gran dolor compunto,
che di lasciar la moglie gli premea,
s'era disposto di morire; e giunto
v'era vicin, se non si soccorrea.
E con sì dolci affetti il tutto espresse,
che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
64
Rivolse poi con sì efficaci preghi
le sue parole all'ostinato Amone,
che non sol che lo muova, che lo pieghi,
che lo faccia mutar d'opinione;
ma fa ch'egli in persona andar non nieghi
a supplicar Ruggier che gli perdone,
e per padre e per suocero l'accette;
e così Bradamante gli promette.
65
A cui là dove, de la vita in forse,
piangea i suoi casi in camera segreta,
con lieti gridi in molta fretta corse
per più d'un messo la novella lieta:
onde il sangue ch'al cor, quando lo morse
prima il dolor, fu tratto da la pieta,
a questo annunzio il lasciò solo in guisa,
che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66
Ella riman d'ogni vigor sì vota,
che di tenersi in piè non ha balìa;
ben che di quella forza ch'esser nota
vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia condannato o ad altra morte ria,
e che già agli occhi abbia la benda negra,
gridar sentendo grazia, si rallegra.
67
Si rallegra Mongrana e Chiaramonte,
di nuovo nodo i dui raggiunti rami:
altretanto si duol Gano col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami;
ma pur coprendo sotto un'altra fronte
van lor pensieri invidiosi e grami;
e occasione attendon di vendetta,
come la volpe al varco il lepre aspetta.
68
Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso
molti in più volte avean di quei malvagi;
ben che l'ingiurie fur con saggio avviso
dal re acchetate, ed i commun disagi;
avea di nuovo lor levato il riso
l'ucciso Pinabello e Bertolagi:
ma pur la fellonia tenean coperta,
dissimulando aver la cosa certa.
69
Gli imbasciatori bulgari che in corte
di Carlo eran venuti, come ho detto,
con speme di trovare il guerrier forte
del liocorno, al regno loro eletto;
sentendol quivi, chiamar buona sorte
la lor, che dato avea alla speme effetto;
e riverenti ai piè se gli gittaro,
e che tornassi in Bulgheria il pregaro;
70
ove in Adrianopoli servato
gli era lo scettro e la real corona:
ma venga egli a difendersi lo stato;
ch'a danni lor di nuovo si ragiona
che più numer di gente apparecchiato
ha Costantino, e torna anco in persona:
ed essi, se 'l suo re ponno aver seco,
speran di torre a lui l'imperio greco.
71
Ruggiero accettò il regno, e non contese
ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
di ritrovarsi dopo il terzo mese,
quando Fortuna altro di lui non fêsse.
Leone Augusto che la cosa intese,
disse a Ruggier, ch'alla sua fede stesse,
che, poi ch'egli de' Bulgari ha il domìno,
la pace è tra lor fatta e Costantino:
72
né da partir di Francia s'avrà in fretta,
per esser capitan de le sue squadre;
che d'ogni terra ch'abbiano suggetta,
far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù che di Ruggier sia detta,
ch'a muover sì l'ambiziosa madre
di Bradamante, e far che 'l genero ami,
vaglia, come ora udir, che re si chiami.
73
Fansi le nozze splendide e reali,
convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
farebbe, maritando una sua figlia.
I merti de la donna erano tali,
oltre a quelli di tutta sua famiglia,
ch'a quel signor non parria uscir del segno,
se spendesse per lei mezzo il suo regno.
74
Libera corte fa bandire intorno,
ove sicuro ognun possa venire;
e campo franco sin al nono giorno
concede a chi contese ha da partire.
Fe' alla campagna l'apparato adorno
di rami intesti e di bei fiori ordire,
d'oro e di seta poi, tanto giocondo,
che 'l più bel luogo mai non fu nel mondo.
75
Dentro a Parigi non sariano state
l'innumerabil genti peregrine,
povare e ricche e d'ogni qualitate,
che v'eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e imbascierie mandate
di tutto 'l mondo, non aveano fine:
erano in padiglion, tende e frascati
con gran commodità tutti alloggiati.
76
Con eccellente e singulare ornato
la notte inanzi avea Melissa maga
il maritale albergo apparecchiato,
di ch'era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo inanzi desiato
questa copula avea quella presaga:
de l'avvenir presaga, sapea quanta
bontade uscir dovea da la lor pianta.
77
Posto avea il genial letto fecondo
in mezzo un padiglione amplo e capace,
il più ricco, il più ornato, il più giocondo
che già mai fosse o per guerra o per pace,
o prima o dopo, teso in tutto 'l mondo;
e tolto ella l'avea dal lito trace:
l'avea di sopra a Costantin levato,
ch'a diporto sul mar s'era attendato.
78
Melissa di consenso di Leone,
o più tosto per dargli maraviglia,
e mostrargli de l'arte paragone,
ch'al gran vermo infernal mette la briglia,
e che di lui, come a lei par, dispone,
e de la a Dio nimica empia famiglia;
fe' da Costantinopoli a Parigi
portare il padiglion dai messi stigi.
79
Di sopra a Costantin ch'avea l'impero
di Grecia, lo levò da mezzo giorno,
con le corde e col fusto, e con l'intero
guernimento ch'avea dentro e d'intorno:
lo fe' portar per l'aria, e di Ruggiero
quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi, finite le nozze, anco tornollo
miraculosamente onde levollo.
80
Eran degli anni appresso che duo milia
che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella de la terra d'Ilia,
ch'avea il furor profetico congiunto,
con studio di gran tempo e con vigilia
lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
inclito Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più cortese cavallier che mai
dovea del ceppo uscir del suo germano
(ben che sapea, da la radice assai
che quel per molti rami era lontano)
ritratto avea nei bei ricami gai
d'oro e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio
per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch'a tradimento ebbe la morte,
e fu 'l popul troian da' Greci afflitto;
che Sinon falso aperse lor le porte,
e peggio seguitò, che non è scritto;
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
col quale a capitar venne in Egitto,
ove al re Proteo lo lasciò, se volse
la moglie aver, che quel tiran gli tolse.
83
Elena nominata era colei
per cui lo padiglione a Proteo diede;
che poi successe in man de' Tolomei,
tanto che Cleopatra ne fu erede.
Da le genti d'Agrippa tolto a lei
nel mar Leucadio fu con altre prede:
in man d'Augusto e di Tiberio venne,
e in Roma sin a Costantin si tenne;
84
quel Costantin di cui doler si debbe
la bella Italia, fin che gir il cielo.
Costantin, poi che 'l Tevero gl'increbbe,
portò in Bisanzio il prezioso velo:
da un altro Costantin Melissa l'ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
tutto trapunto con figure belle,
più che mai con pennel facesse Apelle.
85
Quivi le Grazie in abito giocondo
una regina aiutavano al parto:
sì bello infante n'apparia, che 'l mondo
non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l'avevano sparto
a man piene e spargean d'eterei fiori,
di dolce ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In età poi più ferma l'Aventura
l'avea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nove genti la pittura
con veste e chiome lunghe, che venute
a domandar la parte di Corvino
erano al padre il tenero bambino.
87
Da Ercole partirsi riverente
si vede, e da la madre Leonora;
e venir sul Danubio, ove la gente
corre a vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
che 'l maturo sapere ammira e onora
in non matura età tenera e molle,
e sopra tutti i suoi baron l'estolle.
88
V'è che negli infantili e teneri anni
lo scettro di Strigonia in man gli pone:
sempre il fanciullo se gli vede a' panni,
sia nel palagio, sia nel padiglione:
o contra Turchi, o contra gli Alemanni
quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
a' magnanimi gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si vede, come il fior dispensi
de' suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi
chiari gli espone de l'antiche carte.
- Questo schivar, questo seguir conviensi,
se immortal brami e glorioso farte, -
par che gli dica: così avea ben finti
i gesti lor chi già gli avea dipinti.
90
Poi cardinale appar, ma giovinetto,
sedere in Vaticano a consistoro,
e con facondia aprir l'alto intelletto,
e far di sé stupir tutto quel coro.
- Qual fia dunque costui d'età perfetto?
(parean con maraviglia dir tra loro).
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
che fortunata età! che secol santo! -
91
In altra parte i liberali spassi
erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta sugli alpini sassi,
ora i cingiali in valle ima e palustre:
or s'un gianetto par che 'l vento passi,
seguendo o caprio o cerva multilustre,
che giunta par che bipartita cada
in parti uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi altrove e di poeti
si vede in mezzo un'onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
questi la terra, quello il ciel gli squadra:
questi meste elegie, quel versi lieti,
quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici ascolta, e vari suoni altrove;
né senza somma grazia un passo muove.
93
In questa prima parte era dipinta
del sublime garzon la puerizia.
Cassandra l'altra avea tutta distinta
di gesti di prudenza, di iustizia,
di valor, di modestia, e de la quinta
che tien con lor strettissima amicizia,
dico de la virtù che dona e spende;
de le qual tutte illuminato splende.
94
In questa parte il giovene si vede
col duca sfortunato degl'Insubri,
ch'ora in pace a consiglio con lui siede,
or armato con lui spiega i colubri;
e sempre par d'una medesma fede,
o ne' felici tempi o nei lugubri:
ne la fuga lo segue, lo conforta
ne l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede altrove a gran pensieri intento
per salute d'Alfonso e di Ferrara;
che va cercando per strano argumento,
e trova, e fa veder per cosa chiara
al giustissimo frate il tradimento
che gli usa la famiglia sua più cara:
e per questo si fa del nome erede,
che Roma a Ciceron libera diede.
96
Vedesi altrove in arme relucente,
ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e con tumultuaria e poca gente
a un esercito istrutto si va opporre;
e solo il ritrovarsi egli presente
tanto agli Ecclesiastici soccorre,
che 'l fuoco estingue pria ch'arder comince:
sì che può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi altrove da la patria riva
pugnar incontra la più forte armata,
che contra Turchi o contra gente argiva
da' Veneziani mai fosse mandata:
la rompe e vince, ed al fratel captiva
con la gran preda l'ha tutta donata;
né per sé vedi altro serbarsi lui,
che l'onor sol, che non può dare altrui.
98
Le donne e i cavallier mirano fisi,
senza trarne costrutto, le figure;
perché non hanno appresso che gli avvisi
che tutte quelle sien cose future.
Prendon piacere a riguardare i visi
belli e ben fatti, e legger le scritture.
Sol Bradamante da Melissa istrutta
gode tra sé; che sa l'istoria tutta.
99
Ruggiero, ancor ch'a par di Bradamante
non ne sia dotto, pur gli torna a mente
che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi a pieno dir le tante
cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di vari giochi è sempre festa grande,
e la mensa ognor piena di vivande.
100
Vedesi quivi chi è buon cavalliero;
che vi son mille lance il giorno rotte:
fansi battaglie a piedi e a destriero,
altre accoppiate, altre confuse in frotte.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
che vince sempre, e giostra il dì e la notte;
e così in danza, in lotta ed in ogni opra
sempre con molto onor resta di sopra.
101
L'ultimo dì, ne l'ora che 'l solenne
convito era a gran festa incominciato;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e 'l destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
102
Quest'era il re d'Algier, che per lo scorno
che gli fe' sopra il ponte la donzella,
giurato avea di non porsi arme intorno,
né stringer spada, né montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Così a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavallier di tali eccessi.
103
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo;
per non disdirsi, non più l'arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto l'anno e tutto 'l mese
vede finito, e tutto 'l giorno appresso
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or ne vien quivi in Francia.
104
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenza,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
e de tanti signor l'alta presenza.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenza.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ciò che 'l guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con alta voce ed orgoglioso grido:
- Son (disse) il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo', prima che 'l sol tramonte,
provar ch'al tuo signor sei stato infido;
e che non merti, che sei traditore,
fra questi cavallieri alcun onore.
106
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perché essendo cristian non pòi negarla;
pur per farla apparere anco più certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n'accetto;
e a tutte manterrò quel ch'io t'ho detto.
-
107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenza rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
che sempre col suo re così portosse,
che giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch'era apparecchiato sostenere
che verso lui fe' sempre il suo dovere:
108
e ch'a difender la sua causa era atto,
senza torre in aiuto suo veruno;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e 'l figlio bianco e 'l bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran per la difesa di Ruggiero;
109
mostrando ch'essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: - State in riposo;
che per me fôran queste scuse sozze.
-
L'arme che tolse al Tartaro famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto l'altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.
111
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da' granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de' venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e 'l nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a' campi strage e danno:
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale.
112
Così a tutta la plebe e alla più parte
dei cavallieri e dei baron parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch'in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113
Tremava, più ch'a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch'ella credesse
che 'l Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
né che ragion, che spesso dà l'onore
a chi l'ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non può senza sospetto;
che di temere, amando, ha degno effetto.
114
Oh quanto volentier sopra sé tolta
l'impresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata più che certa!
Avria eletto a morir più d'una volta,
se può più d'una morte esser sofferta,
più tosto che patir che 'l suo consorte
si ponesse a pericol de la morte.
115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perché Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lance all'incontrar parver di gielo;
i tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116
La lancia del pagan, che venne a corre
lo scudo a mezzo, fe' debole effetto:
tanto l'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto che fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
117
E se non che la lancia non sostenne
il grave scontro, e mancò al primo assalto,
e rotta in schegge e in tronchi aver le penne
parve per l'aria, tanto volò in alto;
l'osbergo aprìa (si furiosa venne),
se fosse stato adamantino smalto,
e finìa la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gittar l'aste, preso il brando,
si tornato a ferir crudeli e fieri:
di qua di là con maestria girando
gli animosi cavalli atti e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era più raro.
119
Non si trovò lo scoglio del serpente,
che fu sì duro, al petto Rodomonte,
né di Nembrotte la spada tagliente,
né 'l solito elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l'usate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi,
come di sopra avervi detto parmi.
120
Egli avea un'altra assai buona armatura,
non come era la prima già perfetta:
ma né questa né quella né più dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto né fattura,
né finezza d'acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua di là sì ben lavora,
ch'al pagan l'arme in più d'un loco fora.
121
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan l'arme, e non poter schivare
che la più parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a più furor si mosse,
ch'a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su l'elmo di Ruggiero a due man fere.
122
Con quella estrema forza che percuote
la machina ch'in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto più puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi:
giova l'elmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero andò due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a riaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
sì lungo martellar più non sofferse;
che volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per questo non s'arresta,
ma s'aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal nodo e tanta forza afferra,
che de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra sì tosto, che risorse,
via più che d'ira, di vergogna pieno;
però che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell'onta,
stringe la spada, e col pagan s'affronta.
126
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe' sentirgli angoscia,
l'una nel fianco, e l'altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
il pome e l'elsa de la spada rotta,
Ruggier su l'elmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all'altra botta.
Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo alla destra l'altra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan sì, ch'a Ruggier resti al paro:
vo dir che cadde in piè; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo così grande e così grosso.
129
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e l'altre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
sì che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa e 'l pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da sé scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito ne fu più che mai fosse.
130
Ne la guancia de l'elmo, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difficilmente.
Il pagan vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e 'l volersi affrettar più del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien sì curto,
che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli è risurto;
si stringe con Ruggier sì, che l'abbraccia:
l'uno e l'altro s'aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e 'l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte,
era alla lotta esercitato molto:
sente il vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il sangue uscir vede più sciolto,
e dove più ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e l'uno e l'altro piede.
133
Rodomonte pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e all'altro attraversogli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giù steso tornollo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c'ha la Fortuna per la fronte,
perché levarsi il Saracin non possa,
l'una man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
l'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come talvolta, ove si cava l'oro
là tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano sì oppressi, che può il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
così fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch'in terra messo.
137
Alla vista de l'elmo gli appresenta
la punta del pugnal ch'avea già tratto;
e che si renda, minacciando, tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s'affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non può uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non già di rabbia:
così falla al pagano ogni pensiero
d'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte sì, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che 'l pugnal tiene,
che trasse anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene:
ma il giovene s'accorse de l'errore
in che potea cader, per differire
di far quel empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l'orribil fronte,
alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.
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