LE LETTERE 2, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 1
Giuseppe Gioachino Belli
Le Lettere
Volume secondo
__________
LETTERA 318.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 2 luglio 1838
(giorno nefasto)
al mezzodì (ora luttuosa)
Mio caro Ferretti
Tornando a casa in questo punto da una mia fabbricaccia dove ho faticato da nove ore italiane sino a quindici e mezzo trovo sullo scrittoio una tua lettera di ieri (primo corrente) con in seno altra per Savetti che sarà quanto prima ricapitata dal Sig.
Pazzi al quale personalmente l'ho consegnata.
L'avrei portata io medesimo ma ho bisogno di un'oretta di riposo e poi vado a pranzo dal buon Pippo Ricci, il quale, ricordevole di quanto m'accadde un anno fa in questo giorno, ha voluto che desinassi con lui e due altri amici.
Il pacco dal Sig.
Banducci patrigno di Rossi l'ebbi puntualmente e te lo accusai.
Di Quadrari avrai udito le nuove dalla mia di ieri inclusa nel pacco (ventagli N° 4) che ti spedii pel solito gobbo.
Di Zampi so tutto e ti parlai ieri anche di lui.
Oggi non l'ho ancora veduto.
Sempre più mi rallegro per le notizie di Cristina.
Capite? Il Sig.
Prof.
di linguistica Don Grufo Papera Cuppetana non vuole starsene in casa! Infatti le prime lingue furono inventate all'aria aperta ed al sole, come la confusione venne all'ombra della torre di Babel.
Egli aborre le ombre domestiche quasi aduggitrici del genio.
La vecchia Firrao sta benone.
Anche la moglie di Luigi ed il figlio Cesare.
Vi è stato questa mattina Michele.
Tutto e sempre raccomandato alla Pazzi.
La casa tua cammina in casa tua come il tuo orologio cammina in casa mia.
Bacherozzi molti.
Dai sorci nessun danno.
Il gatto va scarnacciando e sta in vigore di caccia.
Michele dorme dove tu desideri che dorma.
Orsolina si è un poco alzata, ma fiaccarella e slavatella.
Il sarto Sartori vorrebbe (senza portarselo via) osservare un certo costume in un tomo del tuo Ferrario.
Annamaria, a cui fu fatta la richiesta ha buttato la broda addosso a me.
Io la riverso su te.
Vuoi tu o non vuoi? Ti contenti o non ti contenti? Ci sarebbe presente il guardiano.
Non ho a dirti altro se non che ti abbraccio e ti prego dir belle parole alle tue Sig.re e dare un bacio a Gigio.
Sono il tuo Belli.
LETTERA 319.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, martedì 3 luglio 1838
ore 5 3/4 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Mi recai ieri alle 2 1/2 dopo il mezzodì, in casa di Zampi onde ritirare la lettera di condoglianza per l'anniversario etc., scrittami da te il primo corrente ed annunziatami con altra dello stesso giorno.
Zampi non era in casa e non potei averla.
Mi si faceva tardi per andare a pranzo da Pippo Ricci, come ti dissi nella mia di ieri N° 19.
- Alla sera però tornando al mio domicilio la trovai sul mio scrittoio, e poi stamattina me n'è giunta pure dallo Zampi un'altra di piccolo formato che tu mi scrivesti sin dal 27 giugno per annunziarmi la spedizione di libri fattami da te a mezzo della madre di Rossi.
Bisogna dire che il buon Pippo Zampi l'abbia ricevuta con tanto ritardo perché anche Lopez questa mattina si maravigliava di aver oggi avuta una tua del 27 giugno per mezzo di Zampi.
Non meno delle care e consolanti parole da te adoperate poteva io aspettare dal mio Ferretti nel giorno in cui tutti mi si rinnovarono i dolori della sofferta disgrazia.
Io vedo che un anno è assai poco al ristabilimento della tranquillità.
Né il tenor di vita che mi è forza menare saprebbe venire in soccorso del tempo onde cospirasse insieme alla mia pace.
Molta fatica, moltissimi pensieri, gravi danni, infiniti pericoli si associano ad abbattere il mio spirito già per se stesso pusillanime e creato solo per la vita ritirata, uniforme, et procul negociis.
La rilassante stagione fa il resto.
Intanto io vo per la mia strada alla meglio, o alla peggio, determinandomi al mio dovere colle parole già si famigliari alla povera Mariuccia: su, a tirare il carrettone.
Le ruote cigolano, le stanghe mi scorticano la pelle, il carico va cadendo di qua e di là per la via; ed io pur tiro finché arrivi a porta Leone.
Ringrazio cordialmente il Dr.
Bassanelli.
Le nostre circostanze però, per quanto so di lui, diversificano alquanto benché esteriormente di ugual natura.
Egli si rivolge indietro per timore di essere seguito, ed io mi rivolgo per desiderio di vedere chi più non vedrò.
Se la favola d'Orfeo si potesse spiegare in due modi, a me converrebbe quello più compassionevole, quantunque poi solo io di noi due farei il viaggio dell'averno per ripigliarvi la compagna perduta.
Queste considerazioni, forse poco delicate io diriggo a te.
Il Bassanelli non sappia fuorché la mia riconoscenza alle sue cordialità.
I Pazzi e le Pazze stan bene e al solito salutano.
È tanto continua questa notizia che mi ristringo a dartela in poche parole.
Ti basti sapere che tutto, e per tutto, è in regola.
Orsolina va alzandosi di letto, ma le forze debbono venire da lontano.
Le aspetta.
- Ieri al giorno vidi Giobbe, e questa mattina D'Eramo.
Entrambi vogliono essere da me a te ricordati mercé un cortese saluto.
- Checco, Biagini, Pippo Ricci etc.
ti dicono vale, anzi valete vel valetote.
Fanne dunque parte a chi di ragione.
Ho parlato a mezzogiorno colla Sig.ra Maddalena Caramelli, ritornata da Perugia dove ha il figlio in collegio, compagno di Ciro, benché d'inferior camerata.
Mi ha dato ottime notizie del mio orfanello sì per riguardo della salute come per quello della bontà e degli studi.
Si è cattivato l'universale benevolenza coll'assiduo esercizio de' suoi doveri.
-Mille cose alla tua cara famiglia.
Il tuo Belli che ti abbraccia
P.
S.
Che confusione! adesso mi dice Annamaria che questa lettera non mi è venuta per mezzo di Zampi ma di De Belardini.
Non mi raccapezzo.
Spesso trovo lettere sul mio scrittoio senza sapere chi me le ha lasciate.
LETTERA 320.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, mercoledì 4 luglio 1838
(nefasto) - ore 9 antimeridiane
Mio caro Ferretti
Mattino mattino un garzone Mandrellico, a quanto me ne dicono i connotati, è venuto a portarmi una tua senza data, che io però suppongo piamente esser di ieri.
Ma andiamo per ordine e non anticipiamo gli eventi.
Ieri verso sera volli vedere se Monsieur Visaj (col quale tu sei un unum & idem, o, come disse Carlin Porta, corna e pell, camisa e sédes, scisger e buell) avesse libri per te.
Contentone il rospaccio affricano della mia dimanda, che veniva a tradursi per lui in lingua da paoli o scudo, mi pose fra mani N° 4 volumi del Lebeaud (55 a 58) una distribuzione (VIII) della galleria storica, e il vol.
13° collezione di romanzi.
Tengo tutto presso di me ignorando se tu desideri qualche cosa in Albano.
Paronmi però spezzature da non meritare la pena dell'invio.
Basta: tu dices, ego faciam.
Già in altra mia degli andatissimi giorni ti avvisai del ritiro fatto da me del Manzoni completato chez Mr.
Rayons, vulgo Raggi.
Passiamo adesso alla tua lettera che chiede risposta.
Ed ecco la risposta.
Si farà di tutto affinché:
...quelle care
semi-egizie morate bestiuoline
che ne' cessi ed acquai vedi albergare,
non trapassino a domiciliarsi fra tuoi libri, i quali in casa tua non son certo destinati né a ricovero né a pastura di animaluzzi né di animaloni.
Se poi il caso dovesse contemplarsi in casa mia, i soli topi vi avrebbero qualche jusquesito per doppio motivo, e perché io non leggo (e allora studia il bibliotecario) e perché i topi hanno qui affinità di famiglia, siccome consanguinei della Signora Nanna.
Fra le tue mura nulla si verifica di tutto questo.
Sarà fissata al Sig.
Sarto Sartori un'ora certa perché frughi nel tuo Ferrario invece dei bacherozzi.
Ma il tuo Ferrario ha le figure in nero o a colori? Se non fosse colorito (ciò che non rammento) porterò il frugatore a casa mia dove troverà tutto lo spettro del prisma, rimpasticciato su quelle povere figure.
E questo cambio di luogo si effettuerà sotto la mia livrea di tuo Maggiordomo e come affare di tuo cenno onde te ne goccioli addosso quella poca stilla di merito che ne può derivare.
A mensa-il-Ricci non fummo che quattro.
Egli, il Sig.
Vallard Segretario del Principe di Russia; l'avv.
Vera, segretario dello studio di Silvestri; e io sotto-croce-segnato.
Mi fu forza certamente di ciarlare.
Si ciarlò molto, ma si ciarlò in prosa come ciarlano diversi dell'Accademia tiberina verso ventitré ore.
Il maestrino Vera è partito questa notte.
Mi spiace più assai il tuo dolor di capo che non la stessa morte del Ciamberlano
che nell'ultimo albergo
Ha per sempre adagiato e pancia e tergo.
Già porterai berrettino; e poi manda su vapore di caffè o d'altra acqua leggermente aromatizzata.
Tu sai che fra l'aromatico e il reumatico passa non lieve analogia in molte bocche.
Perché non accadrebbe altrettanto in qualche testa? Fuor di celia; io credo che qualche fumigazione vaporosa potrebbe giovarti.
Non vorrei però che Bassanelli mi udisse e mi dasse la huée.
Passerò da Lopez per ricevere il pacco di cui mi favelli.
Se peraltro tu parli del pacco di tre o quattro giorni addietro, l'ho già ricevuto.
Io ritengo fermamente che il tumore della povera Cristina sia il finis-coronat opus della storia del suo morbo, fonte di tanti rammarichi.
Ne spero bene.
E i capelli? Caddero sotto la forbice?
Non è a mia notizia l'avventura veliterna.
Non potrà però molto tardare a spandersi sino alle mie non corte orecchie.
Qui ha piovuto due o tre volte.
Domenica molto, lunedì meno, jeri poco.
Purtuttavia la pioggia di ieri fu per me la più abbondante perché mi visitò le spalle.
Oh povero Gigio! Ravvolto fra la polvere come le carovane del Sahara fra i vorticosi monti di arena! Tienlo per mano, e se ti sfugge tiragli il capezzòlo.
Tutto meglio che far la fine d'Encelado.
E se viene, e se lo visiti, e se lo vedi, farai il mio gran piacere salutandomi il Card.
Micara e parlandogli di me, delle mie circostanze e della mia antica amicizia (allorché entrambi eravamo cerasa, adesso egli è ananas ed io osso di prugna).
Un giorno gli farò conoscer mio figlio.
Maggiorani partirà dimani o forse anche venerdì.
Questa sera vado a veglia in casa sua.
Gli farò la tua ambasciata celiaca.
Il quadro di S.
Giuseppe è quasi finito.
Bosco ha fatto piuttosto quattrini.
Io, che ne ho pochi, non ci vado.
Orsolina la strappicchia e ti saluta caramente.
Così tutti i tuoi amici ti salutano e ti abbracciano.
Tu dici a me: coraggio, Belli.
- Coraggio, Ferretti mio, io ti rispondo.
Sono il tuo Belli.
LETTERA 321.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, giovedì 5 luglio 1838
ore 3 pomeridiane
Debbo, mio Ferretti, riscontrare oggi tre de' tuoi fogli di diversa data.
1a Una tua lettera del 10 giugno (e doveva certo dir luglio) consegnatami questa mattina da Lopez alla sua officina dove giunse jersera.
2a Altra del 2 luglio corrente, consegnatami in tutto e per tutto come sopra.
3a Altra di jeri (4) recatami poco fa dal Sig.
Gabrielle.
Animo dunque.
Rispondo alla 1a.
Essa, piccolissima di formato non parla fuorché dell'arrivo de' quattro ventagli al tuo domicilio.
Approva il pagamento degli Sc.
2 eseguito in mie mani dal Sig.
Campacentanni.
Finalmente annunzia che di essa andava ad esser latore un peintre français, il quale in puntualità e diligenza ce l'ha lavorata vulgo alla polignacca.
Igitur de hoc satis.
Passiamo alla 2a - Racchiude la 2a l'equivoco necrologico tra il Ciambellano e il Ciamberlano, manipolatore il primo di crustulette e l'altro di pasticci: vir popularis quello, e questo vir patritius.
Ed ora comprendo che io aveva ragione quando jeri leggendo nella tua del giorno 3 la notizia secca secca del funerale del Ciamberlano, poco chiaro ci vidi.
Mi mancava la precedente storia della morte, giuntami dopo quella della sepoltura.
Forse il Celi non prevede a torto il passaggio del Maggiorani dai colli Campagnesi a quelli Albani o Aricini.
Non so ficcarmi nella testa come l'aria di Campagnano valga a ridonar salute a chi la perdette sotto l'atmosfera di Roma.
Maggiorani dice di sì e sarà.
Feci parte jeri sera al nostro dottore delle notturne peragrazioni celiache.
Egli ne torce il griffo come il Celi lo torce sulla villeggiatura Maggioranica.
...
[Pagina successiva]