LE LETTERE 1, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 63
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Povera donna! Morire senza né il figlio né il marito vicini! Lasciar sola la vita e priva de' conforti estremi del sentirsi chiuder gli occhi da una mano amica quanto può esserla quella de' nostri più cari! Non avere io potuto abbracciarla e prometterle, piangendo, di vegliar sempre al bene del figlio! Ella ne sarà stata persuasa, ma il sentirselo ripetere in quegli ultimi momenti deve dar tanta consolazione e tanto coraggio! Ah! pazienza.
Voglio adesso chiedere un piacere alla vostra amicizia.
Da più anni mia moglie esigeva dalla Cassa dell'Amministrazione de' Beni ecclesiastici di Fermo, dove è capo il Sig.
Mons.
Bartolucci di S.
Elpidio, una somma trimestrale di Sc.
14:59 1/2 proveniente da una ritensione mensile fatta in questa Computisteria Camerale sull'onorario del Sig.
M.se Antonio Trevisani, uno degl'impiegati in detta Amministrazione.
La persona che gentilmente favoriva mia moglie, con procura di lei, esigendo ed inviando a Roma le somme trimestrali, non ha più voluto dopo la morte di lei continuare questo favore.
Io manco a Fermo di amicizie.
Una pratica da me usata in Computisteria Camerale, onde far qui voltare di uficio le somme, ha mancato di successo, benché il Computista mi è benevolo, opponendosi ciò alle regole di amministrazione.
Non avreste voi dunque, mio caro Neroni, qualche onesto e gentile amico colà che in vostro riguardo volesse ogni tre mesi ritirare la detta somma e spedirmela? Io gli manderei una procura nella mia qualità di padre e legittimo amministratore di Ciro erede universale della Madre (ab intestato) come apparisce da un pubblico istrumento stipulato in atti Fratocchi il 7 luglio ultimo.
Giace di già inesatto un trimestre senza che io abbia ancora potuto trovare il canale onde ritirare a Roma i denari.
Vedete un poco, mio buon amico, di aiutarmi in questa circostanza, tanto più che ho grandi urgenze da soddisfare.
E vedete la mia temerità! Non potreste voi stesso ricevere la mia procura, e ad ogni trimestre mandare al Sig.
Bartolucci la vostra ricevuta e ritirare l'equivalente? Se ho, così dicendo abusato troppo dell'amicizia, perdonatelo all'amicizia stessa, e diminuite la mia impertinenza colla vostra opera trovandomi chi per amor vostro mi favorisca.
Io ne vivo in isperanza.
Addio, mio caro amico.
Iddio vi conservi lungamente al bene e alle delizie di famiglia.
Io ne sono privo.
Mio figlio è buono, gentile, studioso, ma è piccolo e da me lontano.
Per più motivi non posso ancora richiamarlo con me.
Sono con tutto il cuore
il vostro amico G.
G.
Belli.
Monte della Farina N° 18.
P.S.
Ho dovuto cambiar casa.
LETTERA 271.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 2 novembre 1837
Ciro mio
Ho veduto la tua lettera ad Antonia.
Bravo Ciro! Siamo sempre riconoscenti a chi ci ha fatto del bene.
Antonia e Domenico hanno gran diritto alla nostra benevolenza.
Essi non sono più con noi, ma se ne ricorderanno sempre, e noi ricordiamoci sempre di loro.
Biscontini ti avrà fatto avere la mia del 26 ottobre.
Al di lui ritorno udirò i risultati dei discorsi che avrà tenuti con te.
Temo che tu non saprai leggere la mia presente lettera.
Scrivo con pena perché mi trema la mano.
Ho scritto troppo ieri ed oggi; e poi questo è un giorno che molto influisce sulla mia macchina.
Suonano le campane, figlio mio: per chiamar suffragio ai defunti; e tu sai chi noi abbiamo perduto.
Or via, basti di ciò: Iddio ci darà forza per rassegnarci alla Sua volontà.
Studia, cuore mio, studia di cuore e con mente più serena che puoi: sii buono, dolce, manieroso, e fatti amare da tutti.
Riverisci i tuoi Sig.ri Superiori, amami sempre come io ti amo, e ricevi i miei abbracci e le mie benedizioni.
Sono il tuo aff.mo padre.
P.S.
La presente ti verrà dalla gentilezza della Sig.ra Cangenna che si occupa tanto di te.
Siile grato, Ciro mio: essa veglia su te come una madre.
LETTERA 272.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 11 novembre 1837
Ciro mio
Il Signor Conte Francesco Moroni, la cui madre Sig.ra Contessa Maria ebbe sempre tanta bontà ed amicizia per la tua, viene a Perugia direttore della posta e mi favorisce recarti questa mia lettera.
Ho ricevuto la tua del 7 corrente.
Il Signor Vice-Presidente Cambi mi aveva già fatto conoscere i tuoi studi per l'entrato nuovo anno scolastico.
Iddio ti mantenga sempre le buone disposizioni che mostri di voler profittare in essi e negli altri che farai in avvenire.
Dallo studio nasce il sapere, e da questo congiunto alla bontà dell'animo e alla gentilezza delle maniere dipenderà tutto il bene della tua vita.
Non acquistata o perduta la stima degli uomini onesti, tutta la nostra esistenza diviene una serie di rammarichi tanto più pungente quanto più ne siamo noi stessi gli autori trovandone le cagioni nelle nostre opere.
Pondera bene, Ciro mio, queste terribili verità, alle quali si suole pensare troppo leggermente dalla comune degli uomini, e perciò si veggono al Mondo tanti falli e tante sventure.
Circa alle tue idee di continuare nella musica vado oggi stesso a scriverne al nostro Signor Biscontini, e ne parlerai nuovamente con lui.
Ho scritto, e consegnata la lettera al Sig.
Conte Moroni, al tuo nuovo Superiore Sig.
Don Fausto Bonacci.
Ti gli ho raccomandato, ed ora raccomando a te di mostrartigli sempre obbediente, sottomesso, riconoscente e gentile.
Riveriscimi gli altri tuoi Sig.ri Superiori, e così la buona Sig.ra Cangenna e la Signora M.sa Monaldi, allorché le vedrai, ringraziandole de' saluti che sì spesso m'inviano per tuo mezzo.
Tu dicesti alla Sig.ra Cangenna di non conoscere i nostri parenti Mazio, in casa de' quali oggi io abito.
Non te ne ricorderai, Ciro mio, ma spesso io ti ci ho condotto allorché eri in Roma, ed anzi (e questo te lo devi ricordare di certo) il marito della mia cugina, Orsolina Mazio, che allora non l'aveva ancora sposata e le abitava incontro, ti fece il ritratto pochi giorni prima della tua partenza da Roma pel Collegio.
Quel ritratto è poi sempre stato il conforto della tua lontananza per la tua povera Madre; ed a tale scopo io lo feci fare.
Ora io lo conservo presso il mio letto siccome essa usava, benché noi non abbiamo mai avuto bisogno di tal segno materiale per ricordarci ad ogni momento di te.
-Questi parenti dunque ti salutano e bramano di presto rivederti.
Così ti salutano i nostri amici, che sono pochi ma ottimi.
Addio, Ciro mio, ama sempre
il tuo aff.mo padre che ti abbraccia e benedice.
LETTERA 273.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 14 novembre 1837
Mio veramente gentilissimo amico
Di quanti conforti la pietà umana o la civiltà mi è venuta sin qui prodigando a sollevarmi l'animo caduto in tanta deiezione per la perdita della compagna della mia vita, niuno più dolce ed efficace delle semplici parole da voi adoperate per un fine sì santo quale è quello di consolar gli afflitti.
Voi, Neroni mio, conoscete il cuore dell'uomo, e sapete di più distinguere cuore da cuore: così secondo i casi e le persone versate il balsamo che se intieramente non sana una piaga incurabile, la sparge almeno di salutare dolcezza che fa parere grato anche il dolore allorché lo compatisce un animo cortese e generoso.
Né mai più né meglio conosciamo il prezzo dell'amicizia, che quando vivendo disgraziati ci vediamo attorno persone amorose e bennate, tutte sollecite di attenuarci le pene con cui la provvidenza volle provare la nostra rassegnazione.
Io dunque in mezzo a' miei patimenti benedico Iddio che mi vi fece conoscere dapprima, e poi sperimentare così benevolo.
È vero, mio caro Neroni, io debbo conservarmi pel mio figlio onde non fare di questo povero innocente un orfano abbandonato.
Che sarebbe di lui fra tanta corruttela? Chi lo guiderebbe, chi lo salverebbe dalle infinite insidie e dagli errori innumerevoli dove vanno a inciampare talora anche gli avvisati e gli accorti? Io dunque ho l'obbligo di mantenere la mia esistenza per la sua felicità.
Penerò, veglierò, mi travaglierò, e quando poi avrò di questa povera pianticella formato un albero saldo abbastanza contro le tempeste del secolo, dirò allora a Dio: è compiuta la mia missione: nunc dimittis servum tuum, domine.
Voi siete già sciolto da un tanto dovere; ma ora i vostri figliuoli impegneranno la giustizia eterna a concedervi la retribuzione che vi siete meritata, e così vivrete lunghi anni nel premio maggiore che possa sperare la virtù paterna: quello di vedere il suo sangue senza macchia al cospetto degli uomini.
Troverete qui unita la procura che la vostra bontà mi ha concesso inviare al vostro nome per la trimestrale esigenza, e di cui vi tenni proposito nella mia antecedente, in codesta Amministraz.
dei Beni ecclesiastici di Fermo.
Mi pare certo avervi avvisato essere giacente un trimestre inesatto, cioè quello di luglio, agosto e settembre prossimi passati.
Alla fine del venturo dicembre scadrà il trimestre oggi corrente.
Abbiamo sempre usato di esigere trimestralmente e non mensilmente onde diminuire la noia de' troppi minuti e frequenti dettagli.
Sino a tutto giugno sonosi percetti per cadaun trimestre Sc.
14:59 1/2; ma in seguito può esser più, può esser meno secondo l'entità dell'onorario del debitore e i sequestri de' di lui creditori, benché su questo ultimo proposito l'ultima causa sostenuta dalla fu mia moglie contro alcuni coaspiranti al riparto dovrebbe lasciare invariabile il riparto attuale.
Ad ogni modo Voi prenderete quello che vi daranno, compiacendomi in qualunque caso di accennarmi i motivi addottisi per dichiarazione de' cambiamenti che s'operassero.
Circa alla trasmissione delle somme mediante il proporzionato concambio che avete in mira sulle percezzioni in Roma di vostro fratello, ne sarei contentissimo.
Sul di lui mutamento di stato, che io ignoravo, la penso appuntino come Voi, e credo che quello che in ciò gli è accaduto di meglio sia la erudita, dotta, elegante, disinvolta e giudiziosa epistola che gli avete indirizzata per festeggiare le sue gioie colle glorie della vostra patria comune.
Bella mente sana che avete! Invidio la chiarezza e semplicità de' vostri argomenti sì liberi dagli arzigogoli stiracchiati di tanti archeologi e storiografi che si lambiccano il cervelluzzo per accomodar colori a un disegno che non vorrebbe riceverli.
Voi avete condotto le vostre assennate ricerche sin dove l'ipotesi confina e si confonde colla verità.
Eccovi il mio schietto giudizio.
Se ho errato mi piace aver errato con voi.
Sin qui voi sapete la metà sola de' miei mali, ed è quella che soglio narrare a tutte le gentili persone.
Oggi ne confido l'altra metà alla delicatezza dell'amico.
Voi ne stupirete.
La mia buona moglie, per troppa fiducia e generosità di condotta, ha lasciato al figlio un patrimonio assai offeso.
Quanti anni di pene mi bisogneranno per formare al mio Ciro uno stato! Ed anche chi sa!...
- Io dunque cerco ogni via per sollevarlo, faticando, dal mio peso personale.
Perciò non arrossisco dirvi che se mai udiste in codeste parti che alcun vostro conoscente avesse affari da affidare in Roma a chi non fosse capace di tradire la fiducia de' suoi committenti, io presterei la mia opera in assistenza di ogni discreta persona.
Intendiamoci però: in qualunque vostra occorrenza voi siete il mio padrone e il mio nuovo discorso non vi riguarda.
Non si può dire ciò che io sarei pronto ad operare per voi che mi avete resi sempre tanti favori.
Amate dunque e comandate liberissimamente il vostro servitore ed a.co
G.
G.
Belli
LETTERA 274.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 28 novembre 1837
Mio carissimo figlio
Riscontro le tue due lettere del 10 e del 19 cadente, ricevute da me la prima per mezzo del Sig.
Avv.
Gnoli e la seconda per parte del Sig.
Conte Moroni.
In quella sei tornato ad assumere il pronome ella e lei.
Tu sai che non mi piace.
Amo che tu mi rispetti: godo però meglio che il rispetto vada unito a una moderata confidenza che riesce assai più affettuosa.
Quindi il Voi mi appaga assai più; e mi parla più al cuore.
Io sono tuo padre, e insieme il primo tuo amico e confidente; e il rispetto lo voglio attendere da te più nella corrispondenza dei sentimenti e nella consuonanza delle azioni che non nelle parole, sotto le quali non di rado può celarsi una fallacia tanto maggiore quanto meno apparisce.
Una soverchia familiarità mi offenderebbe perché temerei che, considerandomi tu troppo alla pari, svanisse a' tuoi occhi la gravità e la importanza de' miei consigli e si perdesse così il frutto delle paterne e insieme amichevoli mie insinuazioni.
Il freddo tuono altronde della civiltà di pura convenzione disgiungerebbe di soverchio i nostri animi e potrebbe all'affezione della natura sostituire i vuoti omaggi del complimento.
Amami, Ciro mio, metti in pratica i miei avvertimenti, e questo è il maggior rispetto che io desidero da te.
Odo con piacere i nuovi studi che ti sono assegnati per questo 6° anno della tua educazione.
Iddio benedica le cure de' tuoi Maestri e le tue fatiche.
Mi si dice però che nella lingua latina sei ancora un po' tiepido.
Eppure ne dovrai trarre nel Mondo tanto bene!
Ho parlato di te col Sig.
Biscontini.
Ebbene, poiché lo desideri, acconsento che tu riprenda lo studio della musica, e ne vado a scrivere al Signor Vice-Presidente col quale ne tenni varii colloqui allorché era Rettore.
Col Sig.
Presidente Prof.
Colizzi ho anche tenuto lungo proposito intorno a te e a quanto ti concerne.
Egli ti ama, ed ha per te molta bontà.
In vita della tua buona Mamma era solito il mandarti qualche dono pel Natale.
Oggi i tempi sono cambiati, Ciro mio, ed io non saprei cosa inviarti per detta prossima epoca.
Se tu abbisogni di qualche cosa o nudri alcun particolare desiderio, fammene consapevole, ed io procurerò di appagarti.
- Studia con coraggio e serenità d'animo.
I giorni e gli anni passano, e poi viene il tempo in cui si raccoglie secondo che si è seminato.
Riverisci i tuoi Sig.ri Superiori, e ricevi i miei abbracci e le mie benedizioni.
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 275.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 13 dicembre 1837
Ciro mio
Per mezzo del Sig.
Presidente Colizzi devi avere avuta la mia del 4 corrente.
Ricevi ora quest'altra che favorirà consegnarti il Sig.
Caramelli.
Ho con estrema consolazione udito che di giorno in giorno tu abbandoni quella certa negligenza nella quale avevi ricominciato gli studi, specialmente di letteratura.
Bada, Ciro mio caro, bada: se tu non istudi con fervore e di vero proposito sarai infelice.
Credi a tuo padre.
Se io dovessi un giorno vederti vittima della tua stessa pigrizia e indolenza, ne morrei di dolore, e tu avresti questo peccato sull'anima.
Per carità, figlio mio, non istancarti.
Gli anni passano presto, e presto raccoglierai il frutto delle tue attuali fatiche.
Tu cresci, la tua mente va maturando colla età: è dunque vergogna l'operare senza senno.
Fa', Ciro mio, che allorquando vivremo insieme io abbia a benedire la provvidenza dell'avermiti dato.
La tua povera Madre non ha potuto vedere i tuoi successi, ma adesso prega Iddio in cielo per te.
Renditi degno delle preghiere di quella benedetta che si rallegrerà delle virtù che tu acquisterai.
E riguardo a me, vorresti tu pagare d'ingratitudine le tante mie cure e sollecitudini? No, Ciro mio, dà consolazione a tuo padre che ne ha bisogno per sostenere il carico della tua guida nel Mondo.
Io sono qui solo e senza nessun altro conforto fuorché quello della speranza della tua buona riuscita.
Se questa fallisse mi troverei troppo male ricompensato.
Dunque, sù, coraggio, avanti sempre: bontà, studio e gentilezza: ecco quello che voglio da te.
Me lo prometti?
Spero che sarai contento dell'averti io ripristinato la musica siccome tu desideravi.
Anche questa potrà molto nel Mondo giovarti.
Lo vedrai.
Riverisci i tuoi Sig.ri Superiori e ricevi da me saluti, abbracci e benedizioni.
Il tuo aff.mo padre.
P.
S.
Ti ripeto, Ciro mio, che se per S.
Natale desideri qualche cosa da poter corrispondere alla nostra facoltà me lo parteciperai onde io procuri di soddisfarti.
Appena ti riesce dà l'acclusa alla Sig.ra Cangenna.
LETTERA 276.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 16 dicembre 1837
Caro e gentilissimo amico
Ebbi ieri la obbligante Vostra del 10 corr.
con in seno l'ordine di Sc.
14:54 1/2 tratto da vostro fratello Conte Filippo sopra questo Sig.
Paolino Alibrandi furiere delle guardie nobili, e da Voi speditomi in pareggio netto degli Sc.
14:59 1/2 che vi compiaceste esigere per mio conto da cod.
Cassa de' Beni ecclesiastici di Fermo nell'affare Trevisani pel trimestre luglio, agosto e settembre p.p.ti.
- Il Sig.
Alibrandi me lo ha questa mattina pagato.
Sta ora per maturare l'altro trimestre di ottobre, novembre e dicembre, le quote de' quali mesi giacciono nella medesima Cassa in seguito delle mensili ritenute sull'onorario del Sig.
Marchese Trevisani.
Entrato dunque il prossimo gennaio Vi prego a vostro comodo ritirarne l'importo.
Direttissimi rapporti amichevoli io non ho coi compilatori del giornale arcadico, ma non mi è mancato mezzo di pormi con essi in comunicazione riguardo all'articolo che desiderate inserto nello stesso giornale.
Ieri sera consegnai la vostra epistola a un bravo giovane, amico d'uno dei più influenti collaboratori, onde lo impegni ad appagare il mio nel vostro desiderio.
Non ne ho ancora risposta, né ho voluto che l'indugio di essa Vi ritardasse la notizia che io Vi doveva circa all'incasso dell'ordine.
Presto però deve ripartire di Roma il vostro amico Conte Orazio Piccolomini, il quale vi sarà latore di una mia, e in essa spero annunziarvi il risultamento delle mie premure pel piccolo servizio che mi chiedete.
Favoritemi dire molte parole affettuose per me al caro Pippo Lenti (lo chiamo colla confidenza dell'antica amicizia che ci lega) che rivedrei tanto volentieri, siccome ardente desiderio nudro di riabbracciar Voi dopo così lunga separazione.
Quindici anni! Quanti altri ne passeranno prima di riavvicinarci?
Sono di vero cuore e pieno di sincera stima
il Vostro aff.mo e obbligatissimo amico Giuseppe Gioachino Belli.
LETTERA 277.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 26 dicembre 1837
Gentilissimo amico
Per mezzo del nostro caro Piccolomini V'invio questa lettera, annunciatavi fin dalla mia precedente speditavi per la posta il 16 cadente.
La vostra illustrazione archeologica della Città di Ripatransone è ora in mano del Signor Salvador Betti, uno de' primi compilatori del giornale arcadico; e sono stato assicurato da chi gliel'ha trasmessa che o comparirà tutta intiera nel giornale o ne verrà in quello fatta menzione.
Voglio sperare di non esser deluso.
Ieri uscii di letto dopo otto giorni di malattia del solito carattere infiammatorio.
Ah! se non mi posso aver cura!
Circa al mio affare ed a' vostri favori mi riporto alla mia del 16.
Auguro di vero cuore a Voi e a' vostri più cari un felice anno.
Il Cielo lo mandi migliore di quello che cade.
Sono sinceramente
Il vostro aff.mo e obbligatissimo a.co G.
G.
Belli.
LETTERA 278.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 30 dicembre 1837
Mio caro figlio
O l'altro ieri dopo pranzo o ieri mattina dev'essere partito di qui un canestrello al tuo indirizzo.
Il Sig.
Raffaello nipote di codesto Sig.
Angiolo Rossi mi ha favorito consegnarlo a un suo amico il quale viene a Perugia, e così tu lo avrai in breve per mezzo del detto Signor Angiolo.
Avrei voluto, Ciro mio, mandartelo per le sante feste, ma sono stato infermo parecchi giorni colle mie solite accensioni di sangue, impedito perciò di potermene occupare, giacché ora debbo far tutto da me.
Nel canestrello troverai un pangiallo, quattro torroni, un poco di confetti e di mandorle attorrate, e due mostacciuoli di Napoli.
Ti serviranno per addolcirti la bocca il giorno di pasqua epifania.
Non ho potuto né saputo mandarti altro: ho pregato però la eccellente nostra amica e padrona Signora Cangenna Micheletti d'indagare i tuoi bisogni e i tuoi desideri e di appagarli a Perugia senza che io stia ad accrescere il volume della spedizione, giacché per via particolare sarebbe indiscreto il caricar troppo chi ci favorisce, e per mezzo de' vetturali importerebbe un dispendio inutile il trasporto di cose che si trovino a Perugia.
In quanto al pangiallo esso è cosa romana e ho voluto inviarlo da qui.
Conserva il canestrello, potendo servire ad altri usi.
Ho con piacere appreso dalla tua del 19 cadente che il discorso del rispettabile Sig.
Prof.
Colizzi, unito alle speciali mie insinuazioni, ti abbia fatto impressione.
Così è, mio caro Ciro, noi non ci troviamo più nello stato in cui sembravamo posti dalla Provvidenza.
Ma comunque vadano le cose, benediciamo sempre la Mano che regola le sorti degli uomini, vedendo quanti stan peggio di noi benché forniti di molto maggiori meriti che noi non abbiamo.
L'onore, Ciro mio, ci terrà luogo di splendore e di lusso.
Una vita modesta e virtuosa può consolare l'uomo cristiano e ragionevole da tutti gli attacchi e le inimistà della fortuna.
Tu sei determinato a calcare una strada di rettitudine.
Iddio benedica le tue savie intenzioni.
Né io mi stancherò mai nel procurare il tuo maggior bene, assistendoti assiduo e vigilante sino a che il Mondo possa conoscere i frutti de' tuoi travagli e rimunerarli.
Allora io sarò vecchio, e tu renderai a tuo padre le cure ch'egli avrà prestato alla tua fanciullezza.
Questa è la giusta vicenda de' doveri di famiglia: il più debole deve ricever protezione dal più forte.
Il debole ora sei tu: presto lo sarò io, se il Cielo vorrà conservarmi tanta vita da vederti uomo formato ed abile al disimpegno degli obblighi sociali.
I nostri pochi ma buoni amici ti rendono mille saluti e insieme coi nostri parenti ti augurano un felice capo-d'anno.
Fa' tu altrettanto in mio nome co' Sig.ri tuoi Superiori, ringraziando spezialmente l'onorevole Signor Rettore delle confortanti parole aggiuntemi appiè della tua lettera.
Di' anche molte cose amichevoli per me al Signor Tancioni, e fallo contento di te.
Alla Sig.ra Cangenna e al Sig.
Bianchi ho scritto particolarmente nel passato ordinario.
Ti abbraccio, figlio mio caro, e ti benedico di cuore, pregandoti da Dio ogni felicità.
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 279.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 15 febbraio 1838
Mio caro e buon Neroni
Vi scrivo in letto dove mi trovò l'11 corrente la obbligante vostra dell'8, contenente l'ordine di vostro fratello Conte Filippo sopra questo Sig.
Paolino Alibrandi per scudi quattordici e bajocchi 54 1/2, prodotto netto della esigenza da voi cortesemente fatta per mio conto in Sc.
14:59 1/2 della Cassa de' Beni ecclesiastici di Fermo pel sequestro c.
il M.se Trevisani relativo all'ultimo trimestre del caduto anno.
Jeri mi capitò un amico il quale mi andò a realizzar l'ordine, che fu puntualmente pagato.
Fu una fortuna nel mio attuale isolamento: così posso oggi darvene subito avviso.
Non è poco che finalmente codesti Sig.ri pagatori siensi compiaciuti di dare ciò che da molto avevano in mano; e l'han dato quando già ritengono giacenti le due quote di gennaio e febbraio del corrente anno.
Questa loro renitenza sempre più accresce pertanto le mie obbligazioni verso di voi per moltiplicati incomodi che ne dovete soffrire.
E il mio male qual'è? Il solito, Neroni mio, infiammatorio.
Sto da sei giorni a brodo, e per brodo do sangue.
Son debolissimo di membra e di capo.
Ad ogni nuovo accesso di febbre però mi torna un vigore falso e apparente che debbo poi restituire alla natura nelle ore consecutive.
Ora però sto alquanto meglio de' giorni passati, e per ciò mi è pure riuscito di scrivervi.
Spererei esser presto guarito.
Finisco per rimettermi disteso sotto le coltri e per mandare alla posta la servaccia di casa, seppure saprà ficcare una lettera in un buco.
Che mutazione di scena! Pazienza.
Vi abbraccia di cuore
il Vostro aff.mo amico G.
G.
Belli
LETTERA 280.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 10 marzo 1838
Mio sempre carissimo figlio
Riscontro la tua del 6 corrente.
Credo che a quest'ora potrai aver principiato a sperimentare la verità delle mie passate assicurazioni, colle quali ho in ogni tempo voluto metterti nell'animo il coraggio che nasce dal sapere come gli studi tanto più divengono lievi e piacevoli quanto si allontanano più dagli aridi elementi.
Chi principia a studiare la gramatica non sa fin d'allora prevedere sino a quali belle ed utili conseguenze debba condurre quel non troppo amabile sminuzzamento di parole e d'idee, né quella incomoda ricerca continua giù per le pagine di un vocabolario.
Ma viene poi fuori a poco a poco una bella lingua ed una capacità franca di distinguere non solo e classificarne le parti con esatta precisione dentro le più famose opere de' classici, ma ancora di intendere le alte cose che pel ministerio di quella lingua hanno scritte gli autori stessi onde erudirci ed ammaestrarci in sapienza e in virtù.
Così puoi dire del calcolo.
In origine il più, il meno, e gli y e gli x e le radici e i quadrati etc.
non ti saranno apparsi tanto geniali.
Oggi però che vai e sempre più andrai di giorno in giorno scendendo alle applicazioni di quelle chiavi delle scienze esatte, devi principiare ad accorgerti di quanto conforto ti riuscirà allo spirito l'aver superato il fastidio delle prime fatiche.
E credimi, Ciro mio, troverai presto maraviglie filosofiche morali e letterarie che t'incanteranno e ti faranno benedire la provvidenza dell'averti concesso il gran beneficio dello studio.
Io so che tu mi vuoi bene e sei persuaso del mio amore per te.
Questo mio amore dunque ti convinca della realtà di quant'io ti vo avvisando.
Abbandona, Ciro mio, ogni resto d'inclinazioni fanciullesche, se mai tuttora ne conservi, e seriamente volgendo tutto il tuo animo alla tua cultura ti preparerai la maggior felicità che sia concesso all'uomo di sperare sulla terra.
Non mi ricordo se ti ho mai detto che io ti ho lavorato due eleganti globi, celeste e terrestre.
Ti serviranno quando tornerai a stare con me.
- Ho veduto il Signor Biscontini e gli ho fatto la tua ambasciata.
Tutti di qui ti salutano.
Tu riverisci i tuoi Sig.ri Superiori e i nostri buoni amici, e ricevi i miei teneri abbracci con infinite benedizioni.
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 281.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 20 marzo 1838
Mio caro figlio
L'altr'anno tu ti dimenticasti della mia festa: quest'anno me ne dimenticava io; tantoché se non fosse giunta a proposito la tua lettera del 15 a ricordarmela, forse la festa di S.
Giuseppe mi sarebbe arrivata improvvisa come arrivano i lampi.
Non è più, Ciro mio, il tempo in cui queste giornate riconducevano nella nostra famiglia scambievoli sogni di memoria e di affetto.
Sol tu adesso rimani col quale io ricambii simili atti sì dolci; e tu colla tua lettera amorosissima mi hai per verità dimostrato una tenerezza che molto mi commuove.
Grazie, mio buon Ciro, grazie alle tue care espressioni: mi hai fatto un gran bene, e te ne rimuneri il cielo col farne un giorno a te gustare altrettanto.
E mi rallegro poi specialmente della tua graziosa letterina perché il Sig.
Rettore mi assicura essere ella tutta tua, sentimenti e parole.
Il Signor Rettore merita da me cieca fiducia né voglio credere che tu abbia saputo illuderlo con una fallace assicurazione.
La lettera è molto affettuosa e disinvolta; e, composta da te fa onore al tuo profitto nell'arte di pensare e di scrivere.
Coraggio, Ciro mio caro; tu divieni uomo ogni giorno.
- Ho gran piacere che tu principii a gustare Cicerone e Virgilio, portenti di sapere e di genio.
Ti prego, Ciro mio, di ringraziare caldamente in mio nome il Signor Rettore per le obbliganti cure che prende d'informarmi sempre di te.
Deve avere un bel cuore codesto rispettabile tuo Superiore.
Quando vedrai la gentilissima Sig.ra Cangenna, alla quale dobbiamo tanto, le darai la qui unita mia lettera.
Ringrazia tutti i tuoi Sig.ri Superiori e così gli amici degli augurii cortesi inviatimi pel tuo mezzo, e riveriscili da mia parte.
Questi nostri parenti, e così gli antichi domestici, stanno bene e ti risalutano.
Domenico però è afflitto per la recente perdita che ha fatto della Madre, la quale egli amava moltissimo.
Segui, Ciro mio, a studiare con fervore e diligenza: te ne troverai un giorno contento.
Abbi cura della tua salute, sii buono, amami, e ricevi mille abbracci e benedizioni del tuo
aff.mo padre.
P.S.
Attualmente io sto passabilmente bene.
LETTERA 282.
AD AMALIA BETTINI - VENEZIA
Di Roma, 22 marzo 1838
Cara Amalia,
il mio silenzio, rimproveratomi più volte in vostro nome dal nostro Ferretti, eccolo oggi compensato da una lettera lunga quanto una quaresima; seppure possa chiamarsi risarcimento un infarcimento di ciarle che o spacciate in prosa o in verso non perdono mai la loro papaverica natura.
Troppo mi sono però taciuto con Voi, mia affettuosissima amica, perché in sul primo riaprir della bocca io potessi impedire a tutti questi strambotti il precipitarmisi fuor delle labbra come un branco di pecore o d'altri animali meno innocenti, addensati all'uscio che toglieva loro l'aria e la luce.
Da molto tempo io sentiva il bisogno di consacrarvi esclusivamente un'ora di parole oltre le tante ore che voi occupate nel mio pensiero.
Ma se noti vi sono in parte i motivi dolorosi che tutto han cambiato il tenore della mia vita, mi perdonerete l'esser questa ora giunta sì tarda.
E quando mi sarà concesso il desiderato conforto di rivedervi in questa città e di tornare alle dolcezze della vostra compagnia, vi istruirò allora del mio stato di fatica e di isolamento.
Intanto io non perdo uno de' vostri passi né de' vostri successi.
I comuni amici, i viaggiatori, i giornali, tutti io vo' interrogando per saper notizie della carissima Amalia, sì ricca d'ingegno e di cuore.
Non mi dite lusinghiero.
Perché lo sarei? A un omicciuolo mio pari non sarebbe lecito vagheggiare scopo né premio di adulazione, quando anche foste voi donna da potersi adescare con simili mezzi, troppo inferiori ai meriti degni d'interessarvi a pro di chi, possedendovi, sapesse farli valere con delicatezza.
Oltrediché Voi mi avete forse conosciuto non falso e tanto modesto quanto lo comandava ogni principio e di carattere e di circostanza.
Un po' di elogio anche a me; e questo dopo essermi da me stesso chiamato giustamente omicciuolo! Ebbene? non possono darsi omicciuoli sinceri e rispettivi? Anzi un gran numero, perché quelle sono per solito virtù da minori.
Voglio un poco udire come voi la pensate.
Ma quel povero nostro Ferretti! Sempre malattie, e di tutti i generi e tutte terribili.
Non se ne potrebbe tesser chiara la storia.
Egli vi saluta, come vi saluta il cav.
Rosati che parecchi giorni addietro ebbi occasione di vedere.
Da quando ho perduto Mariuccia abito vicino a Ferretti.
Mi dice Ferretti che voi siete per tornare in compagnia di Mascherpa.
In questo caso mi pare più sperabile il rivedervi a Roma.
Mascherpa non teme tanto questo viaggio come il Nardelli.
Amen, amen, amen!
Come sta la Sig.ra Lucrezia? Quale più le convien, Roma o Venezia? Dite Roma, se non volete farmi arrabbiare.
E la Cecchina? e l'appicciccarella? Si ricorda ella mai del povero Belli? del poeta cesareo di sua sorella? Or bene, allontanate per mezza giornata da Voi le occupazioni e gli amici, e consumate tutto quel tempo a dir loro tutte quelle belle o brutte cose che io loro direi se fossimo insieme.
Adesso poi che vi ho scritto non mi punite del peccato vecchio col voltarmi le spalle.
Rispondetemi quattro parole di quelle che sapete dire Voi quando volete lasciar la gente col cuore inzuccherato.
Vi bacia la mano rispettosamente il vostro
G.
G.
Belli
Monte della Farina n° 18
LETTERA 283.
A FILIPPO GELLI, SEGRETARIO DELL'ACCADEMIA TIBERINA - ROMA
[30 marzo 1838]
Chiarissimo Sig.
Segretario
Con piacere e gratitudine ho ricevuto dalla S.
V.
la cortese partecipazione del general decreto accademico col quale venne dichiarata come non avvenuta la mia rinunzia del 1828.
Così dopo un lungo decennio io godrò di ritrovarmi fra onorevoli e distinte persone dalla cui compagnia mi allontanai per motivi da non esser più ricordati.
Ho tardato due giorni oltre il dovere a riscontrare il Suo foglio del 27 a fine di poter più concludentemente rispondere all'inclusovi biglietto d'invito per un componimento lirico sulla Passione del Redentore.
- Questo sarà da me recitato, avendolo io già espressamente scritto.
Voglia, Chiarissimo Sig.
Segretario, non isdegnare le sincere espressioni di ossequio del
Suo d.mo Servitore e Collega G.
G.
Belli
30 marzo 1838
LETTERA 284.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 5 aprile 1838
Mio carissimo figlio
Ebbi prontamente dal gentilissimo Signor Conte Moroni la tua del 27 marzo, e ti ringrazio dell'esserti approfittato di questa occasione per darmi tue nuove, le quali godo di udir buone, malgrado del reuma di testa che mi dici aver sofferto.
Forse darà una fuggita a Perugia il Sig.
Avvocato Filippo Ricci, Aiutante di studio in questo tribunale della S.
Rota, ed amicissimo della nostra casa da moltissimi anni.
Egli è savio, dotto e gentile, e si compiace per amicizia dirigere le mie operazioni nella guida del tuo ristretto patrimonio.
È partito per Spoleto, e se mai arrivasse a Perugia mi ha promesso che verrebbe a visitarti.
Fagli allora buon viso come a persona degna d'ogni stima e gratitudine.
Oggi ad otto, cioè giovedì 12 corrente, all'un'ora di notte, tu compierai il 14° anno della età tua.
Vedi, Ciro mio, come celermente ti avvicini alla gioventù, lasciandoti indietro l'adolescenza! Nello stesso modo devi abbandonare ogni leggerezza che suole andar compagna di questa.
Io però, mio caro figlio, per quanto ascolto della tua condotta, sono contento di te, e solamente ti esorto a corroborarti nelle tue felici disposizioni ad una buona riuscita.
Rifletti sempre, o mio Ciro, che io andrò invecchiando, e che tu un giorno dovrai non solo condurre te stesso fra le vicende del Mondo, ma assistere e sostenere altresì il tuo padre che tanto t'ha amato e ti ama.
Se allora tu possederai virtù solide e meriti reali, gli uomini te ne daranno il compenso; ed io giunto al termine della mia carriera potrò chiudere gli occhi nella consolazione di lasciarti felice.
Ah! quanto allora benedirai la provvidenza per averti ella concessa la volontà di applicarti all'esercizio de' tuoi doveri! Tranquillo e onorato non dovrai arrossire né di te né de' tuoi genitori.
Segui pertanto con ardore ne' belli tuoi studi, tutti nobili e utilissimi, per non dir necessarii.
Godo molto di udire essere in te venuto il piacere della lingua latina.
Rènditela, Ciro mio, famigliare questa illustre lingua, e sappi che negli esami per essere ammesso a questa romana università si deve rispondere in latino.
Ciò per tua norma.
I parenti, gli amici e gli antichi nostri domestici ti salutano.
Tu riverisci i tuoi Sig.ri Superiori e gli amici nostri perugini.
Ti abbraccia e benedice il tuo aff.mo padre.
LETTERA 285.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 12 maggio 1838
ore 6 1/2 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Pranzava io questa mattina allorché un famiglio, o bidello, o portiere della Soprintendenza de' tabacchi mi ha recato la tua di jeri piena di liete e di non liete notizie: relative queste ultime alla tua cianca ed alle convulsioni della Sig.ra Rossi.
Il dottore già deve conoscere quest'ultima cosa perché l'ultima volta che lo vidi in di lui casa (e fu mercoledì 9) aveva tra le mani una lettera di Rossi.
Immagino che quell'avvenimento non vi sarà stato obliato dallo sposo scrivente.
In tutti i modi farò di trovare Maggiorani e lo spronerò alla partenza, la quale, accadendo, accadrà in mia compagnia, quandoché sia, e così sia.
- Io entrai in pena per l'acqua di jeri che forse poté sorprendere in viaggio le tue pellegrine che ebbi il piacere di aiutare a salire in carrozza.
Già, si sarebbe bagnato il legno e non esse; ma pure ho udito a dire che i viaggiatori non desiderano acqua fuorché in rarissimi incontri.
Questa volta era superflua.
Prima di rientrare questa mattina in casa mi sono recato a visitare la famiglia Pazzi, ed ho avuto un bellissimo dialogo collo Stortino Pietruccio, egli parlando di dentro ed io di fuori come lo spazzino di Euticchio.
Le ultime parole della scena essendo state: eh, quell'omo, Mamma sta su da Ferretti, la sono andata a vedere dov'era e l'ho trovata bene: bene la figlia: bene il Peppetto.
Costui, ad ogni carrozza che ode passare corre sotto le finestre gridando: ecco Papà e Gigio.
La casa tua va mettendosi in sesto.
Mentre io parlava con Anna Maria l'è stato ricondotto il fuggiasco figliaccio che ieri non si accostò neppure a bottega.
L'ha sgridato la madre; l'ho sgridato anch'io con un vocione da pedale d'organo.
Ma si predica al deserto.
Quello è un mobiluccio da forca, così Iddio ne lo scampi.
Mi sono stati recati i quaderni 21 e 22 de' benefattori dell'Umanità.
Vuoi che li ritiri anche per te?
Checco Spada, presso cui scrivo questa lettera, ebbe da me il brano di foglio dove parlavi di Lepri.
Te ne darà risposta qui sotto.
Tutti ti salutano; e tu salutami tutti, tua moglie, le tue figlie e Gigi, al quale farai un bacio per mio conto.
Ti abbraccio di cuore
il tuo Belli.
LETTERA 286.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 14 maggio 1838
Mio caro Ferretti
Tu mi hai mandato due Pattòli, due Rios de la Plata.
Ma io giovedì udii all'Arcadia un altro epigramma giocoso (del medesimo fabbricatore che aveva lavorato quello sull'arte metrica) da incacarne tutti i tuoi poetici fiumi auriferi e argentiferi.
Dopo scritta la mia di sabato 12 la lasciai a Spada affinché aggiuntovi infine quanto dovea dirti del suo, la portasse a Lopez giusta le istruzioni da te lasciatemi.
Quindi passai da Lopez a prevenirlo.
Ma andato Spada da Lopez colla lettera, egli risposegli che pel giorno appresso, cioè per la domenica, avrebbe mancato di occasioni.
Checco allora stimò ben fatto l'impostartela onde non ti tardasse troppo la risposta di Lepri.
Jeri poi venne Checco da me a parteciparmi il suo operato.
Ora io non so se tu mandi alla posta.
Dunque se non ci hai mandato, mandaci e troverai la mia del 12.
Ed ecco nuovamente il tempo che ti dà guerra! ecco l'acqua ecco il freddo, ecco il diavolo e la versiera.
E quel povero Gigio? La febbre?! Pare veramente che siavi un destino deputato a perseguitarti.
Dopo averti assicurato della estrema parte che io prendo alle tue traversie non posso conchiudere se non colla solita parola: pazienza.
Abbici pazienza e coraggio; ché già né di questo né di quella ti manca.
L'abitudine del soffrire ciò in noi produce di buono che ci fa dura la pelle.
Tornai jeri mattina in casa Pazzi.
Tutto va bene; e Carolina, pulita e splendente come un ermellino, mi dette il tuo plico de' tesori albanensi.
Or ve' dove s'è cacciato l'intruso Apollo col plettro in mano e l'archibuso al collo!
Appena piegata la presente passerò da Lopez e gliela consegnerò.
Salutami capo per capo tutta la tua famiglia e raccomanda la prudenza a chi n'ha più di bisogno.
Non è stagione questa, né codesto è clima da prendersela ariosa.
Ti abbraccio di vero cuore.
Il tuo Belli.
LETTERA 287.
GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 16 maggio 1838
Mio caro Ferretti
Tornato io a casa dall'Accademia Tiberina la sera di lunedì 14 vidi sul mio scrittoio la tua del giorno precedente; ed apertala, e trovatavi in seno l'altra per Annamaria, subito mi condussi alla costei abitazione onde il ricapito non le tardasse un momento.
Annamaria mi disse che le tue lettere, dentro alle sue ritrovate, le porterebbe Michele nella mattina seguente (jeri 15) a coloro cui erano dirette, cioè ai Sig.ri Terziani, Giobbe e Lopez.
Io passai jeri da quest'ultimo, e seppi aver puntualmente ricevuto il tuo foglio, al quale avrebbe risposto pel mezzo del Sig.
Sigismondo, consegnando a lui ancora quante carte avesse per te sino all'istante della di lui partenza.
Vi aggiungo io però questa mia per dirti che jeri mattina, circa alle 3 pomeridiane, partorì Orsolina molto felicemente, e tanto felicemente che la creatura usciva mentre la levatrice entrava: di maniera che tutti i preliminari accadessero senza la cooperazione della Signora Comare.
Quando il feto avrà avuto il battesimo sarà una Cecilia come l'ava paterna.
La famiglia Pazzi sta tutta bene.
A casa tua ogni cosa va in regola.
Giovedì secondo le tue istruzioni sborserò la prima rata ebdomadaria di bai: 15 per sollievo del povero Peppe, che aspetta sempre la carrozza.
Un poco più in là consegnerò il salario alla Carolina.
I paoli 15 gli avrà poi la madre quindici giorni dopo accadutogli quel che accadde jeri ad Orsola.
Tutto andrà in regola etc.
iuxta mentem.
Sul resto riposa.
Nelle due notti scorse ha qui continuamente diluviato.
Se in Albano è accaduto altrettanto, avrai almeno potuto dire: Nocte pluit tota, redeunt spectacula mane.
Ho veduto Maggiorani e te l'ho salutato.
Noi avremmo voluto venire in Albano domani, ma il tempo non è da incoraggiare alle peregrinazioni.
Salutami l'ottimo Rossi e digli tutto questo, e rallegrati con lui per la guarigione della sposina.
Il Boschi è arrivato, o, dico meglio, il Bosco.
Vedrò di sapere quando agirà per avvisartelo in tempo.
Ma se mai si producesse Venerdì, né io arriverei ad avvisarlo né tu arriveresti a' suoi giuochi, che mi dicono essere vere diavolerie.
Lunedì al Caffè nuovo faceva sparire sino direi la panchette e i lampadari.
Vinse poi tutti al bigliardo, giuocando egli a stecca volante.
Tutte notizie datemi da Cencio Rosa, perché sai che io non frequento i caffè.
- Confortato assai dalle migliori nuove che mi dai del tuo Gigio attendo ansiosamente di udirlo al tutto guarito.
E mi dirai come se la passa Cristina.
Già, la stagione non sorride finora ai convalescenti.
E tu, mio Ferretti? E la tua gamba? Sei costretto a tenerle compagnia dentro casa? Voilà ce que c'est que d'avoir des jambes.
Ma il male passa e le gambe restano.
Lunedì il Sig.
D.
Fabio etc.
recitò un Sonetto in Accademia Tiberina, per la morte di un virtuoso suo amico.
Se la prendeva colla Morte perché fura i migliori e lascia stare i rei.
Leggi ora quest'altro, scritto da certa persona che v'era presente.
Jer sera un galantuom di que' cotali
Da ricordar con rispetto parlando,
Siccome il galateo mostraci quando
Ci accada nominar piedi o maiali,
Un Sonetto leggea contro il nefando
Stil che tien Morte nel vibrar suoi strali
Contro la miglior parte dei mortali,
Mentre poi la peggior lascia campando.
Morte, ei gridava, ah intendi a' prieghi miei;
E se pieno vuoi sempre il cataletto,
Risparmia almeno i buoni e ammazza i rei.
Zitto, io gli dissi allor, sii benedetto!
Che se morte t'ascolta, ahimé, colei
Non ti fa terminar manco il Sonetto.
Mille parole amichevoli alla tua famiglia, e credimi sempre il tuo aff.mo Belli.
P.S.
Dicono che sia fuggito per debiti quel Betti che cantava e giuocava di bussolotti.
Tordinona, pieno come un moggio di miglio andò alle stelle.
Argentina fiaccheggia.
La ex Regina del Piemonte va avanti e dietro pel Corso con due carrozze e un battistrada.
E noi a piedi! Seppure.
Torlonia, pochi giorni addietro, pagò settemila scudi in oro sopra bellissima cambiale falsa.
- Vogliono stampare sull'Album il mio Goticismo.
LETTERA 288.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, sabato 10 maggio 1838
alle 9 antimeridiane
Caro Ferretti
Mercoledì sera io fui da Anna Maria, e la lasciai senza indizi di parto.
La mattina appresso udii che aveva partorito.
Lasciai passare la giornata di giovedì, per convenienza, e jeri mi recai a visitarla.
Si lagnava di molti e ripetuti dolori.
Peppe, udendo piangere il bambino, prese un bastone e voleva darglielo in capo, dicendo: Mamma, mandalo via.
Non venimmo, Maggiorani ed io, in Albano giovedì 17 perché il dottore disse che se il mercoledì non si vedeva il tempo disposto al buono non sarebbe stata prudenza l'avventurarsi a una gita incomoda e trista.
E mercoledì fu pessimo tempo, benché neppure giovedì consolasse.
Benché però si fosse avuto nella giornata di venerdì un paradiso, non erasi in tempo di decidere, giacché bisognava partire a buon'ora, e di più doveva il Dottore affidare altrui i suoi infermi sin dal dì precedente.
Hoc dices Rossio, sigaristae praeclaro.
Pare che il Bosco darà la sua prima serata venerdì 25.
- Balestra gli fa il ritratto in litografia.
Jeri mattina venne qui in casa (io non c'era) e fece girare il capo a queste donne, che già non ci vuol molto.
Volava tutto.
Alla trattoria di Lepri sono scene.
Ma lasciamo il Bosco e passiamo alla Casa e alla famiglia.
Mi congratulo con te di vero cuore pel miglioramento di Gigio.
Di te mi davi buone notizie nella tua del 14: nella seguente poi del 17 non me dici parola.
Ne auguro bene; e rispondendo io qui ad entrambe voglio più fidarmi il cuore a questa che a quella.
Tutti gli amici ti salutano senza fine, e fanno sempre voti per la tua tranquillità e per quella della tua famiglia sì amabile.
Biagini e Spada mi dicono sempre mille cose affettuose per te.
Orsolina sta bene.
Da Anna Maria ci tornerò dentro la giornata.
Abbiti cura, e di' altrettanto in mio nome a tua moglie e alle figlie.
Ti abbraccia in fretta il
tuo Belli.
Monte della Farina, n° 18.
LETTERA 289.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 19 maggio 1838 (sabato)
ore 7 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Questa mattina ho risposto alle tue del 14 e del 17.
Lopez non aveva occasione per inviarti il mio foglio.
Dal suo negozio son dunque passato alla casa di Zampi.
Egli non c'era, ma ho lasciato la lettera al servitore raccomandandola etc.
etc.
Dopo il pranzo poi mi è giunta dalla posta l'altra tua di jeri (18).
A questa do immediato riscontro.
Anna Maria sta bene, Carolina bene, Peppe bene, gli Stortini bene, la forca di Checco bene...
peccato! Paradiso Santo! - Il neonato bene anch'esso.
Ho poco fa dato una rivista alla tua casa, aprendo tutte le finestre.
Fra un'ora Carolina le richiuderà.
Si aprono due volte al giorno, motivo per cui non vi è difetto dell'elemento sì geniale à Madame Thérèse Ferretti e a tempo e fuor di tempo.
Avrei voluto trovarmi presente all'asinesco trionfale ingresso a Castello.
Cosa da inginocchiarsi come avanti alla Mula del Papa.
Va bene: così le tue ragazze si scuotono e si divagano.
Ma per!...
ci attaccherei un moccolo.
Questa tua gamba che diavolo ha? Se non fosse gamba tua gliela farei passar bella.
Chi è il Santo delle gambe? Gli vorrei dire un pater noster per te.
Ma ne dimanderò o al Gambalunga o al Gambacurta, o all'Abate Sgambali che lo dovrebbe sapere.
Anche Gamberini e Zampi ne debbono aver conoscenza.
E il Cianca nostro no? E Checco e Cianca e le Pagliari, e la Balestriera e la Mazieria, e tutti ti dicono vale valete et valetote.
Bacia la mano a tutte le tue Signore per me.
Veramente è un po' temeraria questa mia commissione; ma vedi? Anche Anna Maria mi ha affidata Carolina per visitare da solo a sola il tuo appartamento.
Povero quel galantuomo che merita tanta fiducia! Privilegio de' vecchi.
Eppure anche questo è qualche cosa.
Ogni età ha i suoi mali e i suoi beni.
Eppoi che dice Barbara? Anche Quadrari è un buonissimo galantuomo.
A momenti viene la carrozza per battezzare questa Cicilietta.
Ho fatto l'ambasciata segreta ad Anna Maria.
Ne ha molto goduto.
E come no? Bona signa! Io plàudite, io!
Sono andato questa mattina a trovare Maggiorani e la moglie per salutarli in tuo nome e della tua famiglia e de' coniugi Rossi! Verremo in questa settimana? Uhm! De futuribus contingentibus e quel che segue.
Ti ringrazio delle notizie dei piselli, delle fave, del pesce, delle provature, della ricotta, del maiale, delle aringhe, dell'acqua, del vino, e di padron Paciocco portabandiera di Bacco.
Ma come scrivo eh? Altro che i bei caratteri
Nati di gota e longobarda lega!
Ma che vuoi? La fretta sempre mi si divora, né ho pur tempo di temprare la pena.
Tu sei buon lettore come scrittore.
Dunque leggi quel che trovi e buona notte.
Fra le tue istruzioni c'è Dare Sc.
2 ad Annamaria 15 giorni dopo partorito.
Se non hai ragioni particolari in contrario non si potrebbe accelerare qualche giornetto? Potrebbe, povera donna, averne bisogno.
Benchè non ne sappia nulla gli arriveranno come due angioli.
Ti abbraccio, e tu abbraccia
il tuo Belli.
LETTERA 290.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, martedì 22 maggio 1838
ore 4 1/2 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Rispondo a tre tue lettere, due cioè di domenica 20, ed una di jeri 21.
- Portai io stesso la tua lettera a Firrao.
Egli non era in casa ma parlai colla madre e colla nonna, le quali con molta ilarità mi ricevettero, e, parlando di te, mi ripeterono più e più volte che se tu dai una sfuggita a Roma ti voglion vedere.
Jeri al giorno venne da me Carolina in fretta in fretta.
Dice: Sig.
Giuseppe, Lanari ha mandato questa chiave pel Sig.
Giacomo.
Io l'ho presa, ma crede mamma che abbia fatto male a non dire che il Sig.
Giacomo non è a Roma.
- Dico: Dunque? - Dunque, dice, mi ha detto mamma che la portassi a Lei.
- Ed io, dico, che n'ho da fare? - Dice, eh faccia un po' Lei, Perché il Sig.
Giacomo dovrebbe venire a Roma stasera.
Per veder chiaro in questa faccenda e per regolar la cosa in modo che non ti spiacesse il rifiuto della chiave nel caso che tu venissi, io me n'andai dal Sig.
Sigismondo, dicendogli: Sig.
Sigismondo, la cosa sta di qui fin qui.
Eccole la chiave in anima e corpo.
Se Ferretti viene, come anch'Ella crede, gliela dia: se Ferretti non viene, Ella se la tenga: e se Ella non se la vuol tenere la rimandi a Lanari onde Ferretti non contragga obbligazioni senza suo frutto dentro.
Egli mi rispose: è quasi certo che Giacomo verrà, ma se pure non venga, in tutti i modi voi ritenete la chiave e andate al teatro.
Con questa autorizzazione mi misi in giro e procurai che se tu venissi all'improvviso ti trovassi nel palco in mezzo a' tuoi amici: Biagini, Spada, Zampi e me.
Poi eccoti che mi pianto a casa d'Annamaria ad aspettarti.
A mezz'ora di notte non eri arrivato.
Intanto arrivò il battezzato Sante Luigi seguito da un bel fiasco di vino e da un piattone di biscottini.
Ci fu anche la parte mia, ma sul vino feci passo.
E mi godetti i bei propositi delle varie commari, fra le quali la commare nera.
A 3/4 di notte me ne andai lasciando ordine a Michele che se tu arrivassi venisse a chiamarmi.
All'1 1/2 eccoti Michele ad avvisarmi che sul mio portone v'era Zampi.
Mi vesto e discendo.
E Ferretti? Uhm! - E Ferretti? Eh! E ce ne andiamo insieme al teatro ad aspettarti.
Suonò mezzanotte, e tu stavi ancora in Albano.
Questa mattina mi ha detto Pippo Ricci: hai veduto Ferretti che venne a Roma ieri sera? - Non è venuto.
- Ma come?! Mi disse ieri che partiva a 21 ore! - Che vuoi che io ne sappia? non è venuto.
Annamaria così mi ha detto un'ora fa.
- All'1 e 1/4 pomeridiane da capo Belli da Annamaria.
Nessuno.
Rientrato in casa trovo la tua di ieri dove non si parla di viaggio, ma di progetti di viaggio etc.
etc.
Adesso torno da Annamaria ad ordinare il preparamento dei tre articoli di vestiario da te indicatimi.
Bosco è inquietissimo per le ebreate del Sig.
impresario Iacoacci.
Gli frulla di andarsene senza far giuochi, e piuttosto dare accademie fra qualche mese quando sarà vuoto Argentina.
Alibert è troppo lontano; Tordinona...
eh, Tordinona...
è Tordinona...
e non so se Tordinona, o Torlonia, o che so io...
basta: Bosco è colla mosca al naso.
L'ho veduto poco fa da Balestra che gli ha fatto il ritratto in litografia.
Bello.
Procurerò di veder Maggiorani.
Ma potrà egli, ma vorrà egli venire giovedì? Chi lo sa? Credo che a Rossi converrà aver pazienza, e rivederlo a Roma.
Io verrò (se non con lui) in altra compagnia e in altro giorno, quando me lo permettono l'atmosfera, la salute e gli impicci.
Tutti i salutati ti risalutano.
Tu di' mille cose amichevoli per me alla tua famiglia ed a' coniugi Rossi.
Consola Gigio, compatisci la tua gamba, sopporta me e le mie ciarle e prega Iddio che ti mandi piselli a scafare in compagnia delle tue buone figliuole.
- La famiglia Pazzi sta meglio de' suoi parenti della Lungara.
Sono con la testa imbrogliata e il sangue acceso.
Il tuo Belli
P.S.
La Pia, musica assai iona.
Adesso trovo in casa d'Annamaria un'altra tua del 20, recata ora dal Sig.
Nicola.
Vado a portare a Lopez la striscetta scritta per lui.
So che Bosco vuol venire a trovarti in Albano.
Ho fatto le ambasciate sui 3 articoli di vestiario.
LETTERA 291.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 22 maggio 1838
Mio carissimo figlio
L'esito de' tuoi esami, notificatomi dalla tua lettera 19 corrente, mi ha pienamente soddisfatto siccome tu prevedevi.
L'ho voluto confrontare con quello del trimestre antecedente, e vedo che gli corrisponde.
La sola differenza consiste in ciò che nell'altro trimestre ottenesti da' Signori esaminatori un bene con più in umanità, e invece nella stessa scuola ti è oggi toccato dai medesimi esaminatori un bene semplice.
Ma a questa lieve differenza è pronta un'ampia compensazione nella totalità de' voti da te riportati in tutto il trimestre, imperocchè in un numero di lezioni minore di quello del trimestre antecedente la relativa proporzione degli ottimi è maggiore, e di più non vi si trova alcun male, mentre in febbraio me ne annunziasti pur due.
Ecco il confronto, da me ricavato esaminando le tue lettere, perchè, come tu sai, io le conservo tutte, e così bramo che tu custodisca le mie.
So peraltro che tu in ciò mi compiaci.
Nel primo trimestre
Trigonometria:
Ottimi N.
28
Beni.........
11
Mediocri...
1
_________
Voti....
N.
40
Nel secondo trimestre
Geodesia:
Ottimi N.
19
Beni...........
3
Mediocri...
1
_________
Voti....
N.
23
Umanità:
Ottimi N.
63
Beni.........
42
Mediocri...
6
Mali..........
2
_________
Voti N.
113
Umanità:
Ottimi N.
63
Beni.........
23
Mediocre..
1
Male.........-
_________
Voti N.
87
Riepilogo totale fra le due scuole:
Ottimi in tutto N.
91
Beni.......................
53
Mediocri................
7
Mali.......................
2
_______________
Voti in tutto N.
153
Riepilogo totale fra le due scuole:
Ottimi in tutto N.
82
Beni.......................
26
Mediocri.................
2
Male.......................
-
________________
Voti in tutto N.
110
Dal soprascritto specchio risulta dunque una crescente proporzione di buon successo ne' tuoi studî ed io te ne sono gratissimo.
Bravo, Ciro mio.
Mi è piaciuto di vedere il Conto delle spese semestrali fatto da te stesso per ottimo consiglio del prudentissimo Sig.
Rettore.
Nulla trovo a ridire su quelle partite e tutto va benissimo.
Ti prego dire al Sig.
Rettore che un poco più in là manderò qualche altra cosa per ristorare l'assottigliato deposito.
La tua forchetta va spesso soggetta a rompersi.
Quando verrò a Perugia, ciocché sarà forse nel futuro agosto, vedrò di rimediarci stabilmente facendola cambiare in altra intiera e più solida.
Io sono persuaso, mio caro e buon Ciro, che tu abbia sempre viva la memoria della tua eccellente madre; ma pure voglio per tempo riavvalorarti il pensiero circa al giorno in cui ella ritornò fra le braccia del Signore.
Ciò accadde nella domenica 2 luglio.
Vorrei dunque che nella domenica 1° luglio di quest'anno tu facessi le sante divozioni in suffragio di quella bell'anima, se mai a Dio piacesse di tenerla ad espiare qualche sua fragilità.
Ritorna i miei ossequi rispettosi a' tuoi Signori Superiori e a' nostri amici di Perugia.
Questi di Roma, e così i parenti e gli antichi domestici, fanno altrettanto con te salutandoti affettuosamente.
Fra gli altri ti dice mille cose il Sig.
Avv.
Grazioli, padre di Pietruccio tuo antico compagno.
Ti abbraccia e benedice
Il tuo aff.mo padre
LETTERA 292.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 29 maggio 1838
Caro Ferretti
Ieri al giorno, nelle sale dell'Accademia tiberina mi fu da Zampi consegnata una tua del 27; ed io già dalla mattina ne aveva depositata una mia per te presso il gobbo.
Il Rosso ebbe i tuoi bai: 40, dicendo ruvidamente: mbè.
A proposito del piccione amico del tuo Gigio, il Padre Secchi lesse all'accademia un mezzo migliaio d'ottave nelle quali si parlava di un certo angiolo che Sisto V° voleva acchiappare per le ali.
Non fu chiaro se lasciò nessuna penna fra le mani del Papa, ma anch'esso come il tuo piccione si sottrasse alla divota persecuzione.
L'angiolo raccontò a Sisto V° la storia romana e gli dipinse tutte le brutte morti degl'imperatori cattivi: e tutto questo affinché il Papa innalzasse la guglia di S.
Pietro.
Ci vedi chiaro? Degli astanti non poté vedere chiaro alcuno, perché tutti finirono con gli occhi serrati.
L'accademia fu affollata di gente e di versi.
Della prosa Salviana parleremo a voce.
Moltissimi tiberini, primo fra' quali il Padre Rosani, mi dissero di salutarti, e fan voti per la tua povera cianca.
In questo però i primi voti sono i miei.
Finora resta ferma la Zampiano - mia venuta per domenica 3.
Il tempo però potrebbe imbrogliarla.
Oggi è nuvolo e puzza di cacio.
Raccomandati i canarii e il gatto.
Parlato dei letti pel 26 giugno.
Salutati e salutandi.
Contraccambio di tutti.
Di cholera in Roma non si parla, almeno per ora.
Il neonato di Annamaria si è gonfiato nelle parti sessuali.
Vedremo che sarà.
Per me direi: paradiso santo.
Bosco altercava domenica, al giuoco del pallone, con Iacoacci e Mitterpoch e Tassinari etc.
Povero Bosco! - Lo udì Biagini.
Addio, addio, a te e alla tua cara famiglia.
Ti abbraccia
il tuo Belli
P.S.
È venuto Chimenz a visitare il bambino di Annamaria.
Non ne pare spaventato affatto.
Ha ordinato frequentissimi bagnoli di bollitura di malva e papavero.
LETTERA 293.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 30 maggio mercoledì 1838
ore 9 1/2 antimeridiane
Mio caro Ferretti
Alle ore 7, cioè due ore e mezza fa, ho avuto due visite contemporanee e relative entrambe al mio buon Ferretti: la prima era dello stalliere di Mandrella con un tuo plico di ieri 29, contenente lettera per Zampi e lettera per Cavalletti: la 2a dell'esattore di Torlonia (era il Sig.
F.co Costantini) il quale mi disse: È lei il Sig.
Belli? Ego sum.
- Fa lei gli affari del Sig.
Giacomo Ferretti? - Distinguo.
Li faccio e non li faccio.
Cose di famiglia sì: cose patrimoniali no.
Ma perché questa domanda? - Perché ho qui una cambiale di Sc.
329:40 tratta dai fratelli Giacchetti di Prato a carico di Lorenzo Magni e pagabile dimani 31 al domicilio eletto presso il Sig.
Giacomo Ferretti.
È dunque necessario il sapere dentro domani 31 se il Sig.
Ferretti abbia o no fondi del Magni, e se possa fornir notizie al Banco Torlonia su chi abbia o dove si abbia a pagar la cambiale.
Partito l'esattore ho pensato recarmi presso tuo fratello se mai avesse qualche cognizione di questo affare.
Nulla me ne ha saputo dire, se non che dubitava esserci forse un equivoco di nome (altra volta accaduto) fra te e Giovanni Ferretti libraio alla Minerva.
Ed io troccola dal Sig.
Giovanni alla Minerva.
Non c'era.
Sta qua, sta là: da Ercole a Pilato: da Caifasso ad Anna.
Finalmente l'ho trovato.
Il Sig.
Giovanni si è stretto nelle spalle ed ha fatto il nescio-nescionis.
Non ha egli alcun fondo, non conosce il Sig.
Magni (che se lo mangi il demonio) non sa nulla né di cambiale, né di Torlonia, né di domicilio.
Se ne avesse avuto sentore io correvo subito da Torlonia per risparmiarti questo fastidio, benché poi il debito non è tuo, e se un matto si è dato commercialmente per tuo ospite, senza manco avvisartene, suo marcio danno.
Intanto però correrà il protesto, ci sarà la multa della cambiale non bollata: nasceranno spese, conti di sconti: conti di ritorno ed altre simili bancarie gentilezze.
Io te ne scrivo subito.
Se tu mai (ciò che non credo) ne avessi sentore fa che domani 31 Torlonia ne sia avvisato.
Intanto mi raccomanderò al gobbo che la presente per costà non ti manchi.
La tua per Zampi l'ho consegnata alla Sig.ra Teresa.
L'altra pel Cavalletti, l'ha presa dalle mie mani il Franceschini in assenza del principale.
Ma vedi mia insolente temerità.
I nomi rapprossimati di Bosco e di Cavalletti, il ravvicinamento delle due idee Accademia e Giornale mi hanno messo in pizzicore di Tiresia o di Trofonio.
Tu dovresti aver parlato a Cavalletti del Bosco, perché del Bosco parli poi Cavalletti a noi altri profano volgo.
Eh? ho imparato la divinazione col metodo angloamericano in 12 lezioni.
Che se ho fatto cecca indovinerò una altra volta.
Neppure i profeti del vecchio testamento erano sempre di vena.
Tuo fratello mi ha dato la qui inclusa pel Sig.
Vice-governatore.
Eccotela: dagliela.
A casa tua va tutto in regola.
Annamaria presto andrà a darci le mani attorno.
Questa mattina il bambino di lei è più gonfio di ieri sera.
Si è mandato a richiamare Chimenz.
L'edema è montato all'umbilico.
Me ne dispiace, ma pure un fanciullo di pochi giorni, in una famiglia di tanti fanciulli e quai fanciulli! Con mezzi di fortuna equivalenti a centesimi...
Non è meglio il paradiso Santo? Io lo ripeto convinto del sì.
Ma la madre è sempre madre.
Visaj nulla ancora ha per te.
Pippo Ricci ti saluta e ringrazia.
Lopez l'ho visitato adesso: ti saluta anch'egli.
I Balestra? gli Spada? i Biagini? Ti salutano.
E tu non vorrai salutarmi alcuno? Sì.
Salutami tua moglie, e Cristina, e Chiara, e Barbara, e Gigio, e il piccione di Gigio, e Rossi, e la moglie di Rossi, e Albano, e il lago di Albano, e Ferretti e il cuor di Ferretti: la miglior cosa che sia nel mondo.
La carta è finita: dunque finisca la lettera; ma non finisca no mai l'amicizia e gli amplessi del tuo frettoloso
Belli
LETTERA 294.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, giovedì 31 maggio 1838
ore 7 1/2 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Mezz'ora fa ho ricevuto da Annamaria, e Annamaria da Belardini, la tua del 29 con entro l'Ode del Borgo pel Bosco, soggetti spessissimo confinanti.
È bella.
In un paio di luoghi mi pare un po' contorta; ma, ti ripeto, è bella, e te ne ringrazio.
A proposito di versi il R.S.P.M.
mastica alquanto sulle mie ottave antigotiche.
Il P.
Rosani ha assunto di aprirgli gli occhi, e sarebbe meglio la testa.
Manco male che mi dai una volta buone notizie della tua gamba, oltre quella sulla miglior salute della tua famiglia.
Che la prosperità tua e la loro imiti il suono della fama che crescit eumdem, come si spiega il ch.
Tommaso Manzini.
E Gigio ha ragione: il sole è callo.
Avrà anche ragione un altro giorno quando dirà è tonno e sbrilluccica.
Bisogna mandare questo ragazzo a Greenwich.
Ho pagato bai: 05 invece di 03 per la canapuccia.
V'era un conto vecchio per derrata canepucciaria che finiva questa sera.
Dunque ho fatto come Giano: ho guardato dietro e avanti.
Il Peppe Pazzi, più pazzo di cervello che di cognome, ha ricevuto oggi la sua sportula e il suo congiario settimanale.
Sta bene, salta e bastona.
Annamaria è afflittarella.
Il povero suo bambino, il Sante già sta fra i santi del Paradiso.
Però intende anch'essa il favore che può averle in ciò fatto la provvidenza.
Dunque si rasserenerà presto.
L'edema progrediva.
Ieri mattina, chiamato, tornò Chimenz e disse: Ma siete curiosa! volete voi che il gonfiore passi tutto in un colpo.
Ci vuole il suo tempo.
E il tempo infatti l'aumentava.
Verso sera cessò il bambino di poppare.
Nella nottata è uscito da questo pantano senza imbrattarvisi un'unghia di piede.
Cielo rubato, e furto senza gastigo.
Credo che questa morte equivalga a vita per Peppe.
Con quel Santino di mezzo lo vedevo brutto.
Difatti le due comari (la nera e la gialla), (coccarda austriaca) dicevano oggi: stà alegri, Peppe, ch'ai arisalito lo scalino, e abbada de nun riscègnelo.
A questo però ci deve badar più la madre e il Sig.
Michele.
Spero che la mia di ieri, 30, consegnata da me stesso in propriis manibus gobbi-met, ti sarà giunta.
V'era dentro una lettera di tuo fratello, pel Vice governatore, e v'era il mio avviso della faccenda Torlonia.
Non ci vedo più a scrivere.
Suona l'ave Maria e il lume non è acceso.
È ora di finirla e andare a visitare padron Giuseppe il gibboso per mettergli la presente sulla coscienza.
Vammi salutando le tue donne e il tuo cavaliere astronomo.
Non trovo mai Zampi in casa onde combinar per domenica.
Cercherò Rossi per dargli il ben tornato.
E mi sa mille anni di darlo a voialtri, tutti rossi come cardinali e grassi come fornitori.
Sono il tuo Belli
Orsolina ha il petto indurito a destra.
Teme.
LETTERA 295.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 1 giugno 1838 al mezzodì
Mio caro Ferretti
Ieri sera, a due ore di notte, un quidam in abito verde-aspetta, col pistagnino di velluto nero-pallido, bussò alla porta di mia casa.
Io dimandai: chi è? - Amici.
- A questa bella risposta aprii e mi udii chiedere se fosse in casa il Sig.
Luogotenente Belli.
- Belli sì, e il luogotenente no, io risposi.
- Dopo non poche parole si venne a concludere che il quidam aveva in tasca una lettera per me, trovata da lui (egli diceva) all'albergo della Palombella.
Trovata! Come! Trovata! - Insomma era la tua del 30 maggio.
Fatta la consegna il Sig.
latore non se ne andava, ma si diffondeva sulla porta in complimenti disinvolti franchi e sugosi, come quelli del figlio del Sig.
padre.
Mi venne l'inspirazione di offrirgli la mancia per l'incomodo, ma una altra inspirazione non meno persuasiva mi diceva: non gliela dare, perché infine l'esteriore del quidam tanto poteva imbarazzare una offerta quanto poteva compromettere un vado-liscio.
Vinse la inspirazione del no, e in compenso feci lume per le scale, onde colui non si facesse male.
Buggiarà la tua gamba e glielo dico di cuore.
Ah! se ne avessimo quattro da far due leva e due metti!
Annamaria si va tranquillizzando.
Sta bene e così tutti.
Quando questa mattina mi enumerava i saluti da darti per tutta la famiglia, quel biricchino di Peppe ha finito il discorso dicendo: e a Gigio.
Pare fermo che verremo domenica: Zampi, la moglie ed io; e per compiere la carrozzata pensa il tuo compare di aggiungerci il Goto-Checcomaria.
Tuo fratello mi darà un involtino per te, forse.
Ho visitato Rossi.
Come è vegeto! La moglie non era vestita, perché son ito mattino.
Mi ha mostrato la cartella o il portafoglio del Mago.
Ti saluta.
Le notizie della vecchierella Firrao le ho dalla bocca del Canonico che ti riverisce a nome di tutti.
Sta meglio, povera vecchietta.
Insomma bussa bussa e non le aprono mai.
Meglio così.
Vivano le tue gagliarde camminatrici! Salutale sino alla noja, che abbiano a dire: basta per carità.
Checco, Menico, e questi miei ti mandano mille vale e valete.
Pigliali per moneta fina e spendili meglio che puoi.
- Sono di cuore
il tuo Belli
LETTERA 296.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, sabato 2 giugno 1838
ore 9 antimeridiane
Mio caro Ferretti
Dal sig.
Bennicelli, a condotta di un garzoncello in grembial da cucina ravvolto attorno al capo, ho in questo momento ricevuta la tua lettera del 31 maggio.
Lode a Dio che non la è un uovo da bere: altrimenti sarebbe giunta un poco stantìa.
Dunque allorché tu la scrivevi ignoravi la fine del povero Sante Luigi, il quale appena affacciatosi allo spettacolo del Mondo ha richiuso le finestre e non ne ha voluto più sapere niente.
Io te ne parlai appunto nella mia del 31, e te ne ho replicato nell'altra di ieri.
Annamaria benché avente viscere di madre, va a conoscere il bel cambio fatto dal figlio, e la diminuzione de' propri imbarazzi domestici.
Solo de' patimenti di nove lune non le resta un compenso.
Lo avrà nelle intercessioni di un angioletto.
Ora io esco di casa e vado a trovarla.
Se nulla v'è oggi di nuovo lo aggiungerò appresso in lapis.
Peppe Pazzi accenna grandi disposizioni per l'arte del pionnier o direm noi del marrajuolo.
Carolina è rubizza: Checco, vassallo; Vincenzo e Pietruccio storti de cuore.
E per essi il paradiso non verrebbe come l'anello al dito? Eppure campano! Ma di qual vita! Ah! qualche volta sarei tentato di trovar pietosa la legge di Sparta.
Ma volgiamoci a idee liete, e parliamo della tua cara famiglia.
La comare-di-ferro dello Zampi, che all'alimento del Camaleonte sa talora accoppiare anche il più sostanzioso delle umane mense, che fa? dev'essere venuta invidia di Misuratori e maraviglia di peso.
Iddio la dilati in peso e misura di salute: amen.
La Cristina, nostro bilunare spavento, che dice? È ella contenta dell'atmosfera di Ascanio? Le gambette sue fanno più cecca? Credo di no, e mi aspetto di trovarle domenica (domani) sulle guance due belle tinte di rosa e di ligustro.
Ligustro! Mercanzia arcadica.
La buona a casereccia Chiaruzza ha ella mandato a baboriveggioli i suoi pedicelli? Le voglio veder domenica (domani) una pelle liscia e tirata come quella di un timballo, ma strategico e non gastronomico.
La Barborin speranza d'ôra, come disen i milanesi, si divora libri come Saturno figliuoli? Le vuo' portare i volumi di V.
Tomaso, operetta istruttiva e dilettevole da passare il tempo in oneste veglie e piacevoli conversazioni.
Ed eccotela fare il suo significativo sorriso, e dire a mezza bocca quel Caro.
Mi sta in testa che Barbaruccia è più allegra delle altre.
Quella sua viva mente si commuove ad una lieve scintilla.
Buona ragazza! Ma già in casa tua chi non è buono? Io quando ci capito.
E Gigio? E il faccione, guancione, capoccione, scapiglione? Come vanno gli amor col suo piccione? Tengo dieci dozzine di buchi belli e fatti da applicarglieli domenica (domani) attorno al collo come una collana di coralli.
Dunque, sissignore, domenica verremo.
Zampi e la sua Teresa,
Belli, uom di poca spesa,
E il teutonico Piave
Da tenerselo caro e sotto chiave.
Tuo fratello mi parlò dell'agosto albanese.
Peccato che le tue Dame non veggano per quest'anno il lago di piazza Navona! E peggio sarà che, quando torneranno, Belli...
ohé, ohé, ho sbagliato mese.
Si trattava di luglio e non di agosto, Ebbé? che male c'è? Si sbaglia tanto sugli uomini, che può perdonarsi un quivico da lunario.
Sono il tuo Belli
Della tua cianca mi vengono i fumi.
LETTERA 297.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, giovedì 7 giugno 1838
ore 7 1/2 antimeridiane
Caro Ferretti
Riscontro quattro tue lettere ricevute da me ieri nel seguente ordine di consegna:
1a 5 giugno 1838 - portata dal gobbo-met.
2a 4 giugno 1838 - Ore 2 1/2, a cena - portata da anonimo
3a 4 giugno 1838 - datami da Lopez
4a 6 giugno 1838 - ricapitatami dal viaggiator Menico Cianca.
Nella prima mi partecipavi la sospensione di un viaggio metu israeliticae societatis, epperciò il ritardo di un'altra tua lettera.
Portai subito le incluse a Zampi e a Piave.
- Fa' tesoro delle voci e neologie del tuo Gigio.
A suo tempo se ne potrà formare una nuova Proposta.
Vedrai che il ragazzo a poco a poco scioglierà i passi.
Io credo che la difficoltà del camminare dipenda soltanto dal modo di voltar le gambe colle punte de' piedi troppo in fuori.
- Son persuaso che nella collezione Leonardiana di farfalle avrai trovato di che divertirti.
Come godo che la buona Cristina azzardi già valorosa non lievi passeggiate! A questo proposito falle vedere gli acclusi versacci N.
14 e quindi accendici il lume.
Nella 2a trovo le cose non lette nella precedente pel detto motivo ebraico.
- Come sarebbe?! Aspetti le cerase dei cinquanta scudi?! Me ne rido.
Me le sono volute mangiar io.
Non son uomo da buttar via un piatto di quella spesa.
Pareva che lo stomaco nel digerirle si accorgesse di quel che teneva sullo stomaco.
Va a smaltire 50 scudi in una sessione! Non ci voleva che il budello di Marcantonio e la perla di Cleopatra.
La 3a mi istruisce dei rapporti fra il Divino amore e l'amore di vino, cose che in certi individui, in certi giorni, e in certe applicazioni, si ristringono dal binario al monadico e divengono un unum et idem.
Quale barbarie! e qual colpa in chi non la dissipa! Invece del cerusico io metterei in affare, per adesso, il boia, e quindi precettori e Catechisti di sociali doveri, e Iddio e la patria meglio dei crocesegnati.
Il tuo Petrarca in due tomi fu subito alloggiato al suo posto dietro al capezzale della tua cara risorta.
Ed eccoci alla 4a lasciata jersera chez-moi dal Biagino rivale del Gemelli-Carreri perlustratore del mondo.
Io non era in casa perché passai la serata presso il nostro Maggiorani rimessuccio in salutella piuttosto benino.
Eravamo in sette a dir minchionerie intorno ad una tavola, rotonda niente meno che quella di Arturo; cioè Maggiorani, Tavani, Luchini, Feliciani, Pasquali, Baroni e me infrascritta sagratario.
Mi son messo in ultimo per amor di Galateo; ma là eravam tutti eguali e a perfetta vicenda come già i grotteschi intorno al circolo bollettonario, salvator delle reciproche teatrali convenienze.
Aspettavasi il Rossi colla sposa, ma avranno preferito il riposo e qualche altra faccenda non simile.
Tutti que' signori, con più la moglie del Maggiorani,
...la sua sposa pudìca,
La Costa del suo seno, Elena bella
Diversa tanto da quell'altra antica,
ti dicono salve ed ave a bizzeffe.
Or ora porterò a Piave la letterina che per lui desti a Menico Cianca, siccome consegnerò la presente ad Annamaria onde la passi alle bisacce de' due pellegrini Michele e Giuseppe, i quali vengono a visitarti e sciogliere il voto nel vero santuario d'amicizia e d'onore: a casa tua.
Orsolina dovrà soffrire un taglio per mano del Savetti.
Vedo molta indifferenza in chi se ne dovrebbe disperare.
Eh mio Ferretti! Non omnes omnia.
Abbracci e saluti di tutti gli amici.
Il Lanci mi ha incaricato dirti aver lui preparato un colpo di scudiscio pel Betti, nominandolo e per Rosani non nominandolo, detrattori della Lanciana interpretazione sulla inscrizione della statua etrusco todina.
Cioè, Rosani non alluse nel suo Carmen alla interpretazione del Lanci, ma disse che il senso della inscrizione resterà misterioso per molti anni.
Longumque manebit in aevum.
Questo al Professore è dispiaciuto perché i poeti non debbono giudicare del valore dei paleografi già entrati in lizza, né presagire sui successi degli altri futuri dichiaratori di cose archeologiche.
Circa al Betti, che parlò chiaro e con poco rispetto del Professore D.
Michelangiolo, questi stamperà che colui è imbisognato di sparnazzare articoluzzi da giornale etc.
- Entrate le vacanze parte Lanci e va a Venezia a stampare.
Addio, addio: ho cento cose che mi tirano fuori di casa e mi tolgono alla tua compagnia.
Questa notte sono stato in letto tre ore.
Salutami perciò le tue Signore.
Il tuo Belli
LETTERA 298.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, venerdì, 8 giugno 1838
Ora 1 pomeridiana
Mio caro Ferretti
Con un solo quarto d'ora d'intervallo mi sono giunte questa mattina di buon'ora le due tue lettere della vigilia d'oggi, una per mano di Carolina, primogenita della famiglia antimedicea, e l'altra a condotta di un valoroso sans-culottes, vice-gobbo commesso del superior dicastero Mandrella.
Mezz'ora dopo le due accluse pel copricapo e quella pel capo-copri (Lopez cioè e Quadrari) giacevano tranquillamente ne' loro luoghi di salvazione.
La Pazza e non matta Carolina ebbe il prospero da 20 fichi largitogli in tuo nome da me cassiere, elemosiniere, complimentario, depositario, f.f.
etc.
della Maestà Sua Giacomo primo, secondo, terzo, sino al millanta.
I prosperi - Lambertini, alias papetti, commuovono i cuori e rallegrano le pupille.
La Carolina impapettata, con tanto più di rassegnazione soffrirà il tardato materno regresso.
Oh la tua appetitosa colezione castellana! I lattarini dentro la tua padella potevano dire ciò che testé ha detto morendo il Principe di Talleyrand, nel mostrare a dito un suo pronipote presso al suo letto di morte.
Vedete o signori, cos'è il mondo! Quello è il principio; questo è il fine.
Infatti i lattarini vedevano ancora il lago e già si trovavano nella padella.
Mi rallegro della letizia di tua casa allo sbarco di Peppe, il cui accompagnatore (nuovo Tiresia) mutò sesso, forse per opera di Bosco o dell'arco-baleno: diverso però in questo dal pupillo viaggiatore itacense, che a lui una Minerva femmina divenne un Mentore maschio, laddove al pellegrino de' Pazzi un maschio Michele si trasformò in una puerpera Annamaria.
Nè la bussolottata fra' due generi avrà certo prodotto fra voi che la haec trovasse minori accoglienze che l'hic.
Ai soli hoc mala ciera per tutto.
Ma [...].
Suggellisi questa scombiccheratura e passi dal mio scrittoio al pluteo del famoso gobbo di corte: che afferra i fiaschi e li condanna a morte.
Quindi fumeranno le Maziesche minestre,
E in quelle brodosissime lagune
Disseterem le nostre epe digiune.
Addio Giacomo più mio che tuo: ama il più tuo che mio
Geggebè
Mandoti di saluti una bisaccia
Da sparnazzarne in casa un tanto a testa
Ne' giorni di lavoro e in que' di festa
Quando si lava ogni cristian la faccia.
Così buon pro vi faccia
Il tempo, e l'aria e il cielo del paese,
E possiate campar cent'anni e un mese.
Dio facciavi le spese,
E d'adipe e pinguedine v'abbotti
Che sembriate ortolani e passerotti.
Vuotate anfore e botti:
E se volete i dì più lieti e belli
Toglietevi a compagno il Bassanelli.
Tanto vi dice il Belli,
E v'augura dal ciel pioggia di manna
Da gridar: pancia mia fatti capanna.
LETTERA 299.
A TERESA FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 11 giugno 1838
un'ora di notte
Gentilissima ed estenuatissima e macilentissima
Signora Teresa Ferretti
I gobbi sono persone amabilissime, e servizievoli più ancora di un servizievole, ma quando manca la materia cosa può fare un gobbo, fosse anch'egli un dromedario o il famosissimo Gianni? Quel povero Sig.
Giuseppe vice-Mandrella ha sudato una camicia, se l'aveva indosso, per trovare almeno un paio di mesenterii che si potessero adagiare su due cuscini tanto che servissero di pretesto a far partire una vettura per Albalonga.
Ma non signora; non c'è stato verso di raccapezzarli; e le fatiche e i pensieri del vostro e mio caro Ferretti han dovuto rimanere immobili come un'eredità giacente sotto curator giudiziario.
Alzatosi col canto del gallo erasi egli posto in giro perché la canestra contenente tutti gli oggetti da spedirsi fosse pronta ad ogni fischio del gobbo; ma il gobbo non ha fischiato, e la canestra bell'e ammannita e condizionata sta qui sotto i nostri occhi aspettando la misericordia de' vetturini.
Ma non andrà sempre così, diceva un giorno la spidiera all'arrosto; e dimani a bella punta di giorno speriamo che una carrettella, una carrozza, un carrettone, un landò, un tilbury, un drosk, uno strascino, una barrozza, una lettiga, una carriuola o un altro qualunque canchero locomotivo vi depositerà a' piedi dieci foderottone, mezza libra d'amido, uno scuffino verde, dieci borchie con dieci ferri, un sapone da macchie, un cappelletto per Cuppetana, diversi pezzetti di cotone, altro cotone di due specie, e 14 matassine economiche da mezzo baiocco l'una.
Ne volete di più? Manco la discrezione.
Dopo le promesse passiamo alle ammonizioni.
Badiamo alla salute, Madama e Madamigelle, perché la salute non si compera dal pizzicarolo, e starei per dire neppure dallo speziale, benché gli speziali sieno d'opinione contraria.
La verità al suo luogo.
Giacomo sta bene e meglio di me che sto come un toro: Sempre attivo e fervido accoppia i santi pensieri di padre di famiglia ai dolci riguardi dell'amicizia.
- Sono colla compiuta mi' stima etc.
etc.
Il V.
aff.mo ed obb.mo Belli
LETTERA 300.
A TERESA FERRETTI - ALBANO
Di Roma, martedì 12 giugno 1838
all'Angelus Domini nunciavit Mariae
Madama e gentilissima amica
È suonato.
- Chi è? - Il giacchetto del gobbo (Tuttociò accadeva questa mattina alle 9 antimeridiane).
- E cosa cerca il giacchetto del gobbo? - Porta una lettera: - Una lettera di dove? di chi? - D'Albano: di chi poi ve lo dirà il carattere della sopra-scritta.
Leggo al veramente chiarissimo e, appresso a tanto chiarore il mio nome e cognome e domicilio, scritti in buona grammatica e ortografia da una penna capace di squisitissime gentilezze.
Questo, dico fra me, è della Signora Teresa Ferretti.
Si spezza il suggello, si spalanca la lettera, e...
carissimo consorte! Diamine! Di questi farfalloni vi scappano? Presto si richiuda il foglio e si spinga al padrone.
Posso accertarvi che non ne lessi più in là ritenendo che Voi, di due lettere preparate e chiuse, una per Giacomo e l'altra forse per me, aveste errato l'indirizzo, scambiando per equivoco i nomi.
Ma poi il nostro Ferretti ha spiegato il busillis significandomi siccome egli stesso vi avesse commesso il dirigere la lettera a me.
Ma potevate rimediarci con una sopraccarta.
Diamine! Cimentare la umana curiosità e metterla a repentaglio di leggere sillaba per sillaba tutti i fatti di cosa vostra! Il mio terrore dunque di diventare un intruso contro il voto vostro e del galateo mi ha tenuto al buio dell'incomodo da Voi sofferto: sino a che, vedutici insieme Ferretti ed io presso lo Zampi (alle ore 2 pomeridiane) non mi è stato da esso il tutto narrato spiegato e comentato.
Una parola, in grazia, Signora Teresina garbata.
Parliamoci qui fra noi all'orecchio, sotto-voce e senza testimoni.
Ci sarebbe pericolo che questa improvvisa indisposizione sia derivata da qualche diremo cipolletta od aglietto di più del solito e consueto? A un affezionato Maggiordomo, tenerissimo della conservazione de' suoi padroni, sia perdonato l'ardire della dimanda e la temerità del sospetto.
Ah! quando io stesso, povero servitore senza livrea, vi scriveva jersera quelle memorabili ammonizioni sulla salute, pareva che uno spirito delle mezzane regioni mi andasse sobillando al cuore que' consigli presaghi quasi del bisogno loro e della attuale opportunità.
Siete stata male? Se vi sentite in ciò la coscienza netta, e tanto netta da fare in guazzetto il mea culpa, vi compiangerò assai e più cristianamente.
Ma se mai quel benedetto quinto peccato ci avesse cacciato per entro una puntarella di coda, allora poi compassione sì, perché la nostra santa religione ce lo comanda, purtuttavia pregherò il caro Dott.
Bassanelli di correre su e giù per Albalonga o corta che sia, e di ordinar man bassa su quanto di cipolle ed agli vi abbiano esposto al femminile appetito, il commercio e l'agricoltura collegate in bel modo dalla moderna politica economica.
E tutti mandi al diavolo gli aglietti e le cipolline, senza alcun rispetto a qualunque nume egiziano che per entro vi alberghi.
E pare a voi che i numi d'Egitto gli Osiridi, le Isidi, i Tifoni, e i Canopi, e gli Anubi e tanti altri simili inquilini d'obelischi e piramidi perdano mai la lor natura indigesta allorché fannosi più modesti abitatori d'agli e cipolle? Sono essi oggi tutti numi dannati; e voi vorreste cacciarvi in corpo tutta una casa del diavolo in una sola boccata?...
A proposito di boccata, Ferretti ed io abbiamo pranzato presso lo Zampi.
E che bocconi! e tutti senz'aglio né cipolla per grazia di Dio.
- Questa sera poi Monsieur Jacques e Monsieur Joseph assisteranno gratis (la più bella parola del vocabolario latino) ai giuochi del Mago Bartolomeo, previo il dono di due polizini d'ingresso fatto dal Mago al mio padrone.
Ecco una giornata bene spesa, siccome ecco una lettera terminata all'oscuro.
Ci vedo appena per depositarci i saluti per le ragazze e per Gigio Cuppetana.
Sono il vostro aff.mo amico
G.
G.
Belli
LETTERA 301.
A TERESA FERRETTI - ALBANO
[Giovedì 14 giugno 1838]
Fra l'amarezza de' sofferti danni
S'io mi ti mostro mai lieto e faceto
Bada, donna, e non dir: quest'uomo è lieto;
Che dicendo così troppo t'inganni.
Né dal cuor vien quel riso né al segreto
Giunge del cuore ad alleviar gli affanni,
Come per foco e sovrappor di panni
Un umor non si espelle acre ed inquieto.
Schietta natura crederai tu spesso
Là dove l'uomo per ingegno ed arte
Illuder tenta e lusingar se stesso,
Se conoscer mi vuoi vieni in disparte
Mentre io sospiro in suon cupo e dimesso,
Né giudicar di me dalle mie carte.
Ciò premesso ha la Signora Teresa torto marcio e cappotto e prende grilli per buffali nel suppormi di ilare umore per quattro facezie e ribòboli e passerotti che mi sono scappati di penna in un momento di ubriachezza suscitata dal vapor d'aglio e cipolla di Madama Ferretti.
Senza burle vi assicuro che il mio spirito tutt'altro è che tranquillo, e se qualche frizzo mi si affaccia alle labbra procede più da natural bile e mordacità che non da voglia di fare il lèpido o il mattaccino.
Anzi vedete quanto la mia stessa natura impertinente ha perduto del suo vecchio taglio, spuntandosi come un ago d'Inghilterra.
Ieri sera fui amorevolmente condotto al rinnovato Argentina dal caro nostro Giacomo.
Ebbene fra quelle melodie birmane, o samoiede, o cufiche, o caldaiche, o sonnambule che le siano, se io mi fossi trovato sveglio in petto il prurito di puncicare, la messe non mancava per certo a farmi divenire un vero cannibale.
Bravo il mio signor Lillo! Io lo consiglierei a fare l'ortolano ed innestare il popon nella zucca.
Una pompa sibaritica e più asiatica forse che francese, uno splendido scenario e tre voci da paradiso non bastare a render soffribile ciò che in altre circostanze di vestiario di pennello e di gole avrebbe forse rinnovato in iscena la strage degl'innocenti.
Mentre il reo sarebbe stato uno solo! Ci divertimmo dunque assai assai assai, e beato chi di noi cinque (che cinque eravamo) poteva star più prossimo al catenaccio.
Passiamo ad un altro soggetto.
Il signor Filippo Zampi il Zumalacarregni del pozzo delle Cornacchie, a me cognito e qui presente ed accettante, m'incarica di dirle un Mondo gentilissimo d'impertinenze e tutte annodate a quell'antico filo neppure spezzato dal favor della pizza diretta e dedicata alla Comare di ferro.
Perché, Signora mia Teresa garbata, dopo quella sua trascuraggine di saluti donde nacque la guerra di Troia, si compiace Ella di ripetere i suoi silenzî ingiuriosi? S'immagina forse che il Sig.
Zampi sia un bamboccio da imbonire colle sculacciate? Lo Zampi è offeso e arrabbiato come un idrofobo, è un furioso all'isola di San Domingo (Piave non vuole andar via se non metto un codino, siccome egli saggiamente si esprime.
E il codino vuol dir saluti).
Se non fossi io ve lo vedreste a cavallo a una canna venirvi a dare un mozzico al naso, rinsellare il cavallo e partire.
Dunque salutatelo o finisce male davvero.
Il Sig.
Lopez sta invitando Ferretti a pranzo per domani (venerdì 15) e gli promette di dargli da mangiare a spilluzzico perché non ha quattrini da buttar via; e Ferretti allettato da queste seduzioni ha promesso d'andarci.
La Signora Regina e sue figlie son qui e vi salutano, e così il pittore del Monte della Farina e così il Felicetto Quadraro che naturalmente ha da venir dopo il pittore.
- Piave se n'è ito: dunque vi posso dire a quattr'occhi e in confidenza che egli conserva ancora in una scatoletta i quattrini destinati al gresso e regresso per venirvi a trovare.
Eh? che vignaccia! Aver fra voi un Goto-chiomato senza spesa d'imballaggio e dogana! E non gli è mica un goto da affogarsi in un gotto.
Se ne ride l'amico d'una masnada di Mirmidoni bell'e cresciuti, ed armati di picche, cori, fiori e denari, benché di questi ultimi un po' meno degli altri nonostante la scattoletta del sacro deposito del gresso e regresso:
Mi chiamo gesso
Con una mano scrivo e l'altra casso
E chi fidasi a me per Dio sta grasso.
Via non fate fracasso
Perché suoni cotanto il campanone
È segno che vien fuor la processione.
È venuto il garzone
Di Messer gobbo mentr'io vi scriveva
Blandizie da compar di Adamo e d'Eva;
E per questo la leva
Vi son ito a levar della campana
Perché voi la trattaste alla marchiana.
Quest'altra settimana
Vi scriverò di peggio, Iddio vi guardi.
Per ora parte il gobbo, e adesso è tardi.
Saluto le ragazze e sono il vostro
aff.mo amico Belli
che non ha paure delle vostre minacce
LETTERA 302.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma, 14 giugno 1838
Carissimo e pregiatissimo amico.
È finalmente pubblicato questo volume del giornale arcadico, da me atteso con tanta impazienza perché doveva esso contenere l'articolo sulla vostra dissertazione intorno a Cupra marittima oggi Ripatransone.
Il giornale cammina già sempre con molta lentezza, ma questa volta si è fatto anche più aspettare essendosi trattenuto sotto i torchi quanto bastasse per dar tempo alla stampa di tre fascicoli mensili tutti in un corpo.
Pubblicatosi appena il volume, il Cavalier Fabi Montani, autore dell'articolo che vi riguarda, conoscendo la mia premura per esso me ne ha inviato a casa una specie di estratto che io vi spedisco oggi sotto fascia onde possiate leggerlo subito e vedere con qual rispetto vi si parli della vostra opera e de' vostri talenti.
De' quali persuaso io quanto e più che tutt'altri vi esorto e prego di continuare a spendere il fino vostro criterio e la vostra non comune erudizione in aiuto delle archeologiche ricerche italiane, sin qui non poco strapazzate da menti o poetiche troppo, o preoccupate o leggiere: salve le eccezioni comandatemi dalla giustizia.
Ed io che faccio? Se voi mi dirigeste questa mia dimanda colla quale talora da me stesso io m'interrogo, dovrei rispondervi: nulla.
Io ho lo spirito agghiacciato e quasi che morto.
La memoria mi va sempre ogni dì più languendo in guisa che né solamente dimentico le poche cose da me già lette e sapute, ma le scarse letture permessemi in oggi dal nuovo e penoso mio stato d'isolamento non mi lasciano pur traccia delle notizie che di pagina in pagina io ne venga o ricuperando o acquistando.
Ciò per un uomo che sapeva di non esser creato di sola materia deve riuscire assai sconfortante e gettarlo in una deiezione di spirito tormentosissima e in un tedio assoluto di una vita resa affatto vana ed inutile.
A sollevarmi dal mio visibile abbattimento i pochi miei amici di Roma vollero negli scorsi mesi far violenza alla mia restìa volontà ripristinando il mio nome nell'albo dell'Accademia tiberina da me già fondata, ed a cui per amor di quiete ragionevolmente rinunziai nel 1828.
Ma cosa posso più fare in pro di questo instituto? Per la prosa, giusta esigenza del secolo, mi manca oggi il tempo, la serenità e la suppellettile del sapere, stante che lo scarso che io potessi già avere acquistato ne' miei studi letterarii e scientifici, mi equivale adesso per la perduta memoria ad un patrimonio alienato, e per conseguenza a miseria più aspra perché non stata sempre sì intiera.
Circa i versi, mi son questi venuti da buon tempo in fastidio, come allettamenti d'una gioventù che m'è fuggita, e come cose pochissimo in oggi soddisfacienti alla età in cui viviamo.
Purtuttavia, siccome più facile riesce il rimare che non il severo parlar da Oratore, qualche verso l'ho pure composto in questi ultimi mesi, rubando qualche ora al sonno e al riposo onde non violare il tempo reclamato dalle mie sacre occupazioni di padre.
Tre de' miei amici (Sig.ri Francesco Spada, Domenico Biagini e Avv.
Filippo Ricci, dotti tutti e amorosi) han voluto far pubblico uno di que' miei pochi e cattivi componimenti intitolato il Goticismo.
Esso vedrà per loro cura la luce in uno de' prossimi numeri del romano Album: e poiché eglino ne faranno estrarre degli esemplari a parte, io ve ne spedirò uno sotto fascia appena verrà fuori dalle stampe.
Vi servirà a solo fine di conoscere che io di più vi darei se avessi di più e di meglio.
Intanto, avendo io dovuto donare al Cav.
Fabi Montani il vostro libretto vorrei pregarvi mandarmene un altro colla stessa memoria di vostro carattere che ricordi sempre essermi da voi stato donato.
- Il nostro Orazio Piccolomini sarà contento della promozione del fratello alla carica eminente di Presidente delle Armi.
Presto vedrete passare di costì la lor Madre.
Il vostro silenzio dall'8 febbraio in poi mi è stato sufficiente per conoscere che codesti Signori addetti all'amministrazione de' Beni ecclesiastici non hanno creduto bene di sborsare le quote dovutemi sul sequestro Trevisani pel trimestre di gennaio, febbraio e marzo passati, malgrado che il danaro sia colato in loro mani ad ogni principio di mese.
Vorrei sperare che scadendo un altro trimestre fra pochi giorni si compiaceranno essi di sborsare contemporaneamente tutto il cumulo del semestre dal 1° gennaio a tutto il corrente giugno, somma che giace di già intiera in cassa.
Io mi sono sempre astenuto dall'avvertirne Mons.
Tesoriere sul dubbio che ciò possa spiacervi pei rapporti di conoscenza che voi abbiate con codesti Signori.
Assicuratevi però che essi mi arrecano molto danno con questa loro non retta condotta.
Sono di vero cuore abbracciandovi
Il Vostro vero amico e servitore
G.
G.
Belli
Monte della Farina N.
18
LETTERA 303.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 14 giugno 1838
Mio caro figlio
Mentre mi giungeva la tua del 31 maggio andava viaggiando verso di te una mia lettera dello stesso ordinario.
Essendo ormai corso d'allora buon tempo senza che noi ci siamo dati scambievoli notizie, rompo io il silenzio per seguitare a darti prove della mia memoria, la quale tanto più volentieri e spesso a te rivolgo in quanto che il mio cuore è sempre più disposto ad amarti per conseguenza degli elogi che mi pervengono della tua condotta.
Non superbirne però, Ciro mio, di queste lodi: ricorda sempre che la bontà e l'adempimento de' nostri doveri è un altro dovere esso stesso.
Ha scritto un famoso autore: Vitavi culpam non laudem merui.
Così astenendosi dal male e praticando il bene si evita più la colpa che non si meriti la lode.
Ma se questa ci viene pure tribuita si riceve con gratitudine e quale nuovo stimolo a sempre meglio operare.
E guai a quell'uomo che per un falso sentimento ed abbietto, onorato a torto del santo nome di umiltà, si rendesse insensitivo alla lode.
Da quella bugiarda umiltà passerebbe a degradare del tutto la sublimità della umana natura.
Io non parlo qui del desiderio di biasimo e di mortificazione stato sì vivo ne' santi.
Essi però bene e santamente operarono, e la umiltà loro fu un eroismo soprannaturale, dono miracoloso del cielo.
Intendo io di ragionarti de' sentimenti connaturali all'uomo in risguardo soltanto de' suoi rapporti col Mondo, dove la lode modesta deve necessariamente commovere un modesto animo a maggior compiacenza delle azioni virtuose e lodevoli.
Riverisci i tuoi Sig.ri Superiori e saluta gli amici come ti salutano questi amici e parenti di Roma, nonché i nostri antichi domestici.
Di' alla Signora Cangenna che mi è giunta la sua del 9 corrente, intorno a cui la ringrazio e le risponderò.
Ti abbraccio di cuore e benedico.
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 304.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, venerdì 15 giugno 1838
Mio caro Ferretti
È sembrato un destino! Il diavolo ci ha ficcato la coda.
Ti avevo promesso di vederti prima della tua partenza e di metterti in carrozza, e non ho potuto.
Fra tutte le procellose giornate trascorse dopo il mio cataclismo, niuna forse più arrabbiata di oggi.
A mille impicci disparatissimi affollatimisi sul capo questa mattina aggiungi il lasso di tre ore dovutesi da me passare alla sperella del sole sotto il Gianicolo, a motivo di certa differenza che va a divenire forense circa una descrizione e consegna di fondo appartenente allo slabbrato patrimonio del mio figliuolo.
Pieno di fuoco nelle viscere e grondante sudore ho finito di mangiare un boccone per darmi ad intendere di aver pranzato, né prima delle 4 1/2 mi è stato possibile di fuggire in tua casa e in quella d'Annamaria.
Il Sig.
Giacomo è partito proprio in questo momento, mi ha detto la madre di Peppe; e ho da lei saputo che tu hai dimandato più volte di me.
Lo so: avevi a dirmi qualche cosa.
Ma che faresti? Scrivimela e ti servirò.
Si danno circostanze per le quali si è costretti a mancar di parola senza colpa del proprio carattere.
Salutami la tua famiglia.
Colla testa svanita e dolente mi ripeto
Il tuo Belli
LETTERA 305.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, sabato 16 giugno 1838
Ore 10 antimeridiane
Mio caro Ferretti
A primo uscire di camera ho questa mattina trovato sul mio scrittoio un plichetto a me diretto col subito di grazia.
Dalle informazioni poi prese in famiglia ho rilevato esser provenuto il plichetto da mani odorose di stabbio; dimodoché dovendo forse venire da Albano e null'altro contenendo fuorché una lettera da consegnarsi a te subito di grazia, il latore qualunque ci ha subito serviti entrambi in mezzo alla rognonata.
Delle cose scritte nella lettera, suggellata a fuoco sotto marchio di targa [...] fra un caduceo ed un ramo di quercia sotto corna d'alloro, devi a quest'ora saperne più forse tu stesso che non io, benché m'abbia il tutto fra mani.
Nulladimeno ti rispingo la lettera quasi
Anima che là torna onde partìo.
Ma se la mia poca arte araldica non mi ha cuccato nella interpretazione della parte blasonica del plichetto, quasi voglio invelenirmi come la vipera dello stemma per ciò che il cultore dell'arte salernitana m'abbia suggellato una lettera senza neppure scrivervi dentro: asino d'Arcadia, consegna l'inserta al tuo Maestro, e va a fiume.
A fiume non ci sarei forse andato, malgrado della mia propensione alla santa ubbidienza, ma in modo avrei disposto le cose che fossimo tutti rimasti contenti come tre pasque, fra le quali entra anche quella della befana.
Ma al mio Signor dottore El Bassanelli
E' non cale del Belli una bucciata,
Bench'egli si trarrìa sino i budelli
Per fargli onore e il chiamerebbe Tata.
Ed io sotto quell'Egli intendo il Belli,
Come sotto quell'El ho sconsagrata
La gran parola che l'arabe arene
Salva udirono un giorno al sommo bene.
E sconsagrata l'ho perch'io discreto
Dar non potendo il gran valore antico
Al decimo segnal dell'alfabeto
Nella inizial del nome d'un amico,
L'ho ridotta a indicar Luca o Loreto
O Lazzaro, o Luigi, o Ludovico
O Liborio o Lorenzo o Liberato
O altro nome del libro del curato.
Che se poi la targa del suggello, laureata, roverata e serpeggiata, non appartiene al Bassanelli, tutti i miei castelli in aria essendosi dileguati come le uova fra le mani di Bosco,
confesso e riconosco
che la bestialità di mia scienza
merita pentimento e penitenza;
e quando tornerò ad Albano, se più tornerò ad Albano, il nostro Dottore guardimi pure in cagnesco, che gliene dò amplissima licenza.
Perch'io merto dolore e penitenza.
Oh abbiateci pazienza
Signor Ferretti mio, s'io scrivo male:
Non è colpa del nostro naturale.
Ho una penna animale
Ed una certa carta e un certo inchiostro
Che ne bestemmieria sino il Cagliostro,
Il quale a tempo nostro
È stato come dire un santarello
Da pigliarne a biografo il Burchiello.
Voi avete cervello,
E conoscete pur che quando io scrivo
Sembro un Mastro Bodoni redivivo.
Non mi fate il cattivo
Dunque in veder le zampe di civetta
Di questo foglio scribacchiato in fretta.
Poi, chi la fa l'aspetta,
E voi mi spedirete letterine
Come san farne i galli e le galline.
Ma è tempo di por fine
A tutto questo anfanamento a secco,
Perché ho vuota la vena e asciutto il becco.
Vi saluta Ser Cecco
E il Deramone e il Balestriero e il Cianca
In quest'ultimo fil di carta bianca.
Voi passate la banca
Dei saluti alle vostre quattro donne
Per le quali io vi mando un eleisonne.
E qui col come e ronne
E busse ed altro sustanziale addobbo
Io mi vi inchino e vò a trovare il gobbo.
G.
G.
Belli
Bene le Anne Marie, le Caroline, i Peppi, e le due scale-a-lumaca dei Vincenzi e Pietrucci.
Dei Checchi non me ne occupo un [...].
LETTERA 306.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, domenica 17 giugno 1838
Ben ch'abbia afflitti di dolor la gola
E gli articoli tutti e i segnacasi
Pur mi ti faccio a dir qualche parola.
Erano ott'ore, od otto e un quarto quasi,
Quando stamane il vice-gobbo amico
Venne, ed io lieto al suo venir rimasi,
Poiché seco recava un tuo gran plico
Gravido d'altro plico per colei
Che s'ha de' Pazzi il bel cognome antico.
Ed oltre al plico destinato a lei
V'era pure un listel pel copri-testa
Di me e gran parte de' consorti miei.
Tosto io con gamba studiosa e lesta
Portai l'uno alla buona Annamaria
E l'altro al Lopez, benché fosse festa.
Trovai Madama Pazzi in compagnia
Della figlia e dei figli piccoletti:
Ito era il grande a qualche birberia.
La salutai e il tuo plico le detti,
Mentre Peppe, quel furbo farfarello,
Veniami intorno a dimandar confetti.
Pel Lopez, alla luce d'un portello
Lo sorpresi mentr'era sbacchettando
La cupola dell'ultimo cappello.
Mi lesse il tuo biglietto sghignazzando,
Aggradì i vale della tua famiglia,
E altrettanti suoi vale io ti rimando.
Or sono al mio scrittoio ed ho le ciglia
Fise in sul foglio tuo a me diretto,
Che ha di stabbio più odor che di vainiglia.
Tu dopo il pranzo e pria d'irtene a letto
Me lo scrivesti il sedici di giugno,
Cioè ier, se il lunario il ver m'ha detto.
Del tuo Gigi in talare codicugno
Odo i passi più franchi, e omai mi credo
Che n'avrem certa la vittoria in pugno.
Correr per casa e sgambettar lo vedo
Giù pe' laureti della villa Doria
E trascorrerli tutti in men d'un credo.
Canta, Ferretti mio, canta vittoria,
Né dell'aria vivifica d'Albano
Fia per noi questa la men bella gloria.
Quanto a Cristina tua cui va pian piano
Restando il capo ignudo di capelli,
Non si sgomenti, o si sgomenti invano.
A giovanetta mai non mancâr quelli,
E presto ella n'avrà morbidi e lunghi,
E belli come i primi e ancor più belli.
Ma è forza che da questo io mi dilunghi
Per dire un prosit alla tua mogliera
Per le ingollate fragole ed i funghi.
Làscialene mangiar tutta una fiera
Con cipolle e con agli e citrïuoli,
In casa e fuori, e di mattina a sera.
Lenti aggiungavi pur, ceci e fagiuoli,
E cicerchie e con simili civaje,
Buona lega de' funghi prataiuoli.
Quelli son cibi, e non ti dico baje,
Da impinzarne la pancia a crepa-pelle
E da cuocerne pentole e caldaie.
Qual prò ti fanno i manzi e le vitelle?
Qual prò l'acquaccia che diciam noi brodo,
Da maledirlo in tutte le favelle?
Porri mangi e radici, e ne la lodo,
E vi rimangi su radici e porri,
E rincacci così chiodo con chiodo.
E se mai credi ch'io faccia lo gnorri
Parlando come dire a badalucco,
Ben fuor del vero, o mio Giacomo corri.
Esser bestia vorrei come Nabucco
Pria di dir cose che smentisce il cuore,
Vorre' in bocca serrar lingua di stucco.
Dopo il foglio del gobbo, a dodici ore,
O, per parlar romano, a mezzogiorno
N'ebbi un altro da incognito latore.
Il qual, tuttoché giunto al mio soggiorno
Dopo quello del gobbo di Mandrella,
Pur m'apparisce più vecchio d'un giorno.
Sotto la luce della prima stella
Me lo scrivesti tu, Giacomo mio,
Disceso appena giù di carrettella,
Onde mandarmi affettuosi addio
Per quanti amici tu lasciasti a Roma,
Compreso il Maggiordomo che son io.
D'Orsola chiedi tu? Porta la soma
D'aspri dolor e molti al casto seno,
E, infelice, ne geme attrita e doma.
Se tu meco ne soffri anch'io ne peno,
E per lei vo' pregando a giunte mani
Il Signor Gesù Cristo Nazzareno.
Buone nuove ti do del Maggiorani,
Ma il polso della sua buona compagna
S'oggi è tranquillo nol sarà dimani.
Ieri calcai per te piazza di Spagna
Per sapere in tuo nome della vecchia
Che un giorno muore e un altro giorno magna.
La morte halla tirata per l'orecchia:
Venerdì le fu dato il sagramento,
E a novo banchettar già s'apparecchia.
Ed io povera coda di giumento
Forse avrò appena il cinquantesim'anno
Mentre alla ghiotta sarà dato il cento!
Cesare intanto n'ha tutto il malanno,
Pagar dovendo il medico e il chirurgo
C'ogni otto giorni a sentenziar la vanno.
Grazie all'alvino ubbidiente spurgo,
Pari la vecchia all'araba fenice
Può dir morendo: post fata resurgo.
Quella signora Emilia viaggiatrice
Che insieme al Carbonarsi hai tu veduta,
Di te gran bene e di tue donne dice.
Ella pel Corpus-domini è venuta
A Roma, e presto tornerà alla Fratta,
Ma pria pel mezzo mio la ti saluta.
A' tuoi due fogli la risposta è fatta:
Non manca ora che darla al dromedario
Perché ti giunga difilata e ratta.
Né credo, o mio Ferretti, necessario
Dir ch'io m'inchino alla fama corusca
Dell'inventor del gran vocabolario
Che farà un giorno disperar la crusca.
Il tuo G.
G.
Belli
LETTERA 307.
GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 18 giugno 1838
Ore 10 antimeridiane
Amice mi
Domi tuae scribo, ed ho davanti gli occhi, e fra momenti sotto le mani il volume Celsiano.
Te lo spedisco oggi pel solito famoso canale Mandrelliano.
Ho ricevuto, e già l'hai capito, la tua del 17 unita al pacco libri (Hugo e Byron) da riporsi nelle scancie.
Insieme col Celso avrai dai vetturini del Mandrella due altre spedizioni, cioè una mia epistola di ieri e un paio di scarpe di jeri sera.
Non è partita stamane alcuna vettura.
Dunque, io ho detto, chi porta 30 può portare 31.
Il vetturino (lo credo tale e tale disse di essere) che portò il tuo pacco di libri girò tutta la contrada, si scontrò in Annamaria, etc.
etc.
ma diligente come un cane da caccia volle fiutar proprio la quaglia, e sapeva egli il perché.
Aveva più fiducia nella borsa del Signor Belli che non in quella della Signora Pazzi pel grande argomento del porto, o buona-mano, o beveraggio che sia.
Però è stato puntuale.
La lettera al De Belardini va adesso.
O la porto io, o Carolina in mia vece.
Leggerò questo gran sonetto di quello strafalario del Fumasoni.
Ma i Luigi decimiquarti non vi son più.
Peccato! Il Fumasoni si comprerebbe un palazzo; ed oggi potrebbe appena acquistarsi una a palazzina.
Abbi cura del tuo ventre; metti in bagno il piscione Prof.
Cuppetana; saluta e le tue donne e il Bassanelli, e credimi il frettoloso tuo amico
Belli.
LETTERA 308.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 18 giugno 1838
Ore 6 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Al Sig.
Belli soprannominato G.
G.
è arrivata due ore dopo il mezzodì una tua lettera unita ad altra per Annamaria, contenente quest'ultima un pacco pel Sig.
Servi.
La moglie di Michele ha situato il pacco Serviano sulla sua toelettina, specie d'altare inviolabile donde nessun'altra mano ardirà rimuoverlo se non la destra del compagno di Baldassare e Melchiorre.
E Annamaria e Carolina in lingua semicristiana, e Peppe in lingua strona, dicono salute a te, alla tua fungofaga, alla tua dischiomata, alla tua pidiscellosa e st'antr'anno sposa, alla tua astratta e al tuo novello Pergamino
Perso - etrusco - caldaico - latino.
Tutte le quali impertinenze, uscite dalla boccaccia sprocedata di coloro, io intendo non approvare, e ci protesto sopra e sotto, e di qua e di là, e dentro e fuori,
Però ch'io non vuo' guai co' superiori.
Io venero, stimo e rispetto tutti i singoli miei padroni e le mie padrone, e prima di metterli in ridicolo
O mi fo sbudellare o infilo un vicolo.
Bada, Ferretti mio, al tuo colon, al retto, al cieco, al digiuno, etc.
E se credi che alcuni cibi ti faccian male
Non te li far venir su per le scale.
Orsolina ha acquistato un altro buco per una nuova suppurazione.
Savetti dice che la faccenda vuol esser lunga.
Ella soffre, il marito tarocca, la balia dà mezza zinna, e presto forse la darà intiera.
Progetti svaniti: guai a cavaceci.
Ho raccolto una sporta di saluti, rispetti, inchini, sorrisi, parolette, di qua, di là, da donne, da uomini, amici, parenti e benefattori.
Te li mando tutti in un fascio, come sarebbe un pot-pourri, un millefiori, un cappon di galera.
Danne uno spicchio a cadauno de' tuoi, serbando la tua porzione per te oltre le mollichelle del piatto.
Piatto fa rima a Gatto.
Ebbene il tuo gatto vive in tranquilla e anacoretica solitudine, fornito a dovizia di vettovaglie o vittuaglie, secondo le varie lezioni del Cesari, del Cecilia, e del Marola e dell'Azzocchi, quattro pinacoli di Monte-Glossario.
Né a' tuoi canarini vien penuria di canapuccia per consolarli del cantar tuttodì senza che orecchio gli ascolti, siccome ballava la ebrea di Balzac nell'eternità del deserto teatro.
Orribile condanna!, ma che io pure affibbierei a certi arcadi amici miei e tuoi.
Sonettare per omnia saecula saeculorum senza una bocca che dicati bravo, senza due mani che ti battan le nacchere! E chi sa che nel codice di casa non sia qualche articolo di tal fatta da vendicare il genere umano dai misfatti Fumasoniani, Barberiani, e via discorrendo? Ah! se il cielo m'avesse privilegiato della cistifellea dello Scannabue, vorrei scorticar loro quelle orecchiacce e far loro strillar caino peggio che non accadde ad Agarimante-Bricconio e ad Egerio-Porco-Nero.
Ama il tuo Belli.
Lo Spada nostro ti chiederebbe il Tibullo del Biondi per leggerlo, secondo che gli promettesti, e poi letto restituirtelo.
L'hai in Roma? Vuoi dargliene? Profitto di questo cantoncello ch'era destinato all'ostia pria che la materia crescesse sotto la penna.
LETTERA 309.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, martedì 19 giugno 1838
ore sei pomeridiane
E sai tu, Giacomo mio, cosa ho fatto? Trovandomi fra le mani i libri da te inviatimi per riporli a dormire sino al suono di novella tromba, ed avendoli già installati a domicilio, un secondo pensiero più persuasivo del primo me li ha fatti ricavar fuori onde appagare il mio desiderio di paragonare la Tudor alla Borgia, e la Maria alla Lucrezia: non già per pescarci dentro le metafisiche simiglianze trovate dall'autore (o prima o poi che la penna sua gli avesse scritti) fra i drammi della Lucrezia e del Triboulet, ma sì coll'unico scopo di confrontarne i meriti letterarii fra i due lavori della Regina di Inghilterra e sulla Duchessa di Ferrara, sulla figlia di Enrico VIII e sulla bastarda d'Alessandro VI.
Io aveva fatto conoscenza con quelle due famose eroine d'Hugo in tempi distanti e senza intenzione di metterle una accanto all'altra per vedere qual fosse più alta di spalle.
Ebbene, oggi ti dico, e, se vuoi, dammi torto, che l'inglese cede d'assai alla inspirazione italiana; e giudico di tanto superiore il lavoro della Lucrezia a quello della Maria di quanto l'obelisco del Laterano sovrasta ai pinoli granitici piantati per paracarri lungo la nuova strada del Corso.
Io credo in quel volo veder Hugo perdersi fra le nuvole, e in questo dibattersi fra le cupole e i tetti, sempre a vista di chi non s'alza da terra che per la virtù muscolare di un salto.
Pochi certo sapranno anche sollevarsi all'altezza che il fantastico francese seppe segnare nella sua Tudor, ma fra que' pochi alcuno può lasciarselo sotto e fargli cader pietre sul capo; laddove sembra a me che, fatta estrazione dalle morali mostruosità e dalle sregolatezze della fantasia, il concetto della Lucrezia e la macchina di quella scenica azione stancherà sempre ed ali ed areostati di chi tentasse seguirlo pel cielo immenso in cui si lanciò lo scrittor temerario.
Riderai, buon Ferretti, dell'ardire di un povero rettile par mio nel misurare i voli, e stabilir quasi una metrologia delle letterarie ascensioni.
Eppure io ho una macchinetta ad hoc, uno strumentuccio assai attivo che in simiglianti speculazioni rade volte mi inganna: il cuore.
Quando esso ha fortemente battuto, provo spesso la soddisfazione di trovare i suoi moti meccanici e naturali in armonia coi giudizi de' più riveriti cervelli della letteraria comunità.
Nella Tudor io volevo commovermi: la Borgia mi commosse: là il mio cuore si agitava, qua mi balzava dal petto.
Grazie intanto alla tua spedizione di libri: vi ho sopra instituito un esperimento in qualità d'uomo-spirito.
Ciò mi darà un po' d'energia per sopportare il peso de' travagli come uomo-materia.
E sissignore, la tua lettera di jeri 18, fa or parte del fascicolo della tua cara corrispondenza, mentre il plico pel Vera aspetta il padrone in casa de' Pazzi senza congiura.
Annamaria la vedo in buonina salute: Carolina in buonona.
Il Checcaccio tiene la testa fasciata, perché un solito umoraccio annuale gliel'ha fessa come un granato.
Quattro capelli tagliatigli per forza, quattro unzioncelle d'unguento, ed eccotelo già fra poco in istato di correre per Roma a salta-la-quaglia, e di cozzare sin colle corna del diavolo suo aio e maestro.
Gli Stortini tirano via come possono.
Ogni pelo un bozzo: ogni passo una cantonata.
Peppe poi, oh in quanto a Peppe l'è un altro paio di maniche.
Dà più di quel che promette, e con un martello alla mano va picchiando alla spietata
Mollia cum duris et sine pondere habentia pondus.
Costì moderato, dici tu: costà smanioso, rispondo io.
E lo scoliaste nostro aggiungevi caldo, benchè il reverendo Prof.
Cuppetana legga callo, cioè sostanza cornea del derma.
Ebbene? Come e quanti si raccolgono nuovi vocaboli dai fornelli di quell'al-glotto-chimista? Tesaurizzi tu Padre? Oh te beato! Sì presso alla fonte! Io poverello in questo avido fondaccio non m'ho soccorso che ne' putenti arcaismi d'una favella fradicia per quasi sette secoli di vita.
Il tuo Cuppetana te ne dà di sì rigogliosa e fresca da starne fresco come la paretaria.
Capo-basso avanti le sei Signorie vostre e schiavottiello.
Il tuo G.
G.
B.
LETTERA 310.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 20 giugno 1838
Mio caro Ciro
Dimani parte di qui la gentilissima Signora Maddalena Caramelli, madre del giovanetto Augusto che va a visitare nel Collegio ov'è insieme con te convittore.
Ebbe ella la bontà di parteciparmi questo suo viaggio perché io potessi approfittarmene se mai ti dovessi scrivere.
Eccomi infatti a valermene onde riscontrare la tua del 12, che ritardata al solito di un ordinario non mi giunse prima del giorno 16.
Così mentre questa tua lettera veniva verso di me andava camminando verso di te l'altra mia del 14 che avrai avuta dal degnissimo Sig.
Rettore.
Riverisci lo stesso tuo buon Superiore, e ringrazialo in mio nome della cura ch'egli si prende di non lasciar passare occasione senza darmi buone notizie di te.
Credo che a Perugia, siccome qui, benché colle debite proporzioni, sarà tornato il caldo.
Ho aggradito i saluti della obbligatissima Signora Cangenna, alla quale ti prego far giungere la qui unita, o dandola a Lei stessa se la vedi, o facendola passare nelle mani del Sig.
Luigi Micheletti allorché si rechi alla Computisteria del Collegio, ovvero usando un altro mezzo che ti venga possibile.
Non so se tu ricordi aver qualche volta udito che io nella prima mia gioventù fondai a Roma un'Accademia letteraria col nome di Tiberina.
Nel 1828 me ne ritirai per savii motivi che un giorno ti spiegherò.
Intanto sappi che dopo dieci anni alcuni miei ottimi amici e sapientissimi han voluto che io tornassi a quell'instituto da me abbandonato, sperando essi che ne trarrei sollievo al mio spirito malinconico.
Io gli ho soddisfatti, ma con tutt'altro scopo, che è il seguente.
Siccome la mia vita sempre solitaria mi ha fin qui reso a tutti ignoto, ho in oggi conosciuto che ciò non potrebbe essermi più conveniente nel nuovo stato della nostra casa.
Quindi l'idea di acquistare buoni ed utili rapporti pel tempo in cui dovrò presentare te al Mondo e aprirti una strada di stabilimento, mi persuase al riprender parte nelle cose che accadono in detta ragunanza di uomini dotti e influenti.
Fra gli scritti da me finora letti colà, i miei amici han voluto stamparne uno entro un certo giornale romano, e me ne faranno estrarre alcuni esemplari.
Ciò accadrà fra due settimane.
e allora io te ne spedirò un paio di copie, una per te e l'altra pel Sig.
Rettore dal quale ti farai spiegare ciò che vi si contiene.
Il componimento è in versi, ed ha per titolo Il Goticismo.
Vi si sferzano le nuove mode nelle arti e nelle lettere, con cui si fanno oggi ridicoli gli uomini.
E poiché tu sei vicino ad entrare nel Mondo mi pare bene che principii a conoscere qual sia il lato dal quale si debba esso schivare o almeno non imitare.
I miei soliti rispetti a' tuoi Sig.ri Superiori e agli amici.
Ricevi tu poi i consueti saluti da tutti.
Ti abbraccio e benedico
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 311.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, mercoledì 20 giugno 1838
Ore 6 pomeridiane
Eccomi qua, Sig.
Giacomo, o Giacopo, o Jacopo, come Le pare.
Sono a darle conto del mio servizio dopo l'arrivo della sua di ieri 19.
- Il pacco Vera sta a far compagnia al gemello, finché il Vera non tolga e questo e quello.
- Il Tibullo-Biondi è passato dalla biblioteca Ferretti a quella Spada.
E costui ringrazia colui.
- Il Manzoni completato passò dalle mani del Raggi a quelle del Belli.
- Il Visaj nihil habet per ora.
- Il Servi, da me fatto ieri avvisare per mezzo del Padre Ascenso, ritirò iersera il caricamento giacente per lui in casa Pazzi.
- Il Quadrari, avvisato da me-me, ha levato la sua lettera dal Caffè di S.
Luigi.
- Anna Maria de-universis fa la madre di famiglia.
Carolina fa il bucato in via della Farina N° 36 secondo piano.
- Peppe grida, corre, martella.
Degli altri uno a sedione uno a stampella.
Checcaccio ritorna alle sue onorate occupazioni.
- Michele va a caccia forestieri, ma...
fa caldo e i forestieri vengono col passaggio dei tordi.
Questo episodio non l'avrà il gobbetto
Ma il Signor Sigismondo l'architetto.
Ei si parte diman da' sette monti
Per veder certe cose a Tor-tre-ponti.
Dàgli le figlie tu perché pian piano
Le meni all'infiorata di Genzano.
Son ben fidate e torneran la sera
Sotto la scorta della tua mogliera.
E se tu non ci vai pon tutte sotto
Alla giurisdizion del Poliglotto.
Chi lor vorrà dar guai, Muccio mio bello,
In compagnia d'un uom come gli è quello?
Rispetteran la femminile gualdana
C'abbia a capo il Maestro Cuppetana.
Egli con due vocaboli de' suoi
Farà Celti fuggir, Senoni e Boi.
E se tornan, con quattro paroloni
Farà Boi rifuggir, Celti e Senoni,
Che cacciandosi dentro alla foresta
Diran: chi è mai quest'uom? Qual lingua è questa?
Tu studia, amico mio, giaci e t'impingua:
Le tue donne a scortar basta una lingua.
Mangia, o Iaco, piselli e lattarini
E insalata de' Padri Cappuccini;
E dai Conventuali abbiti pure
Per un soldo un canestro di verdure.
Niun qui a Roma ortolano manigoldo
Te ne darebbe tante per un soldo.
I nostri rivenduglioli son ladri
E non fan come i reverendi padri,
Che ti danno l'erbucce, e che so io,
Men per danar che per amor di Dio.
Questo è un paese, o mio caro Ferretti,
Che non ti puoi salvar manco sui tetti:
Cerca ognun di campare a spese tue,
E per uno che dan chiedono due.
Io mi son fatto un paio di stivali
Che rassembran due veste d'orinali.
La suola vi sta in lita col tomaio,
E quattro pezzi sono anzi che un paio.
E pure quel ladron del ciabattino
Tre scudi vuol da me d'argento fino,
Dicendo che un pochetto di sconquasso
Non è cosa da far tanto fracasso.
Dunque statti in Alban, Giacomo, e credi
Che qui nulla cammina co' suoi piedi.
Basta il detto; ma innanzi ch'io suggelli
Pregoti riverirmi il Bassanelli;
E per me bacia il lembo delle gonne
Di quelle quattro perle di tue donne,
Teresa, Chiara, Barbara e Cristina,
Degne d'andar in voce anche alla Cina.
E tu, o Terpandro dalle quattro corde
Da me t'abbi un amplesso ex toto corde.
Il tuo G.
G.
B.
LETTERA 312.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, venerdì 22 giugno 1838
Ore 5 pomeridiane
Caro sor Padrone
Passando io questa mattina dal negozio di Lopez vi ho trovato la vostra lettera di mercoldì 20, lasciatami secondo l'indirizzo dall'amico Zampi.
Per vedere il gran pesce non era più tempo.
Già vendevasi a fettine e fettone per baiocchi 18 la libbra ed anche per 20 o 25 secondo il genio de' compratori.
Dicono che fosse uno sterminato storione, ma che insieme vi si trovassero due smisurati tondi.
Così mi ha detto una certa Signora Dorotea della quale ecco le precise parole: ci suono un storione molto grandissimo e un tondo o due salvo il vero, e lo so dalla Signora Malta delli gipponari ch'è persona che lo puole sapere, e tutto assieme pesa settecento e passa libbre tra tondo e storione che nissuno ha possuto mai vedere una cosa accossì tale come questa di pescaria d'oggi, che s'assicuri certo che non si va più in là nemmeno per le mille.
A tanto bel tratto e fiorito non mancava alla Signora Dorotea che inzepparci dentro (per fàs e Caifàs) il Maggiorasco dell'Achillini Marinese che ad ogni modo vi avrebbe fatto sempre miglior figura che non in quel beato sonetto dedicato a S.
Barnaba profligatore de' contagii e del roco terremoto.
Bisogna dire che il roco terremoto si fosse infreddato e accatarrato per qualche colpo d'aria sofferto fra quelle pericolose colline Marinesi o Frascatane.
Ma se il Sig.
Fumasoni-Biondi, anziché porre in ridicolo il povero terremoto per un po' di cimurro di testa e per un tantin di catarro, gli avesse fatto amministrare una o due once di siroppo di viole, avrebbe operato più da cristiano; e il mordace sonetto camminerebbe altrimenti.
E, a proposito di terremoto, a Costantina in Africa si sono sentite alcune scosse.
Un dotto Ulema ha spiegato al comandante francese la cagion naturale di quel fenomeno.
Il globo, dice il dottor Musulmano, è sostenuto da un gran toro sulla punta di un corno.
Allorché il toro è stanco, da un corno fa saltar il globo sulla punta dell'altro; ed ecco il terremoto chiaro chiaro come la sperella del sole.
Si sa che la nostra terra deve stare appoggiata a qualche cosa.
Il toro poi si appoggia dove può, e tutto va in regola.
Ah! quel costume di dare al tuo Gigio il sobriquet di Cuppetana mi fece saltar via dal capo il suo vero nome e la sua festa di ieri.
Ne avrei fatta onorevol menzione nella mia N° 9.
Ad ogni modo mille anni ed accetti il voto infra octavam.
Bada dunque di non calcare il capo al serpente.
Guardati attorno ne' tuoi passeggi.
L'ipsa conteret caput tuum non fu detto per la suola delle nostre ciabatte.
Qui non piove acqua ma raggi di fuoco.
È da tre giorni un caldo sufficiente alla graticola del diacono S.
Lorenzo.
Ammiro Bassanelli e compiango Cristina: l'uno per togliere, l'altra per perdere il primo fregio di una testa femminile.
Ma capelli e guai non mancano mai.
Lo sanno pure la Signora Malta e la Signora Dorotea.
I due plichi pel Vera mi giunsero; e se a te giunsero tutte le mie dal N° 4 al N° 9, ne avrai in alcuna d'esse avuto contezza.
Orsola sta così così.
La bambina dimani parte per Calvi colla balia.
Ti dò tutti i saluti di tutti per tutti, e fra tutti fa' che valgano quelli del tuo
Belli.
P.
S.
Prima di casa Gobbi rivedo casa Pazzaglia.
Saluti e saluti di maschi e femmine per femmine e maschi.
Prenda ciascun la sua parte e l'intaschi.
Vera non si vede.
Se avrà voglia verrà, come si è d'intelligenza.
LETTERA 313.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, sabato 23 giugno 1838
Ore 4 pomeridiane
Così, mio caro Ferretti, la lettera tua di ieri 22 come il pacco libri ch'eravi annesso, mi sono giunti questa mattina.
Il Triboulet, ossia Le Roi s'amuse di Victor Hugo mi è già altrettanto noto quanto io conoscevo prima d'ora la Lucrezia e la Maria.
Trovandomi in mano queste due ultime allorché tu me le spedisti da Albano onde riporle nella tua biblioteca mi nacque il desiderio di confrontarle, cosa da me non mai praticata per averle lette in separati tempi, e con diverse disposizioni d'animo.
Oggi però rileggerò ancora il Triboulet, onde vedere quale impressione mi lasci nell'animo alla seconda lettura, in un'epoca assai amara della mia vita, lo spettacolo di un misero padre subissato sotto i minuti piaceri del trono.
Le tue segrete resteranno impenetrabili sino all'aria ed al sole.
Io ti compatisco quanto può cuore umano compatire le sventure non meritate.
Ti chiamo io sempre povero martire, che tal sei per motivi estrinseci ed intrinseci a te: fortuna nemica troppo, ed animo troppo sensitivo.
Ottimo uomo e padre ottimo di famiglia meriteresti assai più benigni riguardi dalla provvidenza.
Anche a Roma, e forse più qui che costì, il caldo crescit eundo come la Fama.
Guai a chi abbia affari nella mattina! e gli affari si trattano quasi tutti in quelle ore.
E Vera non si mostra.
Michele col quale ho parlato in casa sua tra mezzogiorno ed un'ora, si propone di andarne a far ricerca domani.
Io glie ne ho ben insegnata la casa, benchè attualmente stante l'assenza delle donne, credo non ci si trovi mai alcuno.
Maggiorani sta benino: la moglie non troppo.
Pochi giorni indietro alla di lei vignuola a porta Cavalleggieri ebbe una colica e fu riportata a casa.
Pensano entrambi di assaggiare l'aria di Campagnano, per unire lo scopo della villeggiatura a quello di provvedere a certi affari di famiglia.
Pel primo punto io dissentirei altamente, non potendo comprendere come (a quanto essi dicono) il clima di Campagnano possieda migliori qualità di quello di Roma, quando a sole due miglia di distanza Baccano avvelena sino le rane ed i passeri.
È stato male il nostro buon Rossi con una gastrichetta.
Oggi è uscito.
Egli e la moglie, ingenua donnina, salutano caramente te e la tua famiglia.
Il Marchese D.
Luigi Del Gallo Roccagiovine mi ha mandato in dono (credo lo manderà anche a te) il suo stampato progetto per migliorare la navigazione del Tevere, col motto di Brindley: Iddio non ha fatto i fiumi che per alimentare i canali.
Così i fiumi senza derivazioni di canali non servono, non servirono, e non serviranno mai a niente.
- E un Del Gallo fa un dono a un Belli!
Lunedì 25 giugno 1838, prova del Sig.
Cav.re Gaspare Servi all'Accademia tiberina, annunziata con nuovo esempio sui pubblici fogli: ci sarà dunque tutta Roma, anzi tutta la Comarca anzi tutto lo stato e qualche fetterella di estero sin dove giunge il Diario.
Vedi quale apprensione per noi poveri legittimi suppedanei! - Non vi vuol niente a trovarsi faccia a faccia coi 40 di Parisi e di Orciano, sotto la presidenza d'Arago e di Betti.
Altro avvenimento.
Giovedì 21 alla sera, nel Caffè Atenaico di Valle, fu aspra sanguinosa e tragica lacerazione di denti canini ed unghie gattesche contro la fama del povero Costantino Mazio per certo articolo sulla musica di Lillo, anzi sulle musiche in genere, anzi (meglio) sui libretti in massa.
Otto o dieci lingue di vipere fecero il loro dovere dalla ora 1 1/2 alle 3 1/2 di notte.
Finirono la fiera carneficina col trasformare a penna il nome di Mazio in quello di Matto; e così restò il foglio sui tavolini del Caffè, e vi rimarrà fino al futuro giovedì, ad publicam comoditatem.
Avverti però che i giudici, o i manigoldi, ne sapevano meno del reo.
Chi dice: Bosco passerà ad Argentina; chi dice: Bosco passerà a Sinigaglia.
Sono fra i secondi coloro che dubitano della licenza vicariale per la novena di S.
Pietro, mentre si crede che dopo S.
Pietro l'incantatore vada a Sinigaglia onde operarvi di concerto con Lanari.
Intanto però il demonio di Bosco si riposa, e giuoca alla Mora con quello di Socrate fra un cancello e l'altro del Castello di Plutone.
Ti debbo i ringraziamenti di Spada pel prestito del Tibullo di Biondi.
La presente ti giungerà pel mezzo di Monsieur Felichet qui va partir demain pour Albano.
Nous sommes dejà d'accord que je lui laisserais ma lettre au café de Saint Louis a Ripetta e mò pozzo chiamamme romano peggio de lor'antri.
Casa Pazzaglia, non parente degli Zelli, riverisce e saluta.
Gli amici riveriscono e salutano.
Io saluto e riverisco Padre, madre, figliuole e figliuolo.
Il tuo G.
G.
Belli.
LETTERA 311.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 27 giugno 1838
mercoledì ore 8 pomeridiane
Dal solito Triboulet di Mandrella mi si è ricapitata la tua di ieri con entro due letterine per tuo fratello, che io stesso ho lasciato in mano di Lopez.
Costui teneva presso di sé una lettera (non so di chi) al tuo indirizzo: e così un giornale da inviarti.
Ho io ritirato entrambe le cose e te le spedisco qui unite.
È comperata la pezza di fettuccia bianca inamidata e tesa dalle sorelle Piccirilli che salutano il Sig.
Giacomo Ferretti.
I dettagli tuoi su Cristina e sulle tue angustie per lei mi stringono l'anima.
Son padre anch'io e d'un cuor paterno non d'ultima qualità: quindi comprendo il tuo dolore e ne partecipo.
Povero Ferretti! Quando avrai pace? Quando l'avremo?
Vidi Zampi ieri sera al caffè e lo avvisai della consegna da me fatta alla moglie della lettera che tu mi avevi compiegata per lui.
Mi dimandò dello stato sanitario di tua famiglia; ma io, benché quasi persuaso che tu stesso gliene avrai scritto qualche cosa, purtuttavia legato dal segreto da te impostomene risposi irre orre come rispondo a tutti onde non mentire nec citra nec ultra dal vero.
E bisogna davvero badarci a quel lutin de ton fils.
Di giorno in giorno i fanciulletti vengono imitando più e più i capriuoli inerpicandosi dove meglio ne viene il destro o la voglia: pericolosi in ciò più i maschi delle femmine, parendo quasi che la natura abbia destinato il nostro sesso alle temerarie imprese ed ai gesti d'ardire.
Dunque, sì, badaci e facci badare; ma già questi consigli miei vengono superflui alle sollecitudini della paterna e amorosa tua vigilanza.
Stampagli un ben sonoro bacio per me su cadauna di quelle belle guanciotte buone da servire per due cuscinetti da macchina elettrica.
Biagini dev'essere in viaggio tornando da Frascati per dove partì ieri una cum variis pistoribus vel panicocolis aut frumentariis sive etc.
e non altrimenti etc.
Laonde i tuoi saluti li farò quando etc.
Orsolina omiopatizzata sta...
come sta? Chi lo capisce? Io no pel dio Ercole sul cui altare si giura la verità.
Il medico si porta appresso in una scattolina da anelletti
La spezieria con tutto il necessario
Per medicar l'esercito di Dario.
Che ne caverà? Indovinala grillo.
Intanto per non farla morir di fiamma l'ammazza di fame.
Il Signore benedica questo discepolo del sublime Hanchemann (che non so se si scriva così, non ricordandomi delle lettere componenti il suo nome da me letto sulle sue opere), e dia tempo al moscerino di portarsi in aria la colonna traiana attaccata a un'aletta.
Io ignoro come a questo proposito la pensino i Ch.
Dottori Carbonarsi e Bassanelli; ma il sangue bollente non mi par brodo da raffreddarsi con una gocciola d'acqua tolta da un secchio in cui ne fu infusa altra gocciola d'altro vecchio, e così di gocciola in gocciola e di secchio in secchio da trovarne la quantità e le proporzioni nelle tavole logaritme.
Essa, la povera paziente, ti saluta senza fiato.
Qui troverai nel pacco:
1° Lettera responsiva di Vera
2° Lettera datami da Lopez
3° Giornale come sopra
4° Lettera di Quadrari (che non ho veduto)
5° Pacchetto di cerotto
6° Fettuccia bianca
7° Calze nere, paio uno
8° Un fagottello di pezze bianche
N.
B.
I ventagli non si mandano perché Quadrati non gli ha portati.
Al momento di chiudere la presente e impacchettarla ricevo le altre tue del 26 e 27 coll'involto de' libri.
Annamaria e Carolina e Peppe sono qui meco e gioiscono al pari di me delle buone disposizioni postergali della tua cara Cristina.
Dieu en soit loué et vous tienne en joie.
Non conosco l'opera di Gioia di cui mi parli.
Ne farò ricerche e se la troverò l'avrai: altrimenti perde la Chiesa.
Saluti inchini baciamani etc.
etc.
Il tuo Belli.
P.
S.
Vincenzone aspetta il sonetto per S.
Pietro.
LETTERA 315.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma 28 giugno 1838
Mio carissimo amico
Ho ricevuto una lettera senza firma e senza data; ma quando anche non me ne manifestasse l'autore un ordine di Sc.
14:50 che vi ho rinvenuto in seno, bastava il carattere della scrittura, e la cordialità delle espressioni per annunziarmela vostra.
Ma vi prego, mio caro Neroni, di non parlarmi più di esattezza.
Dopo i disturbi che vi prendete per me sarebbe pur bella che io ci andassi facendo il sofistico! Purché la cassa abbia pagato e paghi dietro la vostra richiesta, sul resto che passa fra voi e me nulla è da dire.
Voi non dovete pensare più a me che alla vostra salute, non solo preziosa all'amicizia, ma alla famiglia di cui siete il capo e l'onore.
Vi accludo dunque la esazione da me già fatta degli Sc.
14:50 sulla Cassa di questo D.
Paolino Alibrandi foriere delle guardie nobili, e con ciò io sono soddisfatto del trimestre di gennaio febbraio e marzo pagati per la ritenzione sull'onorario Trevisani.
Le mie 21 ottave sul goticismo sono già stampate e usciranno in luce sabato 30.
Appena quindi avrò avuti gli estratti promessimi ve ne spedirò per la posta due esemplari, poiché vi siete compiaciuto non isgradire la mia povera offerta.
Ricordatevi, Neroni mio, che io dovetti donare al Cav.
Fabi Montani la vostra dissertazione archeologica.
Ne vorrei una copia per me arricchita del vostro nome a penna a memoria del dono.
Abbiatevi cura.
Voi lo potete più di me.
E fraternamente vi abbraccio
Il V°.
Belli.
LETTERA 316.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, il giorno di S.
Pietro 1838
Ore 5 pomeridiane
Mio caro Ferretti
La tua del 28, cioè della vigilia d'oggi, fu da te spedita al mezzodì, ma il Sig.
Gobbo riverito non me l'ha portata che questa mattina due ore prima del mezzodì.
Dunque quasi da un mezzodì all'altro.
Quindi l'inserta per Vincenzone non è arrivata a tempo, come a tempo sarebbe al contrario arrivata se la Compagnia Gobbo e cointeressati me l'avesse fatta avere jeri sera.
In mancanza di Michele è corsa Carolina, ma il chichìbio di M.r Silvestri, stato in isperanza sino a jersera aveva dimesso ogni idea di complimento poetico e gastronomico.
Servirà pel 1839, se saranno tutti vivi in cucina e in cenacolo.
E Quadrari? Uhm! Periit memoria eius cum sonitu.
Mi spiace pe' tuoi ventagli; ma io non ne ho colpa, perché non è stato affare affidato a me.
Tutto dunque sulla coscienza del Sig.
Felice Campacent'anni.
Non so se congratularmi o dolermi della repentina chiusura nella ferita di Cristina.
Sembra anche a me che qualche giornetto di spurgo non ci stesse male e la natura non l'avrebbe aborrito.
Insomma quel dubbio di un nuovo taglio mi disturba, non parendomi troppo comode queste benedette operazioni in duplicata a guisa di lettere di cambio.
La povera ragazza pagò a sufficienza sulla prima senza che vi fosse bisogno di fare onore anche alla seconda, con più il conto di ritorno del complimentario Sig.
Pietralata autore di molestissimi complimenti.
Mi fo carico del malumore della poverina: mi penetro dello stato d'orgasmo in cui devi tu vivere: valuto al giusto segno il rammarico della madre e delle sorelle della tua interessante figliuola.
E se io aggiungendo una angoscia di più alle non poche delle quali mi sento oppresso e vinto lo spirito, potessi divenir atto a sollevar voi tutti dai vostri patimenti, credi, Ferretti mio, che non esiterei un momento a caricarmi di questa giunta onde asciugarvi sul ciglio una lagrima.
Ma abbiamo bel dire e bel fare: colle ciarle non si paga l'oste; e per solito chi più compatisce meno può consolare, siccome i più consolati son quelli che più si commuovono alle altrui sofferenze.
Altronde poi, mancando di mezzi di consolazione, si dovrebbe quasi tacere per non parere spacciatori di parole che poco costano a dirsi, e meno ancora a scriversi non essendo neppur necessario in questo ultimo caso il corredo mimico e tonico di boccacce e occhiacci a sghembo e di tuoni elegiaci da picchiapetto.
Tu però che da molti anni hai conoscenza del mio animo, mi presterai, spero, quella fede che pure le nude parole hanno talora merito di conseguire quando le suggerisca il cuore piuttosto che l'universale vocabolario dove è libero di pescare tanto ai sinceri quanto ai bugiardi e a' traditori.
L'esperienza è sola maestra di verità, né basta la mensa e il rosario e il digiuno per conchiuderne: - costui tien religione nell'anima.
Altrettanto deve dirsi degli ufici scambievoli fra l'uomo e l'uomo.
Vuoi conoscere la lealtà? Chiedila al tempo.
Non volendo ho cambiato indole alla mia lettera trapassando a comunissimi luoghi di morale.
I miei discorsi si risentono dell'amarezza del mio spirito.
Io, sempre malinconico, in questi giorni mi trovo anche più afflitto perché in questi medesimi giorni accadde or fa un anno l'avvenimento distruttore del mio riposo.
Né lunedì 2 luglio io so vedere dove mi caccerò a sospirare.
Qui nessuno m'intenderebbe.
Lasciamo fare alla provvidenza che manda le brine in proporzione col fuoco da dissiparle.
- Ora per dire il vero, m'accorgo d'aver proceduto ben poco delicatamente in questa sfilata di piagnistei.
Invece di procurarti qualche sorriso fra le tue pene son venuto a funestarti colle mie inopportune lamentazioni da geremia.
E davvero mi par d'essere un geremia.
Quomodo sedet sola civitas plena populo, ripeto io talora fra me quando mi trovo tra la folla di tante liete o apparentemente liete persone.
Per me è deserto quel luogo dove nessuno m'appartiene ed io non appartengo ad alcuno.
Non è vero legame dove manca vera contemperanza di sensazioni.
I pochi miei buoni amici mi amano, ma cosa possono fare per me? Darmi teorie che io già conosco senza saper condurle a pratica malgrado de' miei continui sforzi.
Eppoi i miei pochi amici non possono vivermi sempre vicini; e allorché essi mi lasciano io tosto rientro nella mia desolazione fossi anche immezzo a un festino.
Ma basti di ciò.
Perdonami tante inutili querimonie.
Sei però degno di ascoltarle perché la natura ti privilegiò di un cuor tenero, che la sventura ha poi migliorato.
Ho parlato a diversi del Gioia sulla influenza de' climi etc.
A farlo apposta nessuno conosce quest'opera.
Va' mo intorno salutandomi tutti.
Orsolina così così.
Gli amici e i Pazzi m'incaricano delle lor solite litanie.
Sono il tuo Belli.
LETTERA 317.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, l'ultimo giorno di giugno 1838 (sabato)
Ore 5 pomeridiane
C.
A.
Dal Professor Silvagni ebbi il plico col tuo Foglio e Compagni.
(Il foglio principale restò meco e i compagni vennero diramati unusquisque in provincia sua.
I due allo Zampi e al De Belardini gli ho portati subito io: l'altro al Terziani l'ho inviato a spese delle gambe pazzesche.)
Te Deum! Laus Deo! Agimus tibi gratias! Sit nomen Domini benedictum! Quando dal divieto di discendere quattro gradini e calare di un piano si trapassa al permesso di transferirsi a un Duomo e ad una villa Doria, convien pur dire che le faccende dalla parte de' cortili sien così quiete e rassicuranti che un professore igiaco possa smargiassarla da Giulio Cesare, esclamando: Veni, vidi, vici.
E colga il malanno chi teco non se ne rallegra.
Per questo motivo non cresceranno le mie sventure.
Anzi non saprei su chi potrebbe cader l'imprecazione, andando io persuaso che quanti ti conoscono ne proveranno molta gioia e sincera.
E se noto a Cristina è che i sodali
Di casa tua (brava e discreta gente)
San che fra i quattro punti cardinali
Le apparve una meteora all'occidente,
Ah dille ancor che in cento carnovali
Non istarebber mai sì allegramente
Com'oggi che il fenomeno scortese
Ratto disparve e serenò il paese.
Viva mo' il tuo Messer Ciancarella! Oh cecitate delle menti umane! Tu lo prendevi per testuggine e quello era un cerbiatto.
Vedi come te la lavora? Per carità, Ferretti: dàllo in mano a chi nell'uomo tiene il cervello da più che le gambe; che un popo' l'amichetto trovi d'ansa, di gammone o di levatura, ti scappa da casa e te lo vedi con una torcia inalberata precedere la diplomazia europea.
Come un giorno le furie anguicrinite
Correan squassando le sulfuree tede
Innanzi alla quadriga di Plutone.
Trecentottantasei mortaletti! altro che la romana girandola! Con ventun botto di meno e sparandone de' restanti, uno per giorno, avrebbero contentato S.
Pietro un anno intiero senza scucir le tavernelle a tanti bravi galantuomini che amassero meglio le botti che i botti.
Io non posso vedere i quattrini consumati in faville.
Eppure non par gioia se non viene in compagnia di quella cara polvere che il diavolo si porti chi l'ha inventata.
Né so perché Ariosto non mandasse un Colaimme al Rev.
Schwartz, il frate nero, come ne scagliò sugli archibusieri che pure senza la invenzione della polvere avrebbero fabbricato innocenti ferri da calzette e da ricci.
E Biagini con tutto il pagliaro; e Spada con tutto il fodero, e Lopez con tutti i cappelli; e Zampi colla mojje e col fijjo, e col fijjo del fijjo; e la pazza co' pazzerelli suoi, ed Orsolina colla sua febbriciattola etc.
etc., hanno aggradito le tue salutazioni e te ne rendon pariglia.
Cercherò Maggiorani quanto prima e gli leggerò il tuo paragrafo.
Per dirti un'altra parola di Orsolina, la spacciano per isfebbrata del tutto.
A me non sembra così.
Aspetto però di tastarle il polso a guarigione perfetta, per iscoprire se in istato di salute normale il polso di lei mantenga normalmente una certa frequenza di pulsazioni, come qualcuno sospetta.
Tutto è possibile.
Sinora penso il contrario.
Videbimus infra.
1° alla Sig.ra Teresa
2° alla Sig.ra Cristina
3° alla Sig.ra Chiara
4° alla Sig.ra Barbara
5° al Sig.
Luigi
Saluti e riverenze per ordine di anzianità.
Il signor Bassanelli venga extra ordinem e n'abbia anch'egli la suo porziuncula.
Rido per ubbriacarmi.
Ti abbraccio di cuore
Il tuo Belli
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