LE LETTERE 1, di Giuseppe Gioachino Belli - pagina 71
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A fiume non ci sarei forse andato, malgrado della mia propensione alla santa ubbidienza, ma in modo avrei disposto le cose che fossimo tutti rimasti contenti come tre pasque, fra le quali entra anche quella della befana.
Ma al mio Signor dottore El Bassanelli
E' non cale del Belli una bucciata,
Bench'egli si trarrìa sino i budelli
Per fargli onore e il chiamerebbe Tata.
Ed io sotto quell'Egli intendo il Belli,
Come sotto quell'El ho sconsagrata
La gran parola che l'arabe arene
Salva udirono un giorno al sommo bene.
E sconsagrata l'ho perch'io discreto
Dar non potendo il gran valore antico
Al decimo segnal dell'alfabeto
Nella inizial del nome d'un amico,
L'ho ridotta a indicar Luca o Loreto
O Lazzaro, o Luigi, o Ludovico
O Liborio o Lorenzo o Liberato
O altro nome del libro del curato.
Che se poi la targa del suggello, laureata, roverata e serpeggiata, non appartiene al Bassanelli, tutti i miei castelli in aria essendosi dileguati come le uova fra le mani di Bosco,
confesso e riconosco
che la bestialità di mia scienza
merita pentimento e penitenza;
e quando tornerò ad Albano, se più tornerò ad Albano, il nostro Dottore guardimi pure in cagnesco, che gliene dò amplissima licenza.
Perch'io merto dolore e penitenza.
Oh abbiateci pazienza
Signor Ferretti mio, s'io scrivo male:
Non è colpa del nostro naturale.
Ho una penna animale
Ed una certa carta e un certo inchiostro
Che ne bestemmieria sino il Cagliostro,
Il quale a tempo nostro
È stato come dire un santarello
Da pigliarne a biografo il Burchiello.
Voi avete cervello,
E conoscete pur che quando io scrivo
Sembro un Mastro Bodoni redivivo.
Non mi fate il cattivo
Dunque in veder le zampe di civetta
Di questo foglio scribacchiato in fretta.
Poi, chi la fa l'aspetta,
E voi mi spedirete letterine
Come san farne i galli e le galline.
Ma è tempo di por fine
A tutto questo anfanamento a secco,
Perché ho vuota la vena e asciutto il becco.
Vi saluta Ser Cecco
E il Deramone e il Balestriero e il Cianca
In quest'ultimo fil di carta bianca.
Voi passate la banca
Dei saluti alle vostre quattro donne
Per le quali io vi mando un eleisonne.
E qui col come e ronne
E busse ed altro sustanziale addobbo
Io mi vi inchino e vò a trovare il gobbo.
G.
G.
Belli
Bene le Anne Marie, le Caroline, i Peppi, e le due scale-a-lumaca dei Vincenzi e Pietrucci.
Dei Checchi non me ne occupo un [...].
LETTERA 306.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, domenica 17 giugno 1838
Ben ch'abbia afflitti di dolor la gola
E gli articoli tutti e i segnacasi
Pur mi ti faccio a dir qualche parola.
Erano ott'ore, od otto e un quarto quasi,
Quando stamane il vice-gobbo amico
Venne, ed io lieto al suo venir rimasi,
Poiché seco recava un tuo gran plico
Gravido d'altro plico per colei
Che s'ha de' Pazzi il bel cognome antico.
Ed oltre al plico destinato a lei
V'era pure un listel pel copri-testa
Di me e gran parte de' consorti miei.
Tosto io con gamba studiosa e lesta
Portai l'uno alla buona Annamaria
E l'altro al Lopez, benché fosse festa.
Trovai Madama Pazzi in compagnia
Della figlia e dei figli piccoletti:
Ito era il grande a qualche birberia.
La salutai e il tuo plico le detti,
Mentre Peppe, quel furbo farfarello,
Veniami intorno a dimandar confetti.
Pel Lopez, alla luce d'un portello
Lo sorpresi mentr'era sbacchettando
La cupola dell'ultimo cappello.
Mi lesse il tuo biglietto sghignazzando,
Aggradì i vale della tua famiglia,
E altrettanti suoi vale io ti rimando.
Or sono al mio scrittoio ed ho le ciglia
Fise in sul foglio tuo a me diretto,
Che ha di stabbio più odor che di vainiglia.
Tu dopo il pranzo e pria d'irtene a letto
Me lo scrivesti il sedici di giugno,
Cioè ier, se il lunario il ver m'ha detto.
Del tuo Gigi in talare codicugno
Odo i passi più franchi, e omai mi credo
Che n'avrem certa la vittoria in pugno.
Correr per casa e sgambettar lo vedo
Giù pe' laureti della villa Doria
E trascorrerli tutti in men d'un credo.
Canta, Ferretti mio, canta vittoria,
Né dell'aria vivifica d'Albano
Fia per noi questa la men bella gloria.
Quanto a Cristina tua cui va pian piano
Restando il capo ignudo di capelli,
Non si sgomenti, o si sgomenti invano.
A giovanetta mai non mancâr quelli,
E presto ella n'avrà morbidi e lunghi,
E belli come i primi e ancor più belli.
Ma è forza che da questo io mi dilunghi
Per dire un prosit alla tua mogliera
Per le ingollate fragole ed i funghi.
Làscialene mangiar tutta una fiera
Con cipolle e con agli e citrïuoli,
In casa e fuori, e di mattina a sera.
Lenti aggiungavi pur, ceci e fagiuoli,
E cicerchie e con simili civaje,
Buona lega de' funghi prataiuoli.
Quelli son cibi, e non ti dico baje,
Da impinzarne la pancia a crepa-pelle
E da cuocerne pentole e caldaie.
Qual prò ti fanno i manzi e le vitelle?
Qual prò l'acquaccia che diciam noi brodo,
Da maledirlo in tutte le favelle?
Porri mangi e radici, e ne la lodo,
E vi rimangi su radici e porri,
E rincacci così chiodo con chiodo.
E se mai credi ch'io faccia lo gnorri
Parlando come dire a badalucco,
Ben fuor del vero, o mio Giacomo corri.
Esser bestia vorrei come Nabucco
Pria di dir cose che smentisce il cuore,
Vorre' in bocca serrar lingua di stucco.
Dopo il foglio del gobbo, a dodici ore,
O, per parlar romano, a mezzogiorno
N'ebbi un altro da incognito latore.
Il qual, tuttoché giunto al mio soggiorno
Dopo quello del gobbo di Mandrella,
Pur m'apparisce più vecchio d'un giorno.
Sotto la luce della prima stella
Me lo scrivesti tu, Giacomo mio,
Disceso appena giù di carrettella,
Onde mandarmi affettuosi addio
Per quanti amici tu lasciasti a Roma,
Compreso il Maggiordomo che son io.
D'Orsola chiedi tu? Porta la soma
D'aspri dolor e molti al casto seno,
E, infelice, ne geme attrita e doma.
Se tu meco ne soffri anch'io ne peno,
E per lei vo' pregando a giunte mani
Il Signor Gesù Cristo Nazzareno.
Buone nuove ti do del Maggiorani,
Ma il polso della sua buona compagna
S'oggi è tranquillo nol sarà dimani.
Ieri calcai per te piazza di Spagna
Per sapere in tuo nome della vecchia
Che un giorno muore e un altro giorno magna.
La morte halla tirata per l'orecchia:
Venerdì le fu dato il sagramento,
E a novo banchettar già s'apparecchia.
Ed io povera coda di giumento
Forse avrò appena il cinquantesim'anno
Mentre alla ghiotta sarà dato il cento!
Cesare intanto n'ha tutto il malanno,
Pagar dovendo il medico e il chirurgo
C'ogni otto giorni a sentenziar la vanno.
Grazie all'alvino ubbidiente spurgo,
Pari la vecchia all'araba fenice
Può dir morendo: post fata resurgo.
Quella signora Emilia viaggiatrice
Che insieme al Carbonarsi hai tu veduta,
Di te gran bene e di tue donne dice.
Ella pel Corpus-domini è venuta
A Roma, e presto tornerà alla Fratta,
Ma pria pel mezzo mio la ti saluta.
A' tuoi due fogli la risposta è fatta:
Non manca ora che darla al dromedario
Perché ti giunga difilata e ratta.
Né credo, o mio Ferretti, necessario
Dir ch'io m'inchino alla fama corusca
Dell'inventor del gran vocabolario
Che farà un giorno disperar la crusca.
Il tuo G.
G.
Belli
LETTERA 307.
GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 18 giugno 1838
Ore 10 antimeridiane
Amice mi
Domi tuae scribo, ed ho davanti gli occhi, e fra momenti sotto le mani il volume Celsiano.
Te lo spedisco oggi pel solito famoso canale Mandrelliano.
Ho ricevuto, e già l'hai capito, la tua del 17 unita al pacco libri (Hugo e Byron) da riporsi nelle scancie.
Insieme col Celso avrai dai vetturini del Mandrella due altre spedizioni, cioè una mia epistola di ieri e un paio di scarpe di jeri sera.
Non è partita stamane alcuna vettura.
Dunque, io ho detto, chi porta 30 può portare 31.
Il vetturino (lo credo tale e tale disse di essere) che portò il tuo pacco di libri girò tutta la contrada, si scontrò in Annamaria, etc.
etc.
ma diligente come un cane da caccia volle fiutar proprio la quaglia, e sapeva egli il perché.
Aveva più fiducia nella borsa del Signor Belli che non in quella della Signora Pazzi pel grande argomento del porto, o buona-mano, o beveraggio che sia.
Però è stato puntuale.
La lettera al De Belardini va adesso.
O la porto io, o Carolina in mia vece.
Leggerò questo gran sonetto di quello strafalario del Fumasoni.
Ma i Luigi decimiquarti non vi son più.
Peccato! Il Fumasoni si comprerebbe un palazzo; ed oggi potrebbe appena acquistarsi una a palazzina.
Abbi cura del tuo ventre; metti in bagno il piscione Prof.
Cuppetana; saluta e le tue donne e il Bassanelli, e credimi il frettoloso tuo amico
Belli.
LETTERA 308.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, lunedì 18 giugno 1838
Ore 6 pomeridiane
Mio caro Ferretti
Al Sig.
Belli soprannominato G.
G.
è arrivata due ore dopo il mezzodì una tua lettera unita ad altra per Annamaria, contenente quest'ultima un pacco pel Sig.
Servi.
La moglie di Michele ha situato il pacco Serviano sulla sua toelettina, specie d'altare inviolabile donde nessun'altra mano ardirà rimuoverlo se non la destra del compagno di Baldassare e Melchiorre.
E Annamaria e Carolina in lingua semicristiana, e Peppe in lingua strona, dicono salute a te, alla tua fungofaga, alla tua dischiomata, alla tua pidiscellosa e st'antr'anno sposa, alla tua astratta e al tuo novello Pergamino
Perso - etrusco - caldaico - latino.
Tutte le quali impertinenze, uscite dalla boccaccia sprocedata di coloro, io intendo non approvare, e ci protesto sopra e sotto, e di qua e di là, e dentro e fuori,
Però ch'io non vuo' guai co' superiori.
Io venero, stimo e rispetto tutti i singoli miei padroni e le mie padrone, e prima di metterli in ridicolo
O mi fo sbudellare o infilo un vicolo.
Bada, Ferretti mio, al tuo colon, al retto, al cieco, al digiuno, etc.
E se credi che alcuni cibi ti faccian male
Non te li far venir su per le scale.
Orsolina ha acquistato un altro buco per una nuova suppurazione.
Savetti dice che la faccenda vuol esser lunga.
Ella soffre, il marito tarocca, la balia dà mezza zinna, e presto forse la darà intiera.
Progetti svaniti: guai a cavaceci.
Ho raccolto una sporta di saluti, rispetti, inchini, sorrisi, parolette, di qua, di là, da donne, da uomini, amici, parenti e benefattori.
Te li mando tutti in un fascio, come sarebbe un pot-pourri, un millefiori, un cappon di galera.
Danne uno spicchio a cadauno de' tuoi, serbando la tua porzione per te oltre le mollichelle del piatto.
Piatto fa rima a Gatto.
Ebbene il tuo gatto vive in tranquilla e anacoretica solitudine, fornito a dovizia di vettovaglie o vittuaglie, secondo le varie lezioni del Cesari, del Cecilia, e del Marola e dell'Azzocchi, quattro pinacoli di Monte-Glossario.
Né a' tuoi canarini vien penuria di canapuccia per consolarli del cantar tuttodì senza che orecchio gli ascolti, siccome ballava la ebrea di Balzac nell'eternità del deserto teatro.
Orribile condanna!, ma che io pure affibbierei a certi arcadi amici miei e tuoi.
Sonettare per omnia saecula saeculorum senza una bocca che dicati bravo, senza due mani che ti battan le nacchere! E chi sa che nel codice di casa non sia qualche articolo di tal fatta da vendicare il genere umano dai misfatti Fumasoniani, Barberiani, e via discorrendo? Ah! se il cielo m'avesse privilegiato della cistifellea dello Scannabue, vorrei scorticar loro quelle orecchiacce e far loro strillar caino peggio che non accadde ad Agarimante-Bricconio e ad Egerio-Porco-Nero.
Ama il tuo Belli.
Lo Spada nostro ti chiederebbe il Tibullo del Biondi per leggerlo, secondo che gli promettesti, e poi letto restituirtelo.
L'hai in Roma? Vuoi dargliene? Profitto di questo cantoncello ch'era destinato all'ostia pria che la materia crescesse sotto la penna.
LETTERA 309.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, martedì 19 giugno 1838
ore sei pomeridiane
E sai tu, Giacomo mio, cosa ho fatto? Trovandomi fra le mani i libri da te inviatimi per riporli a dormire sino al suono di novella tromba, ed avendoli già installati a domicilio, un secondo pensiero più persuasivo del primo me li ha fatti ricavar fuori onde appagare il mio desiderio di paragonare la Tudor alla Borgia, e la Maria alla Lucrezia: non già per pescarci dentro le metafisiche simiglianze trovate dall'autore (o prima o poi che la penna sua gli avesse scritti) fra i drammi della Lucrezia e del Triboulet, ma sì coll'unico scopo di confrontarne i meriti letterarii fra i due lavori della Regina di Inghilterra e sulla Duchessa di Ferrara, sulla figlia di Enrico VIII e sulla bastarda d'Alessandro VI.
Io aveva fatto conoscenza con quelle due famose eroine d'Hugo in tempi distanti e senza intenzione di metterle una accanto all'altra per vedere qual fosse più alta di spalle.
Ebbene, oggi ti dico, e, se vuoi, dammi torto, che l'inglese cede d'assai alla inspirazione italiana; e giudico di tanto superiore il lavoro della Lucrezia a quello della Maria di quanto l'obelisco del Laterano sovrasta ai pinoli granitici piantati per paracarri lungo la nuova strada del Corso.
Io credo in quel volo veder Hugo perdersi fra le nuvole, e in questo dibattersi fra le cupole e i tetti, sempre a vista di chi non s'alza da terra che per la virtù muscolare di un salto.
Pochi certo sapranno anche sollevarsi all'altezza che il fantastico francese seppe segnare nella sua Tudor, ma fra que' pochi alcuno può lasciarselo sotto e fargli cader pietre sul capo; laddove sembra a me che, fatta estrazione dalle morali mostruosità e dalle sregolatezze della fantasia, il concetto della Lucrezia e la macchina di quella scenica azione stancherà sempre ed ali ed areostati di chi tentasse seguirlo pel cielo immenso in cui si lanciò lo scrittor temerario.
Riderai, buon Ferretti, dell'ardire di un povero rettile par mio nel misurare i voli, e stabilir quasi una metrologia delle letterarie ascensioni.
Eppure io ho una macchinetta ad hoc, uno strumentuccio assai attivo che in simiglianti speculazioni rade volte mi inganna: il cuore.
Quando esso ha fortemente battuto, provo spesso la soddisfazione di trovare i suoi moti meccanici e naturali in armonia coi giudizi de' più riveriti cervelli della letteraria comunità.
Nella Tudor io volevo commovermi: la Borgia mi commosse: là il mio cuore si agitava, qua mi balzava dal petto.
Grazie intanto alla tua spedizione di libri: vi ho sopra instituito un esperimento in qualità d'uomo-spirito.
Ciò mi darà un po' d'energia per sopportare il peso de' travagli come uomo-materia.
E sissignore, la tua lettera di jeri 18, fa or parte del fascicolo della tua cara corrispondenza, mentre il plico pel Vera aspetta il padrone in casa de' Pazzi senza congiura.
Annamaria la vedo in buonina salute: Carolina in buonona.
Il Checcaccio tiene la testa fasciata, perché un solito umoraccio annuale gliel'ha fessa come un granato.
Quattro capelli tagliatigli per forza, quattro unzioncelle d'unguento, ed eccotelo già fra poco in istato di correre per Roma a salta-la-quaglia, e di cozzare sin colle corna del diavolo suo aio e maestro.
Gli Stortini tirano via come possono.
Ogni pelo un bozzo: ogni passo una cantonata.
Peppe poi, oh in quanto a Peppe l'è un altro paio di maniche.
Dà più di quel che promette, e con un martello alla mano va picchiando alla spietata
Mollia cum duris et sine pondere habentia pondus.
Costì moderato, dici tu: costà smanioso, rispondo io.
E lo scoliaste nostro aggiungevi caldo, benchè il reverendo Prof.
Cuppetana legga callo, cioè sostanza cornea del derma.
Ebbene? Come e quanti si raccolgono nuovi vocaboli dai fornelli di quell'al-glotto-chimista? Tesaurizzi tu Padre? Oh te beato! Sì presso alla fonte! Io poverello in questo avido fondaccio non m'ho soccorso che ne' putenti arcaismi d'una favella fradicia per quasi sette secoli di vita.
Il tuo Cuppetana te ne dà di sì rigogliosa e fresca da starne fresco come la paretaria.
Capo-basso avanti le sei Signorie vostre e schiavottiello.
Il tuo G.
G.
B.
LETTERA 310.
A CIRO BELLI - PERUGIA
Di Roma, 20 giugno 1838
Mio caro Ciro
Dimani parte di qui la gentilissima Signora Maddalena Caramelli, madre del giovanetto Augusto che va a visitare nel Collegio ov'è insieme con te convittore.
Ebbe ella la bontà di parteciparmi questo suo viaggio perché io potessi approfittarmene se mai ti dovessi scrivere.
Eccomi infatti a valermene onde riscontrare la tua del 12, che ritardata al solito di un ordinario non mi giunse prima del giorno 16.
Così mentre questa tua lettera veniva verso di me andava camminando verso di te l'altra mia del 14 che avrai avuta dal degnissimo Sig.
Rettore.
Riverisci lo stesso tuo buon Superiore, e ringrazialo in mio nome della cura ch'egli si prende di non lasciar passare occasione senza darmi buone notizie di te.
Credo che a Perugia, siccome qui, benché colle debite proporzioni, sarà tornato il caldo.
Ho aggradito i saluti della obbligatissima Signora Cangenna, alla quale ti prego far giungere la qui unita, o dandola a Lei stessa se la vedi, o facendola passare nelle mani del Sig.
Luigi Micheletti allorché si rechi alla Computisteria del Collegio, ovvero usando un altro mezzo che ti venga possibile.
Non so se tu ricordi aver qualche volta udito che io nella prima mia gioventù fondai a Roma un'Accademia letteraria col nome di Tiberina.
Nel 1828 me ne ritirai per savii motivi che un giorno ti spiegherò.
Intanto sappi che dopo dieci anni alcuni miei ottimi amici e sapientissimi han voluto che io tornassi a quell'instituto da me abbandonato, sperando essi che ne trarrei sollievo al mio spirito malinconico.
Io gli ho soddisfatti, ma con tutt'altro scopo, che è il seguente.
Siccome la mia vita sempre solitaria mi ha fin qui reso a tutti ignoto, ho in oggi conosciuto che ciò non potrebbe essermi più conveniente nel nuovo stato della nostra casa.
Quindi l'idea di acquistare buoni ed utili rapporti pel tempo in cui dovrò presentare te al Mondo e aprirti una strada di stabilimento, mi persuase al riprender parte nelle cose che accadono in detta ragunanza di uomini dotti e influenti.
Fra gli scritti da me finora letti colà, i miei amici han voluto stamparne uno entro un certo giornale romano, e me ne faranno estrarre alcuni esemplari.
Ciò accadrà fra due settimane.
e allora io te ne spedirò un paio di copie, una per te e l'altra pel Sig.
Rettore dal quale ti farai spiegare ciò che vi si contiene.
Il componimento è in versi, ed ha per titolo Il Goticismo.
Vi si sferzano le nuove mode nelle arti e nelle lettere, con cui si fanno oggi ridicoli gli uomini.
E poiché tu sei vicino ad entrare nel Mondo mi pare bene che principii a conoscere qual sia il lato dal quale si debba esso schivare o almeno non imitare.
I miei soliti rispetti a' tuoi Sig.ri Superiori e agli amici.
Ricevi tu poi i consueti saluti da tutti.
Ti abbraccio e benedico
Il tuo aff.mo padre.
LETTERA 311.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, mercoledì 20 giugno 1838
Ore 6 pomeridiane
Eccomi qua, Sig.
Giacomo, o Giacopo, o Jacopo, come Le pare.
Sono a darle conto del mio servizio dopo l'arrivo della sua di ieri 19.
- Il pacco Vera sta a far compagnia al gemello, finché il Vera non tolga e questo e quello.
- Il Tibullo-Biondi è passato dalla biblioteca Ferretti a quella Spada.
E costui ringrazia colui.
- Il Manzoni completato passò dalle mani del Raggi a quelle del Belli.
- Il Visaj nihil habet per ora.
- Il Servi, da me fatto ieri avvisare per mezzo del Padre Ascenso, ritirò iersera il caricamento giacente per lui in casa Pazzi.
- Il Quadrari, avvisato da me-me, ha levato la sua lettera dal Caffè di S.
Luigi.
- Anna Maria de-universis fa la madre di famiglia.
Carolina fa il bucato in via della Farina N° 36 secondo piano.
- Peppe grida, corre, martella.
Degli altri uno a sedione uno a stampella.
Checcaccio ritorna alle sue onorate occupazioni.
- Michele va a caccia forestieri, ma...
fa caldo e i forestieri vengono col passaggio dei tordi.
Questo episodio non l'avrà il gobbetto
Ma il Signor Sigismondo l'architetto.
Ei si parte diman da' sette monti
Per veder certe cose a Tor-tre-ponti.
Dàgli le figlie tu perché pian piano
Le meni all'infiorata di Genzano.
Son ben fidate e torneran la sera
Sotto la scorta della tua mogliera.
E se tu non ci vai pon tutte sotto
Alla giurisdizion del Poliglotto.
Chi lor vorrà dar guai, Muccio mio bello,
In compagnia d'un uom come gli è quello?
Rispetteran la femminile gualdana
C'abbia a capo il Maestro Cuppetana.
Egli con due vocaboli de' suoi
Farà Celti fuggir, Senoni e Boi.
E se tornan, con quattro paroloni
Farà Boi rifuggir, Celti e Senoni,
Che cacciandosi dentro alla foresta
Diran: chi è mai quest'uom? Qual lingua è questa?
Tu studia, amico mio, giaci e t'impingua:
Le tue donne a scortar basta una lingua.
Mangia, o Iaco, piselli e lattarini
E insalata de' Padri Cappuccini;
E dai Conventuali abbiti pure
Per un soldo un canestro di verdure.
Niun qui a Roma ortolano manigoldo
Te ne darebbe tante per un soldo.
I nostri rivenduglioli son ladri
E non fan come i reverendi padri,
Che ti danno l'erbucce, e che so io,
Men per danar che per amor di Dio.
Questo è un paese, o mio caro Ferretti,
Che non ti puoi salvar manco sui tetti:
Cerca ognun di campare a spese tue,
E per uno che dan chiedono due.
Io mi son fatto un paio di stivali
Che rassembran due veste d'orinali.
La suola vi sta in lita col tomaio,
E quattro pezzi sono anzi che un paio.
E pure quel ladron del ciabattino
Tre scudi vuol da me d'argento fino,
Dicendo che un pochetto di sconquasso
Non è cosa da far tanto fracasso.
Dunque statti in Alban, Giacomo, e credi
Che qui nulla cammina co' suoi piedi.
Basta il detto; ma innanzi ch'io suggelli
Pregoti riverirmi il Bassanelli;
E per me bacia il lembo delle gonne
Di quelle quattro perle di tue donne,
Teresa, Chiara, Barbara e Cristina,
Degne d'andar in voce anche alla Cina.
E tu, o Terpandro dalle quattro corde
Da me t'abbi un amplesso ex toto corde.
Il tuo G.
G.
B.
LETTERA 312.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, venerdì 22 giugno 1838
Ore 5 pomeridiane
Caro sor Padrone
Passando io questa mattina dal negozio di Lopez vi ho trovato la vostra lettera di mercoldì 20, lasciatami secondo l'indirizzo dall'amico Zampi.
Per vedere il gran pesce non era più tempo.
Già vendevasi a fettine e fettone per baiocchi 18 la libbra ed anche per 20 o 25 secondo il genio de' compratori.
Dicono che fosse uno sterminato storione, ma che insieme vi si trovassero due smisurati tondi.
Così mi ha detto una certa Signora Dorotea della quale ecco le precise parole: ci suono un storione molto grandissimo e un tondo o due salvo il vero, e lo so dalla Signora Malta delli gipponari ch'è persona che lo puole sapere, e tutto assieme pesa settecento e passa libbre tra tondo e storione che nissuno ha possuto mai vedere una cosa accossì tale come questa di pescaria d'oggi, che s'assicuri certo che non si va più in là nemmeno per le mille.
A tanto bel tratto e fiorito non mancava alla Signora Dorotea che inzepparci dentro (per fàs e Caifàs) il Maggiorasco dell'Achillini Marinese che ad ogni modo vi avrebbe fatto sempre miglior figura che non in quel beato sonetto dedicato a S.
Barnaba profligatore de' contagii e del roco terremoto.
Bisogna dire che il roco terremoto si fosse infreddato e accatarrato per qualche colpo d'aria sofferto fra quelle pericolose colline Marinesi o Frascatane.
Ma se il Sig.
Fumasoni-Biondi, anziché porre in ridicolo il povero terremoto per un po' di cimurro di testa e per un tantin di catarro, gli avesse fatto amministrare una o due once di siroppo di viole, avrebbe operato più da cristiano; e il mordace sonetto camminerebbe altrimenti.
E, a proposito di terremoto, a Costantina in Africa si sono sentite alcune scosse.
Un dotto Ulema ha spiegato al comandante francese la cagion naturale di quel fenomeno.
Il globo, dice il dottor Musulmano, è sostenuto da un gran toro sulla punta di un corno.
Allorché il toro è stanco, da un corno fa saltar il globo sulla punta dell'altro; ed ecco il terremoto chiaro chiaro come la sperella del sole.
Si sa che la nostra terra deve stare appoggiata a qualche cosa.
Il toro poi si appoggia dove può, e tutto va in regola.
Ah! quel costume di dare al tuo Gigio il sobriquet di Cuppetana mi fece saltar via dal capo il suo vero nome e la sua festa di ieri.
Ne avrei fatta onorevol menzione nella mia N° 9.
Ad ogni modo mille anni ed accetti il voto infra octavam.
Bada dunque di non calcare il capo al serpente.
Guardati attorno ne' tuoi passeggi.
L'ipsa conteret caput tuum non fu detto per la suola delle nostre ciabatte.
Qui non piove acqua ma raggi di fuoco.
È da tre giorni un caldo sufficiente alla graticola del diacono S.
Lorenzo.
Ammiro Bassanelli e compiango Cristina: l'uno per togliere, l'altra per perdere il primo fregio di una testa femminile.
Ma capelli e guai non mancano mai.
Lo sanno pure la Signora Malta e la Signora Dorotea.
I due plichi pel Vera mi giunsero; e se a te giunsero tutte le mie dal N° 4 al N° 9, ne avrai in alcuna d'esse avuto contezza.
Orsola sta così così.
La bambina dimani parte per Calvi colla balia.
Ti dò tutti i saluti di tutti per tutti, e fra tutti fa' che valgano quelli del tuo
Belli.
P.
S.
Prima di casa Gobbi rivedo casa Pazzaglia.
Saluti e saluti di maschi e femmine per femmine e maschi.
Prenda ciascun la sua parte e l'intaschi.
Vera non si vede.
Se avrà voglia verrà, come si è d'intelligenza.
LETTERA 313.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, sabato 23 giugno 1838
Ore 4 pomeridiane
Così, mio caro Ferretti, la lettera tua di ieri 22 come il pacco libri ch'eravi annesso, mi sono giunti questa mattina.
Il Triboulet, ossia Le Roi s'amuse di Victor Hugo mi è già altrettanto noto quanto io conoscevo prima d'ora la Lucrezia e la Maria.
Trovandomi in mano queste due ultime allorché tu me le spedisti da Albano onde riporle nella tua biblioteca mi nacque il desiderio di confrontarle, cosa da me non mai praticata per averle lette in separati tempi, e con diverse disposizioni d'animo.
Oggi però rileggerò ancora il Triboulet, onde vedere quale impressione mi lasci nell'animo alla seconda lettura, in un'epoca assai amara della mia vita, lo spettacolo di un misero padre subissato sotto i minuti piaceri del trono.
Le tue segrete resteranno impenetrabili sino all'aria ed al sole.
Io ti compatisco quanto può cuore umano compatire le sventure non meritate.
Ti chiamo io sempre povero martire, che tal sei per motivi estrinseci ed intrinseci a te: fortuna nemica troppo, ed animo troppo sensitivo.
Ottimo uomo e padre ottimo di famiglia meriteresti assai più benigni riguardi dalla provvidenza.
Anche a Roma, e forse più qui che costì, il caldo crescit eundo come la Fama.
Guai a chi abbia affari nella mattina! e gli affari si trattano quasi tutti in quelle ore.
E Vera non si mostra.
Michele col quale ho parlato in casa sua tra mezzogiorno ed un'ora, si propone di andarne a far ricerca domani.
Io glie ne ho ben insegnata la casa, benchè attualmente stante l'assenza delle donne, credo non ci si trovi mai alcuno.
Maggiorani sta benino: la moglie non troppo.
Pochi giorni indietro alla di lei vignuola a porta Cavalleggieri ebbe una colica e fu riportata a casa.
Pensano entrambi di assaggiare l'aria di Campagnano, per unire lo scopo della villeggiatura a quello di provvedere a certi affari di famiglia.
Pel primo punto io dissentirei altamente, non potendo comprendere come (a quanto essi dicono) il clima di Campagnano possieda migliori qualità di quello di Roma, quando a sole due miglia di distanza Baccano avvelena sino le rane ed i passeri.
È stato male il nostro buon Rossi con una gastrichetta.
Oggi è uscito.
Egli e la moglie, ingenua donnina, salutano caramente te e la tua famiglia.
Il Marchese D.
Luigi Del Gallo Roccagiovine mi ha mandato in dono (credo lo manderà anche a te) il suo stampato progetto per migliorare la navigazione del Tevere, col motto di Brindley: Iddio non ha fatto i fiumi che per alimentare i canali.
Così i fiumi senza derivazioni di canali non servono, non servirono, e non serviranno mai a niente.
- E un Del Gallo fa un dono a un Belli!
Lunedì 25 giugno 1838, prova del Sig.
Cav.re Gaspare Servi all'Accademia tiberina, annunziata con nuovo esempio sui pubblici fogli: ci sarà dunque tutta Roma, anzi tutta la Comarca anzi tutto lo stato e qualche fetterella di estero sin dove giunge il Diario.
Vedi quale apprensione per noi poveri legittimi suppedanei! - Non vi vuol niente a trovarsi faccia a faccia coi 40 di Parisi e di Orciano, sotto la presidenza d'Arago e di Betti.
Altro avvenimento.
Giovedì 21 alla sera, nel Caffè Atenaico di Valle, fu aspra sanguinosa e tragica lacerazione di denti canini ed unghie gattesche contro la fama del povero Costantino Mazio per certo articolo sulla musica di Lillo, anzi sulle musiche in genere, anzi (meglio) sui libretti in massa.
Otto o dieci lingue di vipere fecero il loro dovere dalla ora 1 1/2 alle 3 1/2 di notte.
Finirono la fiera carneficina col trasformare a penna il nome di Mazio in quello di Matto; e così restò il foglio sui tavolini del Caffè, e vi rimarrà fino al futuro giovedì, ad publicam comoditatem.
Avverti però che i giudici, o i manigoldi, ne sapevano meno del reo.
Chi dice: Bosco passerà ad Argentina; chi dice: Bosco passerà a Sinigaglia.
Sono fra i secondi coloro che dubitano della licenza vicariale per la novena di S.
Pietro, mentre si crede che dopo S.
Pietro l'incantatore vada a Sinigaglia onde operarvi di concerto con Lanari.
Intanto però il demonio di Bosco si riposa, e giuoca alla Mora con quello di Socrate fra un cancello e l'altro del Castello di Plutone.
Ti debbo i ringraziamenti di Spada pel prestito del Tibullo di Biondi.
La presente ti giungerà pel mezzo di Monsieur Felichet qui va partir demain pour Albano.
Nous sommes dejà d'accord que je lui laisserais ma lettre au café de Saint Louis a Ripetta e mò pozzo chiamamme romano peggio de lor'antri.
Casa Pazzaglia, non parente degli Zelli, riverisce e saluta.
Gli amici riveriscono e salutano.
Io saluto e riverisco Padre, madre, figliuole e figliuolo.
Il tuo G.
G.
Belli.
LETTERA 311.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, 27 giugno 1838
mercoledì ore 8 pomeridiane
Dal solito Triboulet di Mandrella mi si è ricapitata la tua di ieri con entro due letterine per tuo fratello, che io stesso ho lasciato in mano di Lopez.
Costui teneva presso di sé una lettera (non so di chi) al tuo indirizzo: e così un giornale da inviarti.
Ho io ritirato entrambe le cose e te le spedisco qui unite.
È comperata la pezza di fettuccia bianca inamidata e tesa dalle sorelle Piccirilli che salutano il Sig.
Giacomo Ferretti.
I dettagli tuoi su Cristina e sulle tue angustie per lei mi stringono l'anima.
Son padre anch'io e d'un cuor paterno non d'ultima qualità: quindi comprendo il tuo dolore e ne partecipo.
Povero Ferretti! Quando avrai pace? Quando l'avremo?
Vidi Zampi ieri sera al caffè e lo avvisai della consegna da me fatta alla moglie della lettera che tu mi avevi compiegata per lui.
Mi dimandò dello stato sanitario di tua famiglia; ma io, benché quasi persuaso che tu stesso gliene avrai scritto qualche cosa, purtuttavia legato dal segreto da te impostomene risposi irre orre come rispondo a tutti onde non mentire nec citra nec ultra dal vero.
E bisogna davvero badarci a quel lutin de ton fils.
Di giorno in giorno i fanciulletti vengono imitando più e più i capriuoli inerpicandosi dove meglio ne viene il destro o la voglia: pericolosi in ciò più i maschi delle femmine, parendo quasi che la natura abbia destinato il nostro sesso alle temerarie imprese ed ai gesti d'ardire.
Dunque, sì, badaci e facci badare; ma già questi consigli miei vengono superflui alle sollecitudini della paterna e amorosa tua vigilanza.
Stampagli un ben sonoro bacio per me su cadauna di quelle belle guanciotte buone da servire per due cuscinetti da macchina elettrica.
Biagini dev'essere in viaggio tornando da Frascati per dove partì ieri una cum variis pistoribus vel panicocolis aut frumentariis sive etc.
e non altrimenti etc.
Laonde i tuoi saluti li farò quando etc.
Orsolina omiopatizzata sta...
come sta? Chi lo capisce? Io no pel dio Ercole sul cui altare si giura la verità.
Il medico si porta appresso in una scattolina da anelletti
La spezieria con tutto il necessario
Per medicar l'esercito di Dario.
Che ne caverà? Indovinala grillo.
Intanto per non farla morir di fiamma l'ammazza di fame.
Il Signore benedica questo discepolo del sublime Hanchemann (che non so se si scriva così, non ricordandomi delle lettere componenti il suo nome da me letto sulle sue opere), e dia tempo al moscerino di portarsi in aria la colonna traiana attaccata a un'aletta.
Io ignoro come a questo proposito la pensino i Ch.
Dottori Carbonarsi e Bassanelli; ma il sangue bollente non mi par brodo da raffreddarsi con una gocciola d'acqua tolta da un secchio in cui ne fu infusa altra gocciola d'altro vecchio, e così di gocciola in gocciola e di secchio in secchio da trovarne la quantità e le proporzioni nelle tavole logaritme.
Essa, la povera paziente, ti saluta senza fiato.
Qui troverai nel pacco:
1° Lettera responsiva di Vera
2° Lettera datami da Lopez
3° Giornale come sopra
4° Lettera di Quadrari (che non ho veduto)
5° Pacchetto di cerotto
6° Fettuccia bianca
7° Calze nere, paio uno
8° Un fagottello di pezze bianche
N.
B.
I ventagli non si mandano perché Quadrati non gli ha portati.
Al momento di chiudere la presente e impacchettarla ricevo le altre tue del 26 e 27 coll'involto de' libri.
Annamaria e Carolina e Peppe sono qui meco e gioiscono al pari di me delle buone disposizioni postergali della tua cara Cristina.
Dieu en soit loué et vous tienne en joie.
Non conosco l'opera di Gioia di cui mi parli.
Ne farò ricerche e se la troverò l'avrai: altrimenti perde la Chiesa.
Saluti inchini baciamani etc.
etc.
Il tuo Belli.
P.
S.
Vincenzone aspetta il sonetto per S.
Pietro.
LETTERA 315.
A GIUSEPPE NERONI CANCELLI - S.
BENEDETTO
Di Roma 28 giugno 1838
Mio carissimo amico
Ho ricevuto una lettera senza firma e senza data; ma quando anche non me ne manifestasse l'autore un ordine di Sc.
14:50 che vi ho rinvenuto in seno, bastava il carattere della scrittura, e la cordialità delle espressioni per annunziarmela vostra.
Ma vi prego, mio caro Neroni, di non parlarmi più di esattezza.
Dopo i disturbi che vi prendete per me sarebbe pur bella che io ci andassi facendo il sofistico! Purché la cassa abbia pagato e paghi dietro la vostra richiesta, sul resto che passa fra voi e me nulla è da dire.
Voi non dovete pensare più a me che alla vostra salute, non solo preziosa all'amicizia, ma alla famiglia di cui siete il capo e l'onore.
Vi accludo dunque la esazione da me già fatta degli Sc.
14:50 sulla Cassa di questo D.
Paolino Alibrandi foriere delle guardie nobili, e con ciò io sono soddisfatto del trimestre di gennaio febbraio e marzo pagati per la ritenzione sull'onorario Trevisani.
Le mie 21 ottave sul goticismo sono già stampate e usciranno in luce sabato 30.
Appena quindi avrò avuti gli estratti promessimi ve ne spedirò per la posta due esemplari, poiché vi siete compiaciuto non isgradire la mia povera offerta.
Ricordatevi, Neroni mio, che io dovetti donare al Cav.
Fabi Montani la vostra dissertazione archeologica.
Ne vorrei una copia per me arricchita del vostro nome a penna a memoria del dono.
Abbiatevi cura.
Voi lo potete più di me.
E fraternamente vi abbraccio
Il V°.
Belli.
LETTERA 316.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, il giorno di S.
Pietro 1838
Ore 5 pomeridiane
Mio caro Ferretti
La tua del 28, cioè della vigilia d'oggi, fu da te spedita al mezzodì, ma il Sig.
Gobbo riverito non me l'ha portata che questa mattina due ore prima del mezzodì.
Dunque quasi da un mezzodì all'altro.
Quindi l'inserta per Vincenzone non è arrivata a tempo, come a tempo sarebbe al contrario arrivata se la Compagnia Gobbo e cointeressati me l'avesse fatta avere jeri sera.
In mancanza di Michele è corsa Carolina, ma il chichìbio di M.r Silvestri, stato in isperanza sino a jersera aveva dimesso ogni idea di complimento poetico e gastronomico.
Servirà pel 1839, se saranno tutti vivi in cucina e in cenacolo.
E Quadrari? Uhm! Periit memoria eius cum sonitu.
Mi spiace pe' tuoi ventagli; ma io non ne ho colpa, perché non è stato affare affidato a me.
Tutto dunque sulla coscienza del Sig.
Felice Campacent'anni.
Non so se congratularmi o dolermi della repentina chiusura nella ferita di Cristina.
Sembra anche a me che qualche giornetto di spurgo non ci stesse male e la natura non l'avrebbe aborrito.
Insomma quel dubbio di un nuovo taglio mi disturba, non parendomi troppo comode queste benedette operazioni in duplicata a guisa di lettere di cambio.
La povera ragazza pagò a sufficienza sulla prima senza che vi fosse bisogno di fare onore anche alla seconda, con più il conto di ritorno del complimentario Sig.
Pietralata autore di molestissimi complimenti.
Mi fo carico del malumore della poverina: mi penetro dello stato d'orgasmo in cui devi tu vivere: valuto al giusto segno il rammarico della madre e delle sorelle della tua interessante figliuola.
E se io aggiungendo una angoscia di più alle non poche delle quali mi sento oppresso e vinto lo spirito, potessi divenir atto a sollevar voi tutti dai vostri patimenti, credi, Ferretti mio, che non esiterei un momento a caricarmi di questa giunta onde asciugarvi sul ciglio una lagrima.
Ma abbiamo bel dire e bel fare: colle ciarle non si paga l'oste; e per solito chi più compatisce meno può consolare, siccome i più consolati son quelli che più si commuovono alle altrui sofferenze.
Altronde poi, mancando di mezzi di consolazione, si dovrebbe quasi tacere per non parere spacciatori di parole che poco costano a dirsi, e meno ancora a scriversi non essendo neppur necessario in questo ultimo caso il corredo mimico e tonico di boccacce e occhiacci a sghembo e di tuoni elegiaci da picchiapetto.
Tu però che da molti anni hai conoscenza del mio animo, mi presterai, spero, quella fede che pure le nude parole hanno talora merito di conseguire quando le suggerisca il cuore piuttosto che l'universale vocabolario dove è libero di pescare tanto ai sinceri quanto ai bugiardi e a' traditori.
L'esperienza è sola maestra di verità, né basta la mensa e il rosario e il digiuno per conchiuderne: - costui tien religione nell'anima.
Altrettanto deve dirsi degli ufici scambievoli fra l'uomo e l'uomo.
Vuoi conoscere la lealtà? Chiedila al tempo.
Non volendo ho cambiato indole alla mia lettera trapassando a comunissimi luoghi di morale.
I miei discorsi si risentono dell'amarezza del mio spirito.
Io, sempre malinconico, in questi giorni mi trovo anche più afflitto perché in questi medesimi giorni accadde or fa un anno l'avvenimento distruttore del mio riposo.
Né lunedì 2 luglio io so vedere dove mi caccerò a sospirare.
Qui nessuno m'intenderebbe.
Lasciamo fare alla provvidenza che manda le brine in proporzione col fuoco da dissiparle.
- Ora per dire il vero, m'accorgo d'aver proceduto ben poco delicatamente in questa sfilata di piagnistei.
Invece di procurarti qualche sorriso fra le tue pene son venuto a funestarti colle mie inopportune lamentazioni da geremia.
E davvero mi par d'essere un geremia.
Quomodo sedet sola civitas plena populo, ripeto io talora fra me quando mi trovo tra la folla di tante liete o apparentemente liete persone.
Per me è deserto quel luogo dove nessuno m'appartiene ed io non appartengo ad alcuno.
Non è vero legame dove manca vera contemperanza di sensazioni.
I pochi miei buoni amici mi amano, ma cosa possono fare per me? Darmi teorie che io già conosco senza saper condurle a pratica malgrado de' miei continui sforzi.
Eppoi i miei pochi amici non possono vivermi sempre vicini; e allorché essi mi lasciano io tosto rientro nella mia desolazione fossi anche immezzo a un festino.
Ma basti di ciò.
Perdonami tante inutili querimonie.
Sei però degno di ascoltarle perché la natura ti privilegiò di un cuor tenero, che la sventura ha poi migliorato.
Ho parlato a diversi del Gioia sulla influenza de' climi etc.
A farlo apposta nessuno conosce quest'opera.
Va' mo intorno salutandomi tutti.
Orsolina così così.
Gli amici e i Pazzi m'incaricano delle lor solite litanie.
Sono il tuo Belli.
LETTERA 317.
A GIACOMO FERRETTI - ALBANO
Di Roma, l'ultimo giorno di giugno 1838 (sabato)
Ore 5 pomeridiane
C.
A.
Dal Professor Silvagni ebbi il plico col tuo Foglio e Compagni.
(Il foglio principale restò meco e i compagni vennero diramati unusquisque in provincia sua.
I due allo Zampi e al De Belardini gli ho portati subito io: l'altro al Terziani l'ho inviato a spese delle gambe pazzesche.)
Te Deum! Laus Deo! Agimus tibi gratias! Sit nomen Domini benedictum! Quando dal divieto di discendere quattro gradini e calare di un piano si trapassa al permesso di transferirsi a un Duomo e ad una villa Doria, convien pur dire che le faccende dalla parte de' cortili sien così quiete e rassicuranti che un professore igiaco possa smargiassarla da Giulio Cesare, esclamando: Veni, vidi, vici.
E colga il malanno chi teco non se ne rallegra.
Per questo motivo non cresceranno le mie sventure.
Anzi non saprei su chi potrebbe cader l'imprecazione, andando io persuaso che quanti ti conoscono ne proveranno molta gioia e sincera.
E se noto a Cristina è che i sodali
Di casa tua (brava e discreta gente)
San che fra i quattro punti cardinali
Le apparve una meteora all'occidente,
Ah dille ancor che in cento carnovali
Non istarebber mai sì allegramente
Com'oggi che il fenomeno scortese
Ratto disparve e serenò il paese.
Viva mo' il tuo Messer Ciancarella! Oh cecitate delle menti umane! Tu lo prendevi per testuggine e quello era un cerbiatto.
Vedi come te la lavora? Per carità, Ferretti: dàllo in mano a chi nell'uomo tiene il cervello da più che le gambe; che un popo' l'amichetto trovi d'ansa, di gammone o di levatura, ti scappa da casa e te lo vedi con una torcia inalberata precedere la diplomazia europea.
Come un giorno le furie anguicrinite
Correan squassando le sulfuree tede
Innanzi alla quadriga di Plutone.
Trecentottantasei mortaletti! altro che la romana girandola! Con ventun botto di meno e sparandone de' restanti, uno per giorno, avrebbero contentato S.
Pietro un anno intiero senza scucir le tavernelle a tanti bravi galantuomini che amassero meglio le botti che i botti.
Io non posso vedere i quattrini consumati in faville.
Eppure non par gioia se non viene in compagnia di quella cara polvere che il diavolo si porti chi l'ha inventata.
Né so perché Ariosto non mandasse un Colaimme al Rev.
Schwartz, il frate nero, come ne scagliò sugli archibusieri che pure senza la invenzione della polvere avrebbero fabbricato innocenti ferri da calzette e da ricci.
E Biagini con tutto il pagliaro; e Spada con tutto il fodero, e Lopez con tutti i cappelli; e Zampi colla mojje e col fijjo, e col fijjo del fijjo; e la pazza co' pazzerelli suoi, ed Orsolina colla sua febbriciattola etc.
etc., hanno aggradito le tue salutazioni e te ne rendon pariglia.
Cercherò Maggiorani quanto prima e gli leggerò il tuo paragrafo.
Per dirti un'altra parola di Orsolina, la spacciano per isfebbrata del tutto.
A me non sembra così.
Aspetto però di tastarle il polso a guarigione perfetta, per iscoprire se in istato di salute normale il polso di lei mantenga normalmente una certa frequenza di pulsazioni, come qualcuno sospetta.
Tutto è possibile.
Sinora penso il contrario.
Videbimus infra.
1° alla Sig.ra Teresa
2° alla Sig.ra Cristina
3° alla Sig.ra Chiara
4° alla Sig.ra Barbara
5° al Sig.
Luigi
Saluti e riverenze per ordine di anzianità.
Il signor Bassanelli venga extra ordinem e n'abbia anch'egli la suo porziuncula.
Rido per ubbriacarmi.
Ti abbraccio di cuore
Il tuo Belli
...
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