[Pagina precedente]... Dio! Questo ho da soffrir da colei che amo tanto? Da quella ch'è l'unico mio bene? l'unica mia consolazione? Misera Aurelia! infelice amor mio! (resta piangendo)
SCENA TREDICESIMA
Il conte OTTAVIO e detta.
OTT. Donna Aurelia, che avete voi che piangete?
AUR. Nulla, conte. Lasciatemi in pace.
OTT. Che sì che indovino la causa del vostro cordoglio?
AUR. Non mi tormentate, vi prego.
OTT. Eh signora, lodo l'amor delle madri verso i loro figliuoli; ma quando son questi ingrati...
AUR. Signore, di chi parlate?
OTT. Ho inteso vostra figlia partir di qui borbottando, e replicare dieci volte da se medesima: sì, lo voglio.
AUR. (Oh me infelice!) (sospirando piano)
OTT. E voi soffrirete, che a vostro dispetto e su gli occhi vostri, si facciano tali nozze?
AUR. No, conte, non si faranno.
OTT. Chi ve ne accerta?
AUR. Mia figlia non vorrà darmi un così gran dispiacere.
OTT. Ella? se come una pazza va ripetendo lo voglio?
AUR. Non doveva parlare di questo.
OTT. Basta, non vo', coll'insistere maggiormente, inquietarvi. Donna Aurelia, son qui per darvi un testimonio della mia stima, e permettetemi ch'io dica, del sincero amor mio.
AUR. (Laurina dove sarà ?) (da sé)
OTT. Mi permettete ch'io parli?
AUR. Sì, parlate.
OTT. Più volte vi ho fatto comprendere, donna Aurelia il desiderio mio di acquistare il tesoro del vostro cuore, unito a quello della vostra mano. Ora parmi che un accasamento per voi potesse piucché mai riuscire opportuno. Siete attorniata da una cognata indiscreta, da una figlia (soffrite ch'io lo ripeta) all'amor vostro ingrata. Fate quanto potete per impedire ch'ella sia di Florindo, ma quando tutto si unisse a distruggere le vostre massime e la vostra savia condotta, pensate a voi stessa. Io vi offerisco una casa, uno sposo. Il matrimonio di vostra figlia non recherà a voi disonore, se voi avrete, benché invano, procurato impedirlo; ed io sorpasserò egualmente un simile accasamento, come se donna Laurina non fosse nata del vostro sangue.
AUR. Ah conte, a voi sarebbe facile scordarvi che Laurina fosse mio sangue; ma io, che nelle viscere mie l'ho nutrita, non posso lusingarmi di farlo. Non cesserò mai di operare per la salvezza del suo decoro; e quando tutto riuscisse vano, potrei morire, ma non abbandonare mia figlia. Per ora non mi parlate di nozze, non mi parlate di amori, che d'altro affetto non son capace per ora che di quello di madre.
OTT. Povera dama! mentre voi con simili tenerezze languite per la figliuola, ella pensa a tradirvi.
AUR. Non lo farà , conte: Laurina non lo farà .
OTT. Dove pensate ch'ella sia incamminata?
AUR. Le ho comandato andare nella sua camera.
OTT. Ed io l'ho veduta verso la camera di sua zia.
AUR. Possibile? Ah ingrata... Ma non lo credo.
SCENA QUATTORDICESIMA
PANTALONE e detti.
AUR. Signor Pantalone, avete voi veduta mia figlia?
PANT. Siora sì.
AUR. Dove?
PANT. Verso le camere de siora donna Lugrezia.
AUR. Oh cielo!
OTT. Non ve l'ho detto?
AUR. Ah ingrata!
OTT. Sì, è un'ingrata, ed io conoscendola...
AUR. Basta, conte; io posso dirlo, voi non dovete dirlo. Gl'insulti delle madri non offendono le figliuole. Gl'insulti d'un cavaliere non si convengono ad una dama. A me tocca il correggerla, a voi il rispettarla. (parte)
OTT. Anche la virtù deve avere i suoi limiti. L'amore di donna Aurelia eccede troppo i confini della giustizia.
PANT. Ah, caro sior conte, l'amor de madre xe un gran amor.
OTT. Sì è vero. Ma... non voglio perderla di vista. Ella ha bisogno di chi le presti soccorso. (parte)
PANT. Sto sior conte ghe preme molto donna Aurelia. El gh'ha una gran carità per ela. Ma za la xe carità pelosa. El mondo xe tutto cussì, tutto interesse. Ghe despiase che donna Aurelia ama tanto so fia, perché el so amor el lo vorave tutto per elo. Olà , cossa vedio? Siora donna Laurina co sior Florindo? Zogheli alle scondariole? So madre va per cercarla da una banda, e ela scampa da un'altra. Vôi retirarme un pochetto, e véder un poco, e sentir, se se pol, che intenzion che i gh'ha. Povera donna Aurelia, la me fa peccà ! (si ritira)
SCENA QUINDICESIMA
DONNA LAURINA e FLORINDO.
LAUR. Signor Florindo, ho tanta volontà di parlarvi.
FLOR. Ma qui in queste stanze possiamo esser sorpresi da vostra madre.
LAUR. L'ho veduta passare dall'altra parte col conte Ottavio.
FLOR. Sì, questa vostra signora madre, cotanto austera con voi, fa all'amore peggio d'una ragazza.
LAUR. E poi vuol impedire ch'io non lo faccia. Non vuole ch'io mi mariti.
FLOR. Non vorrà che voi vi maritiate, perché averà ella intenzione di farlo.
LAUR. Lo faccia, e lo lasci fare. Io non impedisco ch'ella si soddisfi, né ella impedisca che possa io soddisfarmi.
FLOR. Donna Laurina, se voi non fate una risoluzione, vostra madre per puntiglio non vorrà certamente che siate mia.
LAUR. Ma qual risoluzione poss'io prendere?
FLOR. Un'altra volta io ve l'ho suggerita. Datemi la mano di sposa, e dopo il fatto la sua collera non ci potrà fare paura.
LAUR. Darvi la mano... Se ci fosse almeno mia zia.
FLOR. Ecco il signor Pantalone. Alla presenza di quest'uomo vecchio e civile, ci porgeremo scambievolmente la destra.
LAUR. Questi è un amico di mia madre; non ne vorrà probabilmente sapere.
SCENA SEDICESIMA
PANTALONE e detti.
PANT. Bravi; pulito!
FLOR. Signor Pantalone, favorisca di grazia.
PANT. Son qua; cossa comandela?
FLOR. Vossignoria, ch'è uomo ben nato, civile e discreto, spero non averà difficoltà di farci un piacere.
PANT. Le comandi: son qua per servirle dove che posso.
LAUR. Ma per amor del cielo, non mi tradite.
PANT. Me maraveggio. Non son capace, patrona.
FLOR. So che siete un vero galantuomo, tutto mi comprometto da voi.
PANT. Via, cossa me comandela? Se la sarà una cossa onesta, le se assicura che la farò volentiera.
LAUR. Oh, in quanto a questo, è onestissima.
FLOR. È una bagattella, signor Pantalone.
PANT. Via, cossa xela?
FLOR. Noi ci vorressimo in questo momento sposare, e vi preghiamo favorirci per testimonio.
PANT. Una bagattella!
LAUR. Mia zia lo acconsente.
PANT. Ma ghe par che tra persone civil se fazza i matrimoni in sta maniera?
FLOR. Siamo sforzati a farlo per le persecuzioni di donna Aurelia.
PANT. Siora donna Aurelia xe una donna prudente.
LAUR. Non ve l'ho detto io ch'egli tiene da mia madre? (a Florindo)
FLOR. Basta, scusate se vi ho dato il presente disturbo. (a Pantalone)
PANT. Queste no le xe cosse da domandar a un galantomo della mia sorte.
FLOR. Via, signore, è finita. Vossignoria si servi. Vada dove vuole, che non intendo volerlo più trattenere.
PANT. (Me despiase mo adesso lassarli soli). (da sé)
LAUR. Se ha qualche affare, signor Pantalone, si accomodi, vada pure.
PANT. Eh, no gh'ho gnente da far. Stago volentiera un pochetto in conversazion.
LAUR. (Vecchiaccio). (da sé)
FLOR. Bene, e voi restate. Signora donna Laurina, siete disposta a quanto vi ho suggerito?
LAUR. Dispostissima, signor Florindo.
FLOR. Animo dunque, porgetemi la mano.
PANT. Cossa fale?
FLOR. Noi ci sposiamo in presenza vostra.
PANT. Me maraveggio. Mi no ghe ne voggio saver.
FLOR. Dunque andatevene.
PANT. Sì, sì, anderò... (Ma no gh'ho cuor de lassarli precipitar). (da sé) La senta, no se poderave più tosto...
FLOR. Voi m'inquietate, signor Pantalone.
PANT. Siora donna Laurina, la ghe pensa ben.
LAUR. Voi non siete mio padre.
FLOR. Non mi obbligate a perdervi finalmente il rispetto.
PANT. Cossa voravelo far?
LAUR. Ecco mia zia.
FLOR. Ci sposeremo in presenza sua.
PANT. Bon pro ghe fazza.
LAUR. Mia zia mi ama molto più di mia madre.
PANT. Sì, la se ne accorzerà ela.
SCENA DICIASSETTESIMA
DONNA LUCREZIA e detti.
PANT. Siora donna Lugrezia, la favorissa.
LUCR. Che cosa volete, signore?
PANT. Ghe cedo el posto. (in atto di partire)
LUCR. Dove andate? (a Pantalone)
PANT. A muarme de camisa, per la fadiga che ho fatto. (parte)
LUCR. E voi altri che fate qui?
LAUR. Mia madre non vuole assolutamente ch'io sposi il signor Florindo.
LUCR. Vostra madre ha poco giudizio.
FLOR. Voi per altro, signora, me l'avete promessa.
LUCR. È verissimo, e son donna da mantener la parola.
LAUR. Conosco, signora zia, che voi mi amate davvero.
LUCR. Sì, vi amo con tutto il cuore; ma vostra madre mi vuol far perder la sofferenza.
FLOR. E per questo è bene che si sollecitino le nostre nozze.
LUCR. Si sollecitino pure.
FLOR. Son pronto a darle la mano.
LUCR. Adagio un poco. Vi è una difficoltà .
FLOR. Che difficoltà ci trovate, signora?
LUCR. I ventimila scudi di contraddote.
FLOR. Li ho promessi e li darò.
LUCR. Ci vuole il notaro.
FLOR. A me non credete?
LUCR. Vi credo; ma le cose s'hanno da fare come van fatte.
LAUR. Eh via, signora zia, a me non importa...
LUCR. Se non importa a voi, importa a me.
FLOR. Ora, come abbiamo a fare a trovare il notaro?
LUCR. Cercatelo immediatamente. Riconducetelo qui, e terminiamo una volta questa faccenda.
FLOR. E se non lo trovassi?
LUCR. Non ci sarebbe altro rimedio, per far più presto, che portar qui il denaro.
FLOR. Ma questo poi...
LUCR. Non vi è altro. Ve la dico in rima: o trovatemi il notaro, o contatele il denaro.
FLOR. Dunque me n'andrò.
LUCR. Sì, e fate presto a tornare.
FLOR. Pazienza.
LAUR. Chi sa se saremo più in tempo.
FLOR. Signora donna Lucrezia, se per causa vostra mi convenisse perdere la mia Laurina, giuro al cielo, farei qualche grande risoluzione. (parte)
LAUR. Se perdo Florindo, signora zia, mi vedrete dare nelle disperazioni. (parte)
LUCR. Bellissima! Di questo loro amore, di queste loro nozze, voglio profittare ancor io. Voglio, se posso, risparmiar la dote della nipote. Io sono l'erede di mio fratello, e se non iscorporo questa dote, tanto è maggiore la mia eredità . Così potrò vivere con più comodi, e se morisse mio marito ch'è vecchio, potrei sperare di rimaritarmi con qualche personaggio di qualità .
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera di donna Aurelia.
DONNA AURELIA, poi DONNA LAURINA.
AUR. Florindo si avanza troppo, e Laurina mia non conosce l'inganno della sua passione. Tocca a me farglielo rilevare per quanto posso, per quanto mi fia possibile. Eccola. Voglia il cielo che la colpiscano le mie parole.
LAUR. Signora, eccomi ai vostri comandi.
AUR. Dove siete stata sinora?
LAUR. Nella mia camera.
AUR. A far che nella vostra camera?
LAUR. A piangere liberamente.
AUR. Povera figlia! voi siete afflitta; vi compatisco, e sento al vivo dentro di me medesima le vostre pene.
LAUR. Ah signora madre, voi non mi amate.
AUR. Sì, figlia, vi amo teneramente, e desidero di vedervi contenta.
LAUR. Se fosse vero, voi non mi affliggereste così.
AUR. Via, voglio consolarvi; credetemi, son pronta a farlo.
LAUR. Dite davvero, signora madre?
AUR. Sì, cara, sedete ed ascoltatemi.
LAUR. (Questa volta Florindo è mio). (da sé, e seggono)
AUR. Laurina amatissima, niuna persona di questo mondo può amarvi più della madre, e a niuno, meglio che a me, si conviene la confidenza del vostro cuore. Di me non vi siete fidata, e dall'aver operato senza il consiglio mio, sono derivati i disordini che sconcertano la nostra casa.
LAUR. Signora, il rispetto...
AUR. Sì, v'intendo: per rispetto non mi avete confidato gli arcani vostri, ma di questo rispetto vi siete poscia scordata, quando avete determinato di farvi sposa senza l'assenso mio.
LAUR. Voi continuate a rimproverarmi.
AUR. No, figlia, non vi rimprovero più. Quello ch'è stato, è stato. Parliamo adesso con libertà . Son madre al fine, e posso bene sacrificare un puntiglio, per chi sarei anche pronta di sacrificare la vita.
LAUR. Via, non mi fate piangere.
AUR. Eh figlia, ho tanto pianto per voi, che le vostre lacrime non arriveranno mai ad equivalere alle mie; ma non voglio che più si pianga. Ditemi con sincerità , con franchezza: siete voi innamorata?
LAUR. Sì, signora, lo sono.
AUR. È Florindo l'oggetto de' vostri amori?
LAUR. Non vi è bisogno che lo ripeta. Già lo sapete.
AUR. Voi mi rispondete con un poco di temerità .
LAUR. Già lo vedo: voi volete alla fine mortificarmi.
AUR. Non è vero. Voglio soffrirvi, desidero consolarvi. Ma ditemi, in grazia, quanto tempo è che voi amate il signor Florindo?
LAUR. In verità , signora, non è più...
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