[Pagina precedente]...o padre lo ha guadagnato a sudori di sangue. (a Florindo)
LAUR. Signor zio, non perdiamo tempo. Mia madre mi ha mandato a chiamare. Or ora me l'aspetto qui.
LUCR. Nelle mie camere non ci verrà .
ERM. Signore, leggete.
NOT. Ehi, venite qui. Servirete per testimoni. Voi, come avete nome? (a Brighella)
BRIGH. Brighella Cavicchio, quondam Bertoldo.
NOT. Di che paese?
BRIGH. Bergamasco. (il Notaro scrive)
NOT. Voi, come vi chiamate? (a Traccagnino)
TRACC. Mi no so mai d'averme chiamà da mia posta.
NOT. Siete un bell'ignorante.
TRACC. No digo per lodarme, ma l'è la verità .
NOT. Signore, con costui non faremo niente. (a don Ermanno)
ERM. Via, dagli il tuo nome, il tuo cognome e la patria.
TRACC. El nome e el cognome m'inzegnerò de darghelo, ma la patria no ghe la posso dar.
NOT. No? perché?
TRACC. Perché Bergamo l'è troppo lontan, e po no l'è roba mia.
NOT. Oh che pazienza!
ERM. Vi vuol tanto a dirgli che ti chiami Traccagnino Battocchio?
TRACC. No ghe vol gnente.
NOT. Via, via, basta così. Traccagnino Battocchio. Quondam? (scrive)
TRACC. Signor?
NOT. Tuo padre è vivo, o morto?
TRACC. No lo so in verità .
NOT. Non sai se tuo padre sia vivo o morto?
TRACC. No lo so da galantomo.
NOT. Come ha nome tuo padre?
TRACC. Se digo che no so.
NOT. Non sai nemmeno di chi tu sii figlio?
TRACC. No lo so da servitor.
NOT. Di che età sei partito dal tuo paese?
TRACC. Sarà tre anni che manco.
BRIGH. Eh via, caro paesan. To padre l'ho conossudo mi. No èrelo missier Pasqual?
TRACC. Tutti credeva che fosse fiol de missier Pasqual; ma mia madre, che era la bocca della verità , qualche volta la diseva de no.
ERM. Via, via, signor notaro, scriva figlio di messer Pasquale.
NOT. Ma, signor Ermanno, questo non è un testimonio a proposito.
TRACC. Caro sior nodaro, perché no mettì el vostro nome che gh'avì proprio fazza de testimonio?
NOT. Costui è un impertinente; e giuro al cielo...
LAUR. Ecco mia madre. (con timore parte)
LUCR. Fermatevi. (a donna Laurina che parte) Che cosa vuole nelle mie camere?
SCENA OTTAVA
DONNA AURELIA e detti.
AUR. Con licenza di lor signori. (i servitori si ritirano)
LUCR. Riverisco la signora cognata.
AUR. Che cosa si fa di bello, signori miei?
ERM. Noi non veniamo a vedere quello che fate voi nelle vostre camere.
AUR. Non sarei venuta nelle vostre, se non vi fosse stata mia figlia.
LUCR. Vostra figlia è custodita bene dalla sorella del di lei padre.
ERM. E da me, che sono di sua zia il marito.
AUR. Benissimo, vi ringrazio entrambi dell'amore che avete per la mia figliuola. Ed il signor Florindo entra anch'egli nel numero de' suoi custodi?
FLOR. Sì signora, e giustamente, s'ella deve esser mia consorte.
AUR. Io non c'entro per nulla?
FLOR. Perdonatemi. La signora donna Lucrezia mi ha detto...
LUCR. Sì signora, io gli ho detto che tocca a me a maritar mia nipote, stando nelle mie mani la di lei dote.
AUR. Va benissimo; né io mi opporrei, se un tal matrimonio le convenisse.
FLOR. Come, signora? Pare a voi che le mie nozze la disonorino?
AUR. Signor Florindo, non credo di farvi un'ingiuria, se dico esservi dalla vostra casa alla nostra una troppo grande distanza.
ERM. Che distanza? Egli è ricco più che non siamo noi.
AUR. Laurina ha ventimila scudi di dote.
LUCR. V'ingannate, signora cognata, questa dote non vi può essere. Tutta l'eredità di mio fratello non ascende ad una tal somma.
AUR. Questa è la dote che suo padre destinata le aveva.
LUCR. Poteva prometterne anche centomila, che sarebbe stato lo stesso. Mio fratello non sapeva quello che si facesse.
AUR. Eh, signori miei, queste favole non si raccontano a me. La dote di Laurina vi ha da essere, e so dov'è fondata. Ma voi... Sì, lo dirò, voi per una soverchia avarizia...
FLOR. Signora, vi supplico di acchetarvi. La cosa si può facilmente accomodare. Volete che la vostra figliuola abbia ventimila scudi di dote? Li averà . Signor notaro, scrivete. Io le faccio ventimila scudi di contraddote.
AUR. Non vi è bisogno, signore...
LUCR. Come non vi è bisogno? Scrivete, signor notaro. Il signor Florindo le fa ventimila scudi di contraddote.
AUR. Non v'è bisogno, vi dico. Ella è dotata dal padre; e quando non lo fosse, io colla mia propria dote potrei provvederla bastantemente.
LUCR. E voi provvedetela.
ERM. Via, provvedetela voi.
AUR. Lo farò, quando le si offerirà un partito che le convenga.
FLOR. Io dunque non sono degno di averla.
AUR. No, siete ancor troppo giovane.
LUCR. L'offerta ch'ei le fa di ventimila scudi di contraddote, è una proposizione da uomo di garbo, da uomo vecchio, che merita d'essere approvata e lodata da chi che sia.
AUR. Sapete che cosa meriterebbe approvazione e lode? Se il signor Florindo desistesse dal giuoco, dalle crapule, dalla sua prodigalità sregolata; e con i ventimila scudi ch'egli ardisce offerire ad una dama di qualità , farebbe meglio pagare i debiti e le mercedi agli operari. (Florindo smania)
ERM. Che debiti? Suo padre gli ha lasciato mezzo milione.
AUR. Gli avanzi de' finanzieri arrivano poche volte alla terza generazione.
FLOR. Signora, non vi rispondo, perché siete la madre della mia sposa. Sì, donna Laurina sarà mia sposa; donna Lucrezia e don Ermanno a me l'hanno promessa, e giuro al cielo, mi farò mantenere la parola. (parte)
ERM. Fermatevi...
LUCR. Sì, ve la manterremo.
AUR. Signora cognata, dovreste aver più prudenza.
LUCR. Voi dovreste avere un poco più di giudizio.
AUR. E voi, signor notaro...
NOT. Io, illustrissima, sono stato chiamato. Fo il mio mestiere.
AUR. Io son sua madre, e vi dico che un tal contratto non si ha da fare senza di me.
NOT. Per me, si aggiustino fra loro. Il contratto è lesto, se occorre; basta che mi avvisino, ch'io verrò a stipularlo. (parte)
SCENA NONA
DONNA AURELIA, DONNA LUCREZIA e DON ERMANNO.
AUR. Possibile, signora cognata, che non abbiate a cuore il decoro della nostra famiglia?
LUCR. Voi fondate il decoro nella vanità , ed io lo fondo nella sostanza, nei comodi e nel denaro.
AUR. Sì veramente la casa si mantiene con un grande splendore.
ERM. Voi altre donne siete incontentabili. Vi par poco, eh, spendere in una casa mezzo filippo il giorno?
AUR. In cinque persone veramente è troppo.
ERM. L'entrate non rendono tanto, ci rimettiamo ogni anno del nostro.
AUR. Dite che ogni anno avanzate delle migliaia di scudi.
LUCR. Non è vero, non sapete che cosa vi dite.
AUR. Portatemi rispetto, signora.
LUCR. Fareste meglio andarvene da questa casa.
AUR. Vi anderò; ma verrà meco mia figlia.
LUCR. Vostra figlia è in casa sua, e non vi deve uscire che collocata.
AUR. Povera Laurina! voi la volete tradire.
LUCR. Come tradirla? Laurina è sangue mio, perché è sangue di mio fratello. L'amo come una mia figliuola e la marito con uno che la farà star bene, che la farà viver bene.
AUR. Con Florindo voi non la mariterete assolutamente.
LUCR. Sì, la mariterò a vostro dispetto.
AUR. Mi farò intendere, mi farò far giustizia.
LUCR. Se non si sposerà col signor Florindo, la caccerò in un ritiro.
AUR. Siete una barbara.
LUCR. Siete una pazza.
AUR. Portatemi rispetto, vi dico: sono una dama.
LUCR. Ed io sono la padrona di questa casa.
ERM. Sì signora, donna Lucrezia ed io siamo quei che comandano.
AUR. Povero mio consorte! Non aveva egli le massime che avete voi.
LUCR. Se non vi sappiamo dare nel genio, prendete la vostra dote, e andate a stare con chi volete.
AUR. Se non ci fosse mia figliuola, non ci sarei stata un'ora.
LUCR. La vostra figliuola vi ha veramente una grande obbligazione. Voi l'avete rovinata.
AUR. Io? come?
LUCR. Non le avete insegnato altro che a farsi i ricci, ed a vestirsi con attillatura.
AUR. Ad una dama non conviene andare come una serva.
LUCR. Che dama? Le dame che non hanno denari, diventano presto pedine.
AUR. In casa degli avari sempre si piange.
LUCR. Signora cognata, voi mi farete perdere la pazienza.
AUR. Siete gente incivile.
LUCR. Siete superba, vana, insoffribile.
AUR. Se avessi in Napoli i miei parenti, non parlereste così.
ERM. I vostri parenti non ci farebbero punto paura.
AUR. Rendetemi conto dei frutti della dote di mia figliuola.
LUCR. Ho tanto di testa. Non mi stordite di più.
AUR. E se non lo farete di buona voglia...
LUCR. Andate via, signora cognata.
AUR. Troverò chi ve lo farà fare per forza.
ERM. La cosa va un poco lunga.
AUR. Rispondetemi a tuono.
LUCR. Vi risponderò un'altra volta. (parte)
ERM. Sì signora, un'altra volta. (parte)
SCENA DECIMA
DONNA AURELIA sola.
AUR. Questa campana non la vogliono sentire. Gente sordida, avara: so io quel che farò. Povera la mia figliuola! vorrebbero assassinarla, ma finché io viva, non riuscirà loro certamente di farlo. Ma ella, che sempre è stata obbediente alla madre, come ora poteva indursi ad un tal passo senza da me dipendere? Nol credo ch'ella vi consentisse. L'averanno tentata i zii scaltri, avari, ingannatori; ma non sarebbe stato possibile che Laurina avesse fatto un sì gran torto a sua madre che l'ama: ad una madre amorosa, che darebbe per lei quel sangue da cui è stata con tanta pena e con tanto amore nutrita. (parte)
SCENA UNDICESIMA
Antisala.
FLORINDO e DONNA LAURINA.
FLOR. Cara Laurina mia, a decidere tocca a voi.
LAUR. Se stesse a me, vi darei la mano immediatamente.
FLOR. Potete darmela, se volete.
LAUR. Il mondo poi che direbbe?
FLOR. Direbbe il mondo che avete obbedito un comando di vostra zia.
LAUR. Questa ragione non mi dispiace.
FLOR. Animo dunque...
LAUR. Oh diamine! mia madre è qui?
FLOR. Tornerà ad insultarmi... Cara Laurina, costanza, fedeltà , coraggio. Torno alle camere di vostra zia. (parte)
SCENA DODICESIMA
DONNA AURELIA e LAURINA.
AUR. Temerario! cotanto ardisce? E voi, che facevate qui con Florindo?
LAUR. Niente, signora.
AUR. Così obbedite ai comandi di vostra madre?
LAUR. È passato per accidente.
AUR. E nelle camere di vostra zia per qual ragione vi siete andata?
LAUR. Perché mi ha mandata a chiamare.
AUR. Che cosa voleva da voi?
LAUR. Non so niente, signora.
AUR. Parlate, dico: che cosa volevano?
LAUR. Non l'avete sentito da voi medesima?
AUR. Sfacciatella! Sì, ho inteso. E senza di me si va a trattare di matrimonio?
LAUR. Finalmente... è mia zia.
AUR. Sì, una zia che cerca di rovinarvi.
LAUR. Volendo darmi marito, mi pare ch'ella non mi rovini.
AUR. Non sapete che nei matrimoni si richiede l'egualità ?
LAUR. Circa all'età , non vi è gran differenza.
AUR. Fate la sciocca, eh? Non è quella degli anni l'egualità che richiedesi nel matrimonio, ma quella della nascita, del carattere, del costume.
LAUR. Cara signora madre, conosco tante ragazze, che per voler troppo, sono invecchiate così.
AUR. E per questo, che cosa vorreste dire?
LAUR. Gli anni passano anche per me, e se perdo questa occasione...
AUR. No, cara, siete ancor giovinetta: vi è tempo, e poi questa non è occasione opportuna per voi.
LAUR. Ma nessuno me ne propone un'altra.
AUR. Vi sareste maritata a quest'ora, se vostra zia non temesse sborsare la dote.
LAUR. Ma se trovasi uno che mi sposa senza la dote, perché non si ha d'accettare?
AUR. Perché non è vostro pari.
LAUR. A me poco importa, signora madre.
AUR. Se non importa a voi, importa a me.
LAUR. Ah! se mi volete bene...
AUR. Oh Dio! ti amo anche troppo. Se non ti amassi tanto, non sacrificherei la mia quiete per te.
LAUR. Cara signora madre, se voi mi amate, concedetemi il signor Florindo.
AUR. No, questo non sarà mai.
LAUR. No? Pazienza. (vuol partire)
AUR. Dove andate?
LAUR. Vado via, signora.
AUR. Avvertite: senza mio ordine non andate più nelle camere di vostra zia.
LAUR. Eh sì, in verità facevo conto di andarvi adesso.
AUR. A far che, signora?
LAUR. Così... a ritrovarla.
AUR. Presto, andate nella vostra camera.
LAUR. Morirò; sarete contenta.
AUR. Oh Dio! A me questo? A me, che sai che ti amo quanto l'anima mia?
LAUR. No, che non mi amate. Se mi amaste, non neghereste di consolarmi.
AUR. Ma Florindo, cara, non è per te.
LAUR. L'amo; non posso vivere senza di lui, e lo voglio.
AUR. Lo voglio? A tua madre hai coraggio di dire lo voglio?
LAUR. Sì, ammazzatemi, trucidatemi, vi torno a dire lo voglio. (parte)
AUR. Come? Così parla a sua madre? Oh...
[Pagina successiva]