I PROMESSI SPOSI, di Alessandro Manzoni - pagina 24
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Il baroccio era lì pronto; il conduttore salutò i tre aspettati, li fece salire, diede una voce alla bestia, una frustata, e via.
Il nostro autore non descrive quel viaggio notturno, tace il nome del paese dove fra Cristoforo aveva indirizzate le due donne; anzi protesta espressamente di non lo voler dire.
Dal progresso della storia si rileva poi la cagione di queste reticenze.
Le avventure di Lucia in quel soggiorno, si trovano avviluppate in un intrigo tenebroso di persona appartenente a una famiglia, come pare, molto potente, al tempo che l'autore scriveva.
Per render ragione della strana condotta di quella persona, nel caso particolare, egli ha poi anche dovuto raccontarne in succinto la vita antecedente; e la famiglia ci fa quella figura che vedrà chi vorrà leggere.
Ma ciò che la circospezione del pover'uomo ci ha voluto sottrarre, le nostre diligenze ce l'hanno fatto trovare in altra parte.
Uno storico milanese (Josephi Ripamontii, Historiae Patriae, Decadis V, Lib.
VI, Cap.
III, pag.
358 et seq.) che ha avuto a far menzione di quella persona medesima, non nomina, è vero, né lei, né il paese; ma di questo dice ch'era un borgo antico e nobile, a cui di città non mancava altro che il nome; dice altrove, che ci passa il Lambro; altrove, che c'è un arciprete.
Dal riscontro di questi dati noi deduciamo che fosse Monza senz'altro.
Nel vasto tesoro dell'induzioni erudite, ce ne potrà ben essere delle più fine, ma delle più sicure, non crederei.
Potremmo anche, sopra congetture molto fondate, dire il nome della famiglia; ma, sebbene sia estinta da un pezzo, ci par meglio lasciarlo nella penna, per non metterci a rischio di far torto neppure ai morti, e per lasciare ai dotti qualche soggetto di ricerca.
I nostri viaggiatori arrivaron dunque a Monza, poco dopo il levar del sole: il conduttore entrò in un'osteria, e lì, come pratico del luogo, e conoscente del padrone, fece assegnar loro una stanza, e ve gli accompagnò.
Tra i ringraziamenti, Renzo tentò pure di fargli ricevere qualche danaro; ma quello, al pari del barcaiolo, aveva in mira un'altra ricompensa, più lontana, ma più abbondante: ritirò le mani, anche lui, e, come fuggendo, corse a governare la sua bestia.
Dopo una sera quale l'abbiamo descritta, e una notte quale ognuno può immaginarsela, passata in compagnia di que' pensieri, col sospetto incessante di qualche incontro spiacevole, al soffio di una brezzolina più che autunnale, e tra le continue scosse della disagiata vettura, che ridestavano sgarbatamente chi di loro cominciasse appena a velar l'occhio, non parve vero a tutt'e tre di sedersi sur una panca che stava ferma, in una stanza, qualunque fosse.
Fecero colazione, come permetteva la penuria de' tempi, e i mezzi scarsi in proporzione de' contingenti bisogni d'un avvenire incerto, e il poco appetito.
A tutt'e tre passò per la mente il banchetto che, due giorni prima, s'aspettavan di fare; e ciascuno mise un gran sospiro.
Renzo avrebbe voluto fermarsi lì, almeno tutto quel giorno, veder le donne allogate, render loro i primi servizi; ma il padre aveva raccomandato a queste di mandarlo subito per la sua strada.
Addussero quindi esse e quegli ordini, e cento altre ragioni; che la gente ciarlerebbe, che la separazione più ritardata sarebbe più dolorosa, ch'egli potrebbe venir presto a dar nuove e a sentirne; tanto che si risolvette di partire.
Si concertaron, come poterono, sulla maniera di rivedersi, più presto che fosse possibile.
Lucia non nascose le lacrime; Renzo trattenne a stento le sue, e, stringendo forte forte la mano a Agnese, disse con voce soffogata: - a rivederci, - e partì.
Le donne si sarebber trovate ben impicciate, se non fosse stato quel buon barocciaio, che aveva ordine di guidarle al convento de' cappuccini, e di dar loro ogn'altro aiuto che potesse bisognare.
S'avviaron dunque con lui a quel convento; il quale, come ognun sa, era pochi passi distante da Monza.
Arrivati alla porta, il conduttore tirò il campanello, fece chiamare il padre guardiano; questo venne subito, e ricevette la lettera, sulla soglia.
- Oh! fra Cristoforo! - disse, riconoscendo il carattere.
Il tono della voce e i movimenti del volto indicavano manifestamente che proferiva il nome d'un grand'amico.
Convien poi dire che il nostro buon Cristoforo avesse, in quella lettera, raccomandate le donne con molto calore, e riferito il loro caso con molto sentimento, perché il guardiano, faceva, di tanto in tanto, atti di sorpresa e d'indegnazione; e, alzando gli occhi dal foglio, li fissava sulle donne con una certa espressione di pietà e d'interesse.
Finito ch'ebbe di leggere, stette lì alquanto a pensare; poi disse: - non c'è che la signora: se la signora vuol prendersi quest'impegno...
Tirata quindi Agnese in disparte, sulla piazza davanti al convento, le fece alcune interrogazioni, alle quali essa soddisfece; e, tornato verso Lucia, disse a tutt'e due: - donne mie, io tenterò; e spero di potervi trovare un ricovero più che sicuro, più che onorato, fin che Dio non v'abbia provvedute in miglior maniera.
Volete venir con me?
Le donne accennarono rispettosamente di sì; e il frate riprese: - bene; io vi conduco subito al monastero della signora.
State però discoste da me alcuni passi, perché la gente si diletta di dir male; e Dio sa quante belle chiacchiere si farebbero, se si vedesse il padre guardiano per la strada, con una bella giovine...
con donne voglio dire.
Così dicendo, andò avanti.
Lucia arrossì; il barocciaio sorrise, guardando Agnese, la quale non poté tenersi di non fare altrettanto; e tutt'e tre si mossero, quando il frate si fu avviato; e gli andaron dietro, dieci passi discosto.
Le donne allora domandarono al barocciaio, ciò che non avevano osato al padre guardiano, chi fosse la signora.
- La signora, - rispose quello, - è una monaca; ma non è una monaca come l'altre.
Non è che sia la badessa, né la priorache anzi, a quel che dicono, è una delle più giovani: ma è della costola d'Adamo; e i suoi del tempo antico erano gente grande, venuta di Spagna, dove son quelli che comandano; e per questo la chiamano la signora, per dire ch'è una gran signora; e tutto il paese la chiama con quel nome, perché dicono che in quel monastero non hanno avuto mai una persona simile; e i suoi d'adesso, laggiù a Milano, contan molto, e son di quelli che hanno sempre ragione, e in Monza anche di più, perché suo padre, quantunque non ci stia, è il primo del paese; onde anche lei può far alto e basso nel monastero; e anche la gente di fuori le porta un gran rispetto; e quando prende un impegno, le riesce anche di spuntarlo; e perciò, se quel buon religioso lì, ottiene di mettervi nelle sue mani, e che lei v'accetti, vi posso dire che sarete sicure come sull'altare.
Quando fu vicino alla porta del borgo, fiancheggiata allora da un antico torracchione mezzo rovinato, e da un pezzo di castellaccio, diroccato anch'esso, che forse dieci de' miei lettori possono ancor rammentarsi d'aver veduto in piedi, il guardiano si fermò, e si voltò a guardar se gli altri venivano; quindi entrò, e s'avviò al monastero, dove arrivato, si fermò di nuovo sulla soglia, aspettando la piccola brigata.
Pregò il barocciaio che, tra un par d'ore, tornasse da lui, a prender la risposta: questo lo promise, e si licenziò dalle donne, che lo caricaron di ringraziamenti, e di commissioni per il padre Cristoforo.
Il guardiano fece entrare la madre e la figlia nel primo cortile del monastero, le introdusse nelle camere della fattoressa; e andò solo a chieder la grazia.
Dopo qualche tempo, ricomparve giulivo, a dir loro che venissero avanti con lui; ed era ora, perché la figlia e la madre non sapevan più come fare a distrigarsi dall'interrogazioni pressanti della fattoressa.
Attraversando un secondo cortile, diede qualche avvertimento alle donne, sul modo di portarsi con la signora.
- E ben disposta per voi altre, - disse, - e vi può far del bene quanto vuole.
Siate umili e rispettose, rispondete con sincerità alle domande che le piacerà di farvi, e quando non siete interrogate, lasciate fare a me -.
Entrarono in una stanza terrena, dalla quale si passava nel parlatorio: prima di mettervi il piede, il guardiano, accennando l'uscio, disse sottovoce alle donne: - è qui, - come per rammentar loro tutti quegli avvertimenti.
Lucia, che non aveva mai visto un monastero, quando fu nel parlatorio, guardò in giro dove fosse la signora a cui fare il suo inchino, e, non iscorgendo persona, stava come incantata; quando, visto il padre e Agnese andar verso un angolo, guardò da quella parte, e vide una finestra d'una forma singolare, con due grosse e fitte grate di ferro, distanti l'una dall'altra un palmo; e dietro quelle una monaca ritta.
Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta.
Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d'inferiore bianchezza; un'altra benda a pieghe circondava il viso, e terminava sotto il mento in un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a coprire lo scollo d'un nero saio.
Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento.
Due occhi, neri neri anch'essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un'investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d'un odio inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immaginata una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio d'un pensiero nascosto, d'una preoccupazione familiare all'animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti.
Le gote pallidissime scendevano con un contorno delicato e grazioso, ma alterato e reso mancante da una lenta estenuazione.
Le labbra, quantunque appena tinte d'un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel pallore: i loro moti erano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi, pieni d'espressione e di mistero.
La grandezza ben formata della persona scompariva in un certo abbandono del portamento, o compariva sfigurata in certe mosse repentine, irregolari e troppo risolute per una donna, non che per una monaca.
Nel vestire stesso c'era qua e là qualcosa di studiato o di negletto, che annunziava una monaca singolare: la vita era attillata con una certa cura secolaresca, e dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa che dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescriveva di tenerli sempre corti, da quando erano stati tagliati, nella cerimonia solenne del vestimento.
Queste cose non facevano specie alle due donne, non esercitate a distinguer monaca da monaca: e il padre guardiano, che non vedeva la signora per la prima volta, era già avvezzo, come tant'altri, a quel non so che di strano, che appariva nella sua persona, come nelle sue maniere.
Era essa, in quel momento, come abbiam detto, ritta vicino alla grata, con una mano appoggiata languidamente a quella, e le bianchissime dita intrecciate ne' vòti; e guardava fisso Lucia, che veniva avanti esitando.
- Reverenda madre, e signora illustrissima, - disse il guardiano, a capo basso, e con la mano al petto: - questa è quella povera giovine, per la quale m'ha fatto sperare la sua valida protezione; e questa è la madre.
Le due presentate facevano grand'inchini: la signora accennò loro con la mano, che bastava, e disse, voltandosi, al padre: - è una fortuna per me il poter fare un piacere a' nostri buoni amici i padri cappuccini.
Ma, - continuò; - mi dica un po' più particolarmente il caso di questa giovine, per veder meglio cosa si possa fare per lei.
Lucia diventò rossa, e abbassò la testa.
- Deve sapere, reverenda madre...
- incominciava Agnese; ma il guardiano le troncò, con un'occhiata, le parole in bocca, e rispose: - questa giovine, signora illustrissima, mi vien raccomandata, come le ho detto, da un mio confratello.
Essa ha dovuto partir di nascosto dal suo paese, per sottrarsi a de' gravi pericoli; e ha bisogno, per qualche tempo, d'un asilo nel quale possa vivere sconosciuta, e dove nessuno ardisca venire a disturbarla, quand'anche...
- Quali pericoli? - interruppe la signora.
- Di grazia, padre guardiano, non mi dica la cosa così in enimma.
Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto.
- Sono pericoli, - rispose il guardiano, - che all'orecchie purissime della reverenda madre devon essere appena leggermente accennati...
- Oh certamente, - disse in fretta la signora, arrossendo alquanto.
Era verecondia? Chi avesse osservata una rapida espressione di dispetto che accompagnava quel rossore, avrebbe potuto dubitarne; e tanto più se l'avesse paragonato con quello che di tanto in tanto si spandeva sulle gote di Lucia.
- Basterà dire, - riprese il guardiano, - che un cavalier prepotente...
non tutti i grandi del mondo si servono dei doni di Dio, a gloria sua, e in vantaggio del prossimo, come vossignoria illustrissima: un cavalier prepotente, dopo aver perseguitata qualche tempo questa creatura con indegne lusinghe, vedendo ch'erano inutili, ebbe cuore di perseguitarla apertamente con la forza, di modo che la poveretta è stata ridotta a fuggir da casa sua.
- Accostatevi, quella giovine, - disse la signora a Lucia, facendole cenno col dito.
- So che il padre guardiano è la bocca della verità; ma nessuno può esser meglio informato di voi, in quest'affare.
Tocca a voi a dirci se questo cavaliere era un persecutore odioso -.
In quanto all'accostarsi, Lucia ubbidì subito; ma rispondere era un'altra faccenda.
Una domanda su quella materia, quand'anche le fosse stata fatta da una persona sua pari, l'avrebbe imbrogliata non poco: proferita da quella signora, e con una cert'aria di dubbio maligno, le levò ogni coraggio a rispondere.
- Signora...
madre...
reverenda...
- balbettò, e non dava segno d'aver altro a dire.
Qui Agnese, come quella che, dopo di lei, era certamente la meglio informata, si credé autorizzata a venirle in aiuto.
- Illustrissima signora, - disse, - io posso far testimonianza che questa mia figlia aveva in odio quel cavaliere, come il diavolo l'acqua santa: voglio dire, il diavolo era lui; ma mi perdonerà se parlo male, perché noi siam gente alla buona.
Il fatto sta che questa povera ragazza era promessa a un giovine nostro pari, timorato di Dio, e ben avviato; e se il signor curato fosse stato un po' più un uomo di quelli che m'intendo io...
so che parlo d'un religioso, ma il padre Cristoforo, amico qui del padre guardiano, è religioso al par di lui, e quello è un uomo pieno di carità, e, se fosse qui, potrebbe attestare...
- Siete ben pronta a parlare senz'essere interrogata, - interruppe la signora, con un atto altero e iracondo, che la fece quasi parer brutta.
- State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome de' loro figliuoli!
Agnese mortificata diede a Lucia una occhiata che voleva dire: vedi quel che mi tocca, per esser tu tanto impicciata.
Anche il guardiano accennava alla giovine, dandole d'occhio e tentennando il capo, che quello era il momento di sgranchirsi, e di non lasciare in secco la povera mamma.
- Reverenda signora, - disse Lucia, - quanto le ha detto mia madre è la pura verità.
Il giovine che mi discorreva, - e qui diventò rossa rossa, - lo prendevo io di mia volontà.
Mi scusi se parlo da sfacciata, ma è per non lasciar pensar male di mia madre.
E in quanto a quel signore (Dio gli perdoni!) vorrei piuttosto morire, che cader nelle sue mani.
E se lei fa questa carità di metterci al sicuro, giacché siam ridotte a far questa faccia di chieder ricovero, e ad incomodare le persone dabbene; ma sia fatta la volontà di Dio; sia certa, signora, che nessuno potrà pregare per lei più di cuore che noi povere donne.
- A voi credo, - disse la signora con voce raddolcita.
- Ma avrò piacere di sentirvi da solo a solo.
Non che abbia bisogno d'altri schiarimenti, né d'altri motivi, per servire alle premure del padre guardiano, - aggiunse subito, rivolgendosi a lui, con una compitezza studiata.
- Anzi, - continuò, - ci ho già pensato; ed ecco ciò che mi pare di poter far di meglio, per ora.
La fattoressa del monastero ha maritata, pochi giorni sono, l'ultima sua figliuola.
Queste donne potranno occupar la camera lasciata in libertà da quella, e supplire a que' pochi servizi che faceva lei.
Veramente...
- e qui accennò al guardiano che s'avvicinasse alla grata, e continuò sottovoce: - veramente, attesa la scarsezza dell'annate, non si pensava di sostituir nessuno a quella giovine; ma parlerò io alla madre badessa, e una mia parola...
e per una premura del padre guardiano...
In somma do la cosa per fatta.
Il guardiano cominciava a ringraziare, ma la signora l'interruppe: - non occorron cerimonie: anch'io, in un caso, in un bisogno, saprei far capitale dell'assistenza de' padri cappuccini.
Alla fine, - continuò, con un sorriso, nel quale traspariva un non so che d'ironico e d'amaro, - alla fine, non siam noi fratelli e sorelle?
Così detto, chiamò una conversa (due di queste erano, per una distinzione singolare, assegnate al suo servizio privato), e le ordinò che avvertisse di ciò la badessa, e prendesse poi i concerti opportuni, con la fattoressa e con Agnese.
Licenziò questa, accommiatò il guardiano, e ritenne Lucia.
Il guardiano accompagnò Agnese alla porta, dandole nuove istruzioni, e se n'andò a scriver la lettera di ragguaglio all'amico Cristoforo.
" Gran cervellino che è questa signora! " pensava tra sé, per la strada: " curiosa davvero! Ma chi la sa prendere per il suo verso, le fa far ciò che vuole.
Il mio Cristoforo non s'aspetterà certamente ch'io l'abbia servito così presto e bene.
Quel brav'uomo! non c'è rimedio: bisogna che si prenda sempre qualche impegno; ma lo fa per bene.
Buon per lui questa volta, che ha trovato un amico, il quale, senza tanto strepito, senza tanto apparato, senza tante faccende, ha condotto l'aflare a buon porto, in un batter d'occhio.
Sarà contento quel buon Cristoforo, e s'accorgerà che, anche noi qui, siam buoni a qualche cosa ".
La signora, che, alla presenza d'un provetto cappuccino, aveva studiati gli atti e le parole, rimasta poi sola con una giovine contadina inesperta, non pensava più tanto a contenersi; e i suoi discorsi divennero a poco a poco così strani, che, in vece di riferirli, noi crediam più opportuno di raccontar brevemente la storia antecedente di questa infelice; quel tanto cioè che basti a render ragione dell'insolito e del misterioso che abbiam veduto in lei, e a far comprendere i motivi della sua condotta, in quello che avvenne dopo.
Era essa l'ultima figlia del principe ***, gran gentiluomo milanese, che poteva contarsi tra i più doviziosi ddla città.
Ma l'alta opinione che aveva del suo titolo gli faceva parer le sue sostanze appena sufficienti, anzi scarse, a sostenerne il decoro; e tutto il suo pensiero era di conservarle, almeno quali erano, unite in perpetuo, per quanto dipendeva da lui.
Quanti figliuoli avesse, la storia non lo dice espressamente; fa solamente intendere che aveva destinati al chiostro tutti i cadetti dell'uno e dell'altro sesso, per lasciare intatta la sostanza al primogenito, destinato a conservar la famiglia, a procrear cioè de' figliuoli, per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera.
La nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita.
Rimaneva soltanto da decidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza.
Quando venne alla luce, il principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l'idea del chiostro, e che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamò Gertrude.
Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che rappresentavan monache; e que' regali eran sempre accompagnati con gran raccomandazioni di tenerli ben di conto; come cosa preziosa, e con quell'interrogare affermativo: - bello eh? - Quando il principe, o la principessa o il principino, che solo de' maschi veniva allevato in casa, volevano lodar l'aspetto prosperoso della fanciullina, pareva che non trovasser modo d'esprimer bene la loro idea, se non con le parole: - che madre badessa! - Nessuno però le disse mai direttamente: tu devi farti monaca.
Era un'idea sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri.
Se qualche volta la Gertrudina trascorreva a qualche atto un po' arrogante e imperioso, al che la sua indole la portava molto facilmente, - tu sei una ragazzina, - le si diceva: - queste maniere non ti convengono: quando sarai madre badessa, allora comanderai a bacchetta, farai alto e basso -.
Qualche altra volta il principe, riprendendola di cert'altre maniere troppo libere e famigliari alle quali essa trascorreva con uguale facilità, - ehi! ehi! - le diceva; - non è questo il fare d'una par tua: se vuoi che un giorno ti si porti il rispetto che ti sarà dovuto, impara fin d'ora a star sopra di te: ricordati che tu devi essere, in ogni cosa, la prima del monastero; perché il sangue si porta per tutto dove si va.
Tutte le parole di questo genere stampavano nel cervello della fanciullina l'idea che già lei doveva esser monaca; ma quelle che venivan dalla bocca del padre, facevan più effetto di tutte l'altre insieme.
Il contegno del principe era abitualmente quello d'un padrone austero; ma quando si trattava dello stato futuro de' suoi figli, dal suo volto e da ogni sua parola traspariva un'immobilità di risoluzione, una ombrosa gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d'una necessità fatale.
A sei anni, Gertrude fu collocata, per educazione e ancor più per istradamento alla vocazione impostale, nel monastero dove l'abbiamo veduta: e la scelta del luogo non fu senza disegno.
Il buon conduttore delle due donne ha detto che il padre ddla signora era il primo in Monza: e, accozzando questa qualsisia testimonianza con alcune altre indicazioni che l'anonimo lascia scappare sbadatamente qua e là, noi potremmo anche asserire che fosse il feudatario di quel paese.
Comunque sia, vi godeva d'una grandissima autorità; e pensò che lì, meglio che altrove, la sua figlia sarebbe trattata con quelle distinzioni e con quelle finezze che potesser più allettarla a scegliere quel monastero per sua perpetua dimora.
Né s'ingannava: la badessa e alcune altre monache faccendiere, che avevano, come si suol dire, il mestolo in mano, esultarono nel vedersi offerto il pegno d'una protezione tanto utile in ogni occorrenza, tanto gloriosa in ogni momento; accettaron la proposta, con espressioni di riconoscenza, non esagerate, per quanto fossero forti; e corrisposero pienamente all'intenzioni che il principe aveva lasciate trasparire sul collocamento stabile della figliuola: intenzioni che andavan così d'accordo con le loro.
Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per antonomasia la signorina; posto distinto a tavola, nel dormitorio; la sua condotta proposta all'altre per esemplare; chicche e carezze senza fine, e condite con quella famigliarità un po' rispettosa, che tanto adesca i fanciulli, quando la trovano in coloro che vedon trattare gli altri fanciulli con un contegno abituale di superiorità.
Non che tutte le monache fossero congiurate a tirar la poverina nel laccio; ce n'eran molte delle semplici e lontane da ogni intrigo, alle quali il pensiero di sacrificare una figlia a mire interessate avrebbe fatto ribrezzo; ma queste, tutte attente alle loro occupazioni particolari, parte non s'accorgevan bene di tutti que' maneggi, parte non distinguevano quanto vi fosse di cattivo, parte s'astenevano dal farvi sopra esame, parte stavano zitte, per non fare scandoli inutili.
Qualcheduna anche, rammentandosi d'essere stata, con simili arti, condotta a quello di cui s'era pentita poi, sentiva compassione della povera innocentina, e si sfogava col farle carezze tenere e malinconiche: ma questa era ben lontana dal sospettare che ci fosse sotto mistero; e la faccenda camminava.
Sarebbe forse camminata così fino alla fine, se Gertrude fosse stata la sola ragazza in quel monastero.
Ma, tra le sue compagne d'educazione, ce n'erano alcune che sapevano d'esser destinate al matrimonio.
Gertrudina, nudrita nelle idee della sua superiorità, parlava magnificamente de' suoi destini futuri di badessa, di principessa del monastero, voleva a ogni conto esser per le altre un soggetto d'invidia; e vedeva con maraviglia e con dispetto, che alcune di quelle non ne sentivano punto.
All'immagini maestose, ma circoscritte e fredde, che può somministrare il primato in un monastero, contrapponevan esse le immagini varie e luccicanti, di nozze, di pranzi, di conversazioni, di festini, come dicevano allora, di villeggiature, di vestiti, di carrozze.
Queste immagini cagionarono nel cervello di Gertrude quel movimento, quel brulichìo che produrrebbe un gran paniere di fiori appena colti, messo davanti a un alveare.
I parenti e l'educatrici avevan coltivata e accresciuta in lei la vanità naturale, per farle piacere il chiostro; ma quando questa passione fu stuzzicata da idee tanto più omogenee ad essa, si gettò su quelle, con un ardore ben più vivo e più spontaneo.
Per non restare al di sotto di quelle sue compagne, e per condiscendere nello stesso tempo al suo nuovo genio, rispondeva che, alla fin de' conti, nessuno le poteva mettere il velo in capo senza il suo consenso, che anche lei poteva maritarsi, abitare un palazzo, godersi il mondo, e meglio di tutte loro; che lo poteva, pur che l'avesse voluto, che lo vorrebbe, che lo voleva; e lo voleva in fatti.
L'idea della necessità del suo consenso, idea che, fino a quel tempo, era stata come inosservata e rannicchiata in un angolo della sua mente, si sviluppò allora, e si manifestò, con tutta la sua importanza.
Essa la chiamava ogni momento in aiuto, per godersi più tranquillamente l'immagini d'un avvenire gradito.
Dietro questa idea però, ne compariva sempre infallibilmente un'altra: che quel consenso si trattava di negarlo al principe padre, il quale lo teneva già, o mostrava di tenerlo per dato; e, a questa idea, l'animo della figlia era ben lontano dalla sicurezza che ostentavano le sue parole.
Si paragonava allora con le compagne, ch'erano ben altrimenti sicure, e provava per esse dolorosamente l'invidia che, da principio, aveva creduto di far loro provare.
Invidiandole, le odiava: talvolta l'odio s'esalava in dispetti, in isgarbatezze, in motti pungenti; talvolta l'uniformità dell'inclinazioni e delle speranze lo sopiva, e faceva nascere un'intrinsichezza apparente e passeggiera.
Talvolta, volendo pure godersi intanto qualche cosa di reale e di presente, si compiaceva delle preferenze che le venivano accordate, e faceva sentire all'altre quella sua superiorità; talvolta, non potendo più tollerar la solitudine de' suoi timori e de' suoi desidèri, andava, tutta buona, in cerca di quelle, quasi ad implorar benevolenza, consigli, coraggio.
Tra queste deplorabili guerricciole con sé e con gli altri, aveva varcata la puerizia, e s'inoltrava in quell'età così critica, nella quale par che entri nell'animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigorisce tutte l'inclinazioni, tutte l'idee, e qualche volta le trasforma, o le rivolge a un corso impreveduto.
Ciò che Gertrude aveva fino allora più distintamente vagheggiato in que' sogni dell'avvenire, era lo splendore esterno e la pompa: un non so che di molle e d'affettuoso, che da prima v'era diffuso leggermente e come in nebbia, cominciò allora a spiegarsi e a primeggiare nelle sue fantasie.
S'era fatto, nella parte più riposta della mente, come uno splendido ritiro: ivi si rifugiava dagli oggetti presenti, ivi accoglieva certi personaggi stranamente composti di confuse memorie della puerizia, di quel poco che poteva vedere del mondo esteriore, di ciò che aveva imparato dai discorsi delle compagne; si tratteneva con essi, parlava loro, e si rispondeva in loro nome; ivi dava ordini, e riceveva omaggi d'ogni genere.
Di quando in quando, i pensieri della religione venivano a disturbare quelle feste brillanti e faticose.
Ma la religione, come l'avevano insegnata alla nostra poveretta, e come essa l'aveva ricevuta, non bandiva l'orgoglio, anzi lo santificava e lo proponeva come un mezzo per ottenere una felicità terrena.
Privata così della sua essenza, non era più la religione, ma una larva come l'altre.
Negl'intervalli in cui questa larva prendeva il primo posto, e grandeggiava nella fantasia di Gertrude, l'infelice, sopraffatta da terrori confusi, e compresa da una confusa idea di doveri, s'immaginava che la sua ripugnanza al chiostro, e la resistenza all'insinuazioni de' suoi maggiori, nella scelta dello stato, fossero una colpa; e prometteva in cuor suo d'espiarla, chiudendosi volontariamente nel chiostro.
Era legge che una giovine non potesse venire accettata monaca, prima d'essere stata esaminata da un ecclesiastico, chiamato il vicario delle monache, o da qualche altro deputato a ciò, affinché fosse certo che ci andava di sua libera scelta: e questo esame non poteva aver luogo, se non un anno dopo ch'ella avesse esposto a quel vicario il suo desiderio, con una supplica in iscritto.
Quelle monache che avevan preso il tristo incarico di far che Gertrude s'obbligasse per sempre, con la minor possibile cognizione di ciò che faceva, colsero un de' momenti che abbiam detto, per farle trascrivere e sottoscrivere una tal supplica.
E a fine d'indurla più facilmente a ciò, non mancaron di dirle e di ripeterle, che finalmente era una mera formalità, la quale (e questo era vero) non poteva avere efficacia, se non da altri atti posteriori, che dipenderebbero dalla sua volontà.
Con tutto ciò, la supplica non era forse ancor giunta al suo destino, che Gertrude s'era già pentita d'averla sottoscritta.
Si pentiva poi d'essersi pentita, passando così i giorni e i mesi in un'incessante vicenda di sentimenti contrari.
Tenne lungo tempo nascosto alle compagne quel passo, ora per timore d'esporre alle contraddizioni una buona risoluzione, ora per vergogna di palesare uno sproposito.
Vinse finalmente il desiderio di sfogar l'animo, e d'accattar consiglio e coraggio.
C'era un'altra legge, che una giovine non fosse ammessa a quell'esame della vocazione, se non dopo aver dimorato almeno un mese fuori del monastero dove era stata in educazione.
Era già scorso l'anno da che la supplica era stata mandata; e Gertrude fu avvertita che tra poco verrebbe levata dal monastero, e condotta nella casa paterna, per rimanervi quel mese, e far tutti i passi necessari al compimento dell'opera che aveva di fatto cominciata.
Il principe e il resto della famiglia tenevano tutto ciò per certo, come se fosse già avvenuto; ma la giovine aveva tutt'altro in testa: in vece di far gli altri passi pensava alla maniera di tirare indietro il primo.
In tali angustie, si risolvette d'aprirsi con una delle sue compagne, la più franca, e pronta sempre a dar consigli risoluti.
Questa suggerì a Gertrude d'informar con una lettera il padre della sua nuova risoluzione; giacché non le bastava l'animo di spiattellargli sul viso un bravo: non voglio.
E perché i pareri gratuiti, in questo mondo, son molto rari, la consigliera fece pagar questo a Gertrude, con tante beffe sulla sua dappocaggine.
La lettera fu concertata tra quattro o cinque confidenti, scritta di nascosto, e fatta ricapitare per via d'artifizi molto studiati.
Gertrude stava con grand'ansietà, aspettando una risposta che non venne mai.
Se non che, alcuni giorni dopo, la badessa, la fece venir nella sua cella, è, con un contegno di mistero, di disgusto e di compassione, le diede un cenno oscuro d'una gran collera del principe, e d'un fallo ch'ella doveva aver commesso, lasciandole però intendere che, portandosi bene, poteva sperare che tutto sarebbe dimenticato.
La giovinetta intese, e non osò domandar più in là.
Venne finalmente il giorno tanto temuto e bramato.
Quantunque Gertrude sapesse che andava a un combattimento, pure l'uscir di monastero, il lasciar quelle mura nelle quali era stata ott'anni rinchiusa, lo scorrere in carrozza per l'aperta campagna, il riveder la città, la casa, furon sensazioni piene d'una gioia tumultuosa.
In quanto al combattimento, la poveretta, con la direzione di quelle confidenti, aveva già prese le sue misure, e fatto, com'ora si direbbe, il suo piano.
" O mi vorranno forzare ", pensava, " e io starò dura; sarò umile, rispettosa, ma non acconsentirò: non si tratta che di non dire un altro sì; e non lo dirò.
Ovvero mi prenderanno con le buone; e io sarò più buona di loro; piangerò, pregherò, li moverò a compassione: finalmente non pretendo altro che di non esser sacrificata ".
Ma, come accade spesso di simili previdenze, non avvenne né una cosa né l'altra.
I giorni passavano, senza che il padre né altri le parlasse della supplica, né della ritrattazione, senza che le venisse fatta proposta nessuna, né con carezze, né con minacce.
I parenti eran seri, tristi, burberi con lei, senza mai dirne il perché.
Si vedeva solamente che la riguardavano come una rea, come un'indegna: un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei, e la segregasse dalla famiglia, lasciandovela soltanto unita quanto bisognava per farle sentire la sua suggezione.
Di rado, e solo a certe ore stabilite, era ammessa alla compagnia de' parenti e del primogenito.
Tra loro tre pareva che regnasse una gran confidenza, la quale rendeva più sensibile e più doloroso l'abbandono in cui era lasciata Gertrude.
Nessuno le rivolgeva il discorso; e quando essa arrischiava timidamente qualche parola, che non fosse per cosa necessaria, o non attaccava, o veniva corrisposta con uno sguardo distratto, o sprezzante, o severo.
Che se, non potendo più soffrire una così amara e umiliante distinzione, insisteva, e tentava di famigliarizzarsi; se implorava un po' d'amore, si sentiva subito toccare, in maniera indiretta ma chiara, quel tasto della scelta dello stato; le si faceva copertamente sentire che c'era un mezzo di riacquistar l'affetto della famiglia.
Allora Gertrude, che non l'avrebbe voluto a quella condizione, era costretta di tirarsi indietro, di rifiutar quasi i primi segni di benevolenza che aveva tanto desiderati, di rimettersi da sé al suo posto di scomunicata; e per di più, vi rimaneva con una certa apparenza del torto.
Tali sensazioni d'oggetti presenti facevano un contrasto doloroso con quelle ridenti visioni delle quali Gertrude s'era già tanto occupata, e s'occupava tuttavia, nel segreto della sua mente.
Aveva sperato che, nella splendida e frequentata casa paterna, avrebbe potuto godere almeno qualche saggio reale delle cose immaginate; ma si trovò del tutto ingannata.
La clausura era stretta e intera, come nel monastero; d'andare a spasso non si parlava neppure; e un coretto che, dalla casa, guardava in una chiesa contigua, toglieva anche l'unica necessità che ci sarebbe stata d'uscire.
La compagnia era più trista, più scarsa, meno variata che nel monastero.
A ogni annunzio d'una visita, Gertrude doveva salire all'ultimo piano, per chiudersi con alcune vecchie donne di servizio: e lì anche desinava, quando c'era invito.
I servitori s'uniformavano, nelle maniere e ne' discorsi, all'esempio e all'intenzioni de' padroni: e Gertrude, che, per sua inclinazione, avrebbe voluto trattarli con una famigliarità signorile, e che, nello stato in cui si trovava, avrebbe avuto di grazia che le facessero qualche dimostrazione d'affetto, come a una loro pari, e scendeva anche a mendicarne, rimaneva poi umiliata, e sempre più afflitta di vedersi corrisposta con una noncuranza manifesta, benché accompagnata da un leggiero ossequio di formalità.
Dovette però accorgersi che un paggio, ben diverso da coloro, le portava un rispetto, e sentiva per lei una compassione d'un genere particolare.
Il contegno di quel ragazzotto era ciò che Gertrude aveva fino allora visto di più somigliante a quell'ordine di cose tanto contemplato nella sua immaginativa, al contegno di quelle sue creature ideali.
A poco a poco si scoprì un non so che di nuovo nelle maniere della giovinetta: una tranquillità e un'inquietudine diversa dalla solita, un fare di chi ha trovato qualche cosa che gli preme, che vorrebbe guardare ogni momento, e non lasciar vedere agli altri.
Le furon tenuti gli occhi addosso più che mai: che è che non è, una mattina, fu sorpresa da una di quelle cameriere, mentre stava piegando alla sfuggita una carta, sulla quale avrebbe fatto meglio a non iscriver nulla.
Dopo un breve tira tira, la carta rimase nelle mani della cameriera, e da queste passò in quelle del principe.
Il terrore di Gertrude, al rumor de' passi di lui, non si può descrivere né immaginare: era quel padre, era irritato, e lei si sentiva colpevole.
Ma quando lo vide comparire, con quel cipiglio, con quella carta in mano, avrebbe voluto esser cento braccia sotto terra, non che in un chiostro.
Le parole non furon molte, ma terribili: il gastigo intimato subito non fu che d'esser rinchiusa in quella camera, sotto la guardia della donna che aveva fatta la scoperta; ma questo non era che un principio, che un ripiego del momento; si prometteva, si lasciava vedere per aria, un altro gastigo oscuro, indeterminato, e quindi più spaventoso.
Il paggio fu subito sfrattato, com'era naturale; e fu minacciato anche a lui qualcosa di terribile, se, in qualunque tempo, avesse osato fiatar nulla dell'avvenuto.
Nel fargli questa intimazione, il principe gli appoggiò due solenni schiaffi, per associare a quell'avventura un ricordo, che togliesse al ragazzaccio ogni tentazion di vantarsene.
Un pretesto qualunque, per coonestare la licenza data a un paggio, non era difficile a trovarsi; in quanto alla figlia, si disse ch'era incomodata.
Rimase essa dunque col batticuore, con la vergogna, col rimorso, col terrore dell'avvenire, e con la sola compagnia di quella donna odiata da lei, come il testimonio della sua colpa, e la cagione della sua disgrazia.
Costei odiava poi a vicenda Gertrude, per la quale si trovava ridotta, senza saper per quanto tempo, alla vita noiosa di carceriera, e divenuta per sempre custode d'un segreto pericoloso.
Il primo confuso tumulto di que' sentimenti s'acquietò a poco a poco; ma tornando essi poi a uno per volta nell'animo, vi s'ingrandivano, e si fermavano a tormentarlo più distintamente e a bell'agio.
Che poteva mai esser quella punizione minacciata in enimma? Molte e varie e strane se ne affacciavano alla fantasia ardente e inesperta di Gertrude.
Quella che pareva più probabile, era di venir ricondotta al monastero di Monza, di ricomparirvi, non più come la signorina, ma in forma di colpevole, e di starvi rinchiusa, chi sa fino a quando! chi sa con quali trattamenti! Ciò che una tale immaginazione, tutta piena di dolori, aveva forse di più doloroso per lei, era l'apprensione della vergogna.
Le frasi, le parole, le virgole di quel foglio sciagurato, passavano e ripassavano nella sua memoria: le immaginava osservate, pesate da un lettore tanto impreveduto, tanto diverso da quello a cui eran destinate; si figurava che avesser potuto cader sotto gli occhi anche della madre o del fratello, o di chi sa altri: e, al paragon di ciò, tutto il rimanente le pareva quasi un nulla.
L'immagine di colui ch'era stato la prima origine di tutto lo scandolo, non lasciava di venire spesso anch'essa ad infestar la povera rinchiusa: e pensate che strana comparsa doveva far quel fantasma, tra quegli altri così diversi da lui, seri, freddi, minacciosi.
Ma, appunto perché non poteva separarlo da essi, né tornare un momento a quelle fuggitive compiacenze, senza che subito non le s'affacciassero i dolori presenti che n'erano la conseguenza, cominciò a poco a poco a tornarci più di rado, a rispingerne la rimembranza, a divezzarsene.
Né più a lungo, o più volentieri, si fermava in quelle liete e brillanti fantasie d'una volta: eran troppo opposte alle circostanze reali, a ogni probabilità dell'avvenire.
Il solo castello nel quale Gertrude potesse immaginare un rifugio tranquillo e onorevole, e che non fosse in aria, era il monastero, quando si risolvesse d'entrarci per sempre.
Una tal risoluzione (non poteva dubitarne) avrebbe accomodato ogni cosa, saldato ogni debito, e cambiata in un attimo la sua situazione.
Contro questo proposito insorgevano, è vero, i pensieri di tutta la sua vita: ma i tempi eran mutati; e, nell'abisso in cui Gertrude era caduta, e al paragone di ciò che poteva temere in certi momenti, la condizione di monaca festeggiata, ossequiata, ubbidita, le pareva uno zuccherino.
Due sentimenti di ben diverso genere contribuivan pure a intervalli a scemare quella sua antica avversione: talvolta il rimorso del fallo, e una tenerezza fantastica di divozione; talvolta l'orgoglio amareggiato e irritato dalle maniere della carceriera, la quale (spesso, a dire il vero, provocata da lei) si vendicava, ora facendole paura di quel minacciato gastigo, ora svergognandola del fallo.
Quando poi voleva mostrarsi benigna, prendeva un tono di protezione, più odioso ancora dell'insulto.
In tali diverse occasioni, il desiderio che Gertrude sentiva d'uscir dall'unghie di colei, e di comparirle in uno stato al di sopra della sua collera e della sua pietà, questo desiderio abituale diveniva tanto vivo e pungente, da far parere amabile ogni cosa che potesse condurre ad appagarlo.
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigionia, una mattina, Gertrude stuccata ed invelenita all'eccesso, per un di que' dispetti della sua guardiana, andò a cacciarsi in un angolo della camera, e lì, con la faccia nascosta tra le mani, stette qualche tempo a divorar la sua rabbia.
Sentì allora un bisogno prepotente di vedere altri visi, di sentire altre parole, d'esser trattata diversamente.
Pensò al padre, alla famiglia: il pensiero se ne arretrava spaventato.
Ma le venne in mente che dipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò una gioia improvvisa.
Dietro questa, una confusione e un pentimento straordinario del suo fallo, e un ugual desiderio d'espiarlo.
Non già che la sua volontà si fermasse in quel proponimento, ma giammai non c'era entrata con tanto ardore.
S'alzò di lì, andò a un tavolino, riprese quella penna fatale, e scrisse al padre una lettera piena d'entusiasmo e d'abbattimento, d'afflizione e di speranza, implorando il perdono, e mostrandosi indeterminatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere a chi doveva accordarlo.
CAPITOLO X
Vi son de' momenti in cui l'animo, particolarmente de' giovani, è disposto in maniera che ogni poco d'istanza basta a ottenerne ogni cosa che abbia un'apparenza di bene e di sacrifizio: come un fiore appena sbocciato, s'abbandona mollemente sul suo fragile stelo, pronto a concedere le sue fragranze alla prim'aria che gli aliti punto d'intorno.
Questi momenti, che si dovrebbero dagli altri ammirare con timido rispetto, son quelli appunto che l'astuzia interessata spia attentamente, e coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda.
Al legger quella lettera, il principe *** vide subito lo spiraglio aperto alle sue antiche e costanti mire.
Mandò a dire a Gertrude che venisse da lui; e aspettandola, si dispose a batter il ferro, mentre era caldo.
Gertrude comparve, e, senza alzar gli occhi in viso al padre, gli si buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe appena fiato di dire: - perdono! - Egli le fece cenno che s'alzasse; ma, con una voce poco atta a rincorare, le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiederlo; ch'era cosa troppo agevole e troppo naturale a chiunque sia trovato in colpa, e tema la punizione; che in somma bisognava meritarlo.
Gertrude domando, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare.
Il principe (non ci regge il cuore di dargli in questo momento il titolo di padre) non rispose direttamente, ma cominciò a parlare a lungo del fallo di Gertrude: e quelle parole frizzavano sull'animo della poveretta, come lo scorrere d'una mano ruvida sur una ferita.
Continuò dicendo che, quand'anche...
caso mai...
che avesse avuto prima qualche intenzione di collocarla nel secolo, lei stessa ci aveva messo ora un ostacolo insuperabile; giacché a un cavalier d'onore, com'era lui, non sarebbe mai bastato l'animo di regalare a un galantuomo una signorina che aveva dato un tal saggio di sé.
La misera ascoltatrice era annichilata: allora il principe, raddolcendo a grado a grado la voce e le parole, proseguì dicendo che però a ogni fallo c'era rimedio e misericordia; che il suo era di quelli per i quali il rimedio è più chiaramente indicato: ch'essa doveva vedere, in questo tristo accidente, come un avviso che la vita del secolo era troppo piena di pericoli per lei...
- Ah sì! - esclamò Gertrude, scossa dal timore, preparata dalla vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.
- Ah! lo capite anche voi, - riprese incontanente il principe.
- Ebbene, non si parli più del passato: tutto è cancellato.
Avete preso il solo partito onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perché l'avete preso di buona voglia, e con buona maniera, tocca a me a farvelo riuscir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a farne tornare tutto il vantaggio e tutto il merito sopra di voi.
Ne prendo io la cura -.
Così dicendo, scosse un campanello che stava sul tavolino, e al servitore che entrò, disse: - la principessa e il principino subito -.
E seguitò poi con Gertrude: - voglio metterli subito a parte della mia consolazione; voglio che tutti comincin subito a trattarvi come si conviene.
Avete sperimentato in parte il padre severo; ma da qui innanzi proverete tutto il padre amoroso.
A queste parole, Gertrude rimaneva come sbalordita.
Ora ripensava come mai quel sì che le era scappato, avesse potuto significar tanto, ora cercava se ci fosse maniera di riprenderlo, di ristringerne il senso; ma la persuasione del principe pareva così intera, la sua gioia così gelosa, la benignità così condizionata, che Gertrude non osò proferire una parola che potesse turbarle menomamente.
Dopo pochi momenti, vennero i due chiamati, e vedendo lì Gertrude, la guardarono in viso, incerti e maravigliati.
Ma il principe, con un contegno lieto e amorevole, che ne prescriveva loro un somigliante, - ecco, - disse, - la pecora smarrita: e sia questa l'ultima parola che richiami triste memorie.
Ecco la consolazione della famiglia.
Gertrude non ha più bisogno di consigli; ciò che noi desideravamo per suo bene, l'ha voluto lei spontaneamente.
È risoluta, m'ha fatto intendere che è risoluta...
- A questo passo, alzò essa verso il padre uno sguardo tra atterrito e supplichevole, come per chiedergli che sospendesse, ma egli proseguì francamente: - che è risoluta di prendere il velo.
- Brava! bene! - esclamarono, a una voce, la madre e il figlio, e l'uno dopo l'altra abbracciaron Gertrude; la quale ricevette queste accoglienze con lacrime, che furono interpretate per lacrime di consolazione.
Allora il principe si diffuse a spiegar ciò che farebbe per render lieta e splendida la sorte della figlia.
Parlò delle distinzioni di cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una principessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena l'età l'avrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima dignità; e, intanto, non sarebbe soggetta che di nome.
La principessa e il principino rinnovavano, ogni momento, le congratulazioni e gli applausi: Gertrude era come dominata da un sogno.
- Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a far la richiesta alla badessa, - disse il principe.
- Come sarà contenta! Vi so dire che tutto il monastero saprà valutar l'onore che Gertrude gli fa.
Anzi...
perché non ci andiamo oggi? Gertrude prenderà volentieri un po' d'aria.
- Andiamo pure, - disse la principessa.
- Vo a dar gli ordini, - disse il principino.
- Ma...
- proferì sommessamente Gertrude.
- Piano, piano, - riprese il principe: - lasciam decidere a lei: forse oggi non si sente abbastanza disposta, e le piacerebbe più aspettar fino a domani.
Dite: volete che andiamo oggi o domani?
- Domani, - rispose, con voce fiacca, Gertrude, alla quale pareva ancora di far qualche cosa, prendendo un po' di tempo.
- Domani, - disse solennemente il principe: - ha stabilito che si vada domani.
Intanto io vo dal vicario delle monache, a fissare un giorno per l'esame -.
Detto fatto, il principe uscì, e andò veramente (che non fu piccola degnazione) dal detto vicario; e concertarono che verrebbe di lì a due giorni.
In tutto il resto di quella giornata, Gertrude non ebbe un minuto di bene.
Avrebbe desiderato riposar l'animo da tante commozioni, lasciar, per dir così, chiarire i suoi pensieri, render conto a se stessa di ciò che aveva fatto, di ciò che le rimaneva da fare, sapere ciò che volesse, rallentare un momento quella macchina che, appena avviata, andava così precipitosamente; ma non ci fu verso.
L'occupazioni si succedevano senza interruzione, s'incastravano l'una con l'altra.
Subito dopo partito il principe, fu condotta nel gabinetto della principessa, per essere, sotto la sua direzione, pettinata e rivestita dalla sua propria cameriera.
Non era ancor terminato di dar l'ultima mano, che furon avvertite ch'era in tavola.
Gertrude passò in mezzo agl'inchini della servitù, che accennava di congratularsi per la guarigione, e trovò alcuni parenti più prossimi, ch'erano stati invitati in fretta, per farle onore, e per rallegrarsi con lei de' due felici avvenimenti, la ricuperata salute, e la spiegata vocazione.
La sposina (così si chiamavan le giovani monacande, e Gertrude, al suo apparire, fu da tutti salutata con quel nome), la sposina ebbe da dire e da fare a rispondere a' complimenti che le fioccavan da tutte le parti.
Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era come un'accettazione e una conferma; ma come rispondere diversamente? Poco dopo alzati da tavola, venne l'ora della trottata.
Gertrude entrò in carrozza con la madre, e con due zii ch'erano stati al pranzo.
Dopo un solito giro, si riuscì alla strada Marina, che allora attraversava lo spazio occupato ora dal giardin pubblico, ed era il luogo dove i signori venivano in carrozza a ricrearsi delle fatiche della giornata.
Gli zii parlarono anche a Gertrude, come portava la convenienza in quel giorno: e uno di loro, il qual pareva che, più dell'altro, conoscesse ogni persona, ogni carrozza, ogni livrea, e aveva ogni momento qualcosa da dire del signor tale e della signora tal altra, si voltò a lei tutt'a un tratto, e le disse: - ah furbetta! voi date un calcio a tutte queste corbellerie; siete una dirittona voi; piantate negl'impicci noi poveri mondani, vi ritirate a fare una vita beata, e andate in paradiso in carrozza.
Sul tardi, si tornò a casa; e i servitori, scendendo in fretta con le torce, avvertirono che molte visite stavano aspettando.
La voce era corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere.
S'entrò nella sala della conversazione.
La sposina ne fu l'idolo, il trastullo, la vittima.
Ognuno la voleva per sé: chi si faceva prometter dolci, chi prometteva visite, chi parlava della madre tale sua parente, chi della madre tal altra sua conoscente, chi lodava il cielo di Monza, chi discorreva, con gran sapore, della gran figura ch'essa avrebbe fatta là.
Altri, che non avevan potuto ancora avvicinarsi a Gertrude così assediata, stavano spiando l'occasione di farsi innanzi, e sentivano un certo rimorso, fin che non avessero fatto il loro dovere.
A poco a poco, la compagnia s'andò dileguando; tutti se n'andarono senza rimorso, e Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.
- Finalmente, - disse il principe, - ho avuto la consolazione di veder mia figlia trattata da par sua.
Bisogna però confessare che anche lei s'è portata benone, e ha fatto vedere che non sarà impicciata a far la prima figura, e a sostenere il decoro della famiglia.
Si cenò in fretta, per ritirarsi subito, ed esser pronti presto la mattina seguente.
Gertrude contristata, indispettita e, nello stesso tempo, un po' gonfiata da tutti que' complimenti, si rammentò in quel punto ciò che aveva patito dalla sua carceriera; e, vedendo il padre così disposto a compiacerla in tutto, fuor che in una cosa, volle approfittare dell'auge in cui si trovava, per acquietare almeno una delle passioni che la tormentavano.
Mostrò quindi una gran ripugnanza a trovarsi con colei, lagnandosi fortemente delle sue maniere.
- Come! - disse il principe: - v'ha mancato di rispetto colei! Domani, domani, le laverò il capo come va.
Lasciate fare a me, che le farò conoscere chi è lei, e chi siete voi.
E a ogni modo, una figlia della quale io son contento, non deve vedersi intorno una persona che le dispiaccia -.
Così detto, fece chiamare un'altra donna, e le ordinò di servir Gertrude; la quale intanto, masticando e assaporando la soddisfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci così poco sugo, in paragone del desiderio che n'aveva avuto.
Ciò che, anche suo malgrado, s'impossessava di tutto il suo animo, era il sentimento de' gran progressi che aveva fatti, in quella giornata, sulla strada del chiostro, il pensiero che a ritirarsene ora ci vorrebbe molta più forza e risolutezza di quella che sarebbe bastata pochi giorni prima, e che pure non s'era sentita d'avere.
La donna che andò ad accompagnarla in camera, era una vecchia di casa, stata già governante del principino, che aveva ricevuto appena uscito dalle fasce, e tirato su fino all'adolescenza, e nel quale aveva riposte tutte le sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria.
Era essa contenta della decisione fatta in quel giorno, come d'una sua propria fortuna; e Gertrude, per ultimo divertimento, dovette succiarsi le congratulazioni, le lodi, i consigli della vecchia, e sentir parlare di certe sue zie e prozie, le quali s'eran trovate ben contente d'esser monache, perché, essendo di quella casa, avevan sempre goduto i primi onori, avevan sempre saputo tenere uno zampino di fuori, e, dal loro parlatorio, avevano ottenuto cose che le più gran dame, nelle loro sale, non c'eran potute arrivare.
Le parlò delle visite che avrebbe ricevute: un giorno poi, verrebbe il signor principino con la sua sposa, la quale doveva esser certamente una gran signorona; e allora, non solo il monastero, ma tutto il paese sarebbe in moto.
La vecchia aveva parlato mentre spogliava Gertrude, quando Gertrude era a letto; parlava ancora, che Gertrude dormiva.
La giovinezza e la fatica erano state più forti de' pensieri.
Il sonno fu affannoso, torbido, pieno di sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce strillante della vecchia, che venne a svegliarla, perché si preparasse per la gita di Monza.
- Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto; e prima che sia vestita e pettinata, ci vorrà un'ora almeno.
La signora principessa si sta vestendo; e l'hanno svegliata quattr'ore prima del solito.
Il signor principino è già sceso alle scuderie, poi è tornato su, ed è all'ordine per partire quando si sia.
Vispo come una lepre, quel diavoletto: ma! è stato così fin da bambino; e io posso dirlo, che l'ho portato in collo.
Ma quand'è pronto, non bisogna farlo aspettare, perché, sebbene sia della miglior pasta del mondo, allora s'impazientisce e strepita.
Poveretto! bisogna compatirlo: è il suo naturale; e poi questa volta avrebbe anche un po' di ragione, perché s'incomoda per lei.
Guai chi lo tocca in que' momenti! non ha riguardo per nessuno, fuorché per il signor principe.
Ma finalmente non ha sopra di sé che il signor principe, e un giorno, il signor principe sarà lui; più tardi che sia possibile, però.
Lesta, lesta, signorina! Perché mi guarda così incantata? A quest'ora dovrebbe esser fuor della cuccia.
All'immagine del principino impaziente, tutti gli altri pensieri che s'erano affollati alla mente risvegliata di Gertrude, si levaron subito, come uno stormo di passere all'apparir del nibbio.
Ubbidì, si vestì in fretta, si lasciò pettinare, e comparve nella sala, dove i genitori e il fratello eran radunati.
Fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e le fu portata una chicchera di cioccolata: il che, a que' tempi, era quel che già presso i Romani il dare la veste virile.
Quando vennero a avvertir ch'era attaccato, il principe tirò la figlia in disparte, e le disse: - orsù, Gertrude, ieri vi siete fatta onore: oggi dovete superar voi medesima.
Si tratta di fare una comparsa solenne nel monastero e nel paese dove siete destinata a far la prima figura.
V'aspettano...
- È inutile dire che il principe aveva spedito un avviso alla badessa, il giorno avanti.
- V'aspettano, e tutti gli occhi saranno sopra di voi.
Dignità e disinvoltura.
La badessa vi domanderà cosa volete: è una formalità.
Potete rispondere che chiedete d'essere ammessa a vestir l'abito in quel monastero, dove siete stata educata così amorevolmente, dove avete ricevute tante finezze: che è la pura verità.
Dite quelle poche parole, con un fare sciolto: che non s'avesse a dire che v'hanno imboccata, e che non sapete parlare da voi.
Quelle buone madri non sanno nulla dell'accaduto: è un segreto che deve restar sepolto nella famiglia; e perciò non fate una faccia contrita e dubbiosa, che potesse dar qualche sospetto.
Fate vedere di che sangue uscite: manierosa, modesta; ma ricordatevi che, in quel luogo, fuor della famiglia, non ci sarà nessuno sopra di voi.
Senza aspettar risposta, il principe si mosse; Gertrude, la principessa e il principino lo seguirono; scesero tutti le scale, e montarono in carrozza.
Gl'impicci e le noie del mondo, e la vita beata del chiostro, principalmente per le giovani di sangue nobilissimo, furono il tema della conversazione, durante il tragitto.
Sul finir della strada, il principe rinnovò l'istruzioni alla figlia, e le ripeté più volte la formola della risposta.
All'entrare in Monza, Gertrude si sentì stringere il cuore; ma la sua attenzione fu attirata per un istante da non so quali signori che, fatta fermar la carrozza, recitarono non so qual complimento.
Ripreso il cammino, s'andò quasi di passo al monastero, tra gli sguardi de' curiosi, che accorrevano da tutte le parti sulla strada.
Al fermarsi della carrozza, davanti a quelle mura, davanti a quella porta, il cuore si strinse ancor più a Gertrude.
Si smontò tra due ale di popolo, che i servitori facevano stare indietro.
Tutti quegli occhi addosso alla poveretta l'obbligavano a studiar continuamente il suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la tenevano in suggezione i due del padre, a' quali essa, quantunque ne avesse così gran paura, non poteva lasciar di rivolgere i suoi, ogni momento.
E quegli occhi governavano le sue mosse e il suo volto, come per mezzo di redini invisibili.
Attraversato il primo cortile, s'entrò in un altro, e lì si vide la porta del chiostro interno, spalancata e tutta occupata da monache.
Nella prima fila, la badessa circondata da anziane; dietro, altre monache alla rinfusa, alcune in punta di piedi; in ultimo le converse ritte sopra panchetti.
Si vedevan pure qua e là luccicare a mezz'aria alcuni occhietti, spuntar qualche visino tra le tonache: eran le più destre, e le più coraggiose tra l'educande, che, ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca, eran riuscite a farsi un po' di pertugio, per vedere anch'esse qualche cosa.
Da quella calca uscivano acclamazioni; si vedevan molte braccia dimenarsi, in segno d'accoglienza e di gioia.
Giunsero alla porta; Gertrude si trovò a viso a viso con la madre badessa.
Dopo i primi complimenti, questa, con una maniera tra il giulivo e il solenne, le domandò cosa desiderasse in quel luogo, dove non c'era chi le potesse negar nulla.
- Son qui..., - cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo destino, esitò un momento, e rimase con gli occhi fissi sulla folla che le stava davanti.
Vide, in quel momento, una di quelle sue note compagne, che la guardava con un'aria di compassione e di malizia insieme, e pareva che dicesse: ah! la c'è cascata la brava.
Quella vista, risvegliando più vivi nell'animo suo tutti gli antichi sentimenti, le restituì anche un po' di quel poco antico coraggio: e già stava cercando una risposta qualunque, diversa da quella che le era stata dettata; quando, alzato lo sguardo alla faccia del padre, quasi per esperimentar le sue forze, scorse su quella un'inquietudine così cupa, un'impazienza così minaccevole, che, risoluta per paura, con la stessa prontezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terribile, proseguì: - son qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abito religioso, in questo monastero, dove sono stata allevata così amorevolmente -.
La badessa rispose subito, che le dispiaceva molto, in una tale occasione, che le regole non le permettessero di dare immediatamente una risposta, la quale doveva venire dai voti comuni delle suore, e alla quale doveva precedere la licenza de' superiori.
Che però Gertrude, conoscendo i sentimenti che s'avevan per lei in quel luogo, poteva preveder con certezza qual sarebbe questa risposta; e che intanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore di manifestare la consolazione che sentivano di quella richiesta.
S'alzò allora un frastono confuso di congratulazioni e d'acclamazioni.
Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che furon presentati, prima alla sposina, e dopo ai parenti.
Mentre alcune monache facevano a rubarsela, e altre complimentavan la madre, altre il principino, la badessa fece pregare il principe che volesse venire alla grata del parlatorio, dove l'attendeva.
Era accompagnata da due anziane; e quando lo vide comparire, - signor principe, - disse: - per ubbidire alle regole...
per adempire una formalità indispensabile, sebbene in questo caso...
pure devo dirle...
che, ogni volta che una figlia chiede d'essere ammessa a vestir l'abito,...
la superiora, quale io sono indegnamente,...
è obbligata d'avvertire i genitori...
che se, per caso...
forzassero la volontà della figlia, incorrerebbero nella scomunica.
Mi scuserà...
- Benissimo, benissimo, reverenda madre.
Lodo la sua esattezza: è troppo giusto...
Ma lei non può dubitare...
- Oh! pensi, signor principe,...
ho parlato per obbligo preciso,...
del resto...
- Certo, certo, madre badessa.
Barattate queste poche parole, i due interlocutori s'inchinarono vicendevolmente, e si separarono, come se a tutt'e due pesasse di rimaner lì testa testa; e andarono a riunirsi ciascuno alla sua compagnia, l'uno fuori, l'altra dentro la soglia claustrale.
Dato luogo a un po' d'altre ciarle, - Oh via, - disse il principe: - Gertrude potrà presto godersi a suo bell'agio la compagnia di queste madri.
Per ora le abbiamo incomodate abbastanza -.
Così detto, fece un inchino; la famiglia si mosse con lui; si rinnovarono i complimenti, e si partì.
Gertrude, nel tornare, non aveva troppa voglia di discorrere.
Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della sua dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sé stessa, faceva tristamente il conto dell'occasioni, che le rimanevano ancora di dir di no; e prometteva debolmente e confusamente a sé stessa che, in questa, o in quella, o in quell'altra, sarebbe più destra e più forte.
Con tutti questi pensieri, non le era però cessato affatto il terrore di quel cipiglio del padre; talché, quando, con un'occhiata datagli alla sfuggita, poté chiarirsi che sul volto di lui non c'era più alcun vestigio di collera, quando anzi vide che si mostrava soddisfattissimo di lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante, tutta contenta.
Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinare, poi alcune visite, poi la trottata, poi la conversazione, poi la cena.
Sulla fine di questa, il principe mise in campo un altro affare, la scelta della madrina.
Così si chiamava una dama, la quale, pregata da' genitori, diventava custode e scorta della giovane monacanda, nel tempo tra la richiesta e l'entratura nel monastero; tempo che veniva speso in visitar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i santuari: tutte le cose in somma più notabili della città e de' contorni; affinché le giovani, prima di proferire un voto irrevocabile, vedessero bene a cosa davano un calcio.
- Bisognerà pensare a una madrina, - disse il principe: - perché domani verrà il vicario delle monache, per la formalità dell'esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta in capitolo, per esser accettata dalle madri -.
Nel dir questo, s'era voltato verso la principessa; e questa, credendo che fosse un invito a proporre, cominciava: - ci sarebbe...
- Ma il principe interruppe: - No, no, signora principessa: la madrina deve prima di tutto piacere alla sposina; e benché l'uso universale dia la scelta ai parenti, pure Gertrude ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che si faccia un'eccezione per lei -.
E qui, voltandosi a Gertrude, in atto di chi annunzia una grazia singolare, continuò: - ognuna delle dame che si son trovate questa sera alla conversazione, ha quel che si richiede per esser madrina d'una figlia della nostra casa; non ce n'è nessuna, crederei, che non sia per tenersi onorata della preferenza: scegliete voi.
Gertrude vedeva bene che far questa scelta era dare un nuovo consenso; ma la proposta veniva fatta con tanto apparato, che il rifiuto, per quanto fosse umile, poteva parer disprezzo, o almeno capriccio e leziosaggine.
Fece dunque anche quel passo; e nominò la dama che, in quella sera, le era andata più a genio; quella cioè che le aveva fatto più carezze, che l'aveva più lodata, che l'aveva trattata con quelle maniere famigliari, affettuose e premurose, che, ne' primi momenti d'una conoscenza, contraffanno una antica amicizia.
- Ottima scelta, - disse il principe, che desiderava e aspettava appunto quella.
Fosse arte o caso, era avvenuto come quando il giocator di bussolotti facendovi scorrere davanti agli occhi le carte d'un mazzo, vi dice che ne pensiate una, e lui poi ve la indovinerà; ma le ha fatte scorrere in maniera che ne vediate una sola.
Quella dama era stata tanto intorno a Gertrude tutta la sera, l'aveva tanto occupata di sé, che a questa sarebbe bisognato uno sforzo di fantasia per pensarne un'altra.
Tante premure poi non eran senza motivo: la dama aveva, da molto tempo, messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo genero: quindi riguardava le cose di quella casa come sue proprie; ed era ben naturale che s'interessasse per quella cara Gertrude, niente meno de' suoi parenti più prossimi.
Il giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell'esaminatore che doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse cogliere quella occasione così decisiva, per tornare indietro, e in qual maniera, il principe la fece chiamare.
- Orsù, figliuola, - le disse: - finora vi siete portata egregiamente: oggi si tratta di coronar l'opera.
Tutto quel che s'è fatto finora, s'è fatto di vostro consenso.
Se in questo tempo vi fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccio, grilli di gioventù, avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cose, non è più tempo di far ragazzate.
Quell'uomo dabbene che deve venire stamattina, vi farà cento domande sulla vostra vocazione: e se vi fate monaca di vostra volontà, e il perché e il per come, e che so io? Se voi titubate nel rispondere, vi terrà sulla corda chi sa quanto.
Sarebbe un'uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche venire un altro guaio più serio.
Dopo tutte le dimostrazioni pubbliche che si son fatte, ogni più piccola esitazione che si vedesse in voi, metterebbe a repentaglio il mio onore, potrebbe far credere ch'io avessi presa una vostra leggerezza per una ferma risoluzione, che avessi precipitato la cosa, che avessi...
che so io? In questo caso, mi troverei nella necessità di scegliere tra due partiti dolorosi: o lasciar che il mondo formi un tristo concetto della mia condotta: partito che non può stare assolutamente con ciò che devo a me stesso.
O svelare il vero motivo della vostra risoluzione e...
- Ma qui, vedendo che Gertrude era diventata scarlatta, che le si gonfiavan gli occhi, e il viso si contraeva, come le foglie d'un fiore, nell'afa che precede la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria serena, riprese: - via, via, tutto dipende da voi, dal vostro buon giudizio.
So che n'avete molto, e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa fatta bene; ma io doveva preveder tutti i casi.
Non se ne parli più; e restiam d'accordo che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far nascer dubbi nella testa di quell'uomo dabbene.
Così anche voi ne sarete fuori più presto -.
E qui, dopo aver suggerita qualche risposta all'interrogazioni più probabili, entrò nel solito discorso delle dolcezze e de' godimenti ch'eran preparati a Gertrude nel monastero; e la trattenne in quello, fin che venne un servitore ad annunziare il vicario.
Il principe rinnovò in fretta gli avvertimenti più importanti, e lasciò la figlia sola con lui, com'era prescritto.
L'uomo dabbene veniva con un po' d'opinione già fatta che Gertrude avesse una gran vocazione al chiostro: perché così gli aveva detto il principe, quando era stato a invitarlo.
È vero che il buon prete, il quale sapeva che la diffidenza era una delle virtù più necessarie nel suo ufizio, aveva per massima d'andar adagio nel credere a simili proteste, e di stare in guardia contro le preoccupazioni; ma ben di rado avviene che le parole affermative e sicure d'una persona autorevole, in qualsivoglia genere, non tingano del loro colore la mente di chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, - signorina, - le disse, - io vengo a far la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò che, nella sua supplica lei ha dato per certo; vengo a metterle davanti agli occhi le difficoltà, e ad accertarmi se le ha ben considerate.
Si contenti ch'io le faccia qualche interrogazione.
- Dica pure, - rispose Gertrude.
Il buon prete cominciò allora a interrogarla, nella forma prescritta dalle regole.
- Sente lei in cuor suo una libera, spontanea risoluzione di farsi monaca? Non sono state adoperate minacce, o lusinghe? Non s'è fatto uso di nessuna autorità, per indurla a questo? Parli senza riguardi, e con sincerità, a un uomo il cui dovere è di conoscere la sua vera volontà, per impedire che non le venga usata violenza in nessun modo.
La vera risposta a una tale domanda s'affacciò subito alla mente di Gertrude, con un'evidenza terribile.
Per dare quella risposta, bisognava venire a una spiegazione, dire di che era stata minacciata, raccontare una storia...
L'infelice rifuggì spaventata da questa idea; cercò in fretta un'altra risposta; ne trovò una sola che potesse liberarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero.
- Mi fo monaca, - disse, nascondendo il suo turbamento, - mi fo monaca, di mio genio, liberamente.
- Da quanto tempo le è nato codesto pensiero? - domandò ancora il buon prete.
- L'ho sempre avuto, - rispose Gertrude, divenuta, dopo quel primo passo, più franca a mentire contro se stessa.
- Ma quale è il motivo principale che la induce a farsi monaca?
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse; e Gertrude si fece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l'effetto che quelle parole le producevano nell'animo.
- Il motivo, - disse, - è di servire a Dio, e di fuggire i pericoli del mondo.
- Non sarebbe mai qualche disgusto? qualche...
mi scusi...
capriccio? Alle volte, una cagione momentanea può fare un'impressione che par che deva durar sempre; e quando poi la cagione cessa, e l'animo si muta, allora...
- No, no, - rispose precipitosamente Gertrude: - la cagione è quella che le ho detto.
Il vicario, più per adempire interamente il suo obbligo, che per la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette con le domande; ma Gertrude era determinata d'ingannarlo.
Oltre il ribrezzo che le cagionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quel grave e dabben prete, che pareva così lontano dal sospettar tal cosa di lei; la poveretta pensava poi anche ch'egli poteva bene impedire che si facesse monaca; ma lì finiva la sua autorità sopra di lei, e la sua protezione.
Partito che fosse, essa rimarrebbe sola col principe.
E qualunque cosa avesse poi a patire in quella casa, il buon prete non n'avrebbe saputo nulla, o sapendolo, con tutta la sua buona intenzione, non avrebbe potuto far altro che aver compassione di lei, quella compassione tranquilla e misurata, che, in generale, s'accorda, come per cortesia, a chi abbia dato cagione o pretesto al male che gli fanno.
L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare, che la sventurata di mentire: e, sentendo quelle risposte sempre conformi, e non avendo alcun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò finalmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo, scusa d'aver tardato tanto a far questo suo dovere; aggiunse ciò che credeva più atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbatté nel principe, il quale pareva che passasse di là a caso; e con lui pure si congratulò delle buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola.
Il principe era stato fino allora in una sospensione molto penosa: a quella notizia, respirò, e dimenticando la sua gravità consueta, andò quasi di corsa da Gertrude, la ricolmò di lodi, di carezze e di promesse, con un giubilo cordiale, con una tenerezza in gran parte sincera: così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli e di divertimenti.
E neppure descriveremo, in particolare e per ordine, i sentimenti dell'animo suo in tutto quel tempo: sarebbe una storia di dolori e di fluttuazioni, troppo monotona, e troppo somigliante alle cose già dette.
L'amenità de' luoghi, la varietà degli oggetti, quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là all'aria aperta, le rendevan più odiosa l'idea del luogo dove alla fine si smonterebbe per l'ultima volta, per sempre.
Più pungenti ancora eran l'impressioni che riceveva nelle conversazioni e nelle feste.
La vista delle spose alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e più usitato, le cagionava un'invidia, un rodimento intollerabile; e talvolta l'aspetto di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel sentirsi dare quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità.
Talvolta la pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichìo e il fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ardor tale di viver lieto, che prometteva a se stessa di disdirsi, di soffrir tutto, piuttosto che tornare all'ombra fredda e morta del chiostro.
Ma tutte quelle risoluzioni sfumavano alla considerazione più riposata delle difficoltà, al solo fissar gli occhi in viso al principe.
Talvolta anche, il pensiero di dover abbandonare per sempre que' godimenti, gliene rendeva arnaro e penoso quel piccol saggio; come l'infermo assetato guarda con rabbia, e quasi rispinge con dispetto il cucchiaio d'acqua che il medico gli concede a fatica.
Intanto il vicario delle monache ebbe rilasciata l'attestazione necessaria, e venne la licenza di tenere il capitolo per l'accettazione di Gertrude.
Il capitolo si tenne; concorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi de' voti segreti ch'eran richiesti da' regolamenti; e Gertrude fu accettata.
Lei medesima, stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar più presto che fosse possibile, nel monastero.
Non c'era sicuramente chi volesse frenare una tale impazienza.
Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l'abito.
Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre.
È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa.
Se al passato c'è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c'è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessita virtù.
Insegna a continuare con sapienza ciò ch'è stato intrapreso per leggerezza; piega l'animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione.
È una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine.
Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta.
Ma l'infelice si dibatteva in vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse.
Un rammarico incessante della libertà perduta, l'abborrimento dello stato presente, un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero mai soddisfatti, tali erano le principali occupazioni dell'animo suo.
Rimasticava quell'amaro passato, ricomponeva nella memoria tutte le circostanze per le quali si trovava lì; e disfaceva mille volte inutilmente col pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sé di dappocaggine, altri di tirannia e di perfidia; e si rodeva.
Idolatrava insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata a struggersi in un lento martirio, e invidiava, in certi momenti, qualunque donna, in qualunque condizione, con qualunque coscienza, potesse liberamente godersi nel mondo que' doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a tirarla là dentro, le era odiosa.
Si ricordava l'arti e i raggiri che avevan messi in opera, e le pagava con tante sgarbatezze, con tanti dispetti, e anche con aperti rinfacciamenti.
A quelle conveniva le più volte mandar giù e tacere: perché il principe aveva ben voluto tiranneggiar la figlia quanto era necessario per ispingerla al chiostro; ma ottenuto l'intento, non avrebbe così facilmente sofferto che altri pretendesse d'aver ragione contro il suo sangue: e ogni po' di rumore che avesser fatto, poteva esser cagione di far loro perdere quella gran protezione, o cambiar per avventura il protettore in nemico.
Pare che Gertrude avrebbe dovuto sentire una certa propensione per l'altre suore, che non avevano avuto parte in quegl'intrighi, e che, senza averla desiderata per compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate e ilari, le mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse non solo vivere, ma starci bene.
Ma queste pure le erano odiose, per un altro verso.
La loro aria di pietà e di contentezza le riusciva come un rimprovero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica; e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le spalle, come pinzochere, o di morderle come ipocrite.
Forse sarebbe stata meno avversa ad esse, se avesse saputo o indovinato che le poche palle nere, trovate nel bossolo che decise della sua accettazione, c'erano appunto state messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel comandare, nell'esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di complimento da persone di fuori, nello spuntar qualche impegno, nello spendere la sua protezione, nel sentirsi chiamar la signora; ma quali consolazioni! Il cuore, trovandosene così poco appagato, avrebbe voluto di quando in quando aggiungervi, e goder con esse le consolazioni della religione; ma queste non vengono se non a chi trascura quell'altre: come il naufrago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo in salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno, e abbandonar l'alghe, che aveva prese, per una rabbia d'istinto.
Poco dopo la professione, Gertrude era stata fatta maestra dell'educande; ora pensate come dovevano stare quelle giovinette, sotto una tal disciplina.
Le sue antiche confidenti eran tutte uscite; ma lei serbava vive tutte le passioni di quel tempo; e, in un modo o in un altro, l'allieve dovevan portarne il peso.
Quando le veniva in mente che molte di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale essa era esclusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio, un desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bistrattava, faceva loro scontare anticipatamente i piaceri che avrebber goduti un giorno.
Chi avesse sentito, in que' momenti, con che sdegno magistrale le gridava, per ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una donna d'una spiritualità salvatica e indiscreta.
In altri momenti, lo stesso orrore per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava in accessi d'umore tutto opposto.
Allora, non solo sopportava la svagatezza clamorosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mischiava ne' loro giochi, e li rendeva più sregolati; entrava a parte de' loro discorsi, e li spingeva più in là dell'intenzioni con le quali esse gli avevano incominciati.
Se qualcheduna diceva una parola sul cicalìo della madre badessa, la maestra lo imitava lungamente, e ne faceva una scena di commedia; contraffaceva il volto d'una monaca, l'andatura d'un'altra: rideva allora sgangheratamente; ma eran risa che non la lasciavano più allegra di prima.
Così era vissuta alcuni anni, non avendo comodo, né occasione di far di più; quando la sua disgrazia volle che un'occasione si presentasse.
Tra l'altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c'era anche quello di stare in un quartiere a parte.
Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de' tanti, che, in que' tempi, e co' loro sgherri, e con l'alleanze d'altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi.
Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato.
Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall'empietà dell'impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso.
La sventurata rispose.
In que' primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva.
Nel vòto uggioso dell'animo suo s'era venuta a infondere un'occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti.
Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne, tutt'a un tratto, più regolare, più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda del cambiamento felice; lontane com'erano dall'immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all'antiche magagne.
Quell'apparenza però, quella, per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l'imprecazioni e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca.
Però, ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole.
Le suore sopportavano alla meglio tutti questi alt'e bassi, e gli attribuivano all'indole bisbetica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e, che, a tempo e luogo, avrebbe parlato.
Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace.
Non passò però molto tempo, che la conversa fu aspettata in vano, una mattina, a' suoi ufizi consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c'è in nessun luogo.
E chi sa quali congetture si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperto una buca nel muro dell'orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse sfrattata di là.
Si fecero gran ricerche in Monza e ne' contorni, e principalmente a Meda, di dov'era quella conversa; si scrisse in varie parti: non se n'ebbe mai la più piccola notizia.
Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino.
Dopo molte maraviglie, perché nessuno l'avrebbe creduta capace di ciò, e dopo molti discorsi, si concluse che doveva essere andata lontano, lontano.
E perché scappò detto a una suora: - s'è rifugiata in Olanda di sicuro, - si disse subito, e si ritenne per un pezzo, nel monastero e fuori, che si fosse rifugiata in Olanda.
Non pare però che la signora fosse di questo parere.
Non già che mostrasse di non credere, o combattesse l'opinion comune, con sue ragioni particolari: se ne aveva, certo, ragioni non furono mai così ben dissimulate; né c'era cosa da cui s'astenesse più volentieri che da rimestar quella storia, cosa di cui si curasse meno che di toccare il fondo di quel mistero.
Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pensava.
Quante volte al giorno l'immagine di quella donna veniva a cacciarsi d'improvviso nella sua mente, e si piantava lì, e non voleva moversi! Quante volte avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e reale, piuttosto che averla sempre fissa nel pensiero, piuttosto che dover trovarsi, giorno e notte, in compagnia di quella forma vana, terribile, impassibile! Quante volte avrebbe voluto sentir davvero la voce di colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver sempre nell'intimo dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quella stessa voce, e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un'insistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai!
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu presentata alla signora, ed ebbe con lei quel colloquio al quale siam rimasti col racconto.
La signora moltiplicava le domande intorno alla persecuzione di don Rodrigo, e entrava in certi particolari, con una intrepidezza, che riuscì e doveva riuscire più che nuova a Lucia, la quale non aveva mai pensato che la curiosità delle monache potesse esercitarsi intorno a simili argomenti.
I giudizi poi che quella frammischiava all'interrogazioni, o che lasciava trasparire, non eran meno strani.
Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucia aveva sempre avuto di quel signore, e domandava se era un mostro, da far tanta paura: pareva quasi che avrebbe trovato irragionevole e sciocca la ritrosia della giovine, se non avesse avuto per ragione la preferenza data a Renzo.
E su questo pure s'avanzava a domande, che facevano stupire e arrossire l'interrogata.
Avvedendosi poi d'aver troppo lasciata correr la lingua dietro agli svagamenti del cervello, cercò di correggere e d'interpretare in meglio quelle sue ciarle; ma non poté fare che a Lucia non ne rimanesse uno stupore dispiacevole, e come un confuso spavento.
E appena poté trovarsi sola con la madre, se n'aprì con lei; ma Agnese, come più esperta, sciolse, con poche parole, tutti que' dubbi, e spiegò tutto il mistero.
- Non te ne far maraviglia, - disse: - quando avrai conosciuto il mondo quanto me, vedrai che non son cose da farsene maraviglia.
I signori, chi più, chi meno, chi per un verso, chi per un altro, han tutti un po' del matto.
Convien lasciarli dire, principalmente quando s'ha bisogno di loro; far vista d'ascoltarli sul serio, come se dicessero delle cose giuste.
Hai sentito come m'ha dato sulla voce, come se avessi detto qualche gran sproposito? Io non me ne son fatta caso punto.
Son tutti così.
E con tutto ciò, sia ringraziato il cielo, che pare che questa signora t'abbia preso a ben volere, e voglia proteggerci davvero.
Del resto, se camperai, figliuola mia, e se t'accaderà ancora d'aver che fare con de' signori, ne sentirai, ne sentirai, ne sentirai.
Il desiderio d'obbligare il padre guardiano, la compiacenza di proteggere, il pensiero del buon concetto che poteva fruttare la protezione impiegata così santamente, una certa inclinazione per Lucia, e anche un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente, nel soccorrere e consolare oppressi, avevan realmente disposta la signora a prendersi a petto la sorte delle due povere fuggitive.
A sua richiesta, e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della fattoressa attiguo al chiostro, e trattate come se fossero addette al servizio del monastero.
La madre e la figlia si rallegravano insieme d'aver trovato così presto un asilo sicuro e onorato.
Avrebber anche avuto molto piacere di rimanervi ignorate da ogni persona; ma la cosa non era facile in un monastero: tanto più che c'era un uomo troppo premuroso d'aver notizie d'una di loro, e nell'animo del quale, alla passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza d'essere stato prevenuto e deluso.
E noi, lasciando le donne nel loro ricovero, torneremo al palazzotto di costui, nell'ora in cui stava attendendo l'esito della sua scellerata spedizione.
CAPITOLO XI
Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi, e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo.
Egli camminava innanzi e indietro, al buio, per una stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispondeva sulla spianata.
Ogni tanto si fermava, tendeva l'orecchio, guardava dalle fessure dell'imposte intarlate, pieno d'impazienza e non privo d'inquietudine, non solo per l'incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze possibili; perché era la più grossa e la più arrischiata a cui il brav'uomo avesse ancor messo mano.
S'andava però rassicurando col pensiero delle precauzioni prese per distrugger gl'indizi, se non i sospetti.
" In quanto ai sospetti ", pensava, " me ne rido.
Vorrei un po' sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c'è o non c'è una ragazza.
Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto.
Venga il frate, venga.
La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia.
La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, né un matto.
E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno.
Via, via, niente paura.
Come rimarrà Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io fo ciarle o fatti.
E poi...
se mai nascesse qualche imbroglio...
che so io? qualche nemico che volesse cogliere quest'occasione,...
anche Attilio saprà consigliarmi: c'è impegnato l'onore di tutto il parentado ".
Ma il pensiero sul quale si fermava di più, perché in esso trovava insieme un acquietamento de' dubbi, e un pascolo alla passion principale, era il pensiero delle lusinghe, delle promesse che adoprerebbe per abbonire Lucia.
" Avrà tanta paura di trovarsi qui sola, in mezzo a costoro, a queste facce, che...
il viso più umano qui son io, per bacco...
che dovrà ricorrere a me, toccherà a lei a pregare; e se prega ".
Mentre fa questi bei conti, sente un calpestìo, va alla finestra, apre un poco, fa capolino; son loro.
" E la bussola? Diavolo! dov'è la bussola? Tre, cinque, otto: ci son tutti; c'è anche il Griso; la bussola non c'è: diavolo! diavolo! il Griso me ne renderà conto ".
Entrati che furono, il Griso posò in un angolo d'una stanza terrena il suo bordone, posò il cappellaccio e il sanrocchino, e, come richiedeva la sua carica, che in quel momento nessuno gl'invidiava, salì a render quel conto a don Rodrigo.
Questo l'aspettava in cima alla scala; e vistolo apparire con quella goffa e sguaiata presenza del birbone deluso, - ebbene, - gli disse, o gli gridò: - signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame?
- L'è dura, - rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino, - l'è dura di ricever de' rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle.
- Com'è andata? Sentiremo, sentiremo, - disse don Rodrigo, e s'avviò verso la sua camera, dove il Griso lo seguì, e fece subito la relazione di ciò che aveva disposto, fatto, veduto e non veduto, sentito, temuto, riparato; e la fece con quell'ordine e con quella confusione, con quella dubbiezza e con quello sbalordimento, che dovevano per forza regnare insieme nelle sue idee.
- Tu non hai torto, e ti sei portato bene, - disse don Rodrigo: - hai fatto quello che si poteva; ma...
ma, che sotto questo tetto ci fosse una spia! Se c'è, se lo arrivo a scoprire, e lo scopriremo se c'è, te l'accomodo io; ti so dir io, Griso, che lo concio per il dì delle feste.
- Anche a me, signore, - disse il Griso, - è passato per la mente un tal sospetto: e se fosse vero, se si venisse a scoprire un birbone di questa sorte, il signor padrone lo deve metter nelle mie mani.
Uno che si fosse preso il divertimento di farmi passare una notte come questa! toccherebbe a me a pagarlo.
Però, da varie cose m'è parso di poter rilevare che ci dev'essere qualche altro intrigo, che per ora non si può capire.
Domani, signore, domani se ne verrà in chiaro.
- Non siete stati riconosciuti almeno?
Il Griso rispose che sperava di no; e la conclusione del discorso fu che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo, tre cose che colui avrebbe sapute ben pensare anche da sé.
Spedire la mattina presto due uomini a fare al console quella tale intimazione, che fu poi fatta, come abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda, per tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse, e sottrarre a ogni sguardo la bussola fino alla notte prossima, in cui si manderebbe a prenderla; giacché per allora non conveniva fare altri movimenti da dar sospetto; andar poi lui, e mandare anche altri, de' più disinvolti e di buona testa, a mescolarsi con la gente, per scovar qualcosa intorno all'imbroglio di quella notte.
Dati tali ordini, don Rodrigo se n'andò a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, dalle quali traspariva evidentemente l'intenzione di risarcirlo degl'improperi precipitati coi quali lo aveva accolto.
Va a dormire, povero Griso, che tu ne devi aver bisogno.
Povero Griso! In faccende tutto il giorno, in faccende mezza la notte, senza contare il pericolo di cader sotto l'unghie de' villani, o di buscarti una taglia per rapto di donna honesta, per giunta di quelle che hai già addosso; e poi esser ricevuto in quella maniera! Ma! così pagano spesso gli uomini.
Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che qualche volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o tardi anche in questo mondo.
Va a dormire per ora: che un giorno avrai forse a somministrarcene un'altra prova, e più notabile di questa.
La mattina seguente, il Griso era fuori di nuovo in faccende, quando don Rodrigo s'alzò.
Questo cercò subito del conte Attilio, il quale, vedendolo spuntare, fece un viso e un atto canzonatorio, e gli gridò: - san Martino!
- Non so cosa vi dire, - rispose don Rodrigo, arrivandogli accanto: - pagherò la scommessa; ma non è questo quel che più mi scotta.
Non v'avevo detto nulla, perche, lo confesso, pensavo di farvi rimanere stamattina.
Ma...
basta, ora vi racconterò tutto.
- Ci ha messo uno zampino quel frate in quest'affare, - disse il cugino, dopo aver sentito tutto, con più serietà che non si sarebbe aspettato da un cervello così balzano.
- Quel frate, - continuò, - con quel suo fare di gatta morta, e con quelle sue proposizioni sciocche, io l'ho per un dirittone, e per un impiccione.
E voi non vi siete fidato di me, non m'avete mai detto chiaro cosa sia venuto qui a impastocchiarvi l'altro giorno -.
Don Rodrigo riferì il dialogo.
- E voi avete avuto tanta sofferenza? - esclamò il conte Attilio: - e l'avete lasciato andare com'era venuto?
- Che volevate ch'io mi tirassi addosso tutti i cappuccini d'Italia?
- Non so, - disse il conte Attilio, - se, in quel momento, mi sarei ricordato che ci fossero al mondo altri cappuccini che quel temerario birbante; ma via, anche nelle regole della prudenza, manca la maniera di prendersi soddisfazione anche d'un cappuccino? Bisogna saper raddoppiare a tempo le gentilezze a tutto il corpo, e allora si può impunemente dare un carico di bastonate a un membro.
Basta; ha scansato la punizione che gli stava più bene; ma lo prendo io sotto la mia protezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si parla co' pari nostri.
- Non mi fate peggio.
- Fidatevi una volta, che vi servirò da parente e da amico.
- Cosa pensate di fare?
- Non lo so ancora; ma lo servirò io di sicuro il frate.
Ci penserò, e...
il signor conte zio del Consiglio segreto è lui che mi deve fare il servizio.
Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Doman l'altro sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate sarà servito.
Venne intanto la colazione, la quale non interruppe il discorso d'un affare di quell'importanza.
Il conte Attilio ne parlava con disinvoltura; e, sebbene ci prendesse quella parte che richiedeva la sua amicizia per il cugino, e l'onore del nome comune, secondo le idee che aveva d'amicizia e d'onore, pure ogni tanto non poteva tenersi di non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita.
Ma don Rodrigo, ch'era in causa propria, e che, credendo di far quietamente un gran colpo, gli era andato fallito con fracasso, era agitato da passioni più gravi, e distratto da pensieri più fastidiosi.
- Di belle ciarle, - diceva, - faranno questi mascalzoni, in tutto il contorno.
Ma che m'importa? In quanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n'è; quando ce ne fosse, me ne riderei ugualmente: a buon conto, ho fatto stamattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione dell'avvenuto.
Non ne seguirebbe nulla; ma le ciarle, quando vanno in lungo, mi seccano.
È anche troppo ch'io sia stato burlato così barbaramente.
- Avete fatto benissimo, - rispondeva il conte Attilio.
- Codesto vostro podestà...
gran caparbio, gran testa vota, gran seccatore d'un podestà...
è poi un galantuomo, un uomo che sa il suo dovere; e appunto quando s'ha che fare con persone tali, bisogna aver più riguardo di non metterle in impicci.
Se un mascalzone di console fa una deposizione, il podestà, per quanto sia ben intenzionato, bisogna pure che...
- Ma voi, - interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo, - voi guastate le mie faccende, con quel vostro contraddirgli in tutto, e dargli sulla voce, e canzonarlo anche, all'occorrenza.
Che diavolo, che un podestà non possa esser bestia e ostinato, quando nel rimanente è un galantuomo!
- Sapete, cugino, - disse guardandolo, maravigliato, il conte Attilio, - sapete, che comincio a credere che abbiate un po' di paura? Mi prendete sul serio anche il podestà...
- Via via, non avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?
- L'ho detto: e quando si tratta d'un affare serio, vi farò vedere che non sono un ragazzo.
Sapete cosa mi basta l'animo di far per voi? Son uomo da andare in persona a far visita al signor podestà.
Ah! sarà contento dell'onore? E son uomo da lasciarlo parlare per mezz'ora del conte duca, e del nostro signor castellano spagnolo, e da dargli ragione in tutto, anche quando ne dirà di quelle così massicce.
Butterò poi là qualche parolina sul conte zio del Consiglio segreto: e sapete che efletto fanno quelle paroline nell'orecchio del signor podestà.
Alla fin de' conti, ha più bisogno lui della nostra protezione, che voi della sua condiscendenza.
Farò di buono, e ci anderò, e ve lo lascerò meglio disposto che mai.
Dopo queste e altre simili parole, il conte Attilio uscì, per andare a caccia; e don Rodrigo stette aspettando con ansietà il ritorno del Griso.
Venne costui finalmente, sull'ora del desinare, a far la sua relazione.
Lo scompiglio di quella notte era stato tanto clamoroso, la sparizione di tre persone da un paesello era un tal avvenimento, che le ricerche, e per premura e per curiosità, dovevano naturalmente esser molte e calde e insistenti; e dall'altra parte, gl'informati di qualche cosa eran troppi, per andar tutti d'accordo a tacer tutto.
Perpetua non poteva farsi veder sull'uscio, che non fosse tempestata da quello e da quell'altro, perché dicesse chi era stato a far quella gran paura al suo padrone: e Perpetua, ripensando a tutte le circostanze del fatto, e raccapezzandosi finalmente ch'era stata infinocchiata da Agnese, sentiva tanta rabbia di quella perfidia, che aveva proprio bisogno d'un po' di sfogo.
Non già che andasse lamentandosi col terzo e col quarto della maniera tenuta per infinocchiar lei: su questo non fiatava; ma il tiro fatto al suo povero padrone non lo poteva passare affatto sotto silenzio; e sopra tutto, che un tiro tale fosse stato concertato e tentato da quel giovine dabbene, da quella buona vedova, da quella madonnina infilzata.
Don Abbondio poteva ben comandarle risolutamente, e pregarla cordialmente che stesse zitta; lei poteva bene ripetergli che non faceva bisogno di suggerirle una cosa tanto chiara e tanto naturale; certo è che un così gran segreto stava nel cuore della povera donna, come, in una botte vecchia e mal cerchiata, un vino molto giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda il tappo per aria, gli geme all'intorno, e vien fuori in ischiuma, e trapela tra doga e doga, e gocciola di qua e di là, tanto che uno può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino è.
Gervaso, a cui non pareva vero d'essere una volta più informato degli altri, a cui non pareva piccola gloria l'avere avuta una gran paura, a cui, per aver tenuto dl mano a una cosa che puzzava di criminale, pareva d'esser diventato un uomo come gli altri, crepava di voglia di vantarsene.
E quantunque Tonio, che pensava seriamente all'inquisizioni e ai processi possibili e al conto da rendere, gli comandasse, co' pugni sul viso, di non dir nulla a nessuno, pure non ci fu verso di soffogargli in bocca ogni parola.
Del resto Tonio, anche lui, dopo essere stato quella notte fuor di casa in ora insolita, tornandovi, con un passo e con un sembiante insolito, e con un'agitazion d'animo che lo disponeva alla sincerità, non poté dissimulare il fatto a sua moglie; la quale non era muta.
Chi parlò meno, fu Menico; perché, appena ebbe raccontata ai genitori la storia e il motivo della sua spedizione, parve a questi una cosa così terribile che un loro figliuolo avesse avuto parte a buttare all'aria un'impresa di don Rodrigo, che quasi quasi non lasciaron finire al ragazzo il suo racconto.
Gli fecero poi subito i più forti e minacciosi comandi che guardasse bene di non far neppure un cenno di nulla: e la mattina seguente, non parendo loro d'essersi abbastanza assicurati, risolvettero di tenerlo chiuso in casa, per quel giorno, e per qualche altro ancora.
Ma che? essi medesimi poi, chiacchierando con la gente del paese, e senza voler mostrar di saperne più di loro, quando si veniva a quel punto oscuro della fuga de' nostri tre poveretti, e del come, e del perché, e del dove, aggiungevano, come cosa conosciuta, che s'eran rifugiati a Pescarenico.
Così anche questa circostanza entrò ne' discorsi comuni.
Con tutti questi brani di notizie, messi poi insieme e cuciti come s'usa, e con la frangia che ci s'attacca naturalmente nel cucire, c'era da fare una storia d'una certezza e d'una chiarezza tale, da esserne pago ogni intelletto più critico.
Ma quella invasion de' bravi, accidente troppo grave e troppo rumoroso per esser lasciato fuori, e del quale nessuno aveva una conoscenza un po' positiva, quell'accidente era ciò che imbrogliava tutta la storia.
Si mormorava il nome di don Rodrigo: in questo andavan tutti d'accordo; nel resto tutto era oscurità e congetture diverse.
Si parlava molto de' due bravacci ch'erano stati veduti nella strada, sul far della sera, e dell'altro che stava sull'uscio dell'osteria; ma che lume si poteva ricavare da questo fatto così asciutto? Si domandava bene all'oste chi era stato da lui la sera avanti; ma l'oste, a dargli retta, non sl rammentava neppure se avesse veduto gente quella sera; e badava a dire che l'osteria è un porto di mare.
Sopra tutto, confondeva le teste, e disordinava le congetture quel pellegrino veduto da Stefano e da Carlandrea, quel pellegrino che i malandrini volevano ammazzare, e che se n'era andato con loro, o che essi avevan portato via.
Cos'era venuto a fare? Era un'anima del purgatorio, comparsa per aiutar le donne; era un'anima dannata d'un pellegrino birbante e impostore, che veniva sempre di notte a unirsi con chi facesse di quelle che lui aveva fatte vivendo; era un pellegrino vivo e vero, che coloro avevan voluto ammazzare, per timor che gridasse, e destasse il paese; era (vedete un po' cosa si va a pensare!) uno di quegli stessi malandrini travestito da pellegrino; era questo, era quello, era tante cose che tutta la sagacità e l'esperienza del Griso non sarebbe bastata a scoprire chi fosse, se il Griso avesse dovuto rilevar questa parte della storia da' discorsi altrui.
Ma, come il lettore sa, ciò che la rendeva imbrogliata agli altri, era appunto il più chiaro per lui: servendosene di chiave per interpretare le altre notizie raccolte da lui immediatamente, o col mezzo degli esploratori subordinati, poté di tutto comporne per don Rodrigo una relazione bastantemente distinta.
Si chiuse subito con lui, e l'informò del colpo tentato dai poveri sposi, il che spiegava naturalmente la casa trovata vota e il sonare a martello, senza che facesse bisogno di supporre che in casa ci fosse qualche traditore, come dicevano que' due galantuomini.
L'informò della fuga; e anche a questa era facile trovarci le sue ragioni: il timore degli sposi colti in fallo, o qualche avviso dell'invasione, dato loro quand'era scoperta, e il paese tutto a soqquadro.
Disse finalmente che s'eran ricoverati a Pescarenico; più in là non andava la sua scienza.
Piacque a don Rodrigo l'esser certo che nessuno l'aveva tradito, e il vedere che non rimanevano tracce del suo fatto; ma fu quella una rapida e leggiera compiacenza.
- Fuggiti insieme! - gridò: - insieme! E quel frate birbante! Quel frate! - la parola gli usciva arrantolata dalla gola, e smozzicata tra' denti, che mordevano il dito: il suo aspetto era brutto come le sue passioni.
- Quel frate me la pagherà.
Griso! non son chi sono...
voglio sapere, voglio trovare...
questa sera, voglio saper dove sono.
Non ho pace.
A Pescarenico, subito, a sapere, a vedere, a trovare...
Quattro scudi subito, e la mia protezione per sempre.
Questa sera lo voglio sapere.
E quel birbone...! quel frate...!
Il Griso di nuovo in campo; e, la sera di quel giorno medesimo, poté riportare al suo degno padrone la notizia desiderata: ed ecco in qual maniera.
Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto.
Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine.
Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui.
Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni.
Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione.
Così, d'amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell'immensa catena, tanto che arriva all'orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai.
Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi.
Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì moltiplici, che non è più possibile di seguirne la traccia.
Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante bocche fosse passato il segreto che il Griso aveva ordine di scovare: il fatto sta che il buon uomo da cui erano state scortate le donne a Monza, tornando, verso le ventitre, col suo baroccio, a Pescarenico, s'abbatté, prima d'arrivare a casa, in un amico fidato, al quale raccontò, in gran confidenza, l'opera buona che aveva fatta, e il rimanente; e il fatto sta che il Griso poté, due ore dopo, correre al palazzotto, a riferire a don Rodrigo che Lucia e sua madre s'eran ricoverate in un convento di Monza, e che Renzo aveva seguitata la sua strada fino a Milano.
Don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella separazione, e sentì rinascere un po' di quella scellerata speranza d'arrivare al suo intento.
Pensò alla maniera, gran parte della notte; e s'alzò presto, con due disegni, l'uno stabilito, l'altro abbozzato.
Il primo era di spedire immantinente il Griso a Monza, per aver più chiare notizie di Lucia, e sapere se ci fosse da tentar qualche cosa.
Fece dunque chiamar subito quel suo fedele, gli mise in mano i quattro scudi, lo lodò di nuovo dell'abilità con cui gli aveva guadagnati, e gli diede l'ordine che aveva premeditato.
- Signore...
- disse, tentennando, il Griso.
- Che? non ho io parlato chiaro?
- Se potesse mandar qualchedun altro...
- Come?
- Signore illustrissimo, io son pronto a metterci la pelle per il mio padrone: è il mio dovere; ma so anche che lei non vuole arrischiar troppo la vita de' suoi sudditi.
- Ebbene?
- Vossignoria illustrissima sa bene quelle poche taglie ch'io ho addosso: e...
Qui son sotto la sua protezione; siamo una brigata; il signor podestà è amico di casa; i birri mi portan rispetto; e anch'io...
è cosa che fa poco onore, ma per viver quieto...
li tratto da amici.
In Milano la livrea di vossignoria è conosciuta; ma in Monza...
ci sono conosciuto io in vece.
E sa vossignoria che, non fo per dire, chi mi potesse consegnare alla giustizia, o presentar la mia testa, farebbe un bel colpo? Cento scudi l'uno sull'altro, e la facoltà di liberar due banditi.
- Che diavolo! - disse don Rodrigo: - tu mi riesci ora un can da pagliaio che ha cuore appena d'avventarsi alle gambe di chi passa sulla porta, guardandosi indietro se quei di casa lo spalleggiano, e non si sente d'allontanarsi!
- Credo, signor padrone, d'aver date prove...
- Dunque!
- Dunque, - ripigliò francamente il Griso, messo così al punto, - dunque vossignoria faccia conto ch'io non abbia parlato: cuor di leone, gamba di lepre, e son pronto a partire.
- E io non ho detto che tu vada solo.
Piglia con te un paio de' meglio...
lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va di buon animo, e sii il Griso.
Che diavolo! Tre figure come le vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi che non sia contento di lasciarle passare? Bisognerebbe che a' birri di Monza fosse ben venuta a noia la vita, per metterla su contro cento scudi a un gioco così rischioso.
E poi, e poi, non credo d'esser così sconosciuto da quelle parti, che la qualità di mio servitore non ci si conti per nulla.
Svergognato così un poco il Griso, gli diede poi più ampie e particolari istruzioni.
Il Griso prese i due compagni, e partì con faccia allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie e le donne e i capricci de' padroni; e camminava come il lupo, che spinto dalla fame, col ventre raggrinzato, e con le costole che gli si potrebber contare, scende da' suoi monti, dove non c'è che neve, s'avanza sospettosamente nel piano, si ferma ogni tanto, con una zampa sospesa, dimenando la coda spelacchiata,
Leva il muso, adorando il vento infido,
se mai gli porti odore d'uomo o di ferro, rizza gli orecchi acuti, e gira due occhi sanguigni, da cui traluce insieme l'ardore della preda e il terrore della caccia.
Del rimanente, quel bel verso, chi volesse saper donde venga, è tratto da una diavoleria inedita di crociate e di lombardi, che presto non sarà più inedita, e farà un bel rumore; e io l'ho preso, perche mi veniva in taglio; e dico dove, per non farmi bello della roba altrui: che qualcheduno non pensasse che sia una mia astuzia per far sapere che l'autore di quella diavoleria ed io siamo come fratelli, e ch'io frugo a piacer mio ne' suoi manoscritti.
L'altra cosa che premeva a don Rodrigo, era di trovar la maniera che Renzo non potesse più tornar con Lucia, né metter piede in paese; e a questo fine, macchinava di fare sparger voci di minacce e d'insidie, che, venendogli all'orecchio, per mezzo di qualche amico, gli facessero passar la voglia di tornar da quelle parti.
Pensava però che la più sicura sarebbe se si potesse farlo sfrattar dallo stato: e per riuscire in questo, vedeva che più della forza gli avrebbe potuto servir la giustizia.
Si poteva, per esempio, dare un po' di colore al tentativo fatto nella casa parrocchiale, dipingerlo come un'aggressione, un atto sedizioso, e, per mezzo del dottore, fare intendere al podestà ch'era il caso di spedir contro Renzo una buona cattura.
Ma pensò che non conveniva a lui di rimestar quella brutta faccenda; e senza star altro a lambiccarsi il cervello, si risolvette d'aprirsi col dottor Azzecca-garbugli, quanto era necessario per fargli comprendere il suo desiderio.
" Le gride son tante! " pensava: " e il dottore non è un'oca: qualcosa che faccia al caso mio saprà trovare, qualche garbuglio da azzeccare a quel villanaccio: altrimenti gli muto nome ".
Ma (come vanno alle volte le cose di questo mondo!) intanto che colui pensava al dottore, come all'uomo più abile a servirlo in questo, un altr'uomo, l'uomo che nessuno s'immaginerebbe, Renzo medesimo, per dirla, lavorava di cuore a servirlo, in un modo più certo e più spedito di tutti quelli che il dottore avrebbe mai saputi trovare.
Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno, ma che, a tutti i segnali, mostra di voler riuscire un galantuomo; l'ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto.
Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte.
Dimodoché, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch'eran più vicini all'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva.
Un gioco simile ci convien fare co' nostri personaggi: ricoverata Lucia, siam corsi a don Rodrigo; e ora lo dobbiamo abbandonare, per andar dietro a Renzo, che avevam perduto di vista.
Dopo la separazione dolorosa che abbiam raccontata, camminava Renzo da Monza verso Milano, in quello stato d'animo che ognuno può immaginarsi facilmente.
Abbandonar la casa, tralasciare il - mestiere, e quel ch'era più di tutto, allontanarsi da Lucia, trovarsi sur una strada, senza saper dove anderebbe a posarsi; e tutto per causa di quel birbone! Quando si tratteneva col pensiero sull'una o sull'altra di queste cose, s'ingolfava tutto nella rabbia, e nel desiderio della vendetta; ma gli tornava poi in mente quella preghiera che aveva recitata anche lui col suo buon frate, nella chiesa di Pescarenico; e si ravvedeva: gli si risvegliava ancora la stizza; ma vedendo un'immagine sul muro, si levava il cappello, e si fermava un momento a pregar di nuovo: tanto che, in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e risuscitatolo, almeno venti volte.
La strada era allora tutta sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse, s'allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca.
A que' passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s'eran fatta una strada ne' campi.
Renzo, salito per un di que' valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell'ottava maraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino.
Ma dopo qualche momento, voltandosi indietro, vide all'orizzonte quella cresta frastagliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle il suo Resegone, si sentì tutto rimescolare il sangue, stette lì alquanto a guardar tristamente da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua strada.
A poco a poco cominciò poi a scoprir campanili e torri e cupole e tetti; scese allora nella strada, camminò ancora qualche tempo, e quando s'accorse d'esser ben vicino alla città, s'accostò a un viandante, e, inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse: - di grazia, quel signore.
- Che volete, bravo giovine?
- Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura?
L'uomo a cui Renzo s'indirizzava, era un agiato abitante del contorno, che, andato quella mattina a Milano, per certi suoi affari, se ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran fretta, ché non vedeva l'ora di trovarsi a casa, e avrebbe fatto volentieri di meno di quella fermata.
Con tutto ciò, senza dar segno d'impazienza, rispose molto gentilmente: - figliuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno: bisognerebbe che mi sapeste dir più chiaro quale è quello che voi cercate -.
Renzo allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la fece vedere a quel signore, il quale, lettovi: porta orientale, gliela rendette dicendo: - siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui.
Prendete per questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale.
Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare.
Dio v'assista, bravo giovine -.
E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò.
Renzo rimase stupefatto e edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti.
Fece la strada che gli era stata insegnata, e si trovò a porta orientale.
Non bisogna però che, a questo nome, il lettore si lasci correre alla fantasia l'immagini che ora vi sono associate.
Quando Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non andava diritta che per tutta la lunghezza del lazzeretto; poi scorreva serpeggiante e stretta, tra due siepi.
La porta consisteva in due pilastri, con sopra una tettoia, per riparare i battenti, e da una parte, una casuccia per i gabellini.
I bastioni scendevano in pendìo irregolare, e il terreno era una superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a caso.
La strada che s'apriva dinanzi a chi entrava per quella porta, non si paragonerebbe male a quella che ora si presenta a chi entri da porta Tosa.
Un fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione.
Al punto dov'era, e dov'è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna.
Lì c'era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai.
Renzo entra, passa; nessuno de' gabellini gli bada: cosa che gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito raccontar cose grosse de' frugamenti e dell'interrogazioni a cui venivan sottoposti quelli che arrivavan dalla campagna.
La strada era deserta, dimodoché, se non avesse sentito un ronzìo lontano che indicava un gran movimento, gli sarebbe parso d'entrare in una città disabitata.
Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe strisce bianche e soffici, come di neve; ma neve non poteva essere; che non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione.
Si chinò sur una di quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina.
" Grand'abbondanza ", disse tra sé, " ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la grazia di Dio.
Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto.
Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente di campagna ".
Ma, dopo pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallo certe cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani.
Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché, diamine! non era luogo da pani quello.
" Vediamo un po' che affare è questo ", disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità.
- È pane davvero! - disse ad alta voce; tanta era la sua maraviglia: - così lo seminano in questo paese? in quest'anno? e non si scomodano neppure per raccoglierlo, quando cade? Che sia il paese di cuccagna questo? - Dopo dieci miglia di strada, all'aria fresca della mattina, quel pane, insieme con la maraviglia, gli risvegliò l'appetito.
" Lo piglio? " deliberava tra sé: " poh! l'hanno lasciato qui alla discrezion de' cani; tant'è che ne goda anche un cristiano.
Alla fine, se comparisce il padrone, glielo pagherò ".
Così pensando, si mise in una tasca quello che aveva in mano, ne prese un secondo, e lo mise nell'altra; un terzo, e cominciò a mangiare; e si rincamminò, più incerto che mai, e desideroso di chiarirsi che storia fosse quella.
Appena mosso, vide spuntar gente che veniva dall'interno della città, e guardò attentamente quelli che apparivano i primi.
Erano un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotto; tutt'e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle loro forze, e tutt'e tre in una figura strana.
I vestiti o gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e accesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra doglia, come se gli fossero state peste l'ossa.
L'uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni intoppo, a ogni mossa disequilibrata.
Ma più sconcia era la figura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come una pentolaccia a due manichi; e di sotto a quel pancione uscivan due gambe, nude fin sopra il ginocchio, che venivano innanzi barcollando.
Renzo guardò più attentamente, e vide che quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per il lembo, con dentro farina quanta ce ne poteva stare, e un po' di più; dimodoché, quasi a ogni passo, ne volava via una ventata.
Il ragazzotto teneva con tutt'e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte de' suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche pane cadeva.
- Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei, - disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo.
- Io non li butto via; cascan da sé: com'ho a fare? - rispose quello.
- Ih! buon per te, che ho le mani impicciate, - riprese la donna, dimenando i pugni, come se desse una buona scossa al povero ragazzo; e, con quel movimento, fece volar via più farina, di quel che ci sarebbe voluto per farne i due pani lasciati cadere allora dal ragazzo.
- Via, via, - disse l'uomo: - torneremo indietro a raccoglierli, o qualcheduno li raccoglierà.
Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po' d'abbondanza, godiamola in santa pace.
In tanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi, accostatosi alla donna, le domandò: - dove si va a prendere il pane?
- Più avanti, - rispose quella; e quando furon lontani dieci passi, soggiunse borbottando: - questi contadini birboni verranno a spazzar tutti i forni e tutti i magazzini, e non resterà più niente per noi.
- Un po' per uno, tormento che sei, - disse il marito: - abbondanza, abbondanza.
Da queste e da altrettali cose che vedeva e sentiva, Renzo cominciò a raccapezzarsi ch'era arrivato in una città sollevata, e che quello era un giorno di conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a proporzione della voglia e della forza, dando busse in pagamento.
Per quanto noi desideriamo di far fare buona figura al nostro povero montanaro, la sincerità storica ci obbliga a dire che il suo primo sentimento fu di piacere.
Aveva così poco da lodarsi dell'andamento ordinario delle cose, che si trovava inclinato ad approvare ciò che lo mutasse in qualunque maniera.
E del resto, non essendo punto un uomo superiore al suo secolo, viveva anche lui in quell'opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl'incettatori e da' fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappar loro dalle mani l'alimento che essi, secondo quell'opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo.
Pure, si propose di star fuori del tumulto, e si rallegrò d'esser diretto a un cappuccino, che gli troverebbe ricovero, e gli farebbe da padre.
Così pensando, e guardando intanto i nuovi conquistatori che venivano carichi di preda, fece quella po' di strada che gli rimaneva per arrivare al convento.
Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell'alto loggiato, c'era allora, e c'era ancora non son molt'anni, una piazzetta, e in fondo a quella la chiesa e il convento de' cappuccini, con quattro grand'olmi davanti.
Noi ci rallegriamo, non senza invidia, con que' nostri lettori che non han visto le cose in quello stato: ciò vuol dire che son molto giovani, e non hanno avuto tempo di far molte corbellerie.
Renzo andò diritto alla porta, si ripose in seno il mezzo pane che gli rimaneva, levò fuori e tenne preparata in mano la lettera, e tirò il campanello.
S'aprì uno sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia del frate portinaio a domandar chi era.
- Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura una lettera pressante del padre Cristoforo.
- Date qui, - disse il portinaio, mettendo una mano alla grata.
- No, no, - disse Renzo: - gliela devo consegnare in proprie mani.
- Non è in convento.
- Mi lasci entrare, che l'aspetterò.
- Fate a mio modo, - rispose il frate: - andate a aspettare in chiesa, che intanto potrete fare un po' di bene.
In convento, per adesso, non s'entra -.
E detto questo, richiuse lo sportello.
Renzo rimase lì, con la sua lettera in mano.
Fece dieci passi verso la porta della chiesa, per seguire il consiglio del portinaio; ma poi pensò di dar prima un'altra occhiata al tumulto.
Attraversò la piazzetta, si portò sull'orlo della strada, e si fermò, con le braccia incrociate sul petto, a guardare a sinistra, verso l'interno della città, dove il brulichìo era più folto e più rumoroso.
Il vortice attrasse lo spettatore.
" Andiamo a vedere ", disse tra sé; tirò fuori il suo mezzo pane, e sbocconcellando, si mosse verso quella parte.
Intanto che s'incammina, noi racconteremo, più brevemente che sia possibile, le cagioni e il principio di quello sconvolgimento.
CAPITOLO XII
Era quello il second'anno di raccolta scarsa.
Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia.
Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini.
Il guasto e lo sperperìo della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità.
Ho detto: più dell'ordinario; perché le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con un'insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle truppe alloggiate ne' paesi, condotta che i dolorosi documenti di que' tempi uguagliano a quella d'un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d'un mal cronico.
E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni per l'esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.
Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione ne' molti, che non ne sia cagione la scarsezza.
Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza.
Gl'incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d'averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l'abbominio della moltitudine male e ben vestita.
Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero de' sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell'immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne' quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano.
S'imploravan da' magistrati que' provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l'abbondanza.
I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d'alcune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere.
Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d'attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva.
La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de' rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de' più generosi e decisivi.
E per sua sventura, trovò l'uomo secondo il suo cuore.
Nell'assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo.
Costui vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla.
Fissò la meta (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta.
Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo.
Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d'una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all'esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia.
Accorse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia, che dànno la passione, la forza e la legge riunite insieme.
Se i fornai strillassero, non lo domandate.
Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere.
Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene, dall'altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto che qualche fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo; non c'era redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere.
Però, a farli continuare in quell'impresa, non bastava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura; bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto.
Facevan vedere ai magistrati l'iniquità e l'insopportabilità del carico imposto loro, protestavano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una volta o l'altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione.
Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di carattere, rispondeva che i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza; che anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti.
O fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che, anche conoscendo dagli effetti l'impossibilità di mantener quel suo editto, volesse lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo; giacché, chi può ora entrar nel cervello d'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito.
Finalmente i decurioni (un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare.
Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s'immagina certamente: nominò una giunta, alla quale conferì l'autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l'altra.
I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pane.
I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì.
La sera avanti questo giorno in cui Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo.
Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori, come di colui che l'aveva proferito.
Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca.
Migliaia d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare, che qualche cosa si farebbe.
Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti, minacce, maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.
Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto.
Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite case.
Il primo comparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in una polveriera.
- Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme.
- Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: - lascia vedere -.
Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle cigne.
- Giù quella gerla, - si grida intanto.
Molte mani l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde all'intorno.
- Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato.
Coloro a cui non era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate.
E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico, e via a gambe.
Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine più co' fiocchi.
- Al forno! al forno! - si grida.
Nella strada chiamata la Corsia de' Servi, c'era, e c'è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (El prestin di scansc.).
A quella parte s'avventò la gente.
Quelli della bottega stavano interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato, riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.
Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega, e appuntellano i battenti.
La gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: - pane! pane! aprite! aprite!
Pochi momenti dopo, arriva il capitano di giustizia, con una scorta d'alabardieri.
- Largo, largo, figliuoli: a casa, a casa; fate luogo al capitano di giustizia, - grida lui e gli alabardieri.
La gente, che non era ancor troppo fitta, fa un po' di luogo; dimodoche quelli poterono arrivare, e postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta della bottega.
- Ma figliuoli, - predicava di lì il capitano, - che fate qui? A casa, a casa.
Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa.
Da bravi! Che diamine volete far qui, così ammontati? Niente di bene, ne per l'anima, né per il corpo.
A casa, a casa.
Ma quelli che vedevan la faccia del dicitore, e sentivan le sue parole, quand'anche avessero voluto ubbidire, dite un poco in che maniera avrebber potuto, spinti com'erano, e incalzati da quelli di dietro, spinti anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino al l'estremità della folla, che andava sempre crescendo.
Al capitano, cominciava a mancargli il respiro.
- Fateli dare addietro ch'io possa riprender fiato, - diceva agli alabardieri: - ma non fate male a nessuno.
Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.
- Indietro! indietro! - gridano gli alabardieri, buttandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con l'aste dell'alabarde.
Quelli urlano, si tirano indietro, come possono; dànno con le schiene ne' petti, co' gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte de' piedi a quelli che son dietro a loro: si fa un pigìo, una calca, che quelli che si trovavano in mezzo, avrebbero pagato qualcosa a essere altrove.
Intanto un po' di vòto s'è fatto davanti alla porta: il capitano picchia, ripicchia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre, scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri, che si ficcan dentro anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi rattenendo la folla con l'alabarde.
Quando sono entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e s'affaccia a una finestra.
Uh, che formicolaio!
- Figliuoli, - grida: molti si voltano in su; - figliuoli, andate a casa.
Perdono generale a chi torna subito a casa.
- Pane! pane! aprite! aprite! - eran le parole più distinte nell'urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.
- Giudizio, figliuoli! badate bene! siete ancora a tempo.
Via, andate, tornate a casa.
Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera.
Eh!...
eh! che fate laggiu! Eh! a quella porta! Oibò oibò! Vedo, vedo: giudizio! badate bene! è un delitto grosso.
Or ora vengo io.
Eh! eh! smettete con que' ferri; giu quelle mani.
Vergogna! Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi...
Ah canaglia!
Questa rapida mutazione di stile fu cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d'uno di que' buoni figliuoli, venne a batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica.
- Canaglia! canaglia! - continuava a gridare, chiudendo presto presto la finestra, e ritirandosi.
Ma quantunque avesse gridato quanto n'aveva in canna, le sue parole, buone e cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella tempesta delle grida che venivan di giù.
Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di pietre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per la strada), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svellere l'inferriate: e già l'opera era molto avanzata.
Intanto, padroni e garzoni della bottega, ch'erano alle finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre (avranno probabilmente disselciato un cortile), urlavano e facevan versacci a quelli di giù, perché smettessero; facevan vedere le pietre, accennavano di volerle buttare.
Visto ch'era tempo perso, cominciarono a buttarle davvero.
Neppur una ne cadeva in fallo; giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra.
- Ah birboni! ah furfantoni! È questo il pane, che date alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora! - s'urlava di giù.
Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti.
Il furore accrebbe le forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il torrente penetrò per tutti i varchi.
Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati ne' cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pe' tetti, come i gatti.
La vista della preda fece dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose.
Si slanciano ai cassoni; il pane è messo a ruba.
Qualcheduno in vece corre al banco, butta giù la serratura, agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi a rubar pane, se ne rimarrà.
La folla si sparge ne' magazzini.
Metton mano ai sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: - aspetta, aspetta, - si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni parte; un altro, che ha conquistato un burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte, rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto vela e annebbia.
Di fuori, una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e s'intralciano a vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare a farne.
Mentre quel forno veniva così messo sottosopra, nessun altro della città era quieto e senza pericolo.
Ma a nessuno la gente accorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuni, i padroni avevan raccolto degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo modo a patti: distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davanti alle botteghe, con questo che se n'andassero.
E quelli se n'andavano, non tanto perché fosser soddisfatti, quanto perché gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in forza bastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla.
Così il trambusto andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno; perché tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far qualche bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e l'impunità sicura.
A questo punto eran le cose, quando Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di porta orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo centrale del tumulto.
Andava, ora lesto, ora ritardato dalla folla; e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose.
Ed ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.
- Ora è scoperta, - gridava uno, - l'impostura infame di que' birboni, che dicevano che non c'era né pane, né farina, né grano.
Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere.
Viva l'abbondanza!
- Vi dico io che tutto questo non serve a nulla, - diceva un altro: - è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio, se non si fa una buona giustizia.
Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morir la povera gente, come mosche.
Già lo dicono che siam troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia comare, che è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di que' signori.
Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffati e insanguinati.
E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.
- Largo, largo, signori, in cortesia; lascin passare un povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque figliuoli -.
Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e ognuno s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.
- Io? - diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo compagno: - io me la batto.
Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose.
Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno in casa, tutti pieni di paura.
Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran, facendo l'indiano, e notano chi c'è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca.
- Quello che protegge i fornai, - gridava una voce sonora, che attirò l'attenzione di Renzo, - è il vicario di provvisione.
- Son tutti birboni, - diceva un vicino.
- Sì; ma il capo è lui, - replicava il primo.
Il vicario di provvisione, eletto ogn'anno dal governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio de' decurioni, era il presidente di questo, e del tribunale di provvisione; il quale, composto di dodici, anche questi nobili, aveva, con altre attribuzioni, quella principalmente dell'annona.
Chi occupava un tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d'ignoranza, esser detto l'autore de' mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà, se anche fosse stata nelle sue idee.
- Scellerati! - esclamava un altro: - si può far di peggio? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rimbambito, per levargli il credito, e comandar loro soli.
Bisognerebbe fare una gran stia, e metterli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano trattar noi.
- Pane eh? - diceva uno che cercava d'andar in fretta: - sassate di libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù come la grandine.
E che schiacciata di costole! Non vedo l'ora d'essere a casa mia.
Tra questi discorsi, dai quali non saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo finalmente davanti a quel forno.
La gente era già molto diradata, dimodoché poté contemplare il brutto e recente soqquadro.
Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.
" Questa poi non è una bella cosa ", disse Renzo tra sé: " se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne' pozzi? "
Ogni tanto, usciva dalla bottega qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una gramola, una panca, una paniera, un libro di conti, qualche cosa in somma di quel povero forno; e gridando: - largo, largo, - passava tra la gente.
Tutti questi s'incamminavano dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva.
" Cos'è quest'altra storia? " pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più.
La voglia d'osservar gli avvenimenti non poté fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta.
Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo della piazza.
La gente era più fitta quanto più s'andava avanti, ma al portatore gli si faceva largo: egli fendeva l'onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò con lui al centro della folla.
Lì c'era uno spazio vòto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti di sopra.
All'intorno era un batter di mani e di piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.
L'uomo del fascio lo buttò su quel mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti.
- Viva l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia la carestia! Crepi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane!
Veramente, la distruzion de' frulloni e delle madie, la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva.
Però, senza essere un gran metafisico, un uomo ci arriva talvolta alla prima, finch'è nuovo nella questione; e solo a forza di parlarne, e di sentirne parlare, diventerà inabile anche a intenderle.
A Renzo in fatti quel pensiero gli era venuto, come abbiam visto, da principio, e gli tornava ogni momento.
Lo tenne per altro in sé; perché, di tanti visi, non ce n'era uno che sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò caro.
Già era di nuovo finita la fiamma; non si vedeva più venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a annoiarsi; quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì), s'era messo l'assedio a un forno.
Spesso, in simili circostanze, l'annunzio d'una cosa la fa essere.
Insieme con quella voce, si diffuse nella moltitudine una voglia di correr là: - io vo; tu, vai? vengo; andiamo, - si sentiva per tutto: la calca si rompe, e diventa una processione.
Renzo rimaneva indietro, non movendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal baccano, e ritornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere anche quest'altra.
Prevalse di nuovo la curiosità.
Però risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar l'ossa, o a risicar qualcosa di peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare.
E trovandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso, s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.
Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a sbieco, nella piazza de' Mercanti.
E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell'edifizio chiamato allora il collegio de' dottori, non dessero un'occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io, marmaglia.
Quella statua non c'è più, per un caso singolare.
Circa cento settant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto.
Così accomodata stette forse un par d'anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove.
Chi l'avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!
Dalla piazza de' Mercanti, la marmaglia insaccò, per quell'altr'arco, nella via de' fustagnai, e di lì si sparpagliò nel Cordusio.
Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato indicato.
Ma in vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche distanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi.
A quella vista, chi si maravigliava, chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi voleva tornare indietro, chi diceva: - avanti, avanti -.
C'era un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione, un ronzìo confuso di contrasti e di consulte.
In questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce: - c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far giustizia, e a dare il sacco -.
Parve il rammentarsi comune d'un concerto preso, piuttosto che l'accettazione d'una proposta.
- Dal vicario! dal vicario! - è il solo grido che si possa sentire.
La turba si move, tutta insieme, verso la strada dov'era la casa nominata in un così cattivo punto.
CAPITOLO XIII
Lo sventurato vicario stava, in quel momento, facendo un chilo agro e stentato d'un desinare biascicato senza appetito, e senza pan fresco, e attendeva, con gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente addosso a lui.
Qualche galantuomo precorse di galoppo la folla, per avvertirlo di quel che gli sovrastava.
I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi.
Mentre ascoltan l'avviso, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa a fuggire, e come fuggire, un altro viene a dirgli che non è più a tempo.
I servitori ne hanno appena tanto che basti per chiuder la porta.
Metton la stanga, metton puntelli, corrono a chiuder le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo nero, e s'aspetta la grandine, da un momento all'altro.
L'urlìo crescente, scendendo dall'alto come un tuono, rimbomba nel vòto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si senton forti e fitti colpi di pietre alla porta.
- Il vicario! Il tiranno! L'affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!
Il meschino girava di stanza in stanza, pallido, senza fiato, battendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi servitori, che tenessero fermo, che trovassero la maniera di farlo scappare.
Ma come, e di dove? Salì in soffitta; da un pertugio, guardò ansiosamente nella strada, e la vide piena zeppa di furibondi; sentì le voci che chiedevan la sua morte; e più smarrito che mai, si ritirò, e andò a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio.
Lì rannicchiato, stava attento, attento, se mai il funesto rumore s'affievolisse, se il tumulto s'acquietasse un poco; ma sentendo in vece il muggito alzarsi più feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta.
Poi, come fuori di sé, stringendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta...
Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta a indovinare.
Fortuna che c'è avvezza.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente.
A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l'idea dell'omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato.
E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati all'affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il vicario era la cagion principale della fame, il nemico de' poveri, pure, avendo, al primo moversi della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni sforzo per salvarlo, s'era subito proposto d'aiutare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata in cento modi.
Chi con ciottoli picchiava su' chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l'unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s'ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia.
Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.
I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadeva, spediron subito a chieder soccorso al comandante del castello, che allora si diceva di porta Giovia; il quale mandò alcuni soldati.
Ma, tra l'avviso, e l'ordine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il cammino, essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto assedio; e fecero alto lontano da quella, all'estremità della folla.
L'ufiziale che li comandava, non sapeva che partito prendere.
Lì non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere.
All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo mormorìo; nessuno si moveva.
Far fuoco sopra quella ciurma, pareva all'ufiziale cosa non solo crudele, ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno terribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione.
Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti a portar la guerra a chi la faceva, sarebbe stata la meglio; ma riuscirvi, lì stava il punto.
Chi sapeva se i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che se, in vece di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella, si sarebber trovati a sua discrezione, dopo averla aizzata.
L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de' soldati parve, a diritto o a torto, paura.
La gente che si trovavan vicino a loro, si contentavano di guardargli in viso, con un'aria, come si dice, di me n'impipo; quelli ch'erano un po' più lontani, non se ne stavano di provocarli, con visacci e con grida di scherno; più in là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero; i guastatori seguitavano a smurare, senz'altro pensiero che di riuscir presto nell'impresa; gli spettatori non cessavano d'animarla con gli urli.
Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.
- Oibò! vergogna! - scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista di tant'altri visi che davan segno d'approvarle, e incoraggito dal vederne degli altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso lui.
- Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de' fulmini, e non del pane!
- Ah cane! ah traditor della patria! - gridò, voltandosi a Renzo, con un viso da indemoniato, un di coloro che avevan potuto sentire tra il frastono quelle sante parole.
- Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario, travestito da contadino: è una spia: dàlli, dàlli! - Cento voci si spargono all'intorno.
- Cos'è? dov'è? chi è? Un servitore del vicario.
Una spia.
Il vicario travestito da contadino, che scappa.
Dov'è? dov'è? dàlli, dàlli!
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire; alcuni suoi vicini lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano di confondere quelle voci nemiche e omicide.
Ma ciò che più di tutto lo servì fu un - largo, largo, - che si sentì gridar lì vicino: - largo! è qui l'aiuto: largo, ohe!
Cos'era? Era una lunga scala a mano, che alcuni portavano, per appoggiarla alla casa, e entrarci da una finestra.
Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe resa la cosa facile, non era facile esso a mettere in opera.
I portatori, all'una e all'altra cima, e di qua e di là della macchina, urtati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano a onde: uno, con la testa tra due scalini, e gli staggi sulle spalle, oppresso come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva staccato dal carico con una spinta; la scala abbandonata picchiava spalle, braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro de' quali erano.
Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto, se lo mettono addosso, gridando: - animo! andiamo! - La macchina fatale s'avanza balzelloni, e serpeggiando.
Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare i nemici di Renzo, il quale profittò della confusione nata nella confusione; e, quatto quatto sul principio, poi giocando di gomita a più non posso, s'allontanò da quel luogo, dove non c'era buon'aria per lui, con l'intenzione anche d'uscire, più presto che potesse, dal tumulto, e d'andar davvero a trovare o a aspettare il padre Bonaventura.
Tutt'a un tratto, un movimento straordinario cominciato a una estremità, si propaga per la folla, una voce si sparge, viene avanti di bocca in bocca: - Ferrer! Ferrer! - Una maraviglia, una gioia, una rabbia, un'inclinazione, una ripugnanza, scoppiano per tutto dove arriva quel nome; chi lo grida, chi vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega, chi benedice, chi bestemmia.
- È qui Ferrer! - Non è vero, non è vero! - Sì, sì; viva Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato.
- No, no! - E qui, è qui in carrozza.
- Cosa importa? che c'entra lui? non vogliamo nessuno! - Ferrer! viva Ferrer! l'amico della povera gente! viene per condurre in prigione il vicario.
- No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, indietro! - Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vicario!
E tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella parte donde s'annunziava l'inaspettato arrivo.
Alzandosi tutti, vedevano né più né meno che se fossero stati tutti con le piante in terra; ma tant'è, tutti s'alzavano.
In fatti, all'estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere; il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza d'essere co' suoi spropositi e con la sua ostinazione, stato causa, o almeno occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d'acquietarla, e d'impedirne almeno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità mal acquistata.
Ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura.
Ma per contrappeso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s'adoprano per produr l'effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci.
Il cielo li benedica.
In ciascuna di queste due parti opposte, anche quando non ci siano concerti antecedenti, l'uniformità de' voleri crea un concerto istantaneo nell'operazioni.
Chi forma poi la massa, e quasi il materiale del tumulto, è un miscuglio accidentale d'uomini, che, più o meno, per gradazioni indefinite, tengono dell'uno e dell'altro estremo: un po' riscaldati, un po' furbi, un po' inclinati a una certa giustizia, come l'intendon loro, un po' vogliosi di vederne qualcheduna grossa, pronti alla ferocia e alla misericordia, a detestare e ad adorare, secondo che si presenti l'occasione di provar con pienezza l'uno o l'altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere qualche cosa grossa, bisognosi di gridare, d'applaudire a qualcheduno, o d'urlargli dietro.
Viva e moia, son le parole che mandan fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non meriti d'essere squartato, non ha bisogno di spender più parole per convincerli che sia degno d'esser portato in trionfo: attori, spettatori, strumenti, ostacoli, secondo il vento; pronti anche a stare zitti, quando non sentan più grida da ripetere, a finirla, quando manchino gl'istigatori, a sbandarsi, quando molte voci concordi e non contraddette abbiano detto: andiamo; e a tornarsene a casa, domandandosi l'uno con l'altro: cos'è stato? Siccome però questa massa, avendo la maggior forza, la può dare a chi vuole, così ognuna delle due parti attive usa ogni arte per tirarla dalla sua, per impadronirsene: sono quasi due anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio, e farlo movere.
Fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l'una o per l'altra parte.
Tutta questa chiacchierata s'è fatta per venire a dire che, nella lotta tra le due parti che si contendevano il voto della gente affollata alla casa del vicario, l'apparizione d'Antonio Ferrer diede, quasi in un momento, un gran vantaggio alla parte degli umani, la quale era manifestamente al di sotto, e, un po' più che quel soccorso fosse tardato, non avrebbe avuto più, né forza, né motivo di combattere.
L'uomo era gradito alla moltitudine, per quella tariffa di sua invenzione così favorevole a' compratori, e per quel suo eroico star duro contro ogni ragionamento in contrario.
Gli animi già propensi erano ora ancor più innamorati dalla fiducia animosa del vecchio che, senza guardie, senza apparato, veniva così a trovare, ad affrontare una moltitudine irritata e procellosa.
Faceva poi un effetto mirabile il sentire che veniva a condurre in prigione il vicario: così il furore contro costui, che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche, e non gli avesse voluto conceder nulla, ora, con quella promessa di soddisfazione, con quell'osso in bocca, s'acquietava un poco, e dava luogo agli altri opposti sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.
I partigiani della pace, ripreso fiato, secondavano Ferrer in cento maniere: quelli che si trovavan vicini a lui, eccitando e rieccitando col loro il pubblico applauso, e cercando insieme di far ritirare la gente, per aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo, ripetendo e facendo passare le sue parole, o quelle che a lor parevano le migliori che potesse dire, dando sulla voce ai furiosi ostinati, e rivolgendo contro di loro la nuova passione della mobile adunanza.
- Chi è che non vuole che si dica: viva Ferrer? Tu non vorresti eh, che il pane fosse a buon mercato? Son birboni che non vogliono una giustizia da cristiani: e c'è di quelli che schiamazzano più degli altri, per fare scappare il vicario.
In prigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! - E crescendo sempre più quelli che parlavan così, s'andava a proporzione abbassando la baldanza della parte contraria; di maniera che i primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani a quelli che diroccavano ancora, a cacciarli indietro, a levar loro dall'unghie gli ordigni.
Questi fremevano, minacciavano anche, cercavan di rifarsi; ma la causa del sangue era perduta: il grido che predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo un po' di dibattimento, coloro furon respinti: gli altri s'impadroniron della porta, e per tenerla difesa da nuovi assalti, e per prepararvi l'adito a Ferrer; e alcuno di essi, mandando dentro una voce a quelli di casa (fessure non ne mancava), gli avvisò che arrivava soccorso, e che facessero star pronto il vicario, - per andar subito...
in prigione: ehm, avete inteso?
- È quel Ferrer che aiuta a far le gride? - domandò a un nuovo vicino il nostro Renzo, che si rammentò del vidit Ferrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo vedere in fondo di quella tale.
- Già: il gran cancelliere - gli fu risposto.
- È un galantuomo, n'è vero?
- Eccome se è un galantuomo! è quello che aveva messo il pane a buon mercato; e gli altri non hanno voluto; e ora viene a condurre in prigione il vicario, che non ha fatto le cose giuste.
Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer.
Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano, riuscì a farsi far largo, e a arrivare in prima fila, proprio di fianco alla carrozza.
Era questa già un po' inoltrata nella folla; e in quel momento stava ferma, per uno di quegl'incagli inevitabili e frequenti, in un'andata di quella sorte.
Il vecchio Ferrer presentava ora all'uno, ora all'altro sportello, un viso tutto umile, tutto ridente, tutto amoroso, un viso che aveva tenuto sempre in serbo per quando si trovasse alla presenza di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo anche in quest'occasione.
Parlava anche; ma il chiasso e il ronzlo di tante voci, gli evviva stessi che si facevano a lui, lasciavano ben poco e a ben pochi sentir le sue parole.
S'aiutava dunque co' gesti, ora mettendo la punta delle mani sulle labbra, a prendere un bacio che le mani, separandosi subito, distribuivano a destra e a sinistra in ringraziamento alla pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori d'uno sportello, per chiedere un po' di luogo; ora abbassandole garbatamente, per chiedere un po' di silenzio.
Quando n'aveva ottenuto un poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue parole: - pane, abbondanza: vengo a far giustizia: un po' di luogo di grazia -.
Sopraffatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci, dalla vista di tanti visi fitti, di tant'occhi addosso a lui, si tirava indietro un momento, gonfiava le gote, mandava un gran soffio, e diceva tra sé: " por mi vida' que de gente! " - Viva Ferrer! Non abbia paura.
Lei è un galantuomo.
Pane, pane!
- Sì; pane, pane, - rispondeva Ferrer: - abbondanza; lo prometto io, - e metteva la mano al petto.
- Un po' di luogo, - aggiungeva subito: - vengo per condurlo in prigione, per dargli il giusto gastigo che si merita: - e soggiungeva sottovoce: - si es culpable-.
Chinandosi poi innanzi verso il cocchiere, gli diceva in fretta: - adelante' Pedro' si puedes.
Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia affettuosa, come se fosse stato un gran personaggio; e con un garbo ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a destra e a sinistra, per chiedere agl'incomodi vicini che si ristringessero e si ritirassero un poco.
- Di grazia, - diceva anche lui, - signori miei, un po' di luogo, un pochino; appena appena da poter passare.
Intanto i benevoli più attivi s'adopravano a far fare il luogo chiesto così gentilmente.
Alcuni davanti ai cavalli facevano ritirar le persone, con buone parole, con un mettere le mani sui petti, con certe spinte soavi: - in là, via, un po' di luogo, signori -; alcuni facevan lo stesso dalle due parti della carrozza, perché potesse passare senza arrotar piedi, né ammaccar mostacci; che, oltre il male delle persone, sarebbe stato porre a un gran repentaglio l'auge d'Antonio Ferrer.
Renzo, dopo essere stato qualche momento a vagheggiare quella decorosa vecchiezza, conturbata un po' dall'angustia, aggravata dalla fatica, ma animata dalla sollecitudine, abbellita, per dir così, dalla speranza di togliere un uomo all'angosce mortali, Renzo, dico, mise da parte ogni pensiero d'andarsene; e si risolvette d'aiutare Ferrer, e di non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l'intento.
Detto fatto, si mise con gli altri a far far largo; e non era certo de' meno attivi.
Il largo si fece; - venite pure avanti, - diceva più d'uno al cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po' di strada più innanzi.
- Adelante, presto, con juicio, - gli disse anche il padrone; e la carrozza si mosse.
Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pubblico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento, con un sorriso d'intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sorrisi ne toccò più d'uno a Renzo, il quale per verità se li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il più bravo de' suoi segretari.
Al giovane montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer.
La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi, più o meno adagio, e non senza qualche altra fermatina.
Il tragitto non era forse più che un tiro di schioppo; ma riguardo al tempo impiegatovi, avrebbe potuto parere un viaggetto, anche a chi non avesse avuto la santa fretta di Ferrer.
La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sinistra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a una nave che avanza nel forte della tempesta.
Più acuto, più scordato, più assordante di quello della tempesta era il frastono.
Ferrer, guardando ora da una parte, ora dall'altra; atteggiandosi e gestendo insieme, cercava d'intender qualche cosa, per accomodar le risposte al bisogno; voleva far alla meglio un po' di dialogo con quella brigata d'amici; ma la cosa era difficile, la più difficile forse che gli fosse ancora capitata, in tant'anni di gran-cancellierato.
Ogni tanto però, qualche parola, anche qualche frase, ripetuta da un crocchio nel suo passaggio, gli si faceva sentire, come lo scoppio d'un razzo più forte si fa sentire nell'immenso scoppiettìo d'un fuoco artifiziale.
E lui, ora ingegnandosi di rispondere in modo soddisfacente a queste grida, ora dicendo a buon conto le parole che sapeva dover esser più accette, o che qualche necessità istantanea pareva richiedere, parlò anche lui per tutta la strada.
- Sì, signori; pane, abbondanza.
Lo condurrò io in prigione: sarà gastigato...
si es culpable.
Sì, sì, comanderò io: il pane a buon mercato.
Asi es...
così è, voglio dire: il re nostro signore non vuole che codesti fedelissimi vassalli patiscan la fame.
Ox! ox! guardaos: non si facciano male, signori.
Pedro' adelante con juicio.
Abbondanza, abbondanza.
Un po' di luogo, per carità.
Pane, pane.
In prigione, in prigione.
Cosa? - domandava poi a uno che s'era buttato mezzo dentro lo sportello, a urlargli qualche suo consiglio o preghiera o applauso che fosse.
Ma costui, senza poter neppure ricevere il " cosa? " era stato tirato indietro da uno che lo vedeva lì lì per essere schiacciato da una rota.
Con queste botte e risposte, tra le incessanti acclamazioni, tra qualche fremito anche d'opposizione, che si faceva sentire qua e là, ma era subito soffogato, ecco alla fine Ferrer arrivato alla casa, per opera principalmente di que' buoni ausiliari.
Gli altri che, come abbiam detto, eran già lì con le medesime buone intenzioni, avevano intanto lavorato a fare e a rifare un po' di piazza.
Prega, esorta, minaccia; pigia, ripigia, incalza di qua e di là, con quel raddoppiare di voglia, e con quel rinnovamento di forze che viene dal veder vicino il fine desiderato; gli era finalmente riuscito di divider la calca in due, e poi di spingere indietro le due calche; tanto che, tra la porta e la carrozza, che vi si fermò davanti, v'era un piccolo spazio voto.
Renzo, che, facendo un po' da battistrada, un po' da scorta, era arrivato con la carrozza, poté collocarsi in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano, nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due onde prementi di popolo.
E aiutando a rattenerne una con le poderose sue spalle, si trovò anche in un bel posto per poter vedere.
Ferrer mise un gran respiro, quando vide quella piazzetta libera, e la porta ancor chiusa.
Chiusa qui vuol dire non aperta; del resto i gangheri eran quasi sconficcati fuor de' pilastri: i battenti scheggiati, ammaccati, sforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano veder fuori da un largo spiraglio un pezzo di catenaccio storto, allentato, e quasi divelto, che, se vogliam dir così, li teneva insieme.
Un galantuomo s'era affacciato a quel fesso, a gridar che aprissero; un altro spalancò in fretta lo sportello della carrozza: il vecchio mise fuori la testa, s'alzò, e afferrando con la destra il braccio di quel galantuomo, uscì, e scese sul predellino.
La folla, da una parte e dall'altra, stava tutta in punta di piedi per vedere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'attenzione generale creò un momento di generale silenzio.
Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un'occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: - pane e giustizia -; e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l'acclamazioni che andavano alle stelle.
Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevan finito d'aprire, tirando via il catenaccio insieme con gli anelli già mezzi sconficcati, e allargando lo spiraglio, appena quanto bastava per fare entrare il desideratissimo ospite.
- Presto, presto, - diceva lui: - aprite bene, ch'io possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente; non mi lasciate venire addosso...
per l'amor del cielo! Serbate un po' di largo per tra poco.
Ehi! ehi! signori, un momento, - diceva poi ancora a quelli di dentro: - adagio con quel battente, lasciatemi passare: eh! le mie costole; vi raccomando le mie costole.
Chiudete ora: no; eh! eh! la toga! la toga! - Sarebbe in fatti rimasta presa tra i battenti, se Ferrer non n'avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascico, che disparve come la coda d'una serpe, che si rimbuca inseguita.
Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio.
Di fuori, quelli che s'eran costituiti guardia del corpo di Ferrer, lavoravano di spalle, di braccia e di grida, a mantener la piazza vota, pregando in cuor loro il Signore che lo facesse far presto.
- Presto, presto, - diceva anche Ferrer di dentro, sotto il portico, ai servitori, che gli si eran messi d'intorno ansanti, gridando: - sia benedetto! ah eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza!
- Presto, presto, - ripeteva Ferrer: - dov'è questo benedett'uomo?
Il vicario scendeva le scale, mezzo strascicato e mezzo portato da altri suoi servitori, bianco come un panno lavato.
Quando vide il suo aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di vita nelle gambe, un po' di colore sulle gote; e corse, come poté, verso Ferrer, dicendo: - sono nelle mani di Dio e di vostra eccellenza.
Ma come uscir di qui? Per tutto c'è gente che mi vuol morto.
- Venga usted con migo, e si faccia coraggio: qui fuori c'è la mia carrozza; presto, presto -.
Lo prese per la mano, e lo condusse verso la porta, facendogli coraggio tuttavia; ma diceva intanto tra sé: " aqui està el busilis; Dios nos valga!"
La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana della mamma.
Quelli che avevan mantenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo.
Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso.
La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovinò quel ch'era accaduto; e mandò un urlo d'applausi e d'imprecazioni.
La parte della strada che rimaneva da farsi, poteva parer la più difficile e la più pericolosa.
Ma il voto pubblico era abbastanza spiegato per lasciar andare in prigione il vicario; e nel tempo della fermata, molti di quelli che avevano agevolato l'arrivo di Ferrer, s'eran tanto ingegnati a preparare e a mantener come una corsìa nel mezzo della folla, che la carrozza poté, questa seconda volta, andare un po' più lesta, e di seguito.
Di mano in mano che s'avanzava, le due folle rattenute dalle parti, si ricadevano addosso e si rimischiavano, dietro a quella.
Ferrer, appena seduto, s'era chinato per avvertire il vicario, che stesse ben rincantucciato nel fondo, e non si facesse vedere, per l'amor del cielo; ma l'avvertimento era superfluo.
Lui, in vece, bisognava che si facesse vedere, per occupare e attirare a sé tutta l'attenzione del pubblico.
E per tutta questa gita, come nella prima, fece al mutabile uditorio un discorso, il più continuo nel tempo, e il più sconnesso nel senso, che fosse mai; interrompendolo però ogni tanto con qualche parolina spagnola, che in fretta in fretta si voltava a bisbigliar nell'orecchio del suo acquattato compagno.
- Sì, signori; pane e giustizia: in castello, in prigione, sotto la mia guardia.
Grazie, grazie, grazie tante.
No, no: non iscapperà.
Por ablandarlos.
E troppo giusto; s'esaminerà, si vedrà.
Anch'io voglio bene a lor signori.
Un gastigo severo.
Esto lo digo por su bien.
Una meta giusta, una meta onesta, e gastigo agli affamatori.
Si tirin da parte, di grazia.
Sì, sì; io sono un galantuomo, amico del popolo.
Sarà gastigato: è vero, è un birbante, uno scellerato.
Perdone, usted.
La passerà male, la passerà male...
si es culpable.
Sì, sì, li faremo rigar diritto i fornai.
Viva il re, e i buoni milanesi, suoi fedelissimi vassalli! Sta fresco, sta fresco.
Animo; estamos ya quasi fuera.
Avevano in fatti attraversata la maggior calca, e già eran vicini a uscir al largo, del tutto.
Lì Ferrer, mentre cominciava a dare un po' di riposo a' suoi polmoni, vide il soccorso di Pisa, que' soldati spagnoli, che però sulla fine non erano stati affatto inutili, giacché sostenuti e diretti da qualche cittadino, avevano cooperato a mandare in pace un po' di gente, e a tenere il passo libero all'ultima uscita.
All'arrivar della carrozza, fecero ala, e presentaron l'arme al gran cancelliere, il quale fece anche qui un saluto a destra, un saluto a sinistra; e all'ufiziale, che venne più vicino a fargli il suo, disse, accompagnando le parole con un cenno della destra: - beso a usted las manos-: parole che l'ufiziale intese per quel che volevano dir realmente, cioè: m'avete dato un bell'aiuto! In risposta, fece un altro saluto, e si ristrinse nelle spalle.
Era veramente il caso di dire: cedant arma togae; ma Ferrer non aveva in quel momento la testa a citazioni: e del resto sarebbero state parole buttate via, perché l'ufiziale non intendeva il latino.
A Pedro, nel passar tra quelle due file di micheletti, tra que' moschetti così rispettosamente alzati, gli tornò in petto il cuore antico.
Si riebbe affatto dallo sbalordimento, si rammentò chi era, e chi conduceva; e gridando: - ohe! ohe! - senz'aggiunta d'altre cerimonie, alla gente ormai rada abbastanza per poter esser trattata così, e sferzando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso il castello.
- Levantese' levantese; estàmos ya fuera, - disse Ferrer al vicario; il quale, rassicurato dal cessar delle grida, e dal rapido moto della carrozza, e da quelle parole, si svolse, si sgruppò, s'alzò; e riavutosi alquanto, cominciò a render grazie, grazie e grazie al suo liberatore.
Questi, dopo essersi condoluto con lui del pericolo e rallegrato della salvezza: - ah! - esclamò, battendo la mano sulla sua zucca monda, - que dirà de esto su excelencia, che ha già tanto la luna a rovescio, per quel maledetto Casale, che non vuole arrendersi? Que dirà el conde duque, che piglia ombra se una foglia fa più rumore del solito? Que dirà el rey nuestro señor, che pur qualche cosa bisognerà che venga a risapere d'un fracasso così? E sarà poi finito? Dios lo sabe.
- Ah! per me, non voglio più impicciarmene, - diceva il vicario: - me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nelle mani di vostra eccellenza, e vo a vivere in una grotta, sur una montagna, a far l'eremita, lontano, lontano da questa gente bestiale.
- Usted farà quello che sarà più conveniente por el servicio de su magestad, - rispose gravemente il gran cancelliere.
- Sua maestà non vorrà la mia morte, - replicava il vicario: - in una grotta, in una grotta; lontano da costoro.
Che avvenisse poi di questo suo proponimento non lo dice il nostro autore, il quale, dopo avere accompagnato il pover'uomo in castello, non fa più menzione de' fatti suoi.
CAPITOLO XIV
La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada.
Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata.
Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario.
Accosto a quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla meglio.
All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada.
Ma tutte le strade del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si moveva insieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non è rimesso bene.
Pensate poi che babilonia di discorsi.
Chi raccontava con enfasi i casi particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva fatto; chi si rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzando, diceva: - non abbiate paura, che non l'ammazzeranno: il lupo non mangia la carne del lupo -; chi più stizzosamente mormorava che non s'eran fatte le cose a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tanto chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte d'un colore; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buio, tornavano verso casa.
Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della carrozza, finché c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati, come in trionfo, si rallegrò quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un po' di strada con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata, per respirare anche lui un po' liberamente.
Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una parte e dall'altra, cercando un'insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de' cappuccini, era troppo tardi.
Camminando così con la testa per aria, si trovò a ridosso a un crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di congetture, di disegni, per il giorno dopo.
Stato un momento a sentire, non poté tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto.
E persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormal, per mandare a effetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade, - signori miei! - gridò, in tono d'esordio: - devo dire anch'io il mio debol parere? Il mio debol parere è questo: che non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un po' più da cristiani.
Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte.
- Pur troppo, - disse una voce.
- Lo dicevo io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche da noi.
E poi la cosa parla da sé.
Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui; mi pare.
Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno mai visto uno di questi col muso all'inferriata.
E quel che è peggio (e questo lo posso dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate, per gastigarli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo.
E dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io.
Ora, andate a dire ai dottori, scribi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la grida: vi dànno retta come il papa ai furfanti: cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo.
Si vede dunque chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati; ma non se ne fa nulla, perché c'è una lega.
Dunque bisogna romperla; bisogna andar domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia.
Bisogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle; che ho visto io, co' miei occhi, una grida con tanto d'arme in cima, ed era stata fatta da tre di quelli che possono, che d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'e stampato, e uno di questi nomi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora, questa grida diceva proprio le cose giuste per me; e un dottore al quale io gli dissi che dunque mi facesse render giustizia, com'era l'intenzione di que' tre signori, tra i quali c'era anche Ferrer, questo signor dottore, che m'aveva fatto veder la grida lui medesimo, che è il più bello, ah! ah! pareva che gli dicessi delle pazzie.
Son sicuro che, quando quel caro vecchione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper tutte, specialmente quelle di fuori; non vorrà più che il mondo vada così, e ci metterà un buon rimedio.
E poi, anche loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s'ubbidisca: che è anche un disprezzo, un pitaffio col loro nome, contarlo per nulla.
E se i prepotenti non vogliono abbassar la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto oggi.
Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè.
Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in Milano, ma per tutto, che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare un buon processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e dire ai podestà che faccian davvero; se no, mandarli a spasso, e metterne de' meglio: e poi, come dico, ci saremo anche noi a dare una mano.
E ordinare a' dottori che stiano a sentire i poveri e parlino in difesa della ragione.
Dico bene, signori miei?
Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori.
Un grido confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta dell'udienza.
Non mancaron però i critici.
- Eh sì, - diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava.
- Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi -.
Renzo però non sentì che i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra.
- A rivederci a domani.
- Dove? - Sulla piazza del duomo.
- Va bene.
- Va bene.
- E qualcosa si farà.
- E qualcosa si farà.
- Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da povero figliuolo? - disse Renzo.
- Son qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto ancor nulla.
- Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al padrone, che è mio amico, e galantuomo.
- Qui vicino? - domandò Renzo.
- Poco distante, - rispose colui.
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della sua cortesia.
- Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso.
Non siamo obbligati a far servizio al prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra domanda.
- Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?
- Vengo, - rispose Renzo, - fino, fino da Lecco.
- Fin da Lecco? Di Lecco siete?
- Di Lecco...
cioè del territorio.
- Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.
- Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma...
basta, qualche giorno si saprà; e allora...
Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia, non ho voglia d'andar più lontano.
- No, no! venite dov'ho detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.
- Eh, sì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro.
Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna piena.
- Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.
- Non occorre che v'incomodiate di più, - rispose Renzo.
- Però, - soggiunse, - se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.
- Accetterò le vostre grazie, - rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto; s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo compagno.
Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi spandevano una mezza luce.
Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto.
Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: " noi eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private ".
Il chiasso era grande.
Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui.
S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati.
Vista ch'ebbe la guida, " maledetto! " disse tra sé: " che tu m'abbia a venir sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei! " Data poi un'occhiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: " non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò ".
Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.
- Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.
- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -.
Così dicendo, si buttò a sedere sur una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende.
Ma gli venne subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un sospiro.
Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide venir l'oste col vino.
Il compagno s'era messo a sedere in faccia a Renzo.
Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -.
E riempito l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.
- Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.
- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.
- Sì, bravo; dello stufato.
- Sarete servito, - disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -.
E s'avviò verso il cammino.
- Ma...
- riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.
- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -.
E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane della provvidenza!
All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!
- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.
- Meglio, meglio.
- Ma, - soggiunse subito Renzo, - non vorrei che lor signori pensassero a male.
Non è ch'io l'abbia, come si suol dire, sgraffignato.
L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a pagarglielo.
- Bravo! bravo! - gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelle parole fossero dette davvero.
- Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: - vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi -.
E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane.
Non ho avuto mai la gola tanto secca.
S'è fatto un gran gridare!
- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.
- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.
- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.
- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?
L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.
- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?
- Io fo il mio dovere, - disse l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi...
quanto tempo ha di fermarsi in questa città...
Son parole della grida.
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare.
Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride.
- Dico davvero, - disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.
- Ah! ecco! - esclamò questo, alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale.
Me ne rallegro moltissimo.
La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con la corda al collo -.
(In cima alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola).
- Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole.
Quando questa faccia avrà fatto andare in galera il signor don...
basta, lo so io; come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia; le darò anche un bacio per di più.
Posso aver delle buone ragioni per non dirlo, il mio nome.
Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano d'altri furfanti: perché se fosse solo...
- e qui finì la frase con un gesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi.
Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova.
Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.
L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna.
Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà.
Se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male.
Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso -.
Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.
Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.
- Cosa devo fare? - disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
- Via, via, - gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge nuova.
In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.
- Ho fatto il mio dovere, - disse l'oste, forte; e poi tra se: " ora ho le spalle al muro".
E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.
- Porta del medesimo, - disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa città.
- Del medesimo, - disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino.
" Altro che lepre! " pensava, istoriando di nuovo la cenere: " e in che mani sei capitato! Pezzo d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie ".
Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le sue parti.
- Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono -.
Poi, spianando la destra per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, - gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!
- Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.
- Sentiamo un poco, - rispose Renzo.
- La ragione è questa, - disse colui: - che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.
Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che perdeva.
- To', - disse Renzo: - è un poeta costui.
Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto.
N'ho una vena anch'io, e qualche volta ne dico delle curiose...
ma quando le cose vanno bene.
Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole.
Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane dal loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa ci ha che fare poeta con cervello balzano?
- Ma la ragione giusta la dirò io, - soggiunse Renzo: - è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo.
Hanno poi anche un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po' di...
so io quel che voglio dire...
- e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando la fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa.
Basta; se ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giustizia.
Intanto alcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare con la nostra storia.
Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con Renzo in particolare.
Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo progetto.
- Eh! se comandassi io, - disse, - lo troverei il verso di fare andar le cose bene.
- Come vorreste fare? - domandò Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la bocca, come per star più attento.
- Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.
- Ah! così va bene, - disse Renzo.
- Ecco come farei.
Una meta onesta, che tutti ci potessero campare.
E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente.
Dunque dividere il pane.
E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio.
A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti.
Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche.
A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per...
il vostro nome?
- Lorenzo Tramaglino, - disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle persone.
- Benissimo, - disse lo sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?
- Dovrei bene...
figliuoli no...
troppo presto...
ma la moglie...
se il mondo andasse come dovrebbe andare...
- Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.
- È giusto; ma se presto, come spero...
e con l'aiuto di Dio..
Basta; quando avessi moglie anch'io?
- Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione.
Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi.
- Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge così?
- Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.
- Un altro gocciolino, un altro gocciolino, - gridava Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi, e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder di nuovo.
- Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.
Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo: - buona notte, - e se n'andò.
Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era già in istrada; e poi ripiombò sulla panca.
Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche affare da comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: - ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio da amico; ma non l'ha voluto.
Alle volte, la gente ha dell'idee curiose.
Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere.
Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a male -.
Così detto, lo prese, e lo votò in un sorso.
- Ho inteso, - disse il garzone, andandosene.
- Ah! avete inteso anche voi, - riprese Renzo: - dunque è vero.
Quando le ragioni son giuste...!
Qui è necessario tutto l'amore, che portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra storia.
Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse così fatale.
Que' pochi bicchieri che aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d'animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete.
Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare.
Le abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già come poteva.
Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine.
Ma a poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente difficile.
Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua mente, s'annebbiava e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo, non era quella che fosse al caso.
In queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco.
Ma di che aiuto gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che tralasciamo, disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno senso, ma non fanno vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.
- Ah oste, oste! - ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: - oste che tu sei! Non posso mandarla giù...
quel tiro del nome, cognome e negozio.
A un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene.
Che soddisfazione, che sugo, che gusto...
di mettere in carta un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni figliuoli...
Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone...
per la ragione...
Ridono eh? Ho un po' di brio, sì...
ma le ragioni le dico giuste.
Dimmi un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è vero? dico bene? Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai da te a bere un bicchierino.
- Tutta gente che beve acqua, - disse un vicino di Renzo.
- Vogliono stare in sé, - soggiunse un altro, - per poter dir le bugie a dovere.
- Ah! - gridò Renzo: - ora è il poeta che ha parlato.
Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni.
Rispondi dunque, oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e a spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...? Sto zitto, perché sono in cervello anche troppo.
Ferrer e il padre Crrr...
so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini.
I vecchi peggio de' giovani; e i giovani...
peggio ancora de' vecchi.
Però, son contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle fare al boia.
Pane; oh questo sì.
Ne ho ricevuti degli urtoni; ma...
ne ho anche dati.
Largo! abbondanza! viva!...
Eppure, anche Ferrer...
qualche parolina in latino...
siés baraòs trapolorum...
Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!...
Là ci volevano que' galantuomini...
quando scappò fuori quel maledetto ton ton ton, e poi ancora ton ton ton.
Non si sarebbe fuggiti, ve', allora.
Tenerlo lì quel signor curato...
So io a chi penso!
A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo, come assorto in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il viso, con due occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole, così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un momento.
Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della brigata.
Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era contadino.
Si misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie.
Renzo, ora dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito.
Per buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.
CAPITOLO XV
L'oste, vedendo che il gioco andava in lungo, s'era accostato a Renzo; e pregando, con buona grazia, quegli altri che lo lasciassero stare, l'andava scotendo per un braccio, e cercava di fargli intendere e di persuaderlo che andasse a dormire.
Ma Renzo tornava sempre da capo col nome e cognome, e con le gride, e co' buoni figliuoli.
Però quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido intervallo.
Quel po' di senno che gli tornò, gli fece in certo modo capire che il più se n'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo rimasto acceso d'un'illuminazione, fa vedere gli altri spenti.
Si fece coraggio; stese le mani, e le appuntellò sulla tavola; tentò, una e due volte, d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla terza, sorretto dall'oste, si rizzò.
Quello, reggendolo tuttavia, lo fece uscire di tra la tavola e la panca; e, preso con una mano un lume, con l'altra, parte lo condusse, parte lo tirò, alla meglio, verso l'uscio di scala.
Lì Renzo, al chiasso de' saluti che coloro gli urlavan dietro, si voltò in fretta; e se il suo sostenitore non fosse stato ben lesto a tenerlo per un braccio, la voltata sarebbe stata un capitombolo; si voltò dunque, e, con l'altro braccio che gli rimaneva libero, andava trinciando e iscrivendo nell'aria certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.
- Andiamo a letto, a letto, - disse l'oste, strascicandolo; gli fece imboccar l'uscio; e con più fatica ancora, lo tirò in cima di quella scaletta, e poi nella camera che gli aveva destinata.
Renzo, visto il letto che l'aspettava, si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con due occhietti che ora scintillavan più che mai, ora s'eclissavano, come due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso dell'oste, per prendergli il ganascino, in segno d'amicizia e di riconoscenza; ma non gli riuscì.
- Bravo oste! - gli riuscì però di dire: - ora vedo che sei un galantuomo: questa è un'opera buona, dare un letto a un buon figliuolo; ma quella figura che m'hai fatta, sul nome e cognome, quella non era da galantuomo.
Per buona sorte che anch'io son furbo la mia parte...
L'oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto connettere; l'oste che, per lunga esperienza, sapeva quanto gli uomini, in quello stato, sian più soggetti del solito a cambiar di parere, volle approfittare di quel lucido intervallo, per fare un altro tentativo.
- Figliuolo caro, - disse, con una voce e con un fare tutto gentile: - non l'ho fatto per seccarvi, né per sapere i fatti vostri.
Cosa volete? è legge: anche noi bisogna ubbidire; altrimenti siamo i primi a portarne la pena.
È meglio contentarli, e...
Di che si tratta finalmente? Gran cosa! dir due parole.
Non per loro, ma per fare un piacere a me: via; qui tra noi, a quattr'occhi, facciam le nostre cose; ditemi il vostro nome, e...
e poi andate a letto col cuor quieto.
- Ah birbone! - esclamò Renzo: - mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e negozio!
- Sta' zitto, buffone; va' a letto, - diceva l'oste.
Ma Renzo continuava più forte: - ho inteso: sei della lega anche tu.
Aspetta, aspetta, che t'accomodo io -.
E voltando la testa verso la scaletta, cominciava a urlare più forte ancora: - amici! l'oste è della...
- Ho detto per celia, - gridò questo sul viso di Renzo, spingendolo verso il letto: - per celia; non hai inteso che ho detto per celia?
- Ah! per celia: ora parli bene.
Quando hai detto per celia...
Son proprio celie -.
E cadde bocconi sul letto.
- Animo; spogliatevi; presto, - disse l'oste, e al consiglio aggiunse l'aiuto; che ce n'era bisogno.
Quando Renzo si fu levato il farsetto (e ce ne volle), l'oste l'agguantò subito, e corse con le mani alle tasche, per vedere se c'era il morto.
Lo trovò: e pensando che, il giorno dopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conti con tutt'altri
E che con lui, e che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani di dove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi se almeno gli riusciva di concluder quest'altro affare.
- Voi siete un buon figliuolo, un galantuomo; n'è vero? - disse.
- Buon figliuolo, galantuomo, - rispose Renzo, facendo tuttavia litigar le dita co' bottoni de' panni che non s'era ancor potuto levare.
- Bene, - replicò l'oste: - saldate ora dunque quel poco conticino, perché domani io devo uscire per certi miei affari...
- Quest'è giusto, - disse Renzo.
- Son furbo, ma galantuomo...
Ma i danari? Andare a cercare i danari ora!
- Eccoli qui, - disse l'oste: e, mettendo in opera tutta la sua pratica, tutta la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli riuscì di fare il conto con Renzo, e di pagarsi.
- Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste, - disse Renzo.
- Lo vedo anch'io, ve', che ho addosso un gran sonno.
L'oste gli diede l'aiuto richiesto; gli stese per di più la coperta addosso, e gli disse sgarbatamente - buona notte, - che già quello russava.
Poi, per quella specie d'attrattiva, che alle volte ci tiene a considerare un oggetto di stizza, al pari che un oggetto d'amore, e che forse non è altro che il desiderio di conoscere ciò che opera fortemente sull'animo nostro, si fermò un momento a contemplare l'ospite così noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, con la mano stesa, ribatter sopra la luce; in quell'atto a un di presso che vien dipinta Psiche, quando sta a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto.
- Pezzo d'asino! - disse nella sua mente al povero addormentato: - sei andato proprio a cercartela.
Domani poi, mi saprai dire che bel gusto ci avrai.
Tangheri, che volete girare il mondo, senza saper da che parte si levi il sole; per imbrogliar voi e il prossimo.
Così detto o pensato, ritirò il lume, si mosse, uscì dalla camera, e chiuse l'uscio a chiave.
Sul pianerottolo della scala, chiamò l'ostessa; alla quale disse che lasciasse i figliuoli in guardia a una loro servetta, e scendesse in cucina, a far le sue veci.
- Bisogna ch'io vada fuori, in grazia d'un forestiero capitato qui, non so come diavolo, per mia disgrazia, - soggiunse; e le raccontò in compendio il noioso accidente.
Poi soggiunse ancora: - occhio a tutto; e sopra tutto prudenza, in questa maledetta giornata.
Abbiamo laggiù una mano di scapestrati che, tra il bere, e tra che di natura sono sboccati, ne dicon di tutti i colori.
Basta, se qualche temerario...
- Oh! non sono una bambina, e so anch'io quel che va fatto.
Finora, mi pare che non si possa dire...
- Bene, bene; e badar che paghino; e tutti que' discorsi che fanno, sul vicario di provvisione e il governatore e Ferrer e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista di non sentire; perché, se si contraddice, la può andar male subito; e se si dà ragione, la può andar male in avvenire: e già sai anche tu che qualche volta quelli che le dicon più grosse...
Basta; quando si senton certe proposizioni, girar la testa, e dire: vengo; come se qualcheduno chiamasse da un'altra parte.
Io cercherò di tornare più presto che posso.
Ciò detto, scese con lei in cucina, diede un'occhiata in giro, per veder se c'era novità di rilievo; staccò da un cavicchio il cappello e la cappa, prese un randello da un cantuccio, ricapitolò, con un'altra occhiata alla moglie, l'istruzioni che le aveva date; e uscì.
Ma, già nel far quelle operazioni, aveva ripreso, dentro di sé, il filo dell'apostrofe cominciata al letto del povero Renzo; e la proseguiva, camminando in istrada.
" Testardo d'un montanaro! " Ché, per quanto Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità si manifestava da sé, nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti.
" Una giornata come questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'uscivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere.
Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione.
Ma no signore; in compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio! "
A ogni passo, l'oste incontrava o passeggieri scompagnati, o coppie, o brigate di gente, che giravano susurrando.
A questo punto della sua muta allocuzione, vide venire una pattuglia di soldati; e tirandosi da parte, per lasciarli passare, li guardò con la coda dell'occhio, e continuò tra sé: " eccoli i gastigamatti.
E tu, pezzo d'asino, per aver visto un po' di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in testa che il mondo abbia a mutarsi.
E su questo bel fondamento, ti sei rovinato te, e volevi anche rovinar me; che non è giusto.
Io facevo di tutto per salvarti; e tu, bestia, in contraccambio, c'è mancato poco che non m'hai messo sottosopra l'osteria.
Ora toccherà a te a levarti d'impiccio: per me ci penso io.
Come se io volessi sapere il tuo nome per una mia curiosità! Cosa m'importa a me che tu ti chiami Taddeo o Bartolommeo? Ci ho un bel gusto anch'io a prender la penna in mano! ma non siete voi altri soli a voler le cose a modo vostro.
Lo so anch'io che ci son delle gride che non contan nulla: bella novità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride contro gli osti contano.
E pretendi girare il mondo, e parlare; e non sai che, a voler fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima cosa è di parlarne con gran riguardo.
E per un povero oste che fosse del tuo parere, e non domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa c'è di bello? Sotto pena a qual si voglia dei detti osti, tavernai ed altri, come sopra, di trecento scudi: sì, son lì che covano trecento scudi; e per ispenderli così bene; da esser applicati, per i due terzi alla regia Camera, e l'altro all'accusatore o delatore: quel bel cecino! Ed in caso di inabilità, cinque anni di galera, e maggior pena, pecuniaria o corporale, all'arbitrio di sua eccellenza.
Obbligatissimo alle sue grazie ".
A queste parole, l'oste toccava la soglia del palazzo di giustizia.
Lì, come a tutti gli altri ufizi, c'era un gran da fare: per tutto s'attendeva a dar gli ordini che parevan più atti a preoccupare il giorno seguente, a levare i pretesti e l'ardire agli animi vogliosi di nuovi tumulti, ad assicurare la forza nelle mani solite a adoprarla.
S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario; gli sbocchi della strada furono sbarrati di travi, trincerati di carri.
S'ordinò a tutti i fornai che facessero pane senza intermissione; si spedirono staffette a' paesi circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni forno furono deputati nobili, che vi si portassero di buon mattino, a invigilare sulla distribuzione e a tenere a freno gl'inquieti, con l'autorità della presenza, e con le buone parole.
Ma per dar, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte, e render più efficaci i consigli con un po' di spavento, si pensò anche a trovar la maniera di metter le mani addosso a qualche sedizioso: e questa era principalmente la parte del capitano di giustizia; il quale, ognuno può pensare che sentimenti avesse per le sollevazioni e per i sollevati, con una pezzetta d'acqua vulneraria sur uno degli organi della profondità metafisica.
I suoi bracchi erano in campo fino dal principio del tumulto: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste, un bargello travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi, a notte affatto quieta, o il giorno dopo.
Sentite quattro parole di quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto subito assegnamento sopra; parendogli quello un reo buon uomo, proprio quel che ci voleva.
Trovandolo poi nuovo affatto del paese, aveva tentato il colpo maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come alla locanda più sicura della città; ma gli andò fallito, come avete visto.
Poté però portare a casa la notizia sicura del nome, cognome e patria, oltre cent'altre belle notizie congetturali; dimodoché, quando l'oste capitò lì, a dir ciò che sapeva intorno a Renzo, ne sapevan già più di lui.
Entrò nella solita stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad alloggiar da lui un forestiero, che non aveva mai voluto manifestare il suo nome.
- Avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia -; disse un notaio criminale, mettendo giu la penna, - ma già lo sapevamo.
" Bel segreto! " pensò l'oste: " ci vuole un gran talento! " - E sappiamo anche, - continuò il notaio, - quel riverito nome.
" Diavolo! il nome poi, com'hanno fatto? " pensò l'oste questa volta.
- Ma voi, - riprese l'altro, con volto serio, - voi non dite tutto sinceramente.
- Cosa devo dire di più?
- Ah! ah! sappiamo benissimo che colui ha portato nella vostra osteria una quantità di pane rubato, e rubato con violenza, per via di saccheggio e di sedizione.
- Vien uno con un pane in tasca; so assai dov'è andato a prenderlo.
Perché, a parlar come in punto di morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo.
- Già; sempre scusare, difendere: chi sente voi altri, son tutti galantuomini.
Come potete provare che quel pane fosse di buon acquisto?
- Cosa ho da provare io? io non c'entro: io fo l'oste.
- Non potrete però negare che codesto vostro avventore non abbia avuta la temerità di proferir parole ingiuriose contro le gride, e di fare atti mali e indecenti contro l'arme di sua eccellenza.
- Mi faccia grazia, vossignoria: come può mai essere mio avventore, se lo vedo per la prima volta? È il diavolo, con rispetto parlando, che l'ha mandato a casa mia: e se lo conoscessi, vossignoria vede bene che non avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome.
- Però, nella vostra osteria, alla vostra presenza, si son dette cose di fuoco: parole temerarie, proposizioni sediziose, mormorazioni, strida, clamori.
- Come vuole vossignoria ch'io badi agli spropositi che posson dire tanti urloni che parlan tutti insieme? Io devo attendere a' miei interessi, che sono un pover'uomo.
E poi vossignoria sa bene che chi è di lingua sciolta, per il solito è anche lesto di mano, tanto più quando sono una brigata, e...
- Sì, sì; lasciateli fare e dire: domani, domani, vedrete se gli sarà passato il ruzzo.
Cosa credete?
- Io non credo nulla.
- Che la canaglia sia diventata padrona di Milano?
- Oh giusto!
- Vedrete, vedrete.
- Intendo benissimo: il re sarà sempre il re; ma chi avrà riscosso, avrà riscosso: e naturalmente un povero padre di famiglia non ha voglia di riscotere.
Lor signori hanno la forza: a lor signori tocca.
- Avete ancora molta gente in casa?
- Un visibilio.
- E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schiamazzare, a metter su la gente, a preparar tumulti per domani?
- Quel forestiero, vuol dire vossignoria: è andato a letto.
- Dunque avete molta gente...
Basta; badate a non lasciarlo scappare.
" Che devo fare il birro io? " pensò l'oste; ma non disse né sì né no.
- Tornate pure a casa; e abbiate giudizio, - riprese il notaio.
- Io ho sempre avuto giudizio.
Vossignoria può dire se ho mai dato da fare alla giustizia.
- E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua forza.
- Io? per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste.
- La solita canzone: non avete mai altro da dire.
- Che ho da dire altro? La verità è una sola.
- Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verrà poi il caso, informerete più minutamente la giustizia, intorno a ciò che vi potrà venir domandato.
- Cosa ho da informare? io non so nulla; appena appena ho la testa da attendere ai fatti miei.
- Badate a non lasciarlo partire.
- Spero che l'illustrissimo signor capitano saprà che son venuto subito a fare il mio dovere.
Bacio le mani a vossignoria.
Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa sett'ore, ed era ancora, poveretto! sul più bello, quando due forti scosse alle braccia, e una voce che dappiè del letto gridava : - Lorenzo Tramaglino! - , lo fecero riscotere.
Si risentì, ritirò le braccia, aprì gli occhi a stento; e vide ritto appiè del letto un uomo vestito di nero, e due armati, uno di qua, uno di là del capezzale.
E, tra la sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase un momento come incantato; e credendo di sognare, e non piacendogli quel sogno, si dimenava, come per isvegliarsi affatto.
- Ah! avete sentito una volta, Lorenzo Tramaglino? - disse l'uomo dalla cappa nera, quel notaio medesimo della sera avanti.
- Animo dunque; levatevi, e venite con noi.
- Lorenzo Tramaglino! - disse Renzo Tramaglino: - cosa vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha detto il mio nome?
- Meno ciarle, e fate presto, - disse uno de' birri che gli stavano a fianco, prendendogli di nuovo il braccio.
- Ohe! che prepotenza è questa? - gridò Renzo, ritirando il braccio.
- Oste! o l'oste!
- Lo portiam via in camicia? - disse ancora quel birro, voltandosi al notaio.
- Avete inteso? - disse questo a Renzo: - si farà così, se non vi levate subito subito, per venir con noi.
- E perché? - domandò Renzo.
- Il perché lo sentirete dal signor capitano di giustizia.
- Io? Io sono un galantuomo: non ho fatto nulla; e mi maraviglio...
- Meglio per voi, meglio per voi; così, in due parole sarete spicciato, e potrete andarvene per i fatti vostri.
- Mi lascino andare ora, - disse Renzo: - io non ho che far nulla con la giustizia.
- Orsù, finiamola! - disse un birro.
- Lo portiamo via davvero? - disse l'altro.
- Lorenzo Tramaglino! - disse il notaio.
- Come sa il mio nome, vossignoria?
- Fate il vostro dovere, - disse il notaio a' birri; i quali misero subito le mani addosso a Renzo, per tirarlo fuori del letto.
- Eh! non toccate la carne d'un galantuomo, che...! Mi so vestir da me.
- Dunque vestitevi subito, - disse il notaio.
- Mi vesto, - rispose Renzo; e andava di fatti raccogliendo qua e là i panni sparsi sul letto, come gli avanzi d'un naufragio sul lido.
E cominciando a metterseli, proseguiva tuttavia dicendo: - ma io non ci voglio andare dal capitano di giustizia.
Non ho che far nulla con lui.
Giacché mi si fa quest'affronto ingiustamente, voglio esser condotto da Ferrer.
Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e m'ha dell'obbligazioni.
- Sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer, - rispose il notaio.
In altre circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto, d'una richiesta simile; ma non era momento da ridere.
Già nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o princìpi d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un far crocchi.
E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di non farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzìo andasse crescendo.
Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno.
Perciò dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persuaderlo con buone parole.
Il giovine intanto, mentre si vestiva adagino adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria gli avvenimenti del giorno avanti, indovinava bene, a un di presso, che le gride e il nome e il cognome dovevano esser la causa di tutto; ma come diamine colui lo sapeva quel nome? E che diamine era accaduto in quella notte, perché la giustizia avesse preso tant'animo, da venire a colpo sicuro, a metter le mani addosso a uno de' buoni figliuoli che, il giorno avanti, avevan tanta voce in capitolo? e che non dovevano esser tutti addormentati, poiché Renzo s'accorgeva anche lui d'un ronzìo crescente nella strada.
Guardando poi in viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui si sforzava invano di tener nascosta.
Onde, così per venire in chiaro delle sue congetture, e scoprir paese, come per tirare in lungo, e anche per tentare un colpo, disse: - vedo bene cos'è l'origine di tutto questo: gli è per amor del nome e del cognome.
Ier sera veramente ero un po' allegro: questi osti alle volte hanno certi vini traditori; e alle volte, come dico, si sa, quando il vino è giù, è lui che parla.
Ma, se non si tratta d'altro, ora son pronto a darle ogni soddisfazione.
E poi, già lei lo sa il mio nome.
Chi diamine gliel ha detto?
- Bravo, figliuolo, bravo! - rispose il notaio, tutto manieroso: - vedo che avete giudizio; e, credete a me che son del mestiere, voi siete più furbo che tant'altri.
È la miglior maniera d'uscirne presto e bene: con codeste buone disposizioni, in due parole siete spicciato, e lasciato in libertà.
Ma io, vedete figliuolo, ho le mani legate, non posso rilasciarvi qui, come vorrei.
Via, fate presto, e venite pure senza timore; che quando vedranno chi siete; e poi io dirò...
Lasciate fare a me...
Basta; sbrigatevi, figliuolo.
- Ah! lei non può: intendo, - disse Renzo; e continuava a vestirsi, rispingendo con de' cenni i cenni che i birri facevano di mettergli le mani addosso, per farlo spicciare.
- Passeremo dalla piazza del duomo? - domandò poi al notaio.
- Di dove volete; per la più corta, affine di lasciarvi più presto in libertà, - disse quello, rodendosi dentro di sé, di dover lasciar cadere in terra quella domanda misteriosa di Renzo, che poteva divenire un tema di cento interrogazioni.
" Quando uno nasce disgraziato! " pensava.
" Ecco; mi viene alle mani uno che, si vede, non vorrebbe altro che cantare; e, un po' di respiro che s'avesse, così extra formam, accademicamente, in via di discorso amichevole, gli si farebbe confessar, senza corda, quel che uno volesse; un uomo da condurlo in prigione già bell'e esaminato, senza che se ne fosse accorto: e un uomo di questa sorte mi deve per l'appunto capitare in un momento così angustiato.
Eh! non c'è scampo ", continuava a pensare, tendendo gli orecchi, e piegando la testa all'indietro: " non c'è rimedio; e' risica d'essere una giornata peggio di ieri ".
Ciò che lo fece pensar così, fu un rumore straordinario che si sentì nella strada: e non poté tenersi di non aprir l'impannata, per dare un'occhiatina.
Vide ch'era un crocchio di cittadini, i quali, all'intimazione di sbandarsi, fatta loro da una pattuglia, avevan da principio risposto con cattive parole, e finalmente si separavan continuando a brontolare; e quel che al notaio parve un segno mortale, i soldati eran pieni di civiltà.
Chiuse l'impannata, e stette un momento in forse, se dovesse condur l'impresa a termine, o lasciar Renzo in guardia de' due birri, e correr dal capitano di giustizia, a render conto di ciò che accadeva.
" Ma ", pensò subito, " mi si dirà che sono un buon a nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli ordini.
Siamo in ballo; bisogna ballare.
Malannaggia la furia! Maledetto il mestiere! "
Renzo era levato; i due satelliti gli stavano a' fianchi.
Il notaio accennò a costoro che non lo sforzasser troppo, e disse a lui: - da bravo, figliuolo; a noi, spicciatevi.
Anche Renzo sentiva, vedeva e pensava.
Era ormai tutto vestito, salvo il farsetto, che teneva con una mano, frugando con l'altra nelle tasche.
- Ohe! - disse, guardando il notaio, con un viso molto significante: - qui c'era de' soldi e una lettera.
Signor mio!
- Vi sarà dato ogni cosa puntualmente, - disse il notaio, dopo adempite quelle poche formalità.
Andiamo, andiamo.
- No, no, no, - disse Renzo, tentennando il capo: - questa non mi va: voglio la roba mia, signor mio.
Renderò conto delle mie azioni; ma voglio la roba mia.
- Voglio farvi vedere che mi fido di voi: tenete, e fate presto, - disse il notaio, levandosi di seno, e consegnando, con un sospiro, a Renzo le cose sequestrate.
Questo, riponendole al loro posto, mormorava tra' denti: - alla larga! bazzicate tanto co' ladri, che avete un poco imparato il mestiere -.
I birri non potevan più stare alle mosse; ma il notaio li teneva a freno con gli occhi, e diceva intanto tra sé: " se tu arrivi a metter piede dentro quella soglia, l'hai da pagar con usura, l'hai da pagare ".
Mentre Renzo si metteva il farsetto, e prendeva il cappello, il notaio fece cenno a un de' birri, che s'avviasse per la scala; gli mandò dietro il prigioniero, poi l'altro amico; poi si mosse anche lui.
In cucina che furono, mentre Renzo dice: - e quest'oste benedetto dove s'è cacciato? - il notaio fa un altro cenno a' birri; i quali afferrano, l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in fretta gli legano i polsi con certi ordigni, per quell'ipocrita figura d'eufemismo, chiamati manichini.
Consistevano questi (ci dispiace di dover dlscendere a particolari indegni della gravità storica; ma la chiarezza lo richiede), consistevano in una cordicella lunga un po' più che il giro d'un polso ordinario, la quale aveva nelle cime due pezzetti di legno, come due piccole stanghette.
La cordicella circondava il polso del paziente; i legnetti, passati tra il medio e l'anulare del prenditore, gli rimanevano chiusi in pugno, di modo che, girandoli, ristringeva la legatura, a volontà; e con ciò aveva mezzo, non solo d'assicurare la presa, ma anche di martirizzare un ricalcitrante: e a questo fine, la cordicella era sparsa di nodi.
Renzo si divincola, grida: - che tradimento è questo? A un galantuomo...! - Ma il notaio, che per ogni tristo fatto aveva le sue buone parole, - abbiate pazienza, - diceva: - fanno il loro dovere.
Cosa volete? son tutte formalità; e anche noi non possiamo trattar la gente a seconda del nostro cuore.
Se non si facesse quello che ci vien comandato, staremmo freschi noi altri, peggio di voi.
Abbiate pazienza.
Mentre parlava, i due a cui toccava a fare, diedero una girata a' legnetti.
Renzo s'acquietò, come un cavallo bizzarro che si sente il labbro stretto tra le morse, e esclamò: - pazienza!
- Bravo figliuolo! - disse il notaio: - questa è la vera maniera d'uscirne a bene.
Cosa volete? è una seccatura; lo vedo anch'io; ma, portandovi bene, in un momento ne siete fuori.
E giacché vedo che siete ben disposto, e io mi sento inclinato a aiutarvi, voglio darvi anche un altro parere, per vostro bene.
Credete a me, che son pratico di queste cose: andate via diritto diritto, senza guardare in qua e in là, senza farvi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s'avvede di quel che è; e voi conservate il vostro onore.
Di qui a un'ora voi siete in libertà: c'è tanto da fare, che avranno fretta anche loro di sbrigarvi: e poi parlerò io...
Ve n'andate per i fatti vostri; e nessuno saprà che siete stato nelle mani della giustizia.
E voi altri, - continuò poi, voltandosi a' birri, con un viso severo: - guardate bene di non fargli male, perché lo proteggo io: il vostro dovere bisogna che lo facciate; ma ricordatevi che è un galantuomo, un giovine civile, il quale, di qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve premere il suo onore.
Andate in maniera che nessuno s'avveda di nulla: come se foste tre galantuomini che vanno a spasso -.
E, con tono imperativo, e con sopracciglio minaccioso, concluse: - m'avete inteso -.
Voltatosi poi a Renzo, col sopracciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto ridente, che pareva volesse dire: oh noi sì che siamo amici!, gli bisbigliò di nuovo: - giudizio; fate a mio modo: andate raccolto e quieto; fidatevi di chi vi vuol bene: andiamo -.
E la comitiva s'avviò.
Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una: né che il notaio volesse più bene a lui che a' birri, né che prendesse tanto a cuore la sua riputazione, né che avesse intenzion d'aiutarlo: capì benissimo che il galantuomo, temendo che si presentasse per la strada qualche buona occasione di scappargli dalle mani, metteva innanzi que' bei motivi, per istornar lui dallo starci attento e da approfittarne.
Dimodoché tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a confermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario.
Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto e novizio; perché s'ingannerebbe.
Era un furbo matricolato, dice il nostro storico, il quale pare che fosse nel numero de' suoi amici: ma, in quel momento, si trovava con l'animo agitato.
A sangue freddo, vi so dir io come si sarebbe fatto beffe di chi, per indurre un altro a fare una cosa per sé sospetta, fosse andato suggerendogliela e inculcandogliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un parere disinteressato, da amico.
Ma è una tendenza generale degli uomini, quando sono agitati e angustiati, e vedono ciò che un altro potrebbe fare per levarli d'impiccio, di chiederglielo con istanza e ripetutamente e con ogni sorte di pretesti; e i furbi, quando sono angustiati e agitati, cadono anche loro sotto questa legge comune.
Quindi è che, in simili circostanze, fanno per lo più una così meschina figura.
Que' ritrovati maestri, quelle belle malizie, con le quali sono avvezzi a vincere, che son diventate per loro quasi una seconda natura, e che, messe in opera a tempo, e condotte con la pacatezza d'animo, con la serenità di mente necessarie, fanno il colpo così bene e così nascostamente, e conosciute anche, dopo la riuscita, riscotono l'applauso universale; i poverini quando sono alle strette, le adoprano in fretta, all'impazzata, senza garbo né grazia.
Di maniera che a uno che li veda ingegnarsi e arrabattarsi a quel modo, fanno pietà e movon le risa, e l'uomo che pretendono allora di mettere in mezzo, quantunque meno accorto di loro, scopre benissimo tutto il loro gioco, e da quegli artifizi ricava lume per sé, contro di loro.
Perciò non si può mai abbastanza raccomandare a' furbi di professione di conservar sempre il loro sangue freddo, o d'esser sempre i più forti, che è la più sicura.
Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a girar gli occhi in qua e in là, a sporgersi con la persona, a destra e a sinistra, a tender gli orecchi.
Non c'era però concorso straordinario; e benché sul viso di più d'un passeggiero si potesse legger facilmente un certo non so che di sedizioso, pure ognuno andava diritto per la sua strada; e sedizione propriamente detta, non c'era.
- Giudizio, giudizio! - gli susurrava il notaio dietro le spalle: - il vostro onore; l'onore, figliuolo -.
Ma quando Renzo, badando attentamente a tre che venivano con visi accesi, sentì che parlavan d'un forno, di farina nascosta, di giustizia, cominciò anche a far loro de' cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica tutt'altro che un raffreddore.
Quelli guardarono più attentamente la comitiva, e si fermarono; con loro si fermarono altri che arrivavano; altri, che gli eran passati davanti, voltatisi al bisbiglìo, tornavano indietro, e facevan coda.
- Badate a voi; giudizio, figliuolo; peggio per voi vedete; non guastate i fatti vostri; l'onore, la riputazione, - continuava a susurrare il notaio.
Renzo faceva peggio.
I birri, dopo essersi consultati con l'occhio, pensando di far bene (ognuno è soggetto a sbagliare), gli diedero una stretta di manichini.
- Ahi! ahi! ahi! - grida il tormentato: al grido, la gente s'affolla intorno; n'accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trova incagliata.
- È un malvivente, - bisbigliava il notaio a quelli che gli erano a ridosso: - è un ladro colto sul fatto.
Si ritirino, lascin passar la giustizia -.
Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, " se non m'aiuto ora, pensò, mio danno ".
E subito alzò la voce: - figliuoli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia.
Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli!
Un mormorìo favorevole, voci più chiare di protezione s'alzano in risposta: i birri sul principio comandano, poi chiedono, poi pregano i più vicini d'andarsene, e di far largo: la folla in vece incalza e pigia sempre più.
Quelli, vista la mala parata, lascian andare i manichini, e non si curan più d'altro che di perdersi nella folla, per uscirne inosservati.
Il notaio desiderava ardentemente di far lo stesso; ma c'era de' guai, per amor della cappa nera.
Il pover'uomo, pallido e sbigottito, cercava di farsi piccino piccino, s'andava storcendo, per isgusciar fuor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se ne vedesse venti addosso.
Studiava tutte le maniere di comparire un estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovato stretto nella calca, come una pagliucola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con uno che lo guardava fisso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, composta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò: - cos'è stato?
- Uh corvaccio! - rispose colui.
- Corvaccio! corvaccio! - risonò all'intorno.
Alle grida s'aggiunsero gli urtoni; di maniera che, in poco tempo, parte con le gambe proprie, parte con le gomita altrui, ottenne ciò che più gli premeva in quel momento, d'esser fuori di quel serra serra.
CAPITOLO XVI
- Scappa, scappa, galantuomo: lì c'è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là, - si grida a Renzo da ogni parte.
In quanto allo scappare, pensate se aveva bisogno di consigli.
Fin dal primo momento che gli era balenato in mente una speranza d'uscir da quell'unghie, aveva cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se questo gli riusciva, d'andare senza fermarsi, fin che non fosse fuori, non solo della città, ma del ducato.
" Perché ", aveva pensato, " il mio nome l'hanno su' loro libracci, in qualunque maniera l'abbiano avuto; e col nome e cognome, mi vengono a prendere quando vogliono ".
E in quanto a un asilo, non vi si sarebbe cacciato che quando avesse avuto i birri alle spalle.
" Perché, se posso essere uccel di bosco ", aveva anche pensato, " non voglio diventare uccel di gabbia ".
Aveva dunque disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bergamo, dov'era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentate, che più volte l'aveva invitato a andar là.
Ma trovar la strada, lì stava il male.
Lasciato in una parte sconosciuta d'una città si può dire sconosciuta, Renzo non sapeva neppure da che porta s'uscisse per andare a Bergamo; e quando l'avesse saputo, non sapeva poi andare alla porta.
Fu lì lì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de' suoi liberatori; ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare su' casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello spadaio così obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio; e risolvette subito d'allontanarsi in fretta di lì: che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo dove nessuno sapesse chi era, né il perché la domandasse.
Disse a' suoi liberatori: - grazie tante, figliuoli: siate benedetti, - e, uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove.
Quando gli parve d'essersi allontanato abbastanza, rallentò il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che ispirasse confidenza.
Ma anche qui c'era dell'imbroglio.
La domanda per sé era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia del loro fuggitivo; la voce di quella fuga poteva essere arrivata fin là; e in tali strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici, prima di trovar la figura che gli paresse a proposito.
Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia, e che, non avendo altro che fare, andava alternativamente sollevando sulla punta de' piedi la sua massa tremolante, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di cicalone curioso, che, in vece di dar delle risposte, avrebbe fatto delle interrogazioni.
Quell'altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori, non che insegnar presto e bene la strada a un altro, appena pareva conoscer la sua.
Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d'esser molto sveglio, mostrava però d'essere anche più malizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare un povero contadino dalla parte opposta a quella che desiderava.
Tant'è vero che all'uomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! Visto finalmente uno che veniva in fretta, pensò che questo, avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito, senz'altre chiacchiere; e sentendolo parlar da sé, giudicò che dovesse essere un uomo sincero.
Gli s'accostò, e disse: - di grazia, quel signore, da che parte si va per andare a Bergamo?
- Per andare a Bergamo? Da porta orientale.
- Grazie tante; e per andare a porta orientale?
- Prendete questa strada a mancina; vi troverete sulla piazza del duomo; poi...
- Basta, signore; il resto lo so.
Dio gliene renda merito -.
E diviato s'incamminò dalla parte che gli era stata indicata.
L'altro gli guardò dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero quella maniera di camminare con la domanda, disse tra sé: " o n'ha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a lui ".
Renzo arriva sulla piazza del duomo; l'attraversa, passa accanto a un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi del falò di cui era stato spettatore il giorno avanti; costeggia gli scalini del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantellato, e guardato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era venuto insieme con la folla; arriva al convento de' cappuccini; dà un'occhiata a quella piazza e alla porta della chiesa, e dice tra sé, sospirando: " m'aveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po' di bene ".
Qui, essendosi fermato un momento a guardare attentamente alla porta per cui doveva passare, e vedendovi, così da lontano, molta gente a guardia, e avendo la fantasia un po' riscaldata (bisogna compatirlo; aveva i suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare quel passo.
Si trovava così a mano un luogo d'asilo, e dove, con quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente d'entrarvi.
Ma, subito ripreso animo, pensò: " uccel di bosco, fin che si può.
Chi mi conosce? Di ragione, i birri non si saran fatti in pezzi, per andarmi ad aspettare a tutte le porte ".
Si voltò, per vedere se mai venissero da quella parte: non vide né quelli, né altri che paressero occuparsi di lui.
Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette, che volevan sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e adagio adagio, fischiando in semitono, arriva alla porta.
C'era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche de' micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla notizia d'una sommossa, v'accorrono, come i corvi al campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un'aria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra il viandante e uno che vada a spasso, uscì, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere.
Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro.
Cammina, cammina; trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza domandarne il nome; è certo d'allontanarsi da Milano, spera d'andar verso Bergamo; questo gli basta per ora.
Ogni tanto, si voltava indietro; ogni tanto, andava anche guardando e strofinando or l'uno or l'altro polso, ancora un po' indolenziti, e segnati in giro d'una striscia rosseggiante, vestigio della cordicella.
I suoi pensieri erano, come ognuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, d'inquietudini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso di raccapezzare le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte segreta della sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il suo nome.
I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si rammentava bene d'averlo spiattellato.
E ripensando alla maniera con cui gliel aveva cavato di bocca, e a tutto il fare di colui, e a tutte quell'esibizioni che riuscivan sempre a voler saper qualcosa, il sospetto diveniva quasi certezza.
Se non che si rammentava poi anche, in confuso, d'aver, dopo la partenza dello spadaio, continuato a cicalare; con chi, indovinala grillo; di cosa, la memoria, per quanto venisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva dir altro che d'essersi in quel tempo trovata fuor di casa.
Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior de' galantuomini; e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de' suoi affari: che conoscere? è un caos.
Un altro studio penoso era quello di far sull'avvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli che non erano in aria, eran tutti malinconici.
Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar la strada.
Dopo aver camminato un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che da sé non ne poteva uscire.
Provava bensì una certa ripugnanza a metter fuori quella parola Bergamo, come se avesse un non so che di sospetto, di sfacciato; ma non si poteva far di meno.
Risolvette dunque di rivolgersi, come aveva fatto in Milano, al primo viandante la cui fisonomia gli andasse a genio; e così fece.
- Siete fuor di strada, - gli rispose questo; e, pensatoci un poco, parte con parole, parte co' cenni, gl'indicò il giro che doveva fare, per rimettersi sulla strada maestra.
Renzo lo ringraziò, fece le viste di far come gli era stato detto, prese in fatti da quella parte, con intenzione però d'avvicinarsi bensì a quella benedetta strada maestra, di non perderla di vista, di costeggiarla più che fosse possibile; ma senza mettervi piede.
Il disegno era più facile da concepirsi che da eseguirsi.
La conclusione fu che, andando così da destra a sinistra, e, come si dice, a zig zag, parte seguendo l'altre indicazioni che si faceva coraggio a pescar qua e là, parte correggendole secondo i suoi lumi, e adattandole al suo intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici miglia, che non era distante da Milano più di sei; e in quanto a Bergamo, era molto se non se n'era allontanato.
Cominciò a persuadersi che, anche in quella maniera, non se n'usciva a bene; e pensò a trovar qualche altro ripiego.
Quello che gli venne in mente, fu di scovar, con qualche astuzia, il nome di qualche paese vicino al confine, e al quale si potesse andare per istrade comunali: e domandando di quello, si farebbe insegnar la strada, senza seminar qua e là quella domanda di Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di sfratto, di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori d'un paesello.
Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di ristorar le sue forze; pensò che lì sarebbe il luogo di fare i due servizi in una volta; entrò.
Non c'era che una vecchia, con la rocca al fianco, e col fuso in mano.
Chiese un boccone; gli fu offerto un po' di stracchino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto.
Questa, in un momento, ebbe messo in tavola; e subito dopo cominciò a tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti di Milano: ché la voce n'era arrivata fin là.
Renzo, non solo seppe schermirsi dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi della difficoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità della vecchia, che gli domandava dove fosse incamminato.
- Devo andare in molti luoghi, - rispose: - e, se trovo un ritaglio di tempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di Milano...
Come si chiama? - " Qualcheduno ce ne sarà ", pensava intanto tra sé.
- Gorgonzola, volete dire, - rispose la vecchia.
- Gorgonzola! - ripeté Renzo, quasi per mettersi meglio in mente la parola.
- È molto lontano di qui? - riprese poi.
- Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia.
Se ci fosse qualcheduno de' miei figliuoli, ve lo saprebbe dire.
- E credete che ci si possa andare per queste belle viottole, senza prender la strada maestra? dove c'è una polvere, una polvere! Tanto tempo che non piove!
- A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta -.
E glielo nominò.
- Va bene; - disse Renzo; s'alzò, prese un pezzo di pane che gli era avanzato della magra colazione, un pane ben diverso da quello che aveva trovato, il giorno avanti, appiè della croce di san Dionigi; pagò il conto, uscì, e prese a diritta.
E, per non ve l'allungar più del bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di paese in paese, ci arrivò, un'ora circa prima di sera.
Già cammin facendo, aveva disegnato di far lì un'altra fermatina, per fare un pasto un po' più sostanzioso.
Ilcorpo avrebbe anche gradito un po' di letto; ma prima che contentarlo in questo, Renzo l'avrebbe lasciato cader rifinito sulla strada.
Il suo proposito era d'informarsi all'osteria, della distanza dell'Adda, di cavar destramente notizia di qualche traversa che mettesse là, e di rincamminarsi da quella parte, subito dopo essersi rinfrescato.
Nato e cresciuto alla seconda sorgente, per dir così, di quel fiume, aveva sentito dir più volte, che, a un certo punto, e per un certo tratto, esso faceva confine tra lo stato milanese e il veneto: del punto e del tratto non aveva un'idea precisa; ma, allora come allora, l'affar più urgente era di passarlo, dovunque si fosse.
Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di camminare fin che l'ora e la lena glielo permettessero: e d'aspettar poi l'alba, in un campo, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che non fosse un'osteria.
Fatti alcuni passi in Gorgonzola, vide un'insegna, entrò; e all'oste, che gli venne incontro, chiese un boccone, e una mezzetta di vino: le miglia di più, e il tempo gli avevan fatto passare quell'odio così estremo e fanatico.
- Vi prego di far presto, soggiunse: - perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada -.
E questo lo disse, non solo perché era vero, ma anche per paura che l'oste, immaginandosi che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio...
Alla larga!
L'oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto de' vergognosi.
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i quali, dopo aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno avanti, si struggevano di sapere un poco come fosse andata anche in quel giorno; tanto più che quelle prime eran più atte a stuzzicar la curiosità, che a soddisfarla: una sollevazione, né soggiogata né vittoriosa, sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la fine d'un atto piuttosto che d'un dramma.
Un di coloro si staccò dalla brigata, s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
- Io? - disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere.
- Voi, se la domanda è lecita.
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse: - Milano, da quel che ho sentito dire...
non dev'essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità.
- Continua dunque anche oggi il fracasso? - domandò, con più istanza, il curioso.
- Bisognerebbe esser là, per saperlo, - disse Renzo.
- Ma voi, non venite da Milano?
- Vengo da Liscate, - rispose lesto il giovine, che intanto aveva pensata la sua risposta.
Ne veniva in fatti, a rigor di termini, perché c'era passato; e il nome l'aveva saputo, a un certo punto della strada, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo che doveva attraversare, per arrivare a Gorgonzola.
- Oh! - disse l'amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza.
- E a Liscate, - soggiunse, - non si sapeva niente di Milano?
- Potrebb'essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa, - rispose il montanaro: - ma io non ho sentito dir nulla.
E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito.
Il curioso ritornò al suo posto; e, un momento dopo, l'oste venne a mettere in tavola.
- Quanto c'è di qui all'Adda? - gli disse Renzo, mezzo tra' denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta.
- All'Adda, per passare? - disse l'oste.
- Cioè...
sì...
all'Adda.
- Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?
- Dove si sia...
Domando così per curiosità.
- Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé.
- Va bene: e quanto c'è?
- Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia.
- Sei miglia! non credevo tanto, - disse Renzo.
- E già, - e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?
- Ce n'è sicuro, - rispose l'oste, ficcandogli in viso due occhi pieni d'una curiosità maliziosa.
Bastò questo per far morir tra' denti al giovine l'altre domande che aveva preparate.
Si tirò davanti il piatto; e guardando la mezzetta che l'oste aveva posata, insieme con quello, sulla tavola, disse: - il vino è sincero?
Come l'oro, - disse l'oste: - domandatene pure a tutta la gente del paese e del contorno, che se n'intende: e poi, lo sentirete -.
E così dicendo, tornò verso la brigata.
" Maledetti gli osti! " esclamò Renzo tra sé: " più ne conosco, peggio li trovo ".
Non ostante, si mise a mangiare con grand'appetito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza che paresse suo fatto, per veder di scoprir paese, di rilevare come si pensasse colà sul grand'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parte, e d'osservare specialmente se, tra que' parlatori, ci fosse qualche galantuomo, a cui un povero figliuolo potesse fidarsi di domandar la strada, senza timore d'esser messo alle strette, e forzato a ciarlare de' fatti suoi.
- Ma! - diceva uno: - questa volta par proprio che i milanesi abbian voluto far davvero.
Basta; domani al più tardi, si saprà qualcosa.
- Mi pento di non esser andato a Milano stamattina, - diceva un altro.
- Se vai domani, vengo anch'io, - disse un terzo; poi un altro, poi un altro.
- Quel che vorrei sapere, - riprese il primo, - è se que' signori di Milano penseranno anche alla povera gente di campagna, o se faranno far la legge buona solamente per loro.
Sapete come sono eh? Cittadini superbi, tutto per loro: gli altri, come se non ci fossero.
- La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dir la nostra ragione, - disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto più la proposizione era avanzata: - e quando la cosa sia incamminata...
- Ma credette meglio di non finir la frase.
- Del grano nascosto, non ce n'è solamente in Milano, - cominciava un altro, con un'aria cupa e maliziosa; quando sentono avvicinarsi un cavallo.
Corron tutti all'uscio; e, riconosciuto colui che arrivava, gli vanno incontro.
Era un mercante di Milano, che, andando più volte l'anno a Bergamo, per i suoi traffichi, era solito passar la notte in quell'osteria; e siccome ci trovava quasi sempre la stessa compagnia, li conosceva tutti.
Gli s'affollano intorno; uno prende la briglia, un altro la staffa.
- Ben arrivato, ben arrivato!
- Ben trovati.
- Avete fatto buon viaggio?
- Bonissimo; e voi altri, come state?
- Bene, bene.
Che nuove ci portate di Milano?
- Ah! ecco quelli delle novità, - disse il mercante, smontando, e lasciando il cavallo in mano d'un garzone.
- E poi, e poi, continuò, entrando con la compagnia, - a quest'ora le saprete forse meglio di me.
- Non sappiamo nulla, davvero, - disse più d'uno, mettendosi la mano al petto.
- Possibile? - disse il mercante.
- Dunque ne sentirete delle belle...
o delle brutte.
Ehi, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene: un bicchier di vino, e il mio solito boccone, subito; perché voglio andare a letto presto, per partir presto domattina, e arrivare a Bergamo per l'ora del desinare.
E voi altri, - continuò, mettendosi a sedere, dalla parte opposta a quella dove stava Renzo, zitto e attento, - voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri?
- Di ieri sì.
- Vedete dunque, - riprese il mercante, - se le sapete le novità.
Lo dicevo io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli che passano...
- Ma oggi, com'è andata oggi?
- Ah oggi.
Non sapete niente d'oggi?
- Niente affatto: non è passato nessuno.
- Dunque lasciatemi bagnar le labbra; e poi vi dirò le cose d'oggi.
Sentirete -.
Empì il bicchiere, lo prese con una mano, poi con le prime due dita dell'altra sollevò i baffi, poi si lisciò la barba, bevette, e riprese: - oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata brusca come ieri, o peggio.
E non mi par quasi vero d'esser qui a chiacchierar con voi altri; perché avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega.
- Che diavolo c'era? - disse uno degli ascoltanti.
- Proprio il diavolo: sentirete -.
E trinciando la pietanza che gli era stata messa davanti, e poi mangiando, continuò il suo racconto.
I compagni, ritti di qua e di là della tavola, lo stavano a sentire, con la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fatto, stava attento, forse più di tutti, masticando adagio adagio gli ultimi suoi bocconi.
- Stamattina dunque que' birboni che ieri avevano fatto quel chiasso orrendo, si trovarono a' posti convenuti (già c'era un'intelligenza: tutte cose preparate); si riunirono, e ricominciarono quella bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gente.
Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la casa; il mucchio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti.
Quando parve loro d'esser gente abbastanza, s'avviarono verso la casa del signor vicario di provvisione; come se non bastassero le tirannie che gli hanno fatte ieri: a un signore di quella sorte! oh che birboni! E la roba che dicevan contro di lui! Tutte invenzioni: un signor dabbene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo di panno per le livree della servitù.
S'incamminaron dunque verso quella casa: bisognava veder che canaglia, che facce: figuratevi che son passati davanti alla mia bottega: facce che...
i giudei della Via Crucis non ci son per nulla.
E le cose che uscivan da quelle bocche! da turarsene gli orecchi, se non fosse stato che non tornava conto di farsi scorgere.
Andavan dunque con la buona intenzione di dare il sacco; ma...
- E qui, alzata in aria, e stesa la mano sinistra, si mise la punta del pollice alla punta del naso.
- Ma? - dissero forse tutti gli ascoltatori.
- Ma, - continuò il mercante, - trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per riceverli come si meritavano.
Quando videro questo bell'apparato...
Cosa avreste fatto voi altri?
- Tornare indietro.
- Sicuro; e così fecero.
Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava.
Son lì sul Cordusio, vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c'era de' cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c'era chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch'io: in un batter d'occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra.
- E i micheletti?
- I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si può cantare e portar la croce.
Fu in un batter d'occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che c'era buono a qualcosa, fu preso.
E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri, di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata.
E già cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba; quando uno più manigoldo degli altri, indovinate un po' con che bella proposta venne fuori.
- Con che cosa?
- Di fare un mucchio di tutto nella bottega, e di dar fuoco al mucchio e alla casa insieme.
Detto fatto...
- Ci han dato fuoco?
- Aspettate.
Un galantuomo del vicinato ebbe un'ispirazione dal cielo.
Corse su nelle stanze, cercò d'un Crocifisso, lo trovò, l'attaccò all'archetto d'una finestra, prese da capo d'un letto due candele benedette, le accese, e le mise sul davanzale, a destra e a sinistra del Crocifisso.
La gente guarda in su.
In un Milano, bisogna dirla, c'è ancora del timor di Dio; tutti tornarono in sé.
La più parte, voglio dire; c'era bensì de' diavoli che, per rubare, avrebbero dato fuoco anche al paradiso; ma visto che la gente non era del loro parere, dovettero smettere, e star cheti.
Indovinate ora chi arrivò all'improvviso.
Tutti i monsignori del duomo, in processione, a croce alzata, in abito corale; e monsignor Mazenta, arciprete, comincio a predicare da una parte, e monsignor Settala, penitenziere, da un'altra, e gli altri anche loro: ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è questo l'esempio che date a' vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma non sapete che il pane è a buon mercato, più di prima? ma andate a vedere, che c'è l'avviso sulle cantonate.
- Era vero?
- Diavolo! Volete che i monsignori del duomo venissero in cappa magna a dir delle fandonie?
- E la gente cosa fece?
- A poco a poco se n'andarono; corsero alle cantonate; e, chi sapeva leggere, la c'era proprio la meta.
Indovinate un poco: un pane d'ott'once, per un soldo.
- Che bazza!
- La vigna è bella; pur che la duri.
Sapete quanta farina hanno mandata a male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato per due mesi.
- E per fuori di Milano, non s'è fatta nessuna legge buona?
- Quel che s'è fatto per Milano, è tutto a spese della città.
Non so che vi dire: per voi altri sarà quel che Dio vorrà.
A buon conto, i fracassi son finiti.
Non v'ho detto tutto; ora viene il buono.
- Cosa c'è ancora?
- C'è che, ier sera o stamattina che sia, ne sono stati agguantati molti; e subito s'è saputo che i capi saranno impiccati.
Appena cominciò a spargersi questa voce, ognuno andava a casa per la più corta, per non arrischiare d'esser nel numero.
Milano, quand'io ne sono uscito, pareva un convento di frati.
- Gl'impiccheranno poi davvero?
- Eccome! e presto, - rispose il mercante.
- E la gente cosa farà? - domandò ancora colui che aveva fatta l'altra domanda.
- La gente? anderà a vedere, - disse il mercante.
- Avevan tanta voglia di veder morire un cristiano all'aria aperta, che volevano, birboni! far la festa al signor vicario di provvisione.
In vece sua, avranno quattro tristi, serviti con tutte le formalità, accompagnati da' cappuccini, e da' confratelli della buona morte; e gente che se l'è meritato.
È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria.
Cominciavan già a prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e così di mano in mano...
Pensate se coloro volevano smettere, di loro spontanea volontà, una usanza così comoda.
E vi so dir io che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un pensier poco allegro.
- Davvero, - disse uno degli ascoltatori.
- Davvero, - ripeteron gli altri, a una voce.
- E, - continuò il mercante, asciugandosi la barba col tovagliolo, - l'era ordita da un pezzo: c'era una lega, sapete?
- C'era una lega?
- C'era una lega.
Tutte cabale ordite da' navarrini, da quel cardinale là di Francia, sapete chi voglio dire, che ha un certo nome mezzo turco, e che ogni giorno ne pensa una, per far qualche dispetto alla corona di Spagna.
Ma sopra tutto, tende a far qualche tiro a Milano; perché vede bene, il furbo, che qui sta la forza del re.
- Già.
- Ne volete una prova? Chi ha fatto il più gran chiasso, eran forestieri; andavano in giro facce, che in Milano non s'eran mai vedute.
Anzi mi dimenticavo di dirvene una che m'è stata data per certa.
La giustizia aveva acchiappato uno in un'osteria...
- Renzo, il quale non perdeva un ette di quel discorso, al tocco di questa corda, si sentì venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse pensare a contenersi.
Nessuno però se n'avvide; e il dicitore, senza interrompere il filo del racconto, seguitò: - uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza d'uomo si fosse; ma certo era uno de' capi.
Già ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento di questo, s'era messo a predicare, e a proporre, così una galanteria, che s'ammazzassero tutti i signori.
Birbante! Chi farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che l'aveva appostato, gli mise l'unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno all'osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo.
- E cosa n'è stato?
- Non si sa; sarà scappato, o sarà nascosto in Milano: son gente che non ha né casa né tetto, e trovan per tutto da alloggiare e da rintanarsi: però finché il diavolo può, e vuole aiutarli: ci dan poi dentro quando meno se lo pensano; perché, quando la pera è matura, convien che caschi.
Per ora si sa di sicuro che le lettere son rimaste in mano della giustizia, e che c'è descritta tutta la cabala; e si dice che n'anderà di mezzo molta gente.
Peggio per loro; che hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano anche far peggio.
Dicono che i fornai son birboni.
Lo so anch'io; ma bisogna impiccarli per via di giustizia.
C'è del grano nascosto.
Chi non lo sa? Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disotterrare, e mandare anche gl'incettatori a dar calci all'aria, in compagnia de' fornai.
E se chi comanda non fa nulla, tocca alla città a ricorrere; e se non dànno retta alla prima, ricorrere ancora; ché a forza di ricorrere s'ottiene; e non metter su un'usanza così scellerata d'entrar nelle botteghe e ne' fondachi, a prender la roba a man salva.
A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno.
Gli pareva mill'anni d'esser fuori e lontano da quell'osteria, da quel paese; e più di dieci volte aveva detto a sé stesso: andiamo, andiamo.
Ma quella paura di dar sospetto, cresciuta allora oltremodo, e fatta tiranna di tutti i suoi pensieri, l'aveva tenuto sempre inchiodato sulla panca.
In quella perplessità, pensò che il ciarlone doveva poi finire di parlar di lui; e concluse tra sé, di moversi, appena sentisse attaccare qualche altro discorso.
- E per questo, - disse uno della brigata, - io che so come vanno queste faccende, e che ne' tumulti i galantuomini non ci stanno bene, non mi son lasciato vincere dalla curiosità, e son rimasto a casa mia.
- E io, mi son mosso? - disse un altro.
- Io? - soggiunse un terzo: - se per caso mi fossi trovato in Milano, avrei lasciato imperfetto qualunque affare, e sarei tornato subito a casa mia.
Ho moglie e figliuoli; e poi, dico la verità, i baccani non mi piacciono.
A questo punto, l'oste, ch'era stato anche lui a sentire, andò verso l'altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero.
Renzo colse l'occasione, chiamò l'oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l'acque fossero molto basse; e, senza far altri discorsi, andò diritto all'uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, s'incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.
CAPITOLO XVII
Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due alla volta, l'una in guerra coll'altra.
Il povero Renzo n'aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta oltremodo l'una e l'altra a un colpo.
Dunque la sua avventura aveva fatto chiasso; dunque lo volevano a qualunque patto; chi sa quanti birri erano in campo per dargli la caccia! quali ordini erano stati spediti di frugar ne' paesi, nell'osterie, per le strade! Pensava bensì che finalmente i birri che lo conoscevano, eran due soli, e che il nome non lo portava scritto in fronte; ma gli tornavano in mente certe storie che aveva sentite raccontare, di fuggitivi colti e scoperti per istrane combinazioni, riconosciuti all'andare, all'aria sospettosa, ad altri segnali impensati: tutto gli faceva ombra.
Quantunque, nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccassero le ventiquattro, e le tenebre che venivano innanzi, diminuissero sempre più que' pericoli, ciò non ostante prese contro voglia la strada maestra, e si propose d'entrar nella prima viottola che gli paresse condur dalla parte dove gli premeva di riuscire.
Sul principio, incontrava qualche viandante; ma, pieno la fantasia di quelle brutte apprensioni, non ebbe cuore d'abbordarne nessuno, per informarsi della strada.
" Ha detto sei miglia, colui, - pensava: - se andando fuor di strada, dovessero anche diventar otto o dieci, le gambe che hanno fatte l'altre, faranno anche queste.
Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso l'Adda.
Cammina, cammina, o presto o tardi ci arriverò.
L'Adda ha buona voce; e, quando le sarò vicino, non ho più bisogno di chi me l'insegni.
Se qualche barca c'è, da poter passare, passo subito, altrimenti mi fermerò fino alla mattina, in un campo, sur una pianta, come le passere: meglio sur una pianta, che in prigione ".
Ben presto vide aprirsi una straducola a mancina; e v'entrò.
A quell'ora, se si fosse abbattuto in qualcheduno, non avrebbe più fatte tante cerimonie per farsi insegnar la strada; ma non sentiva anima vivente.
Andava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava.
" Io fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di lettere, io! I miei compagni che mi stavano a far la guardia! Pagherei qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, di là dall'Adda (ah quando l'avrò passata quest'Adda benedetta!), e fermarlo, e domandargli con comodo dov'abbia pescate tutte quelle belle notizie.
Sappiate ora, mio caro signore, che la cosa è andata così e così, e che il diavolo ch'io ho fatto, è stato d'aiutar Ferrer, come se fosse stato un mio fratello; sappiate che que' birboni che, a sentir voi, erano i miei amici, perché, in un certo momento, io dissi una parola da buon cristiano, mi vollero fare un brutto scherzo; sappiate che, intanto che voi stavate a guardar la vostra bottega, io mi faceva schiacciar le costole, per salvare il vostro signor vicario di provvisione, che non l'ho mai né visto né conosciuto.
Aspetta che mi mova un'altra volta, per aiutar signori...
È vero che bisogna farlo per l'anima: son prossimo anche loro.
E quel gran fascio di lettere, dove c'era tutta la cabala, e che adesso è in mano della giustizia, come voi sapete di certo; scommettiamo che ve lo fo comparir qui, senza l'aiuto del diavolo? Avreste curiosità di vederlo quel fascio? Eccolo qui...
Una lettera sola?...
Sì signore, una lettera sola; e questa lettera, se lo volete sapere, l'ha scritta un religioso che vi può insegnar la dottrina, quando si sia; un religioso che, senza farvi torto, val più un pelo della sua barba che tutta la vostra; e
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