IL VERO AMICO, di Carlo Goldoni - pagina 1
IL VERO AMICO
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia
il Carnovale dell'anno 1751.
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
VENCESLAO
DEL SACRO ROMANO IMPERO
CONTE DI PURGSTALL
BARONE DI KRUPP, SIGNORE DI GRADE,
TREUENTHURN, RIEGGERPURG, OBER
MAUERHOFEN, HAINFELD E DRAKOVIA,
DI SUA CESAREA E REAL MAESTÀ
CAMERIERE DELLA CHIAVE D'ORO ecc.
Che le Commedie mie abbiano avuto un grato accoglimento dagl'Italiani, l'ho attribuito al zelo che hanno concepito; per il decaduto nostro Teatro; e in grazia del genio mio, che per il comune compiacimento ed onore a faticar mi ha spronato, perdonate ho giudicato mi sieno tutte quelle mancanze che nelle Opere mie, per difetto di miglior cognizione, pur troppo ho lasciato correre.
Non ho sperato che egual fortuna sortir potessero fra le Nazioni straniere, poiché consistendo più nel dialogo che nell'intreccio la forza, qualunque siasi, delle Commedie, è necessaria una perfetta cognizione de' termini, de' sali, delle sentenze e dei costumi di quel paese, per cui sono state scritte principalmente.
So che in Vienna sono state alcune di esse, e non poche, in lingua Tedesca tradotte e rappresentate, e hanno avuto la sorte di essere anche colà compatite; ma il valentissimo Traduttore avrà dato loro quella grazia che le potea far piacere, e le avrà migliorate, e ai frizzi nostri italiani avrà quelli sostituiti, che grate potevan renderle ad una assai colta ed erudita Nazione.
L'Eccellenza Vostra per altro non ha bisogno di traduzione per intenderle perfettamente, poiché istruito nelle varie lingue e ne' costumi vari d'Europa, e d'uno spirito perspicacissimo provveduta, può giudicare con fondamento delle Opere degli stranieri, e delle mie formare la giusta critica ed il perfetto giudizio.
Ella però è troppo in mio favor prevenuta, poiché sino dal primo tempo delle mie produzioni ha mostrato desiderio d'averle, e mi ha fatto a mia consolazione di tale compiacimento sicuro.
La propensione di un Cavaliere che, anche lontano, proteggeva le Opere mie, mi ha invogliato di conoscere il di lui carattere ed i pregi suoi, e si è moltiplicata in me la consolazione, allorché rilevai essere l'E.
V.
uno de' più ragguardevoli Soggetti della Germania, ed uno de' più felici talenti che onorino cotesta parte felicissima d'Europa.
Per l'antichità, per gli onori, a niuna cede la vostra illustre rinomata Famiglia, Nobile originaria di Praga, ove tuttavia un ramo di essa gloriosamente sussiste, fecondissima di Soggetti cospicui sì nell'Armi, che nelle Lettere e ne' Governi, e la Repubblica Serenissima di Venezia grata memoria conserva ancora di uno de' vostri Progenitori, che in suo servigio morì fra l'armi, ed è rimarcabile quell'attestato di gratitudine, che ai di lui Congiunti mostrò il Senato in una Lettera, che fra le preziose cose della vostra Casa con gelosia conservate; e il vostro invittissimo Genitore, di gloriosa memoria, Intimo Consigliere di Stato, Maresciallo di Corte nell'Austria inferiore e Gran Capitano del Principato e Contea di Gorizia, ha eroicamente accresciuti i meriti ed i fregi di così illustre Famiglia, ed in Voi trasfuse le più belle Virtù che possano rendere un Cavaliere degno di venerazione e d'amore.
Infatti l'E.
V.
è l'oggetto della più rispettosa ammirazione della Città cospicua di Gratz, ove magnificamente soggiorna.
Il vostro Palazzo è l'ospizio de' Personaggi più illustri, de' Principi più rinomati, de' Generali più valorosi che di lì passano, i quali trovando in Voi, oltre la più generosa ospitalità, un'erudita, amena e coltissima conversazione, fanno delizia loro il conoscervi e l'ammirarvi.
Grande Voi siete per le Ricchezze vostre, per i Feudi che possedete, fra' quali rimarcabile è certamente quello della Fortezza Rieggerpurg, pregiatissima per l'Arsenale, artiglieria e fortificazioni, che la rendono l'antemurale nella Provincia importantissima della Stiria.
Ma grande assai più vi rendono le adorabili vostre Virtù, la prontezza di spirito, l'amor delle Lettere, la dolcezza del tratto, e l'animo generoso e sincero, coronate con ammirabile gentilezza da una esemplare modestia, nemica delle lodi e del fasto.
Ma io dunque vi avrò dispiaciuto, parlando anche scarsamente de' pregi vostri, se di questi l'ostentazione aborrite.
Chiedovi umilmente perdono, e pregovi considerare che non potea dispensarmene, nell'occasione di far conoscere al mondo qual Protettore abbiano le mie Commedie, per gloria mia e consolazione de' miei amici medesimi.
Anzi a maggior fregio tendono le mie mire: ad ottenere cioè da Voi la benignissima permissione di potere alla protezione vostra una Commedia mia precisamente dirigere e raccomandare.
Questa è il Vero amico, la quale sarà forse con allegro viso più di qualunque altra dall'E.
V.
accolta, e del favore vostro onorata, poiché di perfetta amicizia co' pari vostri e d'amore benefico cogl'inferiori Voi vi pregiate.
Troverete l'Eroe Protagonista trionfatore della più violenta passione in grazia dell'amicizia, facendo ad una così rara Virtù il sagrificio del cuore; ma se parve a taluno sorprendente e difficile un tal carattere, a Voi giustissimo e familiare riuscirà certamente, poiché le Virtù robuste dell'animo vi rendono d'altrettanto e di più ancora capace.
Queste faranno altresì che l'E.
V.
gradisca benignamente l'umile offerta che ardisco di presentarle, e spero mi concederà l'alto onore ch'io possa gloriarmi di essere, quale con profondissimo ossequio mi sottoscrivo,
Di V.
E.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Ho promesso nella Prefazione al Padre di Famiglia di parlare dell'avventura di quella Commedia a Parigi, e di questa del Vero Amico.
Eccone il preciso.
Comparve in questa gran Città una Commedia, intitolata Il Figlio naturale.
L'autore di essa è conosciuto nella Repubblica Letteraria per uomo di merito, di talento e di erudizione, uno di quelli che hanno meglio contribuito alla grand'opera della Enciclopedia.
Si lesse poco tempo dopo in un Foglio Periodico l'estratto di questa Commedia, e si pretese che il mio Vero Amico gli avesse somministrata la principale condotta.
Sapevasi oltre a ciò che lo stesso autore doveva imprimere un'altra Commedia sua col titolo del Padre di Famiglia.
Sapevasi ch'io aveva un Padre di Famiglia stampato, e si prevenne il Pubblico col Foglio suddetto del supposto secondo plagio, e per maggiormente avvalorare una simile supposizione furono immediatamente tradotte e stampate le suddette due mie Commedie.
Io ho letto quelle del suddetto rispettabile autore.
In quanto al Padre di Famiglia, uscito dopo la predizione, tutto il mondo può assicurarsi che non vi è alcuna somiglianza col mio, e sarebbe cosa troppo maligna il dire ch'ei l'avesse cambiato per deludere la prevenzione.
Rispetto al Figlio naturale, pare in leggendolo, specialmente nelle prime scene dell'atto primo, che sia seguitata la traccia del Vero Amico.
Vi è fra le altre cose una lettera simile alla mia, che forma lo stesso equivoco interessante, ma queste sono cose che possono agevolmente pensarsi da due persone che scrivono, come due Maestri di musica possono incontrarsi colla medesima idea sulle parole di un'aria.
Io era lontano assai da Parigi quando ebbe origine questa contesa che ha fatto poi tanto strepito.
S'io fossi stato allora presente, sarei stato il primo a disingannare il Pubblico per parte mia, giacché non ha voluto credere sulla parola di quello che si dichiarava inventore, e che avendo date le più chiare prove del suo talento, meritava tutta la fede.
Spiacemi amaramente, che senza alcuna mia colpa si è scaricato il suo sdegno contro di me.
Egli ha creduto, per abbattere i suoi nemici, dover discreditare le opere mie, ed ha creato una nuova Poetica, niente per altro che per poter dire che io era un cattivo Comico; e per giustificarsi ch'egli non aveva niente preso da me, sfidava il Pubblico a poter trovare in tutte le mie Commedie una scena, che fosse degna del Teatro Francese.
Non tocca a me a rispondere ad una simile proposizione.
Molti, senza conoscermi, mi hanno fatto l'onore di parlare per me, e di scrivere, e di provare che pensavano diversamente; e l'accoglimento grazioso che al mio arrivo a Parigi mi ha fatto questo Pubblico stesso, mi fa credere che l'accennata Poetica non abbia fatto grande impressione.
Mi accusa fra le altre cose questo Signore nella sua critica, voglio dire nella sua Poetica, d'aver introdotto nel mio Vero Amico un avaro, perché un tal carattere è stato trattato prima di me da Moliere.
Conosce però egli stesso che non è questa buona ragione per farmi passar per plagiario, e vuol far credere ch'io lo abbia non solamente imitato, ma copiato, e tutto il gran fondamento per sostenerlo si riduce ad una cassetta.
L'avaro di Moliere ha lo scrigno; il mio ha lo scrigno: dunque il mio avaro è la copia di quel di Moliere.
Lascio giudice tutto il Mondo, se quest'argomento ha veruna forza.
Qual è quell'avaro che non procuri di ammassar del danaro, e che secondo la sua condizione non abbia una cassetta o uno scrigno? Bisogna vedere se le situazioni siano copiate, se i pensieri siano gli stessi, se la condotta sia la medesima, prima di decidere se sia o non sia l'autore plagiario.
È tanto differente il mio avaro episodico da quello di Moliere che è protagonista; sono sì diversamente situati e condotti, ch'io credo dover dire per prova che l'autore del Figlio naturale non ha niente preso dalla mia Commedia, ch'egli non la conosca, non l'abbia letta, o almeno almeno non l'abbia intesa.
Tutte le altre cose ch'egli ha scagliato contro di me in questa tale Poetica, le dono di buon cuore all'irascibile che gli è montato alla testa, e sarei disposto a dargli tutte le marche possibili della mia stima, e di una totale dimenticanza di questo fatto.
Ma in un anno e mezzo ch'io sono a Parigi, non ho mai avuto la sorte di poterlo vedere, ed io certamente non l'ho sfuggito.
Eccovi, Lettori miei gentilissimi, narrato il fatto, con quella ingenuità che avete sempre ne' miei scritti trovata, e che sarà sempre la guida delle mie operazioni.
Ho voluto istruirvi di ciò, poiché è facile che vi arrivino nelle mani i Fogli de' quali vi ho ragionato ed è per me cosa giusta ed interessante che non crediate che tutta la Francia abbia sottoscritto ad una Poetica che m'insulta.
Dovrei ora parlarvi del mio Vero Amico, ma vi ho troppo lungamente trattenuti con questa lettera, per entrare nel dettaglio della Commedia.
Leggetela, e vi troverete, io spero, il vero carattere dell'amicizia, superiore all'interesse ed alla passione.
Può essere che il matrimonio di Rosaura non si accordi col desiderio di qualche cuore assai tenero, ma io non ho immaginato questa commedia per il trionfo dell'amore, ma per quello dell'amicizia; ed è sempre lodevole il sagrifizio che proviene dalla virtù.
Qualche notabile cambiamento troverete anche in questa Commedia, specialmente nel carattere di Beatrice; cambiamento che mi parve necessario pel decoro del sesso amabile.
Non è strana cosa, specialmente in Italia, il veder delle donne che per amore si umiliano, ma io ho creduto di render loro miglior giustizia, esentando le belle e le giovani da tal debolezza, lasciandola a quelle che per ragion dell'età hanno bisogno di raccomandarsi.
PERSONAGGI
FLORINDO amico e ospite di Lelio;
OTTAVIO vecchio avaro, padre di Rosaura;
ROSAURA destinata sposa di Lelio;
COLOMBINA sua cameriera;
TRAPPOLA servitore d'Ottavio;
TRIVELLA servo di Florindo;.
LELIO destinato sposo a Rosaura;
BEATRICE di età avanzata, zia di Lelio ed amante di Florindo;
Un servitore di Lelio, che non parla.
La Scena si rappresenta in Bologna.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Lelio.
FLORINDO solo passeggia e pensa, poi dice.
FLOR.
Sì, vi vuol coraggio: bisogna fare un'eroica risoluzione.
L'amicizia ha da prevalere, e alla vera amicizia bisogna sagrificare le proprie passioni, le proprie soddisfazioni, e ancora la vita stessa, se è necessario.
Ehi, Trivella.
(chiama)
SCENA SECONDA
TRIVELLA e detto.
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