IL CANZONIERE, di Francesco Petrarca - pagina 2
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Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,
o torni giú ne l'amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess'io in lei pietà, che 'n un sol giorno
può ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.
Con lei foss'io da che si parte il sole,
et non ci vedess'altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch'Apollo la seguia qua giú per terra.
Ma io sarò sotterra in secca selva
e 'l giorno andrà pien di minute stelle
prima ch'a sí dolce alba arrivi il sole.
Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perché cantando il duol si disacerba,
canterò com'io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di ciò m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benché 'l mio duro scempio
sia scripto altrove, sí che mille penne
ne son già stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita
come suol fare, iscúsilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dàlle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face oblïar me stesso a forza:
ché tèn di me quel d'entro, et io la scorza.
I' dico che dal dí che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
sí ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
né rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!
La vita el fin, e 'l dí loda la sera.
Ché sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,
ver' cui poco già mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea già lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piú altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Né meno anchor m' agghiaccia
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
ché perch'io non sapea dove né quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando
là 've tolto mi fu, dí e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et già mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.
Cosí lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
mercé chiamando con estrania voce;
né mai in sí dolci o in sí soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,
che 'l cor s'umilïasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? ché 'l ricordar mi coce:
ma molto piú di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
è bisogno ch'io dica,
benché sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di ciò non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oimè lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.
Ella parlava sí turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel dí tra vivo et morto.
Ma perché 'l tempo è corto,
la penna al buon voler non pò gir presso:
onde piú cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,
né tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no.
S'io moro, il danno è vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosí di mercé degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humiltà spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et ciò sepp'io da poi,
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
né già mai neve sotto al sol disparve
com'io sentí' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel vïaggio.
Chi udí mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.
L'alma ch'è sol da Dio facta gentile,
ché già d'altrui non pò venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
però di perdonar mai non è sacia
a chi col core et col sembiante humile
dopo quantunque offese a mercé vène.
Et se contra suo stile essa sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perché 'l peccar piú si pavente:
ché non ben si ripente
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pietà commossa
degnò mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.
Ma nulla à 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et così scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.
Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,
credo per piú dolore ivi sentire.
I' seguí' tanto avanti il mio desire
ch'un dí cacciando sí com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda
si stava, quando 'l sol piú forte ardea.
Io, perché d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.
Vero dirò (forse e' parrà menzogna)
ch'i' sentí' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretïosa pioggia,
sí che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piú per l'aere poggia,
alzando lei che ne' miei detti honoro:
né per nova figura il primo alloro
seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.
24
Se l'onorata fronde che prescrive
l'ira del ciel, quando 'l gran Giove tona,
non m'avesse disdetta la corona
che suole ornar chi poetando scrive,
i'era amico a queste vostre dive
le qua' vilmente il secolo abandona;
ma quella ingiuria già lunge mi sprona
da l'inventrice de le prime olive:
ché non bolle la polver d'Ethïopia
sotto 'l più ardente sol, com'io sfavillo,
perdendo tanto amata cosa propia.
Cercate dunque fonte piú tranquillo,
ché 'l mio d'ogni liquor sostene inopia,
salvo di quel che lagrimando stillo.
25
Amor piangeva, et io con lui talvolta,
dal qual miei passi non fur mai lontani,
mirando per gli effecti acerbi et strani
l'anima vostra dei suoi nodi sciolta.
Or ch'al dritto camin l'à Dio rivolta,
col cor levando al cielo ambe le mani
ringratio lui che' giusti preghi humani
benignamente, sua mercede, ascolta.
Et se tornando a l'amorosa vita,
per farvi al bel desio volger le spalle,
trovaste per la via fossati o poggi,
fu per mostrar quanto è spinoso calle,
et quanto alpestra et dura la salita,
onde al vero valor conven ch'uom poggi.
26
Piú di me lieta non si vede a terra
nave da l'onde combattuta et vinta,
quando la gente di pietà depinta
su per la riva a ringratiar s'atterra;
né lieto piú del carcer si diserra
chi 'ntorno al collo ebbe la corda avinta,
di me, veggendo quella spada scinta
che fece al segnor mio sí lunga guerra.
Et tutti voi ch'Amor laudate in rima,
al buon testor de gli amorosi detti
rendete honor, ch'era smarrito in prima:
ché piú gloria è nel regno degli electi
d'un spirito converso, et più s'estima,
che di novantanove altri perfecti.
27
Il successor di Karlo, che la chioma
co la corona del suo antiquo adorna,
prese à già l'arme per fiacchar le corna
a Babilonia, et chi da lei si noma;
e 'l vicario de Cristo colla soma
de le chiavi et del manto al nido torna,
sí che s'altro accidente nol distorna,
vedrà Bologna, et poi la nobil Roma.
La mansüeta vostra et gentil agna
abbatte i fieri lupi: et cosí vada
chïunque amor legitimo scompagna.
Consolate lei dunque ch'anchor bada,
et Roma che del suo sposo si lagna,
et per Jesú cingete ormai la spada.
28
O aspectata in ciel beata et bella
anima che di nostra humanitade
vestita vai, non come l'altre carca:
perché ti sian men dure omai le strade,
a Dio dilecta, obedïente ancella,
onde al suo regno di qua giú si varca,
ecco novellamente a la tua barca,
ch'al cieco mondo ha già volte le spalle
per gir al miglior porto,
d'un vento occidental dolce conforto;
lo qual per mezzo questa oscura valle,
ove piangiamo il nostro et l'altrui torto,
la condurrà de' lacci antichi sciolta,
per drittissimo calle,
al verace orïente ov'ella è volta.
Forse i devoti et gli amorosi preghi
et le lagrime sancte de' mortali
son giunte inanzi a la pietà superna;
et forse non fur mai tante né tali
che per merito lor punto si pieghi
fuor de suo corso la giustitia eterna;
ma quel benigno re che 'l ciel governa
al sacro loco ove fo posto in croce
gli occhi per gratia gira,
onde nel petto al novo Karlo spira
la vendetta ch'a noi tardata nòce,
sí che molt'anni Europa ne sospira:
cosí soccorre a la sua amata sposa
tal che sol de la voce
fa tremar Babilonia, et star pensosa.
Chïunque alberga tra Garona e 'l monte
e 'ntra 'l Rodano e 'l Reno et l'onde salse
le 'nsegne cristianissime accompagna;
et a cui mai di vero pregio calse,
del Pireneo a l'ultimo orizonte
con Aragon lassarà vòta Hispagna;
Inghilterra con l'isole che bagna
l'Occeano intra 'l Carro et le Colonne,
infin là dove sona
doctrina del sanctissimo Elicona,
varie di lingue et d'arme, et de le gonne,
a l'alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor sí licito o sí degno,
qua' figli mai, qua' donne
furon materia a sí giusto disdegno?
Una parte del mondo è che si giace
mai sempre in ghiaccio et in gelate nevi
tutta lontana dal camin del sole:
là sotto i giorni nubilosi et brevi,
nemica natural-mente di pace,
nasce una gente a cui il morir non dole.
Questa se, piú devota che non sòle,
col tedesco furor la spada cigne,
turchi, arabi et caldei,
con tutti quei che speran nelli dèi
di qua dal mar che fa l'onde sanguigne,
quanto sian da prezzar, conoscer dêi:
popolo ignudo paventoso et lento,
che ferro mai non strigne,
ma tutt'i colpi suoi commette al vento.
Dunque ora è 'l tempo da ritrare il collo
dal giogo antico, et da squarciare il velo
ch'è stato avolto intorno agli occhi nostri,
et che 'l nobile ingegno che dal cielo
per gratia tien' de l'immortale Apollo,
et l'eloquentia sua vertú qui mostri
or con la lingua, or co'laudati incostri:
perché d'Orpheo leggendo et d'Amphïone
se non ti meravigli,
assai men fia ch'Italia co' suoi figli
si desti al suon del tuo chiaro sermone,
tanto che per Jesú la lancia pigli;
che s'al ver mira questa anticha madre,
in nulla sua tentione
fur mai cagion sí belle o sí leggiadre.
Tu ch'ài, per arricchir d'un bel thesauro,
volte le antiche et le moderne carte,
volando al ciel colla terrena soma,
sai da l'imperio del figliuol de Marte
al grande Augusto che di verde lauro
tre volte trïumphando ornò la chioma,
ne l'altrui ingiurie del suo sangue Roma
spesse fïate quanto fu cortese:
et or perché non fia
cortese no, ma conoscente et pia
a vendicar le dispietate offese,
col figliuol glorïoso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
ne l'umane difese,
se Cristo sta da la contraria schiera?
Pon' mente al temerario ardir di Xerse,
che fece per calcare i nostri liti
di novi ponti oltraggio a la marina;
et vedrai ne la morte de' mariti
tutte vestite a brun le donne perse,
et tinto in rosso il mar di Salamina.
Et non pur questa misera rüina
del popol infelice d'orïente
victoria t'empromette,
ma Marathona, et le mortali strette
che difese il leon con poca gente,
et altre mille ch'ài ascoltate et lette:
Perché inchinare a Dio molto convene
le ginocchia et la mente,
che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedrai Italia et l'onorata riva,
canzon, ch'agli occhi miei cela et contende
non mar, non poggio o fiume,
ma solo Amor che del suo altero lume
piú m'invaghisce dove piú m'incende:
né Natura può star contra'l costume.
Or movi, non smarrir l'altre compagne,
ché non pur sotto bende
alberga Amor, per cui si ride et piagne.
29
Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi
non vestí donna unquancho
né d'or capelli in bionda treccia attorse,
sí bella com'è questa che mi spoglia
d'arbitrio, et dal camin de libertade
seco mi tira, sí ch'io non sostegno
alcun giogo men grave.
Et se pur s'arma talor a dolersi
l'anima a cui vien mancho
consiglio, ove 'l martir l'adduce in forse,
rappella lei da la sfrenata voglia
súbita vista, ché del cor mi rade
ogni delira impresa, et ogni sdegno
fa 'l veder lei soave.
Di quanto per Amor già mai soffersi,
et aggio a soffrir ancho,
fin che mi sani 'l cor colei che 'l morse,
rubella di mercé, che pur l'envoglia,
vendetta fia, sol che contra Humiltade
Orgoglio et Ira il bel passo ond'io vegno
non chiuda et non inchiave.
Ma l'ora e 'l giorno ch'io le luci apersi
nel bel nero et nel biancho
che mi scacciâr di là dove Amor corse,
novella d'esta vita che m' addoglia
furon radice, et quella in cui l'etade
nostra si mira, la qual piombo o legno
vedendo è chi non pave.
Lagrima dunque che da gli occhi versi
per quelle, che nel mancho
lato mi bagna chi primier s'accorse,
quadrella, dal voler mio non mi svoglia,
ché 'n giusta parte la sententia cade:
per lei sospira l'alma, et ella è degno
che le sue piaghe lave.
Da me son fatti i miei pensier' diversi:
tal già, qual io mi stancho,
l'amata spada in se stessa contorse;
né quella prego che però mi scioglia,
ché men son dritte al ciel tutt'altre strade
et non s'aspira al glorïoso regno
certo in piú salda nave.
Benigne stelle che compagne fersi
al fortunato fianco
quando 'l bel parto giú nel mondo scórse!
ch'è stella in terra, et come in lauro foglia
conserva verde il pregio d'onestade,
ove non spira folgore, né indegno
vento mai che l'aggrave.
So io ben ch'a voler chiuder in versi
suo laudi, fôra stancho
chi piú degna la mano a scriver porse:
qual cella è di memoria in cui s'accoglia
quanta vede vertú, quanta beltade,
chi gli occhi mira d'ogni valor segno,
dolce del mio cor chiave?
Quando il sol gira, Amor piú caro pegno,
donna, di voi non ave.
30
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi più biancha et piú fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt'anni;
e 'l suo parlare, e 'l bel viso, et le chiome
mi piacquen sí ch'i' l'ò dinanzi agli occhi,
ed avrò sempre, ov'io sia, in poggio o 'n riva.
Allor saranno i miei pensier a riva
che foglia verde non si trovi in lauro;
quando avrò queto il core, asciutti gli occhi,
vedrem ghiacciare il foco, arder la neve:
non ò tanti capelli in queste chiome
quanti vorrei quel giorno attender anni.
Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni,
sí ch'a la morte in un punto s'arriva,
o colle brune o colle bianche chiome,
seguirò l'ombra di quel dolce lauro
per lo piú ardente sole et per la neve,
fin che l'ultimo dí chiuda quest'occhi.
Non fur già mai veduti sí begli occhi
o ne la nostra etade o ne' prim'anni,
che mi struggon cosí come 'l sol neve;
onde procede lagrimosa riva
ch'Amor conduce a pie' del duro lauro
ch'à i rami di diamante, et d'òr le chiome.
I' temo di cangiar pria volto et chiome
che con vera pietà mi mostri gli occhi
l'idolo mio, scolpito in vivo lauro:
ché s'al contar non erro, oggi à sett'anni
che sospirando vo di riva in riva
la notte e 'l giorno, al caldo ed a la neve.
Dentro pur foco, et for candida neve,
sol con questi pensier', con altre chiome,
sempre piangendo andrò per ogni riva,
per far forse pietà venir negli occhi
di tal che nascerà dopo mill'anni,
se tanto viver pò ben cólto lauro.
L'auro e i topacii al sol sopra la neve
vincon le bionde chiome presso agli occhi
che menan gli anni miei sí tosto a riva.
31
Questa anima gentil che si diparte,
anzi tempo chiamata a l'altra vita,
se lassuso è quanto esser dê gradita,
terrà del ciel la piú beata parte.
S'ella riman fra 'l terzo lume et Marte,
fia la vista del sole scolorita,
poi ch'a mirar sua bellezza infinita
l'anime degne intorno a lei fien sparte.
Se si posasse sotto al quarto nido,
ciascuna de le tre saria men bella,
et essa sola avria la fama e 'l grido;
nel quinto giro non habitrebbe ella;
ma se vola piú alto, assai mi fido
che con Giove sia vinta ogni altra stella.
32
Quanto piú m'avicino al giorno extremo
che l'umana miseria suol far breve,
piú veggio il tempo andar veloce et leve,
e 'l mio di lui sperar fallace et scemo.
I' dico a' miei pensier': Non molto andremo
d'amor parlando omai, ché 'l duro et greve
terreno incarco come frescha neve
si va struggendo; onde noi pace avremo:
perché co llui cadrà quella speranza
che ne fe' vaneggiar sí lungamente,
e 'l riso e 'l pianto, et la paura et l'ira;
sí vedrem chiaro poi come sovente
per le cose dubbiose altri s'avanza,
et come spesso indarno si sospira.
33
Già fiammeggiava l'amorosa stella
per l'orïente, et l'altra che Giunone
suol far gelosa nel septentrïone,
rotava i raggi suoi lucente et bella;
levata era a filar la vecchiarella,
discinta et scalza, et desto avea 'l carbone,
et gli amanti pungea quella stagione
che per usanza a lagrimar gli appella:
quando mia speme già condutta al verde
giunse nel cor, non per l'usata via,
che 'l sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle;
quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
Et parea dir: Perché tuo valor perde?
Veder quest'occhi anchor non ti si tolle.
Apollo, s'anchor vive il bel desio
che t'infiammava a le thesaliche onde,
et se non ài l'amate chiome bionde,
volgendo gli anni, già poste in oblio:
dal pigro gielo et dal tempo aspro et rio,
che dura quanto 'l tuo viso s'asconde,
difendi or l'onorata et sacra fronde,
ove tu prima, et poi fu' invescato io;
et per vertú de l'amorosa speme,
che ti sostenne ne la vita acerba,
di queste impressïon l'aere disgombra;
sí vedrem poi per meraviglia inseme
seder la donna nostra sopra l'erba,
et far de le sue braccia a se stessa ombra.
35
Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:
sí ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
36
S'io credesse per morte essere scarco
del pensiero amoroso che m'atterra,
colle mie mani avrei già posto in terra
queste mie membra noiose, et quello incarco;
ma perch'io temo che sarrebbe un varco
di pianto in pianto, et d'una in altra guerra,
di qua dal passo anchor che mi si serra
mezzo rimango, lasso, et mezzo il varco.
Tempo ben fôra omai d'avere spinto
l'ultimo stral la dispietata corda
ne l'altrui sangue già bagnato et tinto;
et io ne prego Amore, et quella sorda
che mi lassò de' suoi color' depinto,
et di chiamarmi a sé non le ricorda.
37
Sí è debile il filo a cui s'attene
la gravosa mia vita
che, s'altri non l'aita,
ella fia tosto di suo corso a riva;
però che dopo l'empia dipartita
che dal dolce mio bene
feci, sol una spene
è stato infin a qui cagion ch'io viva,
dicendo: Perché priva
sia de l'amata vista,
mantienti, anima trista;
che sai s'a miglior tempo ancho ritorni
et a piú lieti giorni,
o se 'l perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo:
or vien mancando, et troppo in lei m'attempo.
Il tempo passa, et l'ore son sí pronte
a fornire il vïaggio,
ch'assai spacio non aggio
pur a pensar com'io corro a la morte:
a pena spunta in orïente un raggio
di sol, ch'a l'altro monte
de l'adverso orizonte
giunto il vedrai per vie lunghe et distorte.
Le vite son sí corte,
sí gravi i corpi et frali
degli uomini mortali,
che quando io mi ritrovo dal bel viso
cotanto esser diviso,
col desio non possendo mover l'ali,
poco m'avanza del conforto usato,
né so quant'io mi viva in questo stato.
Ogni loco m'atrista ov'io non veggio
quei begli occhi soavi
che portaron le chiavi
de' miei dolci pensier', mentre a Dio piacque;
et perché 'l duro exilio piú m'aggravi,
s'io dormo o vado o seggio,
altro già mai non cheggio,
et ciò ch'i' vidi dopo lor mi spiacque.
Quante montagne et acque,
quanto mar, quanti fiumi
m'ascondon que' duo lumi,
che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
fer le tenebre mie,
a ciò che 'l rimembrar piú mi consumi,
et quanto era mia vita allor gioiosa
m'insegni la presente aspra et noiosa!
Lasso, se ragionando si rinfresca
quel' ardente desio
che nacque il giorno ch'io
lassai di me la miglior parte a dietro,
et s'Amor se ne va per lungo oblio,
chi mi conduce a l'ésca,
onde 'l mio dolor cresca?
Et perché pria tacendo non m'impetro?
Certo cristallo o vetro
non mostrò mai di fore
nascosto altro colore,
che l'alma sconsolata assai non mostri
piú chiari i pensier' nostri,
et la fera dolcezza ch'è nel core,
per gli occhi che di sempre pianger vaghi
cercan dí et nocte pur chi glien'appaghi.
Novo piacer che ne gli umani ingegni
spesse volte si trova,
d'amar qual cosa nova
piú folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son un di quei che 'l pianger giova;
et par ben ch'io m'ingegni
che di lagrime pregni
sien gli occhi miei sí come 'l cor di doglia;
et perché a cciò m'invoglia
ragionar de' begli occhi,
né cosa è che mi tocchi
o sentir mi si faccia cosí a dentro,
corro spesso, et rïentro,
colà donde piú largo il duol trabocchi,
et sien col cor punite ambe le luci,
ch'a la strada d'Amor mi furon duci.
Le treccie d'òr che devrien fare il sole
d'invidia molta ir pieno,
e 'l bel guardo sereno,
ove i raggi d'Amor sí caldi sono
che mi fanno anzi tempo venir meno,
et l'accorte parole,
rade nel mondo o sole,
che mi fer già di sé cortese dono,
mi son tolte; et perdono
piú lieve ogni altra offesa,
che l'essermi contesa
quella benigna angelica salute
che 'l mio cor a vertute
destar solea con una voglia accesa:
tal ch'io non penso udir cosa già mai
che mi conforte ad altro ch'a trar guai.
Et per pianger anchor con piú diletto,
le man' bianche sottili
et le braccia gentili,
et gli atti suoi soavemente alteri,
e i dolci sdegni alteramente humili,
e 'l bel giovenil petto,
torre d'alto intellecto,
mi celan questi luoghi alpestri et feri;
et non so s'io mi speri
vederla anzi ch'io mora:
però ch'ad ora ad ora
s'erge la speme, et poi non sa star ferma,
ma ricadendo afferma
di mai non veder lei che 'l ciel honora,
ov'alberga Honestade et Cortesia,
et dov'io prego che 'l mio albergo sia.
Canzon, s'al dolce loco
la donna nostra vedi,
credo ben che tu credi
ch'ella ti porgerà la bella mano,
ond'io son sí lontano.
Non la toccar; ma reverente ai piedi
le di' ch'io sarò là tosto ch'io possa,
o spirto ignudo od uom di carne et d'ossa.
38
Orso, e' non furon mai fiumi né stagni,
né mare, ov'ogni rivo si disgombra,
né di muro o di poggio o di ramo ombra,
né nebbia che 'l ciel copra e 'l mondo bagni,
né altro impedimento, ond'io mi lagni,
qualunque piú l'umana vista ingombra,
quanto d'un vel che due begli occhi adombra,
et par che dica: Or ti consuma et piagni.
Et quel lor inchinar ch'ogni mia gioia
spegne o per humiltate o per argoglio,
cagion sarà che 'nanzi tempo i' moia.
Et d'una bianca mano ancho mi doglio,
ch'è stata sempre accorta a farmi noia,
et contra gli occhi miei s'è fatta scoglio.
39
Io temo sí de' begli occhi l'assalto
ne' quali Amore et la mia morte alberga,
ch'i' fuggo lor come fanciul la verga,
et gran tempo è ch'i' presi il primier salto.
Da ora inanzi faticoso od alto
loco non fia, dove 'l voler non s'erga
per no scontrar chî miei sensi disperga
lassando come suol me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi
per non ravvicinarmi a chi mi st
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