DISCORSO SOPRA LA BATRACOMIOMACHIA, di Giacomo Leopardi - pagina 1
DISCORSO SOPRA LA BATRACOMIOMACHIA
Quando, dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo interessante e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiosità a ricercarne lo scrittore.
Avendone rilevato il carattere dall'opera stessa, bramiamo avere un nome a cui applicarlo.
Ci duole d'ignorar quello di una persona che c'interessa, e di dover lodare e stimare un Essere anonimo e sconosciuto.
Forse il suo nome non ce lo farebbe conoscere più di quello che può fare l'opera stessa, ma noi crediamo di essere abbastanza informati intorno ad uno scrittore, quando ne sappiamo il nome.
Riguardo alle opere antiche, questa curiosità va ancora più avanti.
La difficoltà di conoscere l'autore di qualcuna di esse, non fa che aumentarla.
Pochi sperano di acquistar gloria collo scuoprire l'autore di uno scritto moderno, ma ogni scoperta fatta nei campi dell'antichità è creduta interessare tutta la Repubblica dei Letterati.
Il solo aver tentata un'impresa di questo genere senza mancare di qualche successo, basta talvolta a render famoso il nome di uno scrittore.
Intelligenza di antichi linguaggi, esame di vecchi libri, acutezza di critica, finezza di giudizio, tutto si pone in opera per ottenere l'intento desiderato, o per persuadere ai lettori d'averlo ottenuto.
Una scoperta difficile è sempre bella, se non per la sua utilità, certamente per la sua difficoltà, poiché l'ingegno fu sempre stimato più della sodezza, e lo strepito più della riflessione.
La Batracomiomachia però, ossia la Guerra dei topi e delle rane, può veramente dirsi un'opera interessante.
La bassezza dell'argomento non può farle perdere nulla del suo pregio.
Il Genio si manifesta dappertutto, e tutto è prezioso ciò che è consacrato dal Genio.
Boileau non è meno famoso per il Lutrin che per l'Arte Poetica; la Dunciade e il Riccio Rapito sono parti dei traduttore dell'Iliade e dell'autore del Saggio sopra l'uomo; e l'Ariosto contrasta ancora al Tasso il primato del Parnaso Epico Italiano.
Famosa è la proposizione di Iacopo Gaddi.
"Voglio", scrisse egli, "pronunziare un paradosso, benché abbia alquanto paura dei censori nasuti e dei motteggiatori.
La Batracomiomachia mi par più nobile e più vicina alla perfezione che l'Odissea e l'Iliade, anzi superiore ad ambedue nel giudizio, nell'ingegno e nella bellezza della tessitura che la rendono un poema giocoso affatto eccellente"(1).
Martino Crusio analizzò la Batracomiomachia con tutte le regole della critica, e la trovò Poema Eroi-Comico esattamente corrispondente a tutte le leggi dell'arte poetica, e perfetto in tutte le sue parti.
E già senza il voto del Gaddi e l'analisi del Crusio, il disegno, l'invenzione e la condotta del poema, la felicità e lepidezza dei ritrovati, e quell'acconcia mescolanza di cose basse e volgari con parole, e cose grandi e sublimi, dalla quale nasce il ridicolo, fanno conoscere ad ogni uomo di gusto che la Batracomiomachia non è parto di un poeta mediocre.
Si desta quindi in noi il desiderio di sapere il nome di questo poeta.
Già da molti secoli il poema porta quello di Omero, a cui espressamente lo attribuì Marziale, che scrisse sopra la Batracomiomachia quell'epigramma(2):
Perlege Mæonio cantatas carmine ranas,
Et frontem nugis solvere disce meis.
Così anche Fulgenzio(3):
Quod Mæonius ranarum
Cachinnavit proelio.
Stazio volendo mostrare che i maggiori poeti, prima di esercitarsi in oggetti grandi, aveano preso a cantare cose basse e pedestri, citò la Zanzara di Virgilio e la Batracomiomachia(4), con che diè a vedere che riguardava questo poema come opera di Omero, il quale solo potea citarsi al fianco di Virgilio.
L'autor greco della Vita di Omero attribuita ad Erodoto, dice che quel poeta compose la Batracomiomachia, dopo l'Iliade, e prima dell'Odissea, nella terra chiamata Bolisso, vicino alla città di Chio, in casa del padrone del pastore Glauco.
È inutile rammentare gli autori greci più moderni che attribuirono ad Omero la Batracomiomachia, come Tzetze citato dal Bentley, che annovera la Battaglia dei topi fra le tredici opere lasciate, a suo dire, da Omero(5); ed Apostolio, di cui ricorda il Labbé(6) alcuni versi politici in lode della Batracomiomachia.
Fra quelli che hanno scritto nelle lingue volgari, moltissimi hanno riguardato quel poema come parto veramente di Omero, e il Lavagnoli in una lunga prefazione premessa alla Batracomiomachia da lui tradotta, ha sostenuta con tutte le sue forze questa opinione.
"Non potrebbe esser questo per avventura", dic'egli parlando di Omero, "un primo parto della sua mente? un esperimento che volle egli fare di sé medesimo in mira delle maggiori cose che divisava di scrivere?" Maittaire e Francesco Redi nell'Avvertimento premesso alla Guerra dei Topi e dei Ranocchi di Andrea del Sarto, giudicano la Batracomiomachia, produzione degna di Omero, e Pope dice che un grande autore può qualche volta ricrearsi col comporre uno scritto giocoso, che generalmente gli spiriti più sublimi non sono nemici dello scherzo, e che il talento per la burla accompagna d'ordinario una bella immaginazione, ed è nei grandi ingegni, come sono spesso le vene di mercurio nelle miniere d'oro.
Ciò è verissimo, ma prova solo che Omero poté scrivere un poema giocoso, non che egli è in effetto l'autore della Batracomiomachia.
Sarebbe un pazzo chi negasse la prima proposizione, non però certamente chi negasse la seconda, la quale ha avuti in realtà moltissimi oppositori.
Proclo parla della Batracomiomachia come di opera attribuita ad Omero solamente da alcuni.
"Scrisse", dic'egli di Omero(7), "due poemi: l'Iliade e l'Odissea.
Alcuni gli attribuiscono ancora dei poemi giocosi, cioè il Margite, la Batracomiomachia, l'Entepazzio, la Capra, e i Cercopi vani." Così anche Eustazio.
Il primo dei due autori anonimi delle Vite di Omero, pubblicate dall'Allacci, sembra rigettare espressamente la Batracomiomachia come supposta e di autore differente da Omero, poiché dice di questo poeta: "Nulla gli si deve attribuire, fuorché l'Iliade e l'Odissea.
Gli Inni e gli altri poemi che gli si ascrivono, si hanno a tenere per opere di altri autori, a cagione della differenza, sì del carattere che della bellezza degli scritti.
Alcuni gli vogliono attribuire anche due opere che vanno intorno coi titoli di Batracomiomachia e di Margite.
Quanto ai poemi che veramente gli appartengono, essi si cantavano un tempo qua e là spartitamente, e furono riordinati da Pisistrato l'Ateniese." E certamente, leggendo gli antichi scritti, si trova che l'antichità era in dubbio intorno all'autenticità della Batracomiomachia, forse niente meno di quello che lo siamo noi al presente.
Gli Scoliasti di Sofocle(8) e di Euripide(9) citano la Batracomiomachia senza nominarne l'autore, con che sembrano dare a vedere di essere incerti intorno ad esso.
Apollonio Discolo riporta un luogo della Batracomiomachia senza indicare né l'autore, né il poema(10): ma da ciò non si può cavare alcuna conseguenza, poiché egli cita più volte nella stessa guisa dei passi di Omero e di altri autori.
Suida, parlando di Omero(11), annovera la Miobatracomachia, così detta da lui, tra le sue opere dubbie, ed altrove(12) di Pigrete Alicarnasseo, fratello della famosa Artemisia moglie di Mausolo, dice che compose il Margite e la Batracomiomachia.
E di questa lo stesso Pigrete è fatto autore da Plutarco, il quale scrive di Erodoto(13): "Finalmente narra che a Platea i Greci, sedendo oziosamente, ignorarono sino al fine la battaglia; appunto come Pigrete fratello di Artemisia disse essere accaduto nel combattimento dei topi e delle rane, che egli per giuoco descrisse in versi; aggiungendo che gli Spartani a bella posta combatterono in silenzio, perché gli altri non avessero contezza della pugna." Enrico Stefano(14) dice di aver veduto un esemplare della Batracomiomachia, in cui questa attribuivasi a Pigrete di Caria.
Di simiglianti esemplari fanno pur menzione il Labbé(15) ed il Nunnes(16), presso cui, dice il Fabricio(17), per errore di stampa si legge: Tigreti, in luogo di Pigreti.
Ma in verità questo errore è dei Codici, non della stampa, e in un manoscritto Naniano si trova la Batracomiomachia con questo titolo: *'Homérou Batrachomyomachía en dé tisi Tígretos tou Karós' "Batracomiomachia di Omero, o come si legge in alcuni esemplari di Tigrete di Caria".
Fra i moderni, Daniele Heinsio, Giovanni le Clerc, e molti altri contrastarono ad Omero la Batracomiomachia.
Madama Dacier dicendo che i migliori critici riconoscono quel poema per falsamente attribuito ad Omero(18), mostra di non pensare essa stessa in diversa guisa.
Stefano Bergler(19) conta fino ad otto parole della Batracomiomachia, che non sembrano essere state in uso al tempo di Omero, il quale non se ne serví mai nell'Iliade e nell'Odissea, benché spesse volte avesse occasione di farlo; e rileva alcuni modi di dire usati nello stesso poema che non paiono propri di Omero.
Fa rimarcare che i Grammatici, per testimonianza di Eustazio, osservarono non essersi quel poeta servito della voce élios che una sola volta, cioè nel libro ottavo dell'Odissea, e che nondimeno quella voce s'incontra nel penultimo verso della Batracomiomachia.
Trova che presso Omero la lettera "a" del verbo "ikàno", e dei casi formati dallo stesso è sempre lunga, e la "y" dell'aoristo secondo, e futuro secondo del verbo "feúgo" è sempre breve, mentre nella Batracomiomachia si ha "íkanen" colla sillaba "ka" breve, ed "apéphygen" colla sillaba "phy" lunga.
Finalmente sospetta che l'autore della Batracomiomachia abbia tratto dalle Nubi d'Aristofane il pensiero delle zanzare, che colle loro trombe danno alle armate dei topi e delle rane il segnale della battaglia.
Cesarotti(20) osserva che la descrizione dei Granchi fatta con parole composte e strane quanto i mostri che si vogliono descrivere, non sente per nulla il tempo e lo stile di Omero.
Questa descrizione è compresa in cinque versi, che egli traduce così:
Venne la razza
Ossosa, incudischiena, incurvibraccia,
Guercia, forbicibocca, ostricopelle,
Marciaindietro, ampiospalla e gambistorta,
Manispasa, occhiterga, impettosguarda,
Ottipede, bicipite, intrattabile.
L'uso di queste bizzarre parole sembra esser venuto molto più tardi, e se ne hanno esempi presso Plauto, Ateneo(21), S.
Basilio, Suida, e nell'Antologia.
Michele Neandro, Lo Scaligero, l'Huet ed altri composero Epigrammi con parole di tal fatta.
Tale è quello di Egesandro contro i Sofisti, che Giuseppe Scaligero recò in versi latini in questa guisa:
Silonicaperones, vibrissasperomenti,
Manticobarbicolæ, extenebropatinæ.
Obsuffarcinamicti, planilucernituentes,
Noctilatentivori, noctidolostudii.
Pullipremoplagii, sutelocaptiotricæ,
Rumigeraucupidæ, nugicanoricrepi.
A tutte queste osservazioni fatte già dagli eruditi, ne aggiungerò io una, che non credo fatta ancora da alcuno.
La descrizione delle angosce e dei diversi atti del topo che naviga sul dorso di Gonfiagote, mi sembra imitazione affettata di quella che fa Mosco degli atti di Europa trasportata per mare dal suo toro.
L'autore della Batracomiomachia dice che Rubabriciole vedendosi bagnare dall'acqua, tremava e piangeva, invocava gli Dei, si stringeva al corpo di Gonfiagote, e lasciata andare la coda in acqua, tiravasela dietro come un remo, e che finalmente prese a parlare.
Mosco dice di Europa che vistasi all'improvviso trasportare in mare, si turbò, e che seguendo il toro il suo cammino, essa con una mano ne stringea un corno, e coll'altra traeva in su la sua veste perché non si bagnasse, e che finalmente non vedendo più che acqua e cielo, parlò al toro, e chiamò Nettuno in suo soccorso.
La similitudine di Europa, che nella Batracomiomachia si pone in bocca al sorcio, sembra dare qualche peso al mio sospetto.
Io non so se l'accaduto a me possa confermare in alcun modo questa opinione.
Io non avea mai letta la Batracomiomachia.
Leggendola attentamente, e giunto al luogo in cui si descrivono le angustie del topo navigatore, credei subito trovarvi molta conformità con quello di Mosco, che ho accennato.
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