[Pagina precedente]...circostanze in cui si sono trovati. Il carattere però d'un personaggio, quale è presentato in questa tragedia, manca affatto di fondamenti storici: i disegni d'Adelchi, i suoi giudizi sugli avvenimenti, le sue inclinazioni, tutto il carattere in somma è inventato di pianta, e intruso tra i caratteri storici, con un'infelicità , che dal più difficile e dal più malevolo lettore non sarà , certo, così vivamente sentita come lo è dall'autore.
USANZE CARATTERISTICHE ALLE QUALI SI ALLUDE NELLA TRAGEDIA.
ATTO I, Scena II, v. 149
Il segno dell'elezione de' re longobardi era di mettere loro in mano un'asta (xl).
SCENA III, v. 212
Alle giovani longobarde si tagliavano i capelli quando andavano in marito: le nubili sono dette nelle leggi: figlie in capelli (xli). Il Muratori dice, senza però addurne prove, ch'erano chiamate intonse; e vuole che di qui sia venuta la voce tosa, che vive ancora in qualche dialetto di Lombardia (xlii).
SCENA V, v. 335
Tutti i Longobardi in caso di portar l'armi, e che possedevano un cavallo, eran tenuti a marciare; il Giudice poteva dispensarne un piccolissimo numero (xliii).
ATTO III, SCENA I, v. 78
Ne' costumi germanici, il dipendere personalmente da' principali era, già ai tempi di Tacito, una distinzione ambita (xliv). Questa dipendenza, nel medio evo, comprendeva il servizio domestico e il militare; ed era un misto di sudditanza onorevole e di devozione affettuosa. Quelli che esercitavano questa condizione erano dai Longobardi chiamati Gasindi: ne' secoli posteriori invalse il titolo domicellus; e di qui il donzello, che è rimasto nella parte storica della lingua. Questa condizione, diversa affatto dalla servile, si trova ugualmente ne' secoli eroici; ed è una delle non poche somiglianze che hanno quei tempi con quelli che Vico chiamò della barbarie seconda. Patroclo, ancor giovinetto, dopo aver ucciso, in una rissa, il figlio d'Anfidamante, è mandato da suo padre in rifugio in casa del cavalier Peleo, il quale lo alleva, e lo mette al servizio d'Achille, suo figlio (xlv).
SCENA IV, v. 212
L'omaggio si prestava dai Franchi in ginocchio, e mettendo le mani in quelle del nuovo signore (xlvi).
ATTO IV, SCENA II, v. 221
Una delle formalità del giuramento presso i Longobardi, era di metter le mani su dell'armi, benedette prima da un sacerdote (xlvii).
CORO NELL'ATTO IV, ST. 7
Carlo, come i suoi nazionali, era portato per la caccia (xlviii). Un poeta anonimo, suo contemporaneo, imitatore studioso di Virgilio, come si poteva esserlo nel secolo IX, descrive lungamente una caccia di Carlo, e le donne della famiglia reale, che la stanno guardando da un'altura (xlix).
CORO SUDDETTO, ST. 10
Si dilettava anche molto dei bagni d'acque termali: e perciò fece fabbricare il palazzo d'Aquisgrana.(l)
Il vocabolo Fedele, che torna spesso in questa tragedia, c'è sempre adoperato nel senso che aveva ne' secoli barbari, cioè come un titolo di vassallaggio. Non trovando altro vocabolo da sostituire, e per evitar l'equivoco che farebbe col senso attuale, non s'è potuto far altro che distinguerlo con l'iniziale grande. Drudo, che aveva la stessa significazione, ed è d'evidente origine germanica (li), riuscirebbe più strano, essendo serbato a un senso ancor più esclusivo. Nella lingua francese, il fidelis barbarico s'è trasformato in féal, e c'è rimasto; e le cagioni della differente fortuna di questo vocabolo nelle due lingue, si trovano nella storia de' due popoli. Ma c'è pur troppo, tra quelle così differenti vicende, una trista somiglianza: i Francesi hanno conservato nel loro idioma questa parola a forza di lacrime e di sangue; e a forza di lacrime e di sangue è stata cancellata dal nostro.
PERSONAGGI
LONGOBARDI
DESIDERIO, re
ADELCHI, suo figlio, re
ERMENGARDA, figlia di Desiderio
ANSBERGA, figlia di Desiderio, badessa
VERMONDO, scudiero di Desiderio
ANFRIDO, TEUDI, scudieri d'Adelchi
BAUDO, duca di Brescia
GISELBERTO, duca di Verona
ILDECHI, INDOLFO, FARVALDO,ERVIGO, GUNTIGI, duchi
AMRI, scudiero di Guntigi
SVARTO, soldato
FRANCHI
CARLO, re
ALBINO, legato
RUTLANDO, ARVINO, conti
LATINI
PIETRO, legato d'ADRIANO papa
MARTINO, diacono di Ravenna
DUCHI, SCUDIERI, SOLDATI LONGOBARDI; DONZELLE, SUORE DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE; CONTI E VESCOVI FRANCHI; UN ARALDO
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Palazzo reale in Pavia
DESIDERIO, ADELCHI, VERMONDO
VERMONDO
O mio re Desiderio, e tu del regno
Nobil collega, Adelchi; il doloroso
Ed alto ufizio che alla nostra fede
Commetteste, è fornito. All'arduo muro
Che Val di Susa chiude, e dalla franca
La longobarda signoria divide,
Come imponeste, noi ristemmo; ed ivi,
Tra le franche donzelle, e gli scudieri,
Giunse la nobilissima Ermengarda;
E da lor mi divise, ed alla nostra
Fida scorta si pose. I riverenti
Lunghi commiati del corteggio, e il pianto
Mal trattenuto in ogni ciglio, aperto
mostrar che degni eran color d'averla
Sempre a regina, e che de' Franchi stessi
Complice alcuno in suo pensier non era
Del vil rifiuto del suo re; che vinti
Tutti i cori ella avea, trattone un solo.
Compimmo il resto della via. Nel bosco
Che intorno al vallo occidental si stende,
La real donna or posa: io la precorsi,
L'annunzio ad arrecar.
DESIDERIO
L'ira del cielo,
E l'abbominio della terra, e il brando
Vendicator, sul capo dell'iniquo,
Che pura e bella dalle man materne
La mia figlia si prese, e me la rende
Con l'ignominia d'un ripudio in fronte!
Onta a quel Carlo, al disleal, per cui
Annunzio di sventura al cor d'un padre
È udirsi dir che la sua figlia è giunta!
Oh! questo dì gli sia pagato: oh! cada
Tanto in fondo costui, che il più tapino,
L'ultimo de' soggetti si sollevi
Dalla sua polve, e gli s'accosti, e possa
Dirgli senza timor: tu fosti un vile,
Quando oltraggiasti una innocente.
ADELCHI
O padre,
Ch'io corra ad incontrarla, e ch'io la guidi
Al tuo cospetto. Oh lassa lei, che invano
Quel della madre cercherà ! Dolore
Sopra dolor! Su queste soglie, ahi! troppe
Memorie acerbe affolleransi intorno
A quell'anima offesa. Al fiero assalto
Sprovveduta non venga, e senta prima
Una voce d'amor che la conforti.
DESIDERIO
Figlio, rimanti. E tu, fedel Vermondo,
Riedi alla figlia mia; dille che aperte
De' suoi le braccia ad aspettarla stanno...
De' suoi, che il cielo in questa luce ancora
Lascia. Tu al padre ed al fratel rimena
Quel desiato volto. Alla sua scorta
Due fidate donzelle, e teco Anfrido
Saran bastanti: per la via segreta
Al palazzo venite, e inosservati
Quanto si puote: in più drappelli il resto
Della gente dividi, e, per diverse
Parti, gli invia dentro le mura.
(Vermondo parte)
SCENA SECONDA
DESIDERIO, ADELCHI
DESIDERIO
Adelchi,
Che pensiero era il tuo? Tutta Pavia
Far di nostr'onta testimon volevi?
E la ria moltitudine a goderne,
Come a festa, invitar? Dimenticasti
Che ancor son vivi, che ci stan d'intorno
Quei che le parti sostenean di Rachi,
Quand'egli osò di contrastarmi il soglio?
Nemici ascosi, aperti un tempo; a cui
L'abbattimento delle nostre fronti
È conforto e vendetta!
ADELCHI
Oh prezzo amaro
Del regno! oh stato, del costor, di quello
De' soggetti più rio! se anche il lor guardo
Temer ci è forza, ed occultar la fronte
Per la vergogna; e se non ci è concesso,
Alla faccia del sol, d'una diletta
La sventura onorar!
DESIDERIO
Quando all'oltraggio
Pari fia la mercé, quando la macchia
Fia lavata col sangue; allor, deposti
I vestimenti del dolor, dall'ombre
La mia figlia uscirà : figlia e sorella
Non indarno di re, sovra la folla
Ammiratrice, leverà la fronte
Bella di gloria e di vendetta. - E il giorno
Lungi non è; l'arme, io la tengo; e Carlo,
Ei me la die': la vedova infelice
Del fratel suo, di cui con arti inique
Ei successor si feo, quella Gerberga
Che a noi chiese un asilo, e i figli all'ombra
Del nostro soglio ricovrò. Quei figli
Noi condurremo al Tebro, e per corteggio
un esercito avranno: al Pastor sommo
Comanderem che le innocenti teste
Unga, e sovr'esse proferisca i preghi
Che danno ai Franchi un re. Sul franco suolo
Li porterem dov'ebbe regno il padre,
Ove han fautori a torme, ove sopita
Ma non estinta in mille petti è l'ira
Contro l'iniquo usurpator.
ADELCHI
Ma incerta
È la risposta d'Adrian? di lui
Che stretto a Carlo di cotanti nodi,
Voce udir non gli fa che di lusinga
E di lode non sia, voce di padre
Che benedice? A lui vittoria e regno
E gloria, a lui l'alto favor di Piero
Promette e prega; e in questo punto ancora
I suoi legati accoglie, e contro noi
Certo gl'implora; contro noi la terra
E il santuario di querele assorda
Per le città rapite.
DESIDERIO
Ebben, ricusi:
Nemico aperto ei fia; questa incresciosa
Guerra eterna di lagni e di messaggi
E di trame fia tronca; e quella al fine
Comincerà dei brandi: e dubbia allora
La vittoria esser può? Quel dì che indarno
I nostri padri sospirar, serbato
È a noi: Roma fia nostra: e, tardi accorto,
Supplice invan, delle terrene spade
Disarmato per sempre, ai santi studi
Adrian tornerà ; re delle preci,
Signor del Sacrifizio, il soglio a noi
Sgombro darà .
ADELCHI
Debellator de' Greci,
E terror de' ribelli, uso a non mai
Tornar che dopo la vittoria, innanzi
Alla tomba di Pier due volte Astolfo
Piegò l'insegne, e si fuggì; due volte
Dell'antico pontefice la destra,
Che pace offrìa, respinse, e sordo stette
All'impotente gemito. Oltre l'Alpe
Fu quel gemito udito: a vendicarlo
Pipin due volte le varcò: que' Franchi
Da noi soccorsi tante volte e vinti,
Dettaro i patti qui. Veggo da questa
Reggia il pian vergognoso ove le tende
Abborrite sorgean, dove scorrea
L'ugna de' franchi corridor.
DESIDERIO
Che parli
Or tu d'Astolfo e di Pipin? Sotterra
Giacciono entrambi: altri mortali han regno,
Altri tempi si volgono, brandite
Sono altre spade. Eh! se il guerrier che il capo
Al primo rischio offerse, e il muro ascese,
Cadde e perì, gli altri fuggir dovranno,
E disperar? Questi i consigli sono
Del mio figliuol? Quel mio superbo Adelchi
Dov'è, che imberbe ancor vide Spoleti
Rovinoso venir, qual su la preda
Giovinetto sparviero, e nella strage
Spensierato tuffarsi, e su la turba
De' combattenti sfolgorar, siccome
Lo sposo nel convito? Insiem col vinto
Duca ribelle ei ritornò: sul campo,
Consorte al regno il chiesi: un grido sorse
Di consenso e di plauso, e nella destra
- Tremenda allor - l'asta real fu posta.
Ed or quel desso altro veder che inciampi
E sventure non sa? Dopo una rotta
Così parlar non mi dovresti. Oh cielo!
Chi mi venisse a riferir che tali
Son di Carlo i pensier, quali or gli scorgo
Nel mio figliuol, mi colmeria di gioia.
ADELCHI
Deh! perché non è qui! Perché non posso
In campo chiuso essergli a fronte, io solo,
Io, fratel d'Ermengarda! e al tuo cospetto,
Nel giudizio di Dio, nella mia spada,
La vendetta ripor del nostro oltraggio!
E farti dir, che troppo presta, o padre,
Una parola dal tuo labbro uscia!
DESIDERIO
Questa è voce d'Adelchi. Ebben, quel giorno
Che tu brami, io l'affretto.
ADELCHI
O padre, un altro
Giorno io veggo appressarsi. Al grido imbelle,
Ma riverito, d'Adrian, vegg'io
Carlo venir con tutta Francia; e il giorno
Quello sarà de' successor d'Astolfo
Incontro al figlio di Pipin. Rammenta
Di chi siam re; che nelle nostre file
Misti ai leali, e più di lor fors'anco,
Sono i nostri nemici; e che la vista
D'un'insegna straniera ogni nemico
In traditor ti cangia. Il core, o padre,
Basta a morir; ma la vittoria e il regno
È pel felice che ai concordi impera.
Odio l'aurora che m'annunzia il giorno
Della battaglia, incresce l'asta e pesa
Alla mia man, se nel pugnar, guardarmi
Deggio dall'uom che mi combatte al fianco.
DESIDERIO
Chi mai regnò senza nemici? il core
Che importa? e re siam dunque indarno? e i brandi
Tener chiusi dovrem nella vagina
Infin che spento ogni livor non sia?
Ed aspettar sul soglio inoperosi
Chi ci percota? Havvi altra via di scampo
Fuorché l'ardir? Tu, che proponi alfine?
ADELCHI
Quel che, signor di gente invitta e fida,
In un dì di vittoria, io proporrei:
Sgombriam le terre de' Romani; amici
Siam d'Adriano: ei lo desia.
DESIDE...
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