IL FILOSOFO INGLESE, di Carlo Goldoni - pagina 1
Carlo Goldoni
IL FILOSOFO INGLESE
La presente Commedia di carattere in cinque Atti in versi rimati, che diconsi Martelliani, fu rappresentata per la prima volta in Venezia nel Carnovale dell'anno 1754.
ALL'ILLUSTRISSIMO
SIGNOR
GIUSEPPE SMITH
CONSOLE PER LA NAZIONE BRITANNICA IN VENEZIA
L'argomento più ardito che io abbia scelto da trattare in una commedia, egli è certamente, Signore, il Filosofo Inglese.
Un Filosofo è assai rispettabile; molto più, tratto dal seno di una Nazione che pensa e che ragiona forse più delle altre.
Lasciamo a parte i gran Maestri ch'ella ha prodotto, ma le persone tutte che hanno qualche coltura, riconoscono il merito della loro buona condotta dai semi interni della Filosofia; ed io che ho avuto la buona sorte di trattarne parecchi in varie parti d'Italia, li ho conosciuti quasi tutti filosofi, del carattere appunto di questo mio, che vale a dire di una filosofia civile, discreta e sociabile.
Non vi è paese del quale io ricerchi con maggiore avidità i Viaggiatori, oltre quello dell'Inghilterra; leggo le opere inglesi tradotte con un piacere infinito, e vi trovo una tale robustezza di pensieri e di sentimenti, che sempre più mi sorprende, e mi fa piangere gli anni miei perduti senza aver appreso il linguaggio degli uomini dotti, e senza aver veduto il paese delle Arti, delle Scienze e della buona Filosofia.
Con tutte queste mie giustissime prevenzioni, ho avuto dunque l'ardire di scegliere per soggetto di una Commedia il Filosofo Inglese, e non mi pento e non mi vergogno d'averlo fatto.
Io non sono dell'opinione di certi tali scrittori dell'arte comica, de' quali, nel corso di tre o quattro anni, non picciol numero ne abbiam veduto sortire: io non credo, voleva dire, come alcuni di essi credono, che il Protagonista di una Commedia debba sempre essere o vizioso, o difettoso, o fanatico, per trarne da lui principalmente il ridicolo, il disinganno, o la correzione, che sono i fini principali della Commedia.
Mi sono assai volte provato a fondar la Commedia sul carattere nobile e virtuoso, e sulla passione, e ne ho veduto i migliori effetti, anzi queste sono sempre state le Commedie mie più felici.
Alla virtù ho sempre posto in confronto il vizio, colla sua pena o col suo disinganno, e in questa guisa non ho abbandonato lo scopo finale della Commedia, e ho consolato gli animi de' spettatori, innamorati del carattere principale.
Il mio Filosofo Inglese è un uomo saggio, discreto, civile, non posto in scena per deridere il sacro nome della Filosofia, ma per esaltarla, per innamorare di essa gli animi degli uditori, e per onorare precisamente una nazione ch'io stimo.
A fronte dell'uomo onesto, dell'uomo saggio, del filosofo buono, non ho mancato di mettervi degl'impostori, degl'ignoranti, onde maggiormente risulti il di lui merito e la di lui onestà.
So esservi in Inghilterra un certo numero di persone, conosciute sotto il nome di Quacheri, i quali in mezzo ad un certo modo di vivere estraordinario, conservano però le più rigorose leggi dell'onestà, immancabili alla fede de' loro contratti, nemici dell'adulazione e del fasto.
I due impostori da me introdotti nella Commedia, nemici del mio Filosofo, sono due ignoranti, fanatici, che per comparire distinti si gettano dalla parte più stravagante del Quacheri, senza conoscere né i loro principi, né le loro leggi, né i loro onesti costumi.
Il garzone del caffettiere ne fa il ritratto, e ciò può bastare per giustificarmi presso di chi si sia, ch'io non ho avuto in animo di far credere diversamente, sapendo benissimo che ogni corpo deve essere rispettato.
Finora, Signore, ho cercato giustificarmi nella scelta dei titolo della Commedia, confessandolo ardito; ma quanto maggiore sarà l'ardir mio reputato, ora che pubblicandosi la Commedia mia colle stampe, a Voi la raccomando? Due ragioni addur posso per mia discolpa; una che riguarda fa mia persona, l'altra che riguarda la vostra.
In quanto a me, sono da molti anni in possesso di presentare le opere mie ai più riguardevoli personaggi per nascita o per dottrina, e male profitterei della mia fortuna, se fra la serie de' miei Mecenati non collocassi il nome vostro, e farei un'ingiuria al mia edizione, se non le procurassi un sì prezioso ornamento.
Riguardo a Voi, Signore, la ragione che mi anima a farlo si è la cortesia e la benignità dell'animo con cui avete sempre pazientemente sofferto e validamente difeso le opere mie teatrali, da che ne deriva un qualche impegno di doverle difendere ancora stampate.
So che ogni altra Commedia avrei dovuto presentarvi fuori di questa, che tratta per l'appunto della vostra illustre nazione; poiché niuno meglio di Voi potrà scoprirvi i difetti; ma Voi sapete altresì più di tutti, che in una Commedia qualche cosa è tollerabile per la scena, né vi piccherete contro di me, come fece un amico mio italiano, il quale per essere stato qualche anno in Londra, trovò che dire contro la mia Commedia, e mi è diventato nemico.
Voi, Signore, siccome non isdegnate passar la sera sovente al Teatro, resosi in oggi divertimento non indegno de' pari vostri, così mi lusingo che qualche fiata trovar possiate diletto a veder sotto gli occhi alcuna di quelle scene che vi avevano più divertito, quasi per respirare dalle seriose occupazioni vostre, e da quei studi ne' quali non va disgiunta dal piacere l'applicazione.
In fatti converrà meco ciascheduno, Signore, che voi sortiste la mente più felice di questo mondo.
Chi entra nella vostra Casa, ritrova l'unione più perfetta di tutte le Scienze e di tutte le Arti, e Voi sedete in mezzo di esse non come un amante che le vagheggia soltanto, ma come un conoscitore impegnato per illustrarle.
Ciò chiaramente dimostra la libreria sceltissima che Voi avete, ricca delle più accreditate edizioni antiche, non meno che delle più pregievoli e più eleganti moderne, in cui niente manca alla perfetta raccolta d'istoria, di belle lettere, di belle arti e delle più nobili scienze.
La copia numerosa di tali libri formato ha un grosso volume col solo indice, intitolato Bibliotheca Smithiana; onde la rarità di alcune vostre edizioni può molto contribuire alla Repubblica letteraria.
La Pittura, l'Architettura, il disegno regnano a gara fra le vostre pareti.
Il vostro buon gusto, la vostra cognizione perfetta vi hanno ispirato a scegliere le cose migliori, e il coraggio dell'animo vostro generoso vi ha mosso la mano per acquistarle.
Che non avete Voi di raro, di singolare, di sorprendente in ordine a camei, a pietre dure intagliate, avanzi miracolosi della rispettabile antichità? Io non istarò a descriverne la quantità ed il pregio, perché non sono di tali studi bastantemente infirmato, ma so bene che cento e cento volte, in Venezia e altrove, ho sentito esaltare le vostre raccolte per singolari e sublimi, e non vi è persona intendente che non desideri di vederle, e non parta maravigliata.
Tutte queste magnifiche cose le avete poi collocate in una casa degna di tali ornamenti, in cui spicca egualmente il vostro buon gusto per l'Architettura, e la proporzione delle idee della vostra mente.
Questa Fabrica fa l'ornamento del luogo ove situata, siccome l'altra da Voi eretta in campagna forma il piacere di chi la mira, e molto più di chi ha la fortuna di seco Voi abitarla.
Tutto quello che finora di Voi ho detto, poco sarebbe, se la vostra persona amabile non superasse il merito delle preziose cose che possedete.
Qui mi si aprirebbe un largo campo per ragionare delle vostre virtù, ma so che se finora mi soffriste a stento, principierei a divenirvi stucchevole.
Siete Inglese, siete filosofo, amico del merito, ma non della lode.
Voi credete che le vostre virtù siano doveri dell'uomo, e che il lodarle soverchiamente sia un far torto alla umanità, alla ragione.
La liberalità dell'animo vostro non è che una grata corrispondenza al Cielo che vi ha colmato di beni; la dolcezza del vostro tratto è una conseguenza delle idee della vostra mente, e della perfetta organizzazione del vostro corpo.
La vostra cortesia, la vostra benignità...
lasciatemi lodare queste due belle parti del vostro animo, poiché sono quelle che mi hanno incoraggiato ad offerirvi questo misero parto del mio talento, sono ammirabili, sono grandi, non ho stile bastante per commendarle; meglio sarà che io le veneri col silenzio, e dia fine a questo troppo tedioso foglio inchinandomi umilmente.
Di V.S.
Illustriss.
Umiliss.
Dev.
Obblig.
Servidore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Questa Commedia si è recitata parecchie sere in Venezia con fortunato successo.
Una persona rispettabile per ogni riguardo, si prese il piacere di criticarla, né potea far cosa per me più onorevole, poiché quantunque egli si protestasse benignamente averlo fatto per bizzarria di spirito, i suoi versi hanno eccitato un sì gran numero di difensori, che delle loro composizioni a favore del mio Filosofo potrebbe farsi un volume.
Può essere che un dì si stampino, e faranno onore a me ed alle illustri penne che si sono per ciò adoperate.
Due erano i punti principali della graziosa Critica.
Il primo fondato sopra i due impostori, l'Argentiere ed il Calzolaio, sull'immaginazione ch'io avessi inteso di rappresentare due Quacheri, e di ciò sta la mia giustificazione nella lettera precedente, e nell'annotazione al nome degli Attori.
Anche senza di questo, si sa comunemente che in ogni Religione, in ogni Corpo, in ogni Comunità, vi sono i buoni e i cattivi, onde se i due impostori della Commedia fossero effettivamente due Quacheri, sarebbero stati di quei cattivi, da' quali non può essere oscurata la fama degli onorati, ma la cosa sta come ho detto, e la questione è finita.
L'altro articolo della Critica si appoggiava all'azione forte del mio Filosofo verso la fine dell'atto quarto, ove trasportato il Milord da un eccesso di collera sino a minacciarlo colla spada, mostra il Filosofo la sua intrepidezza di animo, avanzandosi senza timore e senza difesa, con un tuono di voce sì fiero, e con parole sì veementi e pesate, che imprime nel cuore del giovine Milord la trepidazione e il rispetto.
Ad un tale obbietto hanno risposto sì dottamente i miei difensori, che io non potrei dire se non quello fu da essi già detto; hanno veramente fatta l'anatomia del cuore umano; hanno esaminata per ogni verso la passione del Milord e del Filosofo, ed hanno provato che ambidue non potevano operare diversamente.
Che aveva a fare il Filosofo? Fuggir vilmente? difendersi col bastone? chiamar aiuto? No, doveva valersi della filosofia, e questa gli suggerì sul momento la stima ed il rispetto che aveva Milord della sua riputazione, gli suggerì che un momento irragionevole poteva esser corretto da un raggio sollecito di ragione, ed aiutò le parole collo strepito della voce, il che per ragion fisica può introdurre un subito turbamento nella macchina dell'assalitore ed arrestarlo per un momento, sicché l'altro se ne approfitti e incalzi la forza dell'invettiva.
Abbiamo un caso simile nella vita di Molière scritta da Mons.
Grimarest.
Molière levò dalla compagnia di una donna Comica il celebre Mons.
Baron, per averlo nella sua truppa.
La femmina disperata per sì gran perdita andò alla casa di Molière, entrò nella di lui camera; dopo averlo pregato invano, lo caricò di rimproveri e finalmente cacciò una pistola per ammazzarlo.
Egli era a sedere, non fece che alzarsi, e caricando imperiosamente la voce, con un solo rimprovero gli riuscì disarmarla e di farla piangere.
Non si difese, non chiamò gente, non si avventò contro dell'inimica; Molière era filosofo, conosceva i cuori umani, e il forte e il debole delle passioni; l'intrepidezza avvilisce gli animi trasportati, ed ecco il caso del mio Filosofo.
Non parlo delle altre critiche; sono troppo leggiere.
Pregherò soltanto il lettore, che veduta non avesse rappresentare questa Commedia, considerare un po' bene l'artifizio ond'è composta la scena in cui si rappresenta l'azione.
La Scena è stabile, ma in una sola scena vi si ritrovano cinque scene, e in cinque differenti luoghi si fa l'azione nel medesimo tempo, e molti parlano di varie cose fra loro opposte senza che uno disturbi l'altro; ma vi è la ragione per quei che parlano e per quei che tacciono.
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