[Pagina precedente]...rgli risposte brusche, gli spetezzamenti ti accompagnerebbeno per tutta la chiesa, e non ne saria altro.
PIPPA. Io ne son certa.
NANNA. Nel porti poi inginocchioni, stà onestamente suso la predella del più guardato altare che ci sia, col libricino in mano.
PIPPA. A che fare il libricciuolo, se io non so leggere?
NANNA. Per parer di sapere: e non importa se tu lo voltassi ben sottosopra, come fanno le romanesche perché si creda che elle sien fate, e son fantasime. Orsuso mo', a le qualità dei giovanastri: nei quali non porre speranza, facendo disegno ne le promesse loro, perché non sono istabili; e aggirando tuttavia come il cervello e il sangue che gli bolle, si innamorano e snamorano secondo che si imbattano a innamorarsi; e se pur pure gliene dai talvolta, fatti pagare inanzi. E trista a te se ti incapestri, né in loro né in altri: perché innamoracchiarsi sta bene a chi vive di rendita, e non a chi ha da vivacchiare di dì in dì; e quando non fosse mai altro, tosto che sei impaniata, sei disfatta: perché l'animo che è fitto a un solo, dà licenzia a tutti quelli che solevi accarezzar del pari. Onde puoi far conto che una cortigiana ammartellata d'altro che de le borse, sia uno tavernaio ghiotto e imbriaco: il quale si mangia e si bee ciò che doveria cavarsi di corpo per vendere.
PIPPA. Voi le sapete tutte tutte tutte.
NANNA. Mi par sentire sfracassarti la porta da un capitano (o Iddio, oggidì ognun si chiama "il capitano", e mi par che fino ai mulattieri salgano al capitaniato): dico sfracassare, perché le fanno picchiare con bravaria, per parer di esser bestiali, parlando tuttavia con alcuni dettaregli spagnuoli, mescolandoci dei franciosi ancora. Non dare udienza a cotali tentenna-pennacchi; e se pur gli ami, fidati di loro come ti fideresti dei zingani, perché son peggio che i carboni, che o cuocano o tingano: gran gracchiare che fanno con lo aspettar de le paghe; e chi vuole esser pagata del calare che vogliano che faccia il re e de le vincite che farà la madre Chiesa, diègli da far la ninna; ma chi brama denari, lodagli per Orlandi dal quartieri, e tiri via: altrimenti ne portarà la testa rotta, come farà anco dai gavinelli giovanacci mattacci, che il maggiore onor che ti faccino è il bandire i difetti del tuo diritto e del tuo roverscio, vantandosi che ti fanno trarre e menar di bello.
PIPPA. Baionacci.
NANNA. In gran pelago si arrischia di notare chi diventa puttana per cavarsi la foiaccia e non la fame: chi vuole uscir di cenci, dico, chi vuol distrigarsi dagli stracci, sia saviolina, e non vada zanzeoni coi fatti né con le parole. Eccoti una comparazioncina calda calda: perché io favello a la improvisa, e non istiracchio con gli argani le cose che io dico in un soffio, e non in cento anni come fanno alcune stracca-maestri-che-gli-insegnano-a-fare-i-libri, togliendo a vittura il "dirollovi" il "farollovi" e il "cacarollovi", facendo le comedie con detti più stitichi che la stitichezza; e perciò ognuno corre a vedere il mio cicalare, mettendolo ne le stampe come il Verbum caro.
PIPPA. A la comperazioncina.
NANNA. Un soldato che è valente in isgallinare i pollai dei villani e in dilungare i canonici dei prigioni solamente, passa per poltrone e a malo stento ha la paga: così mi dice un de la guardia, dice anco che chi combatte e fa de le prove, è cercato da tutte le guerre e da tutti i soldi del mondo. E così una puttana che sa farsi lavorare e non altro, non esce mai d'un ventaglio spennacchiato e d'una vesticciuola di ser ermisino. Sì che, figliuola, o arte o sorte bisogna: e quando io avessi a chiedere a bocca, non ti nego che io non volessi più tosto sorte che arte.
PIPPA. Perché?
NANNA Perché ne la sorte non è fatica niuna; ma ne l'arte si suda, ed è forza strolagare e viver d'ingegno, come mi pare aver detto. E che sia il vero che ne la sorte non ci sia scropoli, guarda quella furfanta gaglioffa lendinosa de la tu-m'intendi, e chiarisciti.
PIPPA. O non è ella ricca a macca?
NANNA. E perciò ti dico io: ella non ha grazia, non ha vertù, non ha fattezza niuna che le stia bene a dosso; non ha persona, è goffa, passa la trentina: e con tutto questo par che ella ci abbia il mèle, sì le corre ognun drieto. Sorte, ah? sorte, eh? dimandane i famigli, i ragazzi, i ruffiani, e nol mel far dire, poiché la sorte gli fa signori e monsignori: e ciò vediam noi tuttodì. Sorte, eh? sorte, ah? Messer Troiano scarpellava i mortai, e ora ha il bel palazzo; sorte, eh? sorte, ah? Sarapica stregghiò i cani, e poi fu papa; sorte, ah? sorte, eh? Acursio era garzone di uno orafo, e diventò Iulio secondo; sorte, eh? sorte, ah? E certo quando la sorte e l'arte sono in una puttana, susum corda: perché cotal cosa è più dolce che quel "costì costì" che si dice allor che il dito, il qual ti gratta, doppo il "più giù, più su, più là, più qua", trova il bruscolino che ti rode; ed è beata chi ce le coglie tutte due. Arte e sorte, ah? sorte e arte, eh?
PIPPA Tornate dove mi lasciasti.
NANNA. Io ti lasciai al disconfortarti de la amistà dei giovanacci budelloni, e da quella dei capitani nel pennacchio; e ti diceva che gli sfuggissi, come anco ti dico che corra dietro a le persone riposate: perché non ti daranno men denari che costumi
PIPPA. Un poco più baiocchi e manco gentilezze
NANNA. Egli è così; tuttavia le persone riposate danno del continuo di questi e di quelli: e perciò chi è di sì dolce natura è il fatto nostro, perché in mantenersi con tali si ha il piacere d'una balia che dà il latte, governa e alleva un cittino senza rogna, il quale non piagne mai né dì né notte Volgiti poi ai fastidiosi misericordia, con simili spògliati la superbia che noi donne puttane portiamo da la potta che ci cacò e quando i rincrescevoli ritrosescamente ti favellano, ti gridano, ti rimproverano e motteggiando ti offendano, stà in quella scrima che usa chi scherza con l'orso: e sappi fare in modo che gli asinacci non ti giunghino coi calci, e fà che ti lascin sempre del suo pelo in mano.
PIPPA. S'io nol faccio, che mi dipinghino.
NANNA. Doppo a cotali fère, vengano gli spadaccini: quei bravi-in-casa-e-intorno-al-boccale, e poi non darebbero nel culo a Castruccio, e non restando mai di far tagliate, ti porranno il mare in un bicchiere. O non sarai tu da più che l'Ancroia se gli fai stare fin del vestitello di maglia e de la spada che portano senza proposito a lato?
PIPPA. Sarò.
NANNA. Tra l'una e l'altra spezie sono i mattacchioni, i quali hanno sempre le risa in sommo: e con quello "ah ah, ah" che gli rovescia indrieto spensieratamente, diranno a lettere di speziale ciò che ti han fatto e ciò che ti voglian fare, e siaci pur chi vuole, che allotta alzano le boci quanto più gente veggano, e lo fanno per natura e per mostrare il buon compagno, e aran per manco di alzarti i panni in presenzia di chi si sia, che di sputare in terra. E tu a dirgli villania scapigliandoli con la sicurtà che essi scapigliano te: e lo puoi fare, perché non pongano mente a cosa niuna, vivendo a la libera.
PIPPA. Crederesti voi che simili brigate mi garbano.
NANNA. Tu me ti simigli avendoci il gusto. Ma dimmi, non ti ho io ditto che i bizzarri sono come le scimie, le quali si racquetano per una nocciuola, perché anche il mare, che è sì gran bestia, passatagli la stizza, fa men rimore d'un fossatello?
PIPPA. Mi par de sì.
NANNA. Sì che io te ne ho favellato; ma degli ignorantacci no: infine, con tali che sono peggio dei poltroni, degli asini, dei miseri, dei bestiali, degli ipocriti, dei savi, dei taccagni e de il resto de le generazioni, non so regolarti. Essi hanno sempre a schifo il meglio; e ogni piacer che gli fai, son le tre acque perdute: i zoticoni te si avventano a dosso con niuna avvertenza ; e in ciascuno atto, con tuo danno e vergogna, fan fede de la lor castronaria.
PIPPA. Perché con mio danno e vergogna?
NANNA. Perché, sendo senza costumi e senza sugo, siedano di sopra ai più degni, favellano quando hanno a tacere e stan queti dovendo favellare: onde son cagione dil privarti de l'amicizia de le persone da bene. Ed è chiaro che chi gli ha visti fra le dame facendo gli amori, vede tanti porci fiutar rose in un giardino: e perciò rompegli l'ossa col bastone de la prudenzia.
PIPPA. Gli romperò anche il core. Ma i bizzarri e i fantastichi, non son tutti uno?
NANNA. Appunto: i fantastici son peggio che oriuoli stemperati, e son più da fuggire che i pazzi scatenati; e vogliono e non vogliono, ora son muti, ora assordano con le chiacchiere; e il più de le volte hanno la luna, né sanno perché. E santa Nafissa, che fu la pacienzia e la bontà istessa, non saperebbe essere coi grilli loro: e perciò il primo dì che gli conosci, fà seco fave e fagiuoli.
PIPPA. Ubidirovvi.
NANNA. Che di' tu dei sali-sapienzia-in-bocca-al-mammolo? Che crudeltà, che penitenza è a regnare con gli arcisavi: i quali, per non ispiegare le labbra che essi acconciano a lo specchio, non parlano mai, o se pur parlano, aprano la bocca con una diligenzia che rincastra le labbra ne le pieghe di prima; e sempre interpetrano le tue parole al contrario, mangiano per dottoraria, sputano tondo, guardano basso; vorrieno esser visti con puttane e non vorebbono che si sapesse; si guardano a darti in presenzia del servidore e han caro che sappino che ti dona.
PIPPA. Che uomini son dunque questi?
NANNA. S'alcun viene mentre ti sono in casa, si ascondano in camera: e facendo il bau ai fessi de l'uscio, crepano sino a tanto che non ti fanno dire a chi è cagione del loro appiattarsi: "Messere è in camera". Doppo questo misurano il sonno, il vegghiare, il cibo, il digiuno, lo andare, lo stare, il far quel fatto il nol fare, il favellare, lo star queto, il ridere, il non ridere, e cotante cacarie fanno ogni atto, che le donne novelle ne perderebbero: e questo anco si comporta. Ma è pur troppo quando ti stuzzicano tanto che è forza dargli conto di quel che tu hai e di ciò che tu fai dei tuoi avanzi. E perché un savio, o che si tiene per dir meglio, ha de lo avaretto, lambiccando la fatica che è il guadagnargli, arteggia sempre col senno loro: e fingendo ogni tuo andamento, fà che tu sia la Sapienzia Capranica in fare scappucciar Salamone. E ho di buon luogo che non ci sono le più insalate pazzie di quelle che a la fine fanno i savi non amando: or pensa ciò che son quelle che gli sbucano del capo quando sono innamorati morti.
PIPPA. E che gli farò io, dando ne le mie ragne cotali barbagianni.
NANNA. Hotti io detto nulla degli ipocriti?
PIPPA. Madonna no.
NANNA. Gli ipocriti, che non sel toccano mai se non col guanto e i veneri di marzo e le quattro tempora hanno in divozione de le divozioni vengano a te guatton guattoni, e se gli dici richiedendoti de l'onor drietovia, "Co' così drieto?", ti risponderanno "Noi siamo peccatori come gli altri" Pippa sorellina, tien secreto il fatto di costoro, né scargagliare, con il non poter tener l'olio, la lor poltroneria, che buon per te: i ribaldi, i nimici de la fede, poppano, pescheggiano e trapanano i buchi e le fesse al par di qualsivoglia gaglioffo; e trovando persone che sappino sepellire le tristizie di che si dilettano, danno senza misura e rinodatisi la brachetta, sempre cincischiano col menar de le labbra il miserere il domine ne in furore e lo exaudi orationem, avviandosi passo passo a grattare i piedi agli incurabili.
PIPPA. Che siano atanagliati.
NANNA. Saranno anche peggio un dì, non dubitare; e le loro animucce si calpestaranno dai piedi di quelli avaroni, miseroni, porconi che fin col chiavare stanno in sugli avanzetti: con questi traditori bisognaria, per fargli uscire, l'arte che essi hanno in sapere metter da canto. Oh che penitenzia che è il cavargli i denari di mano! Né ti credere che il lor pero se le lasci tòrre per iscrollare: una mamma amorevole più di tutte l'altre non fa tante bagattelline al figliuolino che non vuole addormentarsi né mangiar la pappa, quanti bisogna fare atti intorno a uno avaro, e mentre ne cava fuora uno, il parletico gli vien fra le dita, e ogni moneta scarsa adocchia per darti. Con i traditori tendi...
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