[Pagina precedente]...disponi, alterni fra consoli e pretori,
Tribuni, magistrati, padri, edili, censori,
Decurioni, maestri, comizi e dittatori;
Tuoi cittadin concordi, diretti ad un sol polo,
Negli animi diversi serbino un pensier solo.
Ogni passion privata, vinta nel seno e doma,
Fondino i beni loro nella gloria di Roma.
Godi perpetua pace, regna del Tebro in riva,
Fin là dove il tuo fato scritto nel cielo arriva;
E se dai numi al Lazio fosse prescritto il fine,
La libertà di Roma passi ad altro confine,
Dove con gloria pari, con pari legge alterna,
Abbia l'Italia onore di Repubblica eterna.
PRE.
Eco a' fausti presagi al ciel salga giuliva.
LUC.
Viva, Romani, il vate.
LEL.
Viva Terenzio.
TUTTI
Viva.
(Al suono degli stromenti parte il Pretore con tutti quelli che lo seguirono.)
SCENA SETTIMA
LUCANO, TERENZIO, LELIO, FABIO, DAMONE, clienti e servi; indi LIVIA.
LIV.
Ai plausi degli amici, ai viva degli eroi,
Permettasi che Livia possa accordare i suoi.
LUC.
Vieni, o tu di Lucano figlia d'amore, a parte
D'onor, di cui tu stessa godrai la miglior parte.
Altro fregio non manca al cittadin novello,
Che far con degne nozze il suo destin più bello.
Ecco una maggior prova dell'amor di Lucano:
Figlio a me sia Terenzio, dando a Livia la mano.
TER.
(Che farò?) (da sé.)
LIV.
(Che risponde?) (da sé.)
TER.
Signor bastanti pregi
Non ha Terenzio ancora per meritar tai fregi.
Chi i propri beni al censo vantar non può ne' lustri,
Ottar sai che non puote fra candidati illustri.
Livia è nata agli onori; d'un misero privato
Sdegna la sorte umile chi è nata al consolato.
LIV.
Padre, Terenzio il merta. Forma il censo al liberto;
Tua bontà si coroni, abbia l'onore offerto.
LUC.
Facciasi. I doni vari, schiavo, a te pervenuti,
Liberi a tua virtute fur del cuor mio tributi.
Altri aggiunger non nego, fino che l'uopo il chieda;
Ma l'uso che facesti de' beni tuoi si veda. (a Terenzio.)
TER.
Sì, lo vedrai. Concedi brevi momenti; io torno.
Verrò forse, tornando, di maggior gloria adorno.
(Celare un'opra ardita dovrebbesi a Lucano,
Ma son l'eroiche prove familiari a un Romano). (da sé.)
SCENA OTTAVA
LUCANO, LIVIA, LELIO, FABIO e DAMONE.
LIV.
(Qual mistero nasconde?) (da sé.)
LUC.
(Terenzio io non intendo). (da sé.)
FAB.
(Sai tu che dir si voglia?) (Piano a Lelio)
LEL.
(Sì, lo so, lo comprendo). (piano a Fabio.)
DAM.
Signor, signor mio caro, dolce signor clemente,
A tutti generoso, e a Damone niente? (a Lucano.)
LUC.
Libertà per legato alla mia morte spera.
DAM.
Deh, mi facciano i numi la grazia innanzi sera.
SCENA NONA
TERENZIO, CREUSA ed i suddetti.
TER.
Ecco, signor, miei beni, de' miei sudori il frutto.
Quanto a me tu donasti, ecco in Creusa è tutto.
LUC.
Come?
TER.
Il vecchio infelice che a te, giusta il contratto,
Venuto è di Creusa a chiedere il riscatto,
Perduto ogni suo bene nel mar tra' flutti rei,
Il prezzo convenuto ebbe dagli ori miei:
Ai duemila sesterzi quel che avanzar mi puote,
In dono alla donzella died'io per la sua dote.
Pietà dell'infelice sentii destarmi in cuore;
Alla pietate aggiungi, non so negarlo, amore.
Ma nel seguir le leggi del cieco Dio bendato,
Animo in me non ebbi di divenirti ingrato.
So che Creusa adori; a te si chiede invano.
Dispon, s'ella il consente, di lei, della sua mano.
Sciolta per me Creusa della servile insegna,
Merto maggiore acquista, sarà di te più degna.
Costar mi può la vita sì rio distaccamento,
Di te, di Roma i doni mi recano tormento;
Ché se la libertade dal fianco suo mi toglie,
La servitù più cara godrei fra le tue soglie.
Figura in me una colpa. Torni il liberto ingrato
A norma delle leggi nel pristino suo stato;
Ma pensa che la colpa, che tu mi trovi in cuore,
Sarà di troppa fede, sarà di troppo amore.
LIV.
Odi, signor, l'indegno, odi lo schiavo audace.
Miralo se in te merta cuor di pietà ferace.
Torni alla sua catena chi de' tuoi doni abusa,
A' tuoi voler risponda lieta o mesta Creusa.
Le nozze stabilite per tuo volere espresso
Tra Fabio e tra colei s'hanno a compire adesso.
Fabio, sei pronto?
FAB.
Il sono.
TER.
(Qual novello accidente?) (da sé.)
DAM.
(Avrà sportula doppia colla sposa il cliente). (da sé.)
LUC.
Livia, tu da me apprendi, apprenda il Lazio istesso
Da Lucan la virtude di superar se stesso.
Ama Terenzio, ed offre l'amore in sacrifizio:
Non sia men generoso d'un liberto un patrizio.
E Fabio, a cui interesse parla in cuor, non amore,
Apprenda al Tebro nostro a far men disonore.
Staccar da me Creusa è un trarmi il cuor dal petto,
Ma peggio è averla meco con rossor, con dispetto.
Mille gli esempi al mondo della Romana istoria
Pongonsi ad altrui norma, narransi a nostra gloria.
Sparse per questa Orazio della germana il sangue,
Voragine profonda Curzio ha per questo, esangue
Di Collatin la sposa s'aprio col ferro il seno;
Quando di duol morissi, di lor non farei meno.
Libero per mio dono Terenzio abbia in isposa
Costei, libera fatta da un'alma generosa.
Dote a lei fe' lo sposo col don de' beni sui;
Con parte de' miei beni censo farassi a lui.
Vivete ambo felici, in dolce nodo uniti;
Abbia virtute il premio, a gloria de' Quiriti.
Africa e Grecia vostre apprendano che in noi
Germoglia in ogni petto il seme degli eroi;
Che a noi render non cale solo i nemici oppressi,
Ma vincere sappiamo anche il cuor di noi stessi.
CRE.
Fortunato amor mio!
TER.
Bella di cuor pietade!
LIV.
Itene, fortunati, in barbare contrade.
Ditelo per ischerno ai popoli nemici:
La gloria de' Romani è l'essere infelici.
Vanta Atene gli atleti nell'olimpico agone;
Qui vantasi l'orgoglio di vincer la passione.
Il pugno, il cesto, il disco altrui servon di giuoco;
Qui l'anime diletta ferro, veleno e foco.
Ma se di gloria carche van l'anime latine,
E vergini e matrone son femmine eroine,
Noi pur della virtute sappiamo usar i modi,
Odiar d'Africa l'arte, odiar le greche frodi;
Sappiam nostre sventure mirar con ciglio lieto.
(Andiam, cuore infelice, a fremere in segreto). (da sé, indi parte.)
SCENA DECIMA
LUCANO, TERENZIO, CREUSA, LELIO, FABIO e DAMONE.
TER.
(Cela negli aspri detti sdegno, vendetta, orgoglio). (da sé.)
DAM.
(Anche la volpe dice, quando non può, non voglio). (da sé.)
CRE.
Alto signor, che al mondo sei di pietate esempio, (a Lucano.)
Degno che a te fra i numi ergasi in Roma un tempio
(Parlo con cuor sincero, ché i titoli son vani
Dati al popolo greco dai rapitor Troiani):
Grata al tuo don, se al piede laccio vil non m'aggrava,
Di te l'alma onorata sempre fia serva e schiava.
Di me, de' figli miei, di lui ch'ave il mio cuore,
Sarai, più che non fosti, l'amabile signore.
E a tua virtù più dolce recar potran diletto
Anime a te soggette per obbligo ed affetto.
So con chi parlo. In seno vil desio non contrasta...
LUC.
Non cimentar, Creusa...
CRE.
Non avvilirti...
LUC.
Basta.
TER.
Basta, gentil Creusa, grazie per me si renda,
Da me d'entrambi ai doni gratitudine attenda.
Andiam l'avolo afflitto a sollevar di pene.
LUC.
Dove condur pretendi la tua sposa?
TER.
In Atene.
LUC.
Darla a Criton promisi.
TER.
Bene, il vecchio canuto...
LUC.
Venga egli stesso in Roma.
TER.
Signore... egli è venuto.
LUC.
Come? dov'è?
TER.
Ti è in grado ch'egli a te venga?
LUC.
Sì.
TER.
Vieni, Critone, a noi. (verso la scena.)
LUC.
Come sì tosto?
TER.
È qui.
SCENA ULTIMA
CRITONE ed i suddetti.
LUC.
M'ingannasti, Terenzio?
TER.
Non t'ingannai, se meco
Venne a chieder la schiava col tuo contratto un Greco.
Più del mercante estinto avea ragion sul patto
L'avolo, che il contante offriati del riscatto;
Ma l'amor tuo sapendo.. deh mi perdona... in parte
Mi suggerì il ripiego al cuor la comic'arte:
Quell'arte onde più volte lodasti in me l'ingegno,
Di sostenere in scena qualche simile impegno.
Signore, alla catena torno, se reo in ciò sono...
LUC.
No, la colpa felice approvo, e ti perdono.
DAM.
Signor, pronta è la cena. (a Lucano.)
LUC.
Ite contenti e lieti.
DAM.
(Si passano gran cose ai comici poeti!) (da sé.)
LUC.
Roma lasciar destini? (a Terenzio.)
TER.
Andrò, se tu 'l consenti,
A raccor di Menandro i sparsi monumenti;
Cento commedie ha scritto l'autor greco divino,
Degne d'esser tradotte al popolo latino.
Salvo s'io torno in Roma, qua i dolci carmi io reco,
Quando perir dovessi, in mar periran meco.
LUC.
Tolgano i dei gli auguri. Vanne, ritorna, e vivi.
Suda per la tua fama, medita il mondo, e scrivi.
Mira, la tua virtute qual ti ha acquistato onore;
Spera che il tempo e l'uso rendalo a te maggiore.
TER.
Fine han qui le vicende di Comico Poeta;
Peripezia sospesa, catastrofe più lieta.
Terenzio a' suoi Romani dir soleva: Applaudite.
A' nostri ascoltatori diciam noi: Compatite.
Fine della Commedia