ORLANDO FURIOSO, di Ludovico Ariosto - pagina 16
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30
Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
Dissi che domandava con gran cura,
come potesse alla marina gire;
che di Rinaldo avea tanta paura,
che, non passando il mar, credea morire,
né in tutta Europa si tenea sicura:
ma l'eremita a bada la tenea,
perché di star con lei piacere avea.
31
Quella rara bellezza il cor gli accese,
e gli scaldò le frigide medolle:
ma poi che vide che poco gli attese,
e ch'oltra soggiornar seco non volle,
di cento punte l'asinello offese;
né di sua tardità però lo tolle:
e poco va di passo e men di trotto,
né stender gli si vuol la bestia sotto.
32
E perché molto dilungata s'era,
e poco più, n'avria perduta l'orma,
ricorse il frate alla spelonca nera,
e di demoni uscir fece una torma:
e ne sceglie uno di tutta la schiera,
e del bisogno suo prima l'informa;
poi lo fa entrare adosso al corridore,
che via gli porta con la donna il core.
33
E qual sagace can, nel monte usato
a volpi o lepri dar spesso la caccia,
che se la fera andar vede da un lato,
ne va da un altro, e par sprezzi la traccia;
al varco poi lo sentono arrivato,
che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:
tal l'eremita per diversa strada
aggiugnerà la donna ovunque vada.
34
Che sia il disegno suo, ben io comprendo:
e dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di ciò nulla temendo,
cavalcava a giornate, or molto or poco.
Nel cavallo il demon si gìa coprendo,
come si cuopre alcuna volta il fuoco,
che con sì grave incendio poscia avampa,
che non si estingue, e a pena se ne scampa.
35
Poi che la donna preso ebbe il sentiero
dietro il gran mar che li Guasconi lava,
tenendo appresso all'onde il suo destriero,
dove l'umor la via più ferma dava;
quel le fu tratto dal demonio fiero
ne l'acqua sì, che dentro vi nuotava.
Non sa che far la timida donzella,
se non tenersi ferma in su la sella.
36
Per tirar briglia, non gli può dar volta:
più e più sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la vesta in su raccolta
per non bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per le spalle la chioma iva disciolta,
e l'aura le facea lascivo assalto.
Stavano cheti tutti i maggior venti,
forse a tanta beltà, col mare, attenti.
37
Ella volgea i begli occhi a terra invano,
che bagnavan di pianto il viso e 'l seno,
e vedea il lito andar sempre lontano
e decrescer più sempre e venir meno.
Il destrier, che nuotava a destra mano,
dopo un gran giro la portò al terreno
tra scuri sassi e spaventose grotte,
già cominciando ad oscurar la notte.
38
Quando si vide sola in quel deserto,
che a riguardarlo sol, mettea paura,
ne l'ora che nel mar Febo coperto
l'aria e la terra avea lasciata oscura,
fermossi in atto ch'avria fatto incerto
chiunque avesse vista sua figura,
s'ella era donna sensitiva e vera,
o sasso colorito in tal maniera.
39
Stupida e fissa ne la incerta sabbia,
coi capelli disciolti e rabuffati,
con le man giunte e con l'immote labbia,
i languidi occhi al ciel tenea levati,
come accusando il gran Motor che l'abbia
tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come attonita stè alquanto;
poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.
40
Dicea: - Fortuna, che più a far ti resta
acciò di me ti sazi e ti disfami?
che dar ti posso omai più, se non questa
misera vita? ma tu non la brami;
ch'ora a trarla del mar sei stata presta,
quando potea finir suoi giorni grami:
perché ti parve di voler più ancora
vedermi tormentar prima ch'io muora.
41
Ma che mi possi nuocere non veggio,
più di quel che sin qui nociuto m'hai.
Per te cacciata son del real seggio,
dove più ritornar non spero mai:
ho perduto l'onor, ch'è stato peggio;
che, se ben con effetto io non peccai,
io do però materia ch'ognun dica,
ch'essendo vagabonda, io sia impudica.
42
Ch'aver può donna al mondo più di buono,
a cui la castità levata sia?
Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e sono
tenuta bella, o sia vero o bugia.
Già non ringrazio il ciel di questo dono;
che di qui nasce ogni ruina mia:
morto per questo fu Argalia mio frate,
che poco gli giovar l'arme incantate:
43
per questo il re di Tartaria Agricane
disfece il genitor mio Galafrone,
ch'in India, del Cataio era gran Cane;
onde io son giunta a tal condizione,
che muto albergo da sera a dimane.
Se l'aver, se l'onor, se le persone
m'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi,
a che più doglia anco serbar mi vuoi?
44
Se l'affogarmi in mar morte non era
a tuo senno crudel, pur ch'io ti sazi,
non recuso che mandi alcuna fera
che mi divori, e non mi tenga in strazi.
D'ogni martir che sia, pur ch'io ne pera,
esser non può ch'assai non ti ringrazi.
-
Così dicea la donna con gran pianto,
quando le apparve l'eremita accanto.
45
Avea mirato da l'estrema cima
d'un rilevato sasso l'eremita
Angelica, che giunta alla parte ima
è dello scoglio, afflitta e sbigottita.
Era sei giorni egli venuto prima;
ch'un demonio il portò per via non trita:
e venne a lei fingendo divozione
quanta avesse mai Paulo o Ilarione.
46
Come la donna il cominciò a vedere,
prese, non conoscendolo, conforto;
e cessò a poco a poco il suo temere,
ben che ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso, disse: - Miserere,
padre, di me, ch'i' son giunta a mal porto.
-
E con voce interrotta dal singulto
gli disse quel ch'a lui non era occulto.
47
Comincia l'eremita a confortarla
con alquante ragion belle e divote;
e pon l'audaci man, mentre che parla,
or per lo seno, or per l'umide gote:
poi più sicuro va per abbracciarla;
ed ella sdegnosetta lo percuote
con una man nel petto, e lo rispinge,
e d'onesto rossor tutta si tinge.
48
Egli, ch'allato avea una tasca, aprilla,
e trassene una ampolla di liquore;
e negli occhi possenti, onde sfavilla
la più cocente face ch'abbia Amore,
spruzzò di quel leggiermente una stilla,
che di farla dormire ebbe valore.
Già resupina ne l'arena giace
a tutte voglie del vecchio rapace.
49
Egli l'abbraccia ed a piacer la tocca
ed ella dorme e non può fare ischermo.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
non è chi 'l veggia in quel loco aspro ed ermo.
Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;
ch'al disio non risponde il corpo infermo:
era mal atto, perché avea troppi anni;
e potrà peggio, quanto più l'affanni.
50
Tutte le vie, tutti li modi tenta,
ma quel pigro rozzon non però salta.
Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
e non può far che tenga la testa alta.
Al fin presso alla donna s'addormenta;
e nuova altra sciagura anco l'assalta:
non comincia Fortuna mai per poco,
quando un mortal si piglia a scherno e a gioco.
51
Bisogna, prima ch'io vi narri il caso,
ch'un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di tramontana invêr l'occaso,
oltre l'Irlanda una isola si corca,
Ebuda nominata; ove è rimaso
il popul raro, poi che la brutta orca
e l'altro marin gregge la distrusse,
ch'in sua vendetta Proteo vi condusse.
52
Narran l'antique istorie, o vere o false,
che tenne già quel luogo un re possente,
ch'ebbe una figlia, in cui bellezza valse
e grazia sì, che poté facilmente,
poi che mostrossi in su l'arene salse,
Proteo lasciare in mezzo l'acque ardente;
e quello, un dì che sola ritrovolla,
compresse, e di sé gravida lasciolla.
53
La cosa fu gravissima e molesta
al padre, più d'ogn'altro empio e severo:
né per iscusa o per pietà, la testa
le perdonò: sì può lo sdegno fiero.
Né per vederla gravida, si resta
di subito esequire il crudo impero:
e 'l nipotin che non avea peccato,
prima fece morir che fosse nato.
54
Proteo marin, che pasce il fiero armento
di Nettunno che l'onda tutta regge,
sente de la sua donna aspro tormento,
e per grand'ira, rompe ordine e legge;
sì che a mandare in terra non è lento
l'orche e le foche, e tutto il marin gregge,
che distruggon non sol pecore e buoi,
ma ville e borghi e li cultori suoi:
55
e spesso vanno alle città murate,
e d'ogn'intorno lor mettono assedio.
Notte e dì stanno le persone armate,
con gran timore e dispiacevol tedio:
tutte hanno le campagne abbandonate;
e per trovarvi al fin qualche rimedio,
andarsi a consigliar di queste cose
all'oracol, che lor così rispose:
56
che trovar bisognava una donzella
che fosse all'altra di bellezza pare,
ed a Proteo sdegnato offerir quella,
in cambio de la morta, in lito al mare.
S'a sua satisfazion gli parrà bella,
se la terrà, né li verrà a sturbare:
se per questo non sta, se gli appresenti
una ed un'altra, fin che si contenti.
57
E così cominciò la dura sorte
tra quelle che più grate eran di faccia,
ch'a Proteo ciascun giorno una si porte,
fin che trovino donna che gli piaccia.
La prima e tutte l'altre ebbero morte;
che tutte giù pel ventre se le caccia
un'orca, che restò presso alla foce,
poi che 'l resto partì del gregge atroce.
58
O vera o falsa che fosse la cosa
di Proteo (ch'io non so che me ne dica),
servosse in quella terra, con tal chiosa,
contra le donne un'empia lege antica:
che di lor carne l'orca mostruosa
che viene ogni dì al lito, si notrica.
Ben ch'esser donna sia in tutte le bande
danno e sciagura, quivi era pur grande.
59
Oh misere donzelle che trasporte
fortuna ingiuriosa al lito infausto!
dove le genti stan sul mare accorte
per far de le straniere empio olocausto;
che, come più di fuor ne sono morte,
il numer de le loro è meno esausto:
ma perché il vento ognor preda non mena,
ricercando ne van per ogni arena.
60
Van discorrendo tutta la marina
con fuste e grippi ed altri legni loro,
e da lontana parte e da vicina
portan sollevamento al lor martoro.
Molte donne han per forza e per rapina,
alcune per lusinghe, altre per oro;
e sempre da diverse regioni
n'hanno piene le torri e le prigioni.
61
Passando una lor fusta a terra a terra
inanzi a quella solitaria riva
dove fra sterpi in su l'erbosa terra
la sfortunata Angelica dormiva,
smontaro alquanti galeotti in terra
per riportarne e legna ed acqua viva;
e di quante mai fur belle e leggiadre
trovaro il fiore in braccio al santo padre.
62
Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
per sì barbare genti e sì villane!
Oh Fortuna crudel, chi fia ch'il creda,
che tanta forza hai ne le cose umane,
che per cibo d'un mostro tu conceda
la gran beltà, ch'in India il re Agricane
fece venir da le caucasee porte
con mezza Scizia a guadagnar la morte?
63
La gran beltà, che fu da Sacripante
posta inanzi al suo onore e al suo bel regno;
la gran beltà, ch'al gran signor d'Anglante
macchiò la chiara fama e l'alto ingegno;
la gran beltà che fe' tutto Levante
sottosopra voltarsi e stare al segno,
ora non ha (così è rimasa sola)
chi le dia aiuto pur d'una parola.
64
La bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
nel legno pien di turba afflitta e mesta.
La vela, in cima all'arbore rimessa,
rendé la nave all'isola funesta,
dove chiuser la donna in rocca forte,
fin a quel dì ch'a lei toccò la sorte.
65
Ma poté sì, per esser tanto bella,
la fiera gente muovere a pietade,
che molti dì le differiron quella
morte, e serbarla a gran necessitade;
e fin ch'ebber di fuore altra donzella,
perdonaro all'angelica beltade.
Al mostro fu condotta finalmente,
piangendo dietro a lei tutta la gente.
66
Chi narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,
l'alta querela che nel ciel penetra?
maraviglia ho che non s'apriro i lidi,
quando fu posta in su la fredda pietra,
dove in catena, priva di sussidi,
morte aspettava abominosa e tetra.
Io nol dirò; che sì il dolor mi muove,
che mi sforza voltar le rime altrove,
67
e trovar versi non tanto lugubri,
fin che 'l mio spirto stanco si riabbia;
che non potrian li squalidi colubri,
né l'orba tigre accesa in maggior rabbia,
né ciò che da l'Atlante ai liti rubri
venenoso erra per la calda sabbia,
né veder né pensar senza cordoglio,
Angelica legata al nudo scoglio.
68
Oh se l'avesse il suo Orlando saputo,
ch'era per ritrovarla ito a Parigi;
o li dui ch'ingannò quel vecchio astuto
col messo che venìa dai luoghi stigi!
fra mille morti, per donarle aiuto,
cercato avrian gli angelici vestigi:
ma che fariano, avendone anco spia,
poi che distanti son di tanta via?
69
Parigi intanto avea l'assedio intorno
dal famoso figliuol del re Troiano;
e venne a tanta estremitade un giorno,
che n'andò quasi al suo nimico in mano:
e se non che li voti il ciel placorno,
che dilagò di pioggia oscura il piano,
cadea quel dì per l'africana lancia
il santo Impero e 'l gran nome di Francia.
70
Il sommo Creator gli occhi rivolse
al giusto lamentar del vecchio Carlo;
e con subita pioggia il fuoco tolse:
né forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse;
ch'altri non poté mai meglio aiutarlo.
Ben dal devoto re fu conosciuto,
che si salvò per lo divino aiuto.
71
La notte Orlando alle noiose piume
del veloce pensier fa parte assai.
Or quinci or quindi il volta, or lo rassume
tutto in un loco, e non l'afferma mai:
qual d'acqua chiara il tremolante lume,
dal sol percossa o da' notturni rai,
per gli ampli tetti va con lungo salto
a destra ed a sinistra, e basso ed alto.
72
La donna sua, che gli ritorna a mente,
anzi che mai non era indi partita,
gli raccende nel core e fa più ardente
la fiamma che nel dì parea sopita.
Costei venuta seco era in Ponente
fin dal Cataio; e qui l'avea smarrita,
né ritrovato poi vestigio d'ella
che Carlo rotto fu presso a Bordella.
73
Di questo Orlando avea gran doglia, e seco
indarno a sua sciocchezza ripensava.
- Cor mio (dicea), come vilmente teco
mi son portato! ohimè, quanto mi grava
che potendoti aver notte e dì meco,
quando la tua bontà non mel negava,
t'abbia lasciato in man di Namo porre,
per non sapermi a tanta ingiuria opporre!
74
Non aveva ragione io di scusarme?
e Carlo non m'avria forse disdetto:
se pur disdetto, e chi potea sforzarme?
chi ti mi volea torre al mio dispetto?
non poteva io venir più tosto all'arme?
lasciar più tosto trarmi il cor del petto?
Ma né Carlo né tutta la sua gente
di tormiti per forza era possente.
75
Almen l'avesse posta in guardia buona
dentro a Parigi o in qualche rocca forte.
Che l'abbia data a Namo mi consona,
sol perché a perder l'abbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona
di me? ch'io dovea farlo fino a morte;
guardarla più che 'l cor, che gli occhi miei:
e dovea e potea farlo, e pur nol fei.
76
Deh, dove senza me, dolce mia vita,
rimasa sei sì giovane e sì bella?
come, poi che la luce è dipartita,
riman tra' boschi la smarrita agnella,
che dal pastor sperando esser udita,
si va lagnando in questa parte e in quella;
tanto che 'l lupo l'ode da lontano,
e 'l misero pastor ne piagne invano.
77
Dove, speranza mia, dove ora sei?
vai tu soletta forse ancor errando?
o pur t'hanno trovata i lupi rei
senza la guardia del tuo fido Orlando?
e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dei,
il fior ch'intatto io mi venìa serbando
per non turbarti, ohimè! l'animo casto,
ohimè! per forza avranno colto e guasto.
78
Oh infelice! oh misero! che voglio
se non morir, se 'l mio bel fior colto hanno?
O sommo Dio, fammi sentir cordoglio
prima d'ogn'altro, che di questo danno.
Se questo è ver, con le mie man mi toglio
la vita, e l'alma disperata danno.
-
Così, piangendo forte e sospirando,
seco dicea l'addolorato Orlando.
79
Già in ogni parte gli animanti lassi
davan riposo ai travagliati spirti,
chi su le piume, e chi sui duri sassi,
e chi su l'erbe, e chi su faggi o mirti:
tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi,
punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;
né quel sì breve e fuggitivo sonno
godere in pace anco lasciar ti ponno.
80
Parea ad Orlando, s'una verde riva
d'odoriferi fior tutta dipinta,
mirare il bello avorio, e la nativa
purpura ch'avea Amor di sua man tinta,
e le due chiare stelle onde nutriva
ne le reti d'Amor l'anima avinta:
io parlo de' begli occhi e del bel volto,
che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
81
Sentia il maggior piacer, la maggior festa
che sentir possa alcun felice amante:
ma ecco intanto uscire una tempesta
che struggea i fior, ed abbattea le piante:
non se ne suol veder simile a questa,
quando giostra aquilone, austro e levante.
Parea che per trovar qualche coperto,
andasse errando invan per un deserto.
82
Intanto l'infelice (e non sa come)
perde la donna sua per l'aer fosco;
onde di qua e di là del suo bel nome
fa risonare ogni campagna e bosco.
E mentre dice indarno: - Misero me!
chi ha cangiata mia dolcezza in tosco? -
ode la donna sua che gli domanda,
piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.
83
Onde par ch'esca il grido, va veloce,
e quinci e quindi s'affatica assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro ed atroce,
che non può rivedere i dolci rai!
Ecco ch'altronde ode da un'altra voce:
- Non sperar più gioirne in terra mai.
-
A questo orribil grido risvegliossi,
e tutto pien di lacrime trovossi.
84
Senza pensar che sian l'immagin false
quando per tema o per disio si sogna,
de la donzella per modo gli calse,
che stimò giunta a danno od a vergogna,
che fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e maglia, quanto gli bisogna,
tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse;
né di scudiero alcun servigio volse.
85
E per poter entrare ogni sentiero,
che la sua dignità macchia non pigli,
non l'onorata insegna del quartiero,
distinta di color bianchi e vermigli,
ma portar volse un ornamento nero;
e forse acciò ch'al suo dolor simigli:
e quello avea già tolto a uno amostante,
ch'uccise di sua man pochi anni inante.
86
Da mezza notte tacito si parte,
e non saluta e non fa motto al zio;
né al fido suo compagno Brandimarte,
che tanto amar solea, pur dice a Dio.
Ma poi che 'l Sol con l'auree chiome sparte
del ricco albergo di Titone uscìo
e fe' l'ombra fugire umida e nera,
s'avide il re che 'l paladin non v'era.
87
Con suo gran dispiacer s'avede Carlo
che partito la notte è 'l suo nipote,
quando esser dovea seco e più aiutarlo;
e ritener la colera non puote,
ch'a lamentarsi d'esso, ed a gravarlo
non incominci di biasmevol note:
e minacciar, se non ritorna, e dire
che lo faria di tanto error pentire.
88
Brandimarte, ch'Orlando amava a pare
di sé medesmo, non fece soggiorno;
o che sperasse farlo ritornare,
o sdegno avesse udirne biasmo e scorno;
e volse a pena tanto dimorare,
ch'uscisse fuor ne l'oscurar del giorno.
A Fiordiligi sua nulla ne disse,
perché 'l disegno suo non gl'impedisse.
89
Era questa una donna che fu molto
da lui diletta, e ne fu raro senza;
di costumi, di grazia e di bel volto
dotata e d'accortezza e di prudenza:
e se licenza or non n'aveva tolto,
fu che sperò tornarle alla presenza
il dì medesmo; ma gli accadde poi,
che lo tardò più dei disegni suoi.
90
E poi ch'ella aspettato quasi un mese
indarno l'ebbe, e che tornar nol vide,
di desiderio sì di lui s'accese,
che si partì senza compagni o guide;
e cercandone andò molto paese,
come l'istoria al luogo suo dicide.
Di questi dua non vi dico or più inante;
che più m'importa il cavallier d'Anglante.
91
Il qual, poi che mutato ebbe d'Almonte
le gloriose insegne, andò alla porta,
e disse ne l'orecchio: - Io sono il conte -
a un capitan che vi facea la scorta;
e fattosi abassar subito il ponte,
per quella strada che più breve porta
agl'inimici, se n'andò diritto.
Quel che seguì, ne l'altro canto è scritto.
CANTO NONO
1
Che non può far d'un cor ch'abbia suggetto
questo crudele e traditore Amore,
poi ch'ad Orlando può levar del petto
la tanta fe' che debbe al suo Signore?
Già savio e pieno fu d'ogni rispetto,
e de la santa Chiesa difensore;
or per un vano amor, poco del zio,
e di sé poco, e men cura di Dio.
2
Ma l'escuso io pur troppo, e mi rallegro
nel mio difetto aver compagno tale;
ch'anch'io sono al mio ben languido ed egro,
sano e gagliardo a seguitare il male.
Quel se ne va tutto vestito a negro,
né tanti amici abandonar gli cale;
e passa dove d'Africa e di Spagna
la gente era attendata alla campagna:
3
anzi non attendata, perché sotto
alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia
a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi più distante e chi più presso alloggia.
Ognuno dorme travagliato e rotto:
chi steso in terra, e chi alla man s'appoggia.
Dormono; e il conte uccider ne può assai:
né però stringe Durindana mai.
4
Di tanto core è il generoso Orlando,
che non degna ferir gente che dorma.
Or questo, e quando quel luogo cercando
va, per trovar de la sua donna l'orma.
Se truova alcun che veggi, sospirando
gli ne dipinge l'abito e la forma;
e poi lo priega che per cortesia
gl'insegni andar in parte ove ella sia.
5
E poi che venne il dì chiaro e lucente,
tutto cercò l'esercito moresco:
e ben lo potea far sicuramente,
avendo indosso l'abito arabesco;
ed aiutollo in questo parimente,
che sapeva altro idioma che francesco,
e l'africano tanto avea espedito,
che parea nato a Tripoli e nutrito.
6
Quivi il tutto cercò, dove dimora
fece tre giorni, e non per altro effetto;
poi dentro alle cittadi e a' borghi fuora
non spiò sol per Francia e suo distretto,
ma per Uvernia e per Guascogna ancora
rivide sin all'ultimo borghetto:
e cercò da Provenza alla Bretagna,
e dai Picardi ai termini di Spagna.
7
Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,
ne la stagion che la frondosa vesta
vede levarsi e discoprir le membre
trepida pianta, fin che nuda resta,
e van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando entrò ne l'amorosa inchiesta;
né tutto il verno appresso lasciò quella,
né la lasciò ne la stagion novella.
8
Passando un giorno, come avea costume,
d'un paese in un altro, arrivò dove
parte i Normandi dai Bretoni un fiume,
e verso il vicin mar cheto si muove;
ch'allora gonfio e bianco già di spume
per nieve sciolta e per montane piove:
e l'impeto de l'acqua avea disciolto
e tratto seco il ponte, e il passo tolto.
9
Con gli occhi cerca or questo lato or quello,
lungo le ripe il paladin, se vede
(quando né pesce egli non è, né augello)
come abbia a por ne l'altra ripa il piede:
ed ecco a sé venir vede un battello,
ne la cui poppa una donzella siede,
che di volere a lui venir fa segno;
né lascia poi ch'arrivi in terra il legno.
10
Prora in terra non pon; ché d'esser carca
contra sua volontà forse sospetta.
Orlando priega lei che ne la barca
seco lo tolga, ed oltre il fiume il metta.
Ed ella lui: - Qui cavallier non varca,
il qual su la sua fé non mi prometta
di fare una battaglia a mia richiesta,
la più giusta del mondo e la più onesta.
11
Sì che s'avete, cavallier, desire
di por per me ne l'altra ripa i passi,
promettetemi, prima che finire
quest'altro mese prossimo si lassi,
ch'al re d'Ibernia v'anderete a unire,
appresso al qual la bella armata fassi
per distrugger quell'isola d'Ebuda,
che, di quante il mar cinge, è la più cruda.
12
Voi dovete saper ch'oltre l'Irlanda,
fra molte che vi son, l'isola giace
nomata Ebuda, che per legge manda
rubando intorno il suo popul rapace;
e quante donne può pigliar, vivanda
tutte destina a un animal vorace,
che viene ogni dì al lito, e sempre nuova
donna o donzella, onde si pasca, truova;
13
che mercanti e corsar che vanno attorno,
ve ne fan copia, e più de le più belle.
Ben potete contare, una per giorno,
quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade in voi truova soggiorno,
se non sete d'Amor tutto ribelle,
siate contento esser tra questi eletto,
che van per far sì fruttuoso effetto.
-
14
Orlando volse a pena udire il tutto,
che giurò d'esser primo a quella impresa,
come quel ch'alcun atto iniquo e brutto
non può sentire, e d'ascoltar gli pesa:
e fu a pensare, indi a temere indutto,
che quella gente Angelica abbia presa;
poi che cercata l'ha per tanta via,
né potutone ancor ritrovar spia.
15
Questa imaginazion sì gli confuse
e sì gli tolse ogni primier disegno,
che, quanto in fretta più potea, conchiuse
di navigare a quello iniquo regno.
Né prima l'altro sol nel mar si chiuse,
che presso a San Malò ritrovò un legno,
nel qual si pose; e fatto alzar le vele,
passò la notte il monte San Michele.
16
Breaco e Landriglier lascia a man manca,
e va radendo il gran lito britone;
e poi si drizza invêr l'arena bianca,
onde Ingleterra si nomò Albione;
ma il vento, ch'era da meriggie, manca,
e soffia tra il ponente e l'aquilone
con tanta forza, che fa al basso porre
tutte le vele, e sé per poppa torre.
17
Quanto il navilio inanzi era venuto
in quattro giorni, in un ritornò indietro,
ne l'alto mar dal buon nochier tenuto,
che non dia in terra e sembri un fragil vetro.
Il vento, poi che furioso suto
fu quattro giorni, il quinto cangiò metro:
lasciò senza contrasto il legno entrare
dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.
18
Tosto che ne la foce entrò lo stanco
nochier col legno afflitto, e il lito prese,
fuor d'una terra che sul destro fianco
di quel fiume sedeva, un vecchio scese,
di molta età, per quanto il crine bianco
ne dava indicio; il qual tutto cortese,
dopo i saluti, al conte rivoltosse,
che capo giudicò che di lor fosse.
19
E da parte il pregò d'una donzella,
ch'a lei venir non gli paresse grave,
la qual ritroverebbe, oltre che bella,
più ch'altra al mondo affabile e soave;
over fosse contento aspettar ch'ella
verrebbe a trovar lui fin alla nave:
né più restio volesse esser di quanti
quivi eran giunti cavallieri erranti;
20
che nessun altro cavallier, ch'arriva
o per terra o per mare a questa foce,
di ragionar con la donzella schiva,
per consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo, Orlando in su la riva
senza punto indugiarsi uscì veloce;
e come umano e pien di cortesia,
dove il vecchio il menò, prese la via.
21
Fu ne la terra il paladin condutto
dentro un palazzo, ove al salir le scale,
una donna trovò piena di lutto,
per quanto il viso ne facea segnale,
e i negri panni che coprian per tutto
e le logge e le camere e le sale;
la qual, dopo accoglienza grata e onesta
fattol seder, gli disse in voce mesta:
22
- Io voglio che sappiate che figliuola
fui del conte d'Olanda, a lui sì grata
(quantunque prole io non gli fossi sola,
ch'era da dui fratelli accompagnata),
ch'a quanto io gli chiedea, da lui parola
contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avenne
che ne la nostra terra un duca venne.
23
Duca era di Selandia, e se ne giva
verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La bellezza e l'età ch'in lui fioriva,
e li non più da me sentiti amori
con poca guerra me gli fer captiva;
tanto più che, per quel ch'apparea fuori,
io credea e credo, e creder credo il vero,
ch'amasse ed ami me con cor sincero.
24
Quei giorni che con noi contrario vento,
contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(ch'agli altri fur quaranta, a me un momento;
così al fuggire ebbon veloci penne),
fummo più volte insieme a parlamento,
dove, che 'l matrimonio con solenne
rito al ritorno suo saria tra nui
mi promise egli, ed io 'l promisi a lui.
25
Bireno a pena era da noi partito
(che così ha nome il mio fedele amante),
che 'l re di Frisa (la qual, quanto il lito
del mar divide il fiume, è a noi distante),
disegnando il figliuol farmi marito,
ch'unico al mondo avea, nomato Arbante,
per li più degni del suo stato manda
a domandarmi al mio padre in Olanda.
26
Io ch'all'amante mio di quella fede
mancar non posso, che gli aveva data,
e anco ch'io possa.
Amor non mi conciede
che poter voglia, e ch'io sia tanto ingrata;
per ruinar la pratica ch'in piede
era gagliarda, e presso al fin guidata,
dico a mio padre, che prima ch'in Frisa
mi dia marito, io voglio essere uccisa.
27
Il mio buon padre, al qual sol piacea quanto
a me piacea, né mai turbar mi volse,
per consolarmi e far cessare il pianto
ch'io ne facea, la pratica disciolse:
di che il superbo re di Frisa tanto
isdegno prese e a tanto odio si volse,
ch'entrò in Olanda, e cominciò la guerra
che tutto il sangue mio cacciò sotterra.
28
Oltre che sia robusto, e sì possente,
che pochi pari a nostra età ritruova,
e sì astuto in mal far, ch'altrui niente
la possanza, l'ardir, l'ingegno giova;
porta alcun'arme che l'antica gente
non vide mai, né fuor ch'a lui, la nuova:
un ferro bugio, lungo da dua braccia,
dentro a cui polve ed una palla caccia.
29
Col fuoco dietro ove la canna è chiusa,
tocca un spiraglio che si vede a pena;
a guisa che toccare il medico usa
dove è bisogno d'allacciar la vena:
onde vien con tal suon la palla esclusa,
che si può dir che tuona e che balena;
né men che soglia il fulmine ove passa,
ciò che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.
30
Pose due volte il nostro campo in rotta
con questo inganno, e i miei fratelli uccise:
nel primo assalto il primo; che la botta,
rotto l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;
ne l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta
fuggìa, dal corpo l'anima divise;
e lo ferì lontan dietro la spalla,
e fuor del petto uscir fece la palla.
31
Difendendosi poi mio padre un giorno
dentro un castel che sol gli era rimaso,
che tutto il resto avea perduto intorno,
lo fe' con simil colpo ire all'occaso;
che mentre andava e che facea ritorno,
provedendo or a questo or a quel caso,
dal traditor fu in mezzo gli occhi colto,
che l'avea di lontan di mira tolto.
32
Morto i fratelli e il padre, e rimasa io
de l'isola d'Olanda unica erede,
il re di Frisa, perché avea disio
di ben fermare in quello stato il piede,
mi fa sapere, e così al popul mio,
che pace e che riposo mi conciede,
quando io vogli or, quel che non volsi inante,
tor per marito il suo figliuolo Arbante.
33
Io per l'odio non sì, che grave porto
a lui e a tutta la sua iniqua schiatta,
il qual m'ha dui fratelli e 'l padre morto,
saccheggiata la patria, arsa e disfatta;
come perché a colui non vo' far torto,
a cui già la promessa aveva fatta,
ch'altr'uomo non saria che mi sposasse,
fin che di Spagna a me non ritornasse:
34
- Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento
patir (rispondo), e far di tutto il resto;
esser morta, arsa viva, e che sia al vento
la cener sparsa, inanzi che far questo.
-
Studia la gente mia di questo intento
tormi: chi priega, e chi mi fa protesto
di dargli in mano me e la terra, prima
che la mia ostinazion tutti ci opprima.
35
Così, poi che i protesti e i prieghi invano
vider gittarsi, e che pur stava dura,
presero accordo col Frisone, e in mano,
come avean detto, gli dier me e le mura.
Quel, senza farmi alcuno atto villano,
de la vita e del regno m'assicura,
pur ch'io indolcisca l'indurate voglie,
e che d'Arbante suo mi faccia moglie.
36
Io che sforzar così mi veggio, voglio,
per uscirgli di man, perder la vita;
ma se pria non mi vendico, mi doglio
più che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio
che solo il simular può dare aita:
fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,
che mi perdoni e sua nuora mi faccia.
37
Fra molti ch'al servizio erano stati
già di mio padre, io scelgo dui fratelli,
di grande ingegno e di gran cor dotati,
ma più di vera fede, come quelli
che cresciutici in corte ed allevati
si son con noi da teneri citelli;
e tanto miei, che poco lor parria
la vita por per la salute mia.
38
Communico con loro il mio disegno:
essi prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;
l'altro meco in Olanda ho ritenuto.
Or mentre i forestieri e quei del regno
s'invitano alle nozze, fu saputo
che Bireno in Biscaglia avea una armata,
per venire in Olanda, apparecchiata.
39
Però che, fatta la prima battaglia
dove fu rotto un mio fratello e ucciso,
spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,
che portassi a Bireno il tristo aviso;
il qual mentre che s'arma e si travaglia,
dal re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno, che di ciò nulla sapea,
per darci aiuto i legni sciolti avea.
40
Di questo avuto aviso il re frisone,
de le nozze al figliuol la cura lassa;
e con l'armata sua nel mar si pone:
truova il duca, lo rompe, arde e fracassa,
e, come vuol Fortuna, il fa prigione;
ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa intanto il giovene, e si vuole
meco corcar come si corchi il sole.
41
Io dietro alle cortine avea nascoso
quel mio fedele; il qual nulla si mosse
prima che a me venir vide lo sposo;
e non l'attese che corcato fosse,
ch'alzò un'accetta, e con sì valoroso
braccio dietro nel capo lo percosse,
che gli levò la vita e la parola:
io saltai presta, e gli segai la gola.
42
Come cadere il bue suole al macello,
cade il malnato giovene, in dispetto
del re Cimosco, il più d'ogn'altro fello;
che l'empio re di Frisa è così detto,
che morto l'uno e l'altro mio fratello
m'avea col padre, e per meglio suggetto
farsi il mio stato, mi volea per nuora;
e forse un giorno uccisa avria me ancora.
43
Prima ch'altro disturbo vi si metta,
tolto quel che più vale e meno pesa,
il mio compagno al mar mi cala in fretta
da la finestra a un canape sospesa,
là dove attento il suo fratello aspetta
sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.
Demmo le vele ai venti e i remi all'acque,
e tutti ci salvian, come a Dio piacque.
44
Non so se 'l re di Frisa più dolente
del figliuol morto, o se più d'ira acceso
fosse contra di me, che 'l dì seguente
giunse là dove si trovò sì offeso.
Superbo ritornava egli e sua gente
de la vittoria e di Bireno preso;
e credendo venire a nozze e a festa,
ogni cosa trovò scura e funesta.
45
La pietà del figliuol, l'odio ch'aveva
a me, né dì né notte il lascia mai.
Ma perché il pianger morti non rileva,
e la vendetta sfoga l'odio assai,
la parte del pensier, ch'esser doveva
de la pietade in sospirare e in guai,
vuol che con l'odio a investigar s'unisca,
come egli m'abbia in mano e mi punisca.
46
Quei tutti che sapeva e gli era detto
che mi fossino amici, o di quei miei
che m'aveano aiutata a far l'effetto,
uccise, o lor beni arse, o li fe' rei.
Volse uccider Bireno in mio dispetto;
che d'altro sì doler non mi potrei:
gli parve poi, se vivo lo tenesse,
che per pigliarmi, in man la rete avesse.
47
Ma gli propone una crudele e dura
condizion: gli fa termine un anno,
al fin del qual gli darà morte oscura,
se prima egli per forza o per inganno,
con amici e parenti non procura,
con tutto ciò che ponno e ciò che sanno,
di darmigli in prigion: sì che la via
di lui salvare è sol la morte mia.
48
Ciò che si possa far per sua salute,
fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:
e 'l poco o 'l molto prezzo ch'io n'ho tratto,
parte, tentando per persone astute
i guardiani corrumpere, ho distratto;
e parte, per far muovere alli danni
di quell'empio or gl'Inglesi, or gli Alamanni.
49
I mezzi, o che non abbiano potuto,
o che non abbian fatto il dover loro,
m'hanno dato parole e non aiuto;
e sprezzano or che n'han cavato l'oro:
e presso al fine il termine è venuto,
dopo il qual né la forza né 'l tesoro
potrà giunger più a tempo, sì che morte
e strazio schivi al mio caro consorte.
50
Mio padre e' miei fratelli mi son stati
morti per lui; per lui toltomi il regno;
per lui quei pochi beni che restati
m'eran, del viver mio soli sostegno,
per trarlo di prigione ho disipati:
né mi resta ora in che più far disegno,
se non d'andarmi io stessa in mano a porre
di sì crudel nimico, e lui disciorre.
51
Se dunque da far altro non mi resta,
né si truova al suo scampo altro riparo
che per lui por questa mia vita, questa
mia vita per lui por mi sarà caro.
Ma sola una paura mi molesta,
che non saprò far patto così chiaro,
che m'assicuri che non sia il tiranno,
poi ch'avuta m'avrà, per fare inganno.
52
Io dubito che poi che m'avrà in gabbia
e fatto avrà di me tutti li strazi,
né Bireno per questo a lasciare abbia,
sì ch'esser per me sciolto mi ringrazi;
come periuro, e pien di tanta rabbia,
che di me sola uccider non si sazi:
e quel ch'avrà di me, né più né meno
faccia di poi del misero Bireno.
53
Or la cagion che conferir con voi
mi fa i miei casi, e ch'io li dico a quanti
signori e cavallier vengono a noi,
è solo acciò, parlandone con tanti,
m'insegni alcun d'assicurar che, poi
ch'a quel crudel mi sia condotta avanti,
non abbia a ritener Bireno ancora,
né voglia, morta me, ch'esso poi mora.
54
Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
quando io mi darò in mano al re di Frisa;
ma mi prometta e la sua fe' mi dia,
che questo cambio sarà fatto in guisa,
ch'a un tempo io data, e liberato fia
Bireno: sì che quando io sarò uccisa,
morrò contenta, poi che la mia morte
avrà dato la vita al mio consorte.
55
Né fino a questo dì truovo chi toglia
sopra la fede sua d'assicurarmi,
che quando io sia condotta, e che mi voglia
aver quel re, senza Bireno darmi,
egli non lascierà contra mia voglia
che presa io sia: sì teme ognun quell'armi;
teme quell'armi, a cui par che non possa
star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.
56
Or, s'in voi la virtù non è diforme
dal fier sembiante e da l'erculeo aspetto,
e credete poter darmegli, e torme
anco da lui, quando non vada retto;
siate contento d'esser meco a porme
ne le man sue: ch'io non avrò sospetto,
quando voi siate meco, se ben io
poi ne morrò, che muora il signor mio.
-
57
Qui la donzella il suo parlar conchiuse,
che con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando, poi ch'ella la bocca chiuse,
le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
in parole con lei non si diffuse;
che di natura non usava troppe:
ma le promise, e la sua fé le diede,
che farìa più di quel ch'ella gli chiede.
58
Non è sua intenzion ch'ella in man vada
del suo nimico per salvar Bireno:
ben salverà amendui, se la sua spada
e l'usato valor non gli vien meno.
Il medesimo dì piglian la strada,
poi c'hanno il vento prospero e sereno.
Il paladin s'affretta; che di gire
all'isola del mostro avea desire.
59
Or volta all'una, or volta all'altra banda
per gli alti stagni il buon nochier la vela:
scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;
scuopre una inanzi, e un'altra a dietro cela.
Orlando smonta il terzo dì in Olanda;
ma non smonta colei che si querela
del re di Frisa: Orlando vuol che intenda
la morte di quel rio, prima che scenda.
60
Nel lito armato il paladino varca
sopra un corsier di pel tra bigio e nero,
nutrito in Fiandra e nato in Danismarca,
grande e possente assai più che leggiero;
però ch'avea, quando si messe in barca,
in Bretagna lasciato il suo destriero,
quel Brigliador sì bello e sì gagliardo,
che non ha paragon, fuor che Baiardo.
61
Giunge Orlando a Dordreche, e quivi truova
di molta gente armata in su la porta;
sì perché sempre, ma più quando è nuova,
seco ogni signoria sospetto porta;
sì perché dianzi giunta era una nuova,
che di Selandia con armata scorta
di navili e di gente un cugin viene
di quel signor che qui prigion si tiene.
62
Orlando prega uno di lor, che vada
e dica al re, ch'un cavalliero errante
disia con lui provarsi a lancia e a spada;
ma che vuol che tra lor sia patto inante:
che se 'l re fa che, chi lo sfida, cada,
la donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante;
che 'l cavallier l'ha in loco non lontano
da poter sempremai darglila in mano;
63
ed all'incontro vuol che 'l re prometta,
ch'ove egli vinto ne la pugna sia,
Bireno in libertà subito metta,
e che lo lasci andare alla sua via.
Il fante al re fa l'ambasciata in fretta:
ma quel, che né virtù né cortesia
conobbe mai, drizzò tutto il suo intento
alla fraude, all'inganno, al tradimento.
64
Gli par ch'avendo in mano il cavalliero,
avrà la donna ancor, che sì l'ha offeso,
s'in possanza di lui la donna è vero
che si ritruovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
diverso da la porta ov'era atteso,
che dopo occulto ed assai lungo giro,
dietro alle spalle al paladino usciro.
65
Il traditore intanto dar parole
fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti
vede esser giunti al loco ove gli vuole;
da la porta esce poi con altretanti.
Come le fere e il bosco cinger suole
perito cacciator da tutti i canti;
come appresso a Volana i pesci e l'onda
con lunga rete il pescator circonda:
66
così per ogni via dal re di Frisa,
che quel guerrier non fugga, si provede.
Vivo lo vuole, e non in altra guisa:
e questo far sì facilmente crede,
che 'l fulmine terrestre, con che uccisa
ha tanta e tanta gente, ora non chiede;
che quivi non gli par che si convegna,
dove pigliar, non far morir, disegna.
67
Qual cauto ucellator che serba vivi,
intento a maggior preda, i primi augelli,
acciò in più quantitade altri captivi
faccia col giuoco e col zimbel di quelli:
tal esser volse il re Cimosco quivi:
ma già non volse Orlando esser di quelli
che si lascin pigliar al primo tratto;
e tosto roppe il cerchio ch'avean fatto.
68
Il cavallier d'Anglante, ove più spesse
vide le genti e l'arme, abbassò l'asta;
ed uno in quella e poscia un altro messe,
e un altro e un altro, che sembrar di pasta;
e fin a sei ve n'infilzò, e li resse
tutti una lancia: e perch'ella non basta
a più capir, lasciò il settimo fuore
ferito sì, che di quel colpo muore.
69
Non altrimente ne l'estrema arena
veggiàn le rane de canali e fosse
dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,
l'una vicina all'altra, esser percosse;
né da la freccia, fin che tutta piena
non sia da un capo all'altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
e con la spada entrò ne la battaglia.
70
Rotta la lancia, quella spada strinse,
quella che mai non fu menata in fallo;
e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse
quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
dove toccò, sempre in vermiglio tinse
l'azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco
seco or non ha, quando v'avrian più loco.
71
E con gran voce e con minacce chiede
che portati gli sian, ma poco è udito;
che chi ha ritratto a salvamento il piede
ne la città, non è d'uscir più ardito.
Il re frison, che fuggir gli altri vede,
d'esser salvo egli ancor piglia partito:
corre alla porta, e vuole alzare il ponte,
ma troppo è presto ad arrivare il conte.
72
Il re volta le spalle, e signor lassa
del ponte Orlando e d'amendue le porte;
e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,
mercé che 'l suo destrier corre più forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa:
vuole il fellon, non gli altri, porre a morte;
ma il suo destrier sì al corso poco vale,
che restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale.
73
D'una in un'altra via si leva ratto
di vista al paladin; ma indugia poco,
che torna con nuove armi; che s'ha fatto
portare intanto il cavo ferro e il fuoco:
e dietro un canto postosi di piatto,
l'attende, come il cacciatore al loco,
coi cani armati e con lo spiedo, attende
il fier cingial che ruinoso scende;
74
che spezza i rami e fa cadere i sassi,
e ovunque drizzi l'orgogliosa fronte,
sembra a tanto rumor che si fracassi
la selva intorno, e che si svella il monte.
Sta Cimosco alla posta, acciò non passi
senza pagargli il fio l'audace conte:
tosto ch'appare, allo spiraglio tocca
col fuoco il ferro, e quel subito scocca.
75
Dietro lampeggia a guisa di baleno,
dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.
Trieman le mura, e sotto i piè il terreno;
il ciel ribomba al paventoso suono.
L'ardente stral, che spezza e venir meno
fa ciò ch'incontra, e dà a nessun perdono,
sibila e stride; ma, come è il desire
di quel brutto assassin, non va a ferire.
76
O sia la fretta, o sia la troppa voglia
d'uccider quel baron, ch'errar lo faccia;
o sia che il cor, tremando come foglia,
faccia insieme tremare e mani e braccia;
o la bontà divina che non voglia
che 'l suo fedel campion sì tosto giaccia:
quel colpo al ventre del destrier si torse;
lo cacciò in terra, onde mai più non sorse.
77
Cade a terra il cavallo e il cavalliero:
la preme l'un, la tocca l'altro a pena;
che si leva sì destro e sì leggiero,
come cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il libico Anteo sempre più fiero
surger solea da la percossa arena,
tal surger parve, e che la forza, quando
toccò il terren, si radoppiasse a Orlando.
78
Chi vide mai dal ciel cadere il foco
che con sì orrendo suon Giove disserra,
e penetrare ove un richiuso loco
carbon con zolfo e con salnitro serra;
ch'a pena arriva, a pena tocca un poco,
che par ch'avampi il ciel, non che la terra;
spezza le mura, e i gravi marmi svelle,
e fa i sassi volar sin alle stelle;
79
s'imagini che tal, poi che cadendo
toccò la terra, il paladino fosse:
con sì fiero sembiante aspro ed orrendo,
da far tremar nel ciel Marte, si mosse.
Di che smarrito il re frison, torcendo
la briglia indietro, per fuggir voltosse;
ma gli fu dietro Orlando con più fretta,
che non esce da l'arco una saetta:
80
e quel che non avea potuto prima
fare a cavallo, or farà essendo a piede.
Lo seguita sì ratto, ch'ogni stima
di chi nol vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in poca strada; ed alla cima
de l'elmo alza la spada, e sì lo fiede,
che gli parte la testa fin al collo,
e in terra il manda a dar l'ultimo crollo.
81
Ecco levar ne la città si sente
nuovo rumor, nuovo menar di spade;
che 'l cugin di Bireno con la gente
ch'avea condutta da le sue contrade,
poi che la porta ritrovò patente,
era venuto dentro alla cittade,
dal paladino in tal timor ridutta,
che senza intoppo la può scorrer tutta.
82
Fugge il populo in rotta, che non scorge
chi questa gente sia, né che domandi;
ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge
all'abito e al parlar, che son Selandi,
chiede lor pace, e il foglio bianco porge;
e dice al capitan che gli comandi,
e dar gli vuol contro i Frisoni aiuto,
che 'l suo duca in prigion gli han ritenuto.
83
Quel popul sempre stato era nimico
del re di Frisa e d'ogni suo seguace,
perché morto gli avea il signore antico,
ma più perch'era ingiusto, empio e rapace.
Orlando s'interpose come amico
d'ambe le parti, e fece lor far pace;
le quali unite, non lasciar Frisone
che non morisse o non fosse prigione.
84
Le porte de le carceri gittate
a terra sono, e non si cerca chiave.
Bireno al conte con parole grate
mostra conoscer l'obligo che gli have.
Indi insieme e con molte altre brigate
se ne vanno ove attende Olimpia in nave:
così la donna, a cui di ragion spetta
il dominio de l'isola, era detta;
85
quella che quivi Orlando avea condutto
non con pensier che far dovesse tanto;
che la parea bastar, che posta in lutto
sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.
Lei riverisce e onora il popul tutto.
Lungo sarebbe a ricontarvi quanto
lei Bireno accarezzi, ed ella lui;
quai grazie al conte rendano ambidui.
86
Il popul la donzella nel paterno
seggio rimette, e fedeltà le giura.
Ella a Bireno, a cui con nodo eterno
la legò Amor d'una catena dura,
de lo stato e di sé dona il governo.
Ed egli tratto poi da un'altra cura,
de le fortezze e di tutto il domìno
de l'isola guardian lascia il cugino;
87
che tornare in Selandia avea disegno,
e menar seco la fedel consorte:
e dicea voler fare indi nel regno
di Frisa esperienza di sua sorte;
perché di ciò l'assicurava un pegno
ch'egli aveva in mano, e lo stimava forte:
la figliuola del re, che fra i captivi,
che vi fur molti, avea trovata quivi.
88
E dice ch'egli vuol ch'un suo germano,
ch'era minor d'età, l'abbia per moglie.
Quindi si parte il senator romano
il dì medesmo che Bireno scioglie.
Non volse porre ad altra cosa mano,
fra tante e tante guadagnate spoglie,
se non a quel tormento ch'abbiàn detto
ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto.
89
L'intenzion non già, perché lo tolle,
fu per voglia d'usarlo in sua difesa;
che sempre atto stimò d'animo molle
gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma per gittarlo in parte, onde non volle
che mai potesse ad uomo più fare offesa:
e la polve e le palle e tutto il resto
seco portò, ch'apparteneva a questo.
90
E così, poi che fuor de la marea
nel più profondo mar si vide uscito,
sì che segno lontan non si vedea
del destro più né del sinistro lito;
lo tolse, e disse: - Acciò più non istea
mai cavallier per te d'esser ardito,
né quanto il buono val, mai più si vanti
il rio per te valer, qui giù rimanti.
91
O maladetto, o abominoso ordigno,
che fabricato nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebù maligno
che ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno, onde uscisti, ti rasigno.
-
Così dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento intanto le gonfiate vele
spinge alla via de l'isola crudele.
92
Tanto desire il paladino preme
di saper se la donna ivi si truova,
ch'ama assai più che tutto il mondo insieme,
né un'ora senza lei viver gli giova;
che s'in Ibernia mette il piede, teme
di non dar tempo a qualche cosa nuova,
sì ch'abbia poi da dir invano: - Ahi lasso!
ch'al venir mio non affrettai più il passo.
-
93
Né scala in Inghelterra né in Irlanda
mai lasciò far, né sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
il nudo arcier che l'ha nel cor ferito.
Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda
tornare, e voi meco a tornarvi invito;
che, come a me, so spiacerebbe a voi,
che quelle nozze fosson senza noi.
94
Le nozze belle e sontuose fanno;
ma non sì sontuose né sì belle,
come in Selandia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle;
perché nuovi accidenti a nascere hanno
per disturbarle, de' quai le novelle
all'altro canto vi farò sentire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
CANTO DECIMO
1
Fra quanti amor, fra quante fede al mondo
mai si trovar, fra quanti cor constanti,
fra quante, o per dolente o per iocondo
stato, fer prove mai famosi amanti;
più tosto il primo loco ch'il secondo
darò ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior de l'amor suo non si ritruovi;
2
e che con tante e con sì chiare note
di questo ha fatto il suo Bireno certo,
che donna più far certo uomo non puote,
quando anco il petto e 'l cor mostrasse aperto.
E s'anime sì fide e sì devote
d'un reciproco amor denno aver merto,
dico ch'Olimpia è degna che non meno,
anzi più che sé ancor, l'ami Bireno:
3
e che non pur l'abandoni mai
per altra donna, se ben fosse quella
ch'Europa ed Asia messe in tanti guai,
o s'altra ha maggior titolo di bella;
ma più tosto che lei, lasci coi rai
del sol l'udita e il gusto e la favella
e la vita e la fama, e s'altra cosa
dire o pensar si può più preciosa.
4
Se Bireno amò lei come ella amato
Bireno avea, se fu sì a lei fedele
come ella a lui, se mai non ha voltato
ad altra via, che a seguir lei, le vele;
o pur s'a tanta servitù fu ingrato,
a tanta fede e a tanto amor crudele,
io vi vo' dire, e far di maraviglia
stringer le labra ed inarcar le ciglia.
5
E poi che nota l'impietà vi fia,
che di tanta bontà fu a lei mercede,
donne, alcuna di voi mai più non sia,
ch'a parole d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia,
senza guardar che Dio tutto ode e vede,
aviluppa promesse e giuramenti,
che tutti spargon poi per l'aria i venti.
6
I giuramenti e le promesse vanno
dai venti in aria disipate e sparse,
tosto che tratta questi amanti s'hanno
l'avida sete che gli accese ed arse.
Siate a' prieghi ed a' pianti che vi fanno,
per questo esempio, a credere più scarse.
Bene è felice quel, donne mie care,
ch'essere accorto all'altrui spese impare.
7
Guardatevi da questi che sul fiore
de' lor begli anni il viso han sì polito;
che presto nasce in loro e presto muore,
quasi un foco di paglia, ogni appetito.
Come segue la lepre il cacciatore
al freddo, al caldo, alla montagna, al lito,
né più l'estima poi che presa vede;
e sol dietro a chi fugge affretta il piede:
8
così fan questi gioveni, che tanto
che vi mostrate lor dure e proterve,
v'amano e riveriscono con quanto
studio de' far chi fedelmente serve;
ma non sì tosto si potran dar vanto
de la vittoria, che, di donne, serve
vi dorrete esser fatte; e da voi tolto
vedrete il falso amore, e altrove volto.
9
Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)
che vi lasciate amar; che senza amante
sareste come inculta vite in orto,
che non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
tutta a fuggir, volubile e incostante,
e corre i frutti non acerbi e duri,
ma che non sien però troppo maturi.
10
Di sopra io vi dicea ch'una figliuola
del re di Frisa quivi hanno trovata,
che fia, per quanto n'han mosso parola,
da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola;
che vivanda era troppo delicata:
e riputato avria cortesia sciocca,
per darla altrui, levarsela di bocca.
11
La damigella non passava ancora
quattordici anni, ed era bella e fresca,
come rosa che spunti alora alora
fuor de la buccia e col sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s'innamora,
ma fuoco mai così non accese esca,
né se lo pongan l'invide e nimiche
mani talor ne le mature spiche;
12
come egli se n'accese immantinente,
come egli n'arse fin ne le medolle,
che sopra il padre morto lei dolente
vide di pianto il bel viso far molle.
E come suol, se l'acqua fredda sente,
quella restar che prima al fuoco bolle;
così l'ardor ch'accese Olimpia, vinto
dal nuovo successore, in lui fu estinto.
13
Non pur sazio di lei, ma fastidito
n'è già così, che può vederla a pena;
e sì de l'altra acceso ha l'appetito,
che ne morrà se troppo in lungo il mena:
pur fin che giunga il dì c'ha statuito
a dar fine al disio, tanto l'affrena,
che par ch'adori Olimpia, non che l'ami,
e quel che piace a lei, sol voglia e brami.
14
E se accarezza l'altra (che non puote
far che non l'accarezzi più del dritto),
non è chi questo in mala parte note;
anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto:
che rilevare un che Fortuna ruote
talora al fondo, e consolar l'afflitto,
mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
tanto più una fanciulla, una innocente.
15
Oh sommo Dio, come i giudìci umani
spesso offuscati son da un nembo oscuro!
i modi di Bireno empi e profani,
pietosi e santi riputati furo.
I marinari, già messo le mani
ai remi, e sciolti dal lito sicuro,
portavan lieti pei salati stagni
verso Selandia il duca e i suoi compagni.
16
Già dietro rimasi erano e perduti
tutti di vista i termini d'Olanda
(che per non toccar Frisa, più tenuti
s'eran vêr Scozia alla sinistra banda),
quando da un vento fur sopravenuti,
ch'errando in alto mar tre dì li manda.
Sursero il terzo, già presso alla sera,
dove inculta e deserta un'isola era.
17
Tratti che si fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne in terra; e con diletto
in compagnia de l'infedel Bireno
cenò contenta e fuor d'ogni sospetto:
indi con lui, là dove in loco ameno
teso era un padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro,
e sopra i legni lor si riposaro.
18
Il travaglio del mare e la paura
che tenuta alcun dì l'aveano desta,
il ritrovarsi al lito ora sicura,
lontana da rumor ne la foresta,
e che nessun pensier, nessuna cura,
poi che 'l suo amante ha seco, la molesta;
fur cagion ch'ebbe Olimpia sì gran sonno,
che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.
19
Il falso amante che i pensati inganni
veggiar facean, come dormir lei sente,
pian piano esce del letto, e de' suoi panni
fatto un fastel, non si veste altrimente;
e lascia il padiglione; e come i vanni
nati gli sian, rivola alla sua gente,
e li risveglia; e senza udirsi un grido,
fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.
20
Rimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormì senza destarse,
fin che l'Aurora la gelata brina
da le dorate ruote in terra sparse,
e s'udir le Alcione alla marina
de l'antico infortunio lamentarse.
Né desta né dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar stese, ma invano.
21
Nessuno truova: a sé la man ritira:
di nuovo tenta, e pur nessuno truova.
Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira,
or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.
Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
non vede alcuno.
Or già non scalda e cova
più le vedove piume, ma si getta
del letto e fuor del padiglione in fretta:
22
e corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote,
e va guardando (che splendea la luna)
se veder cosa, fuor che 'l lito, puote;
né fuor che 'l lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama: e al nome di Bireno
rispondean gli Antri che pietà n'avieno.
23
Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
ch'aveano l'onde, col picchiar frequente,
cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi salì a gran passo
(così la facea l'animo possente),
e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signor crudele:
24
vide lontano, o le parve vedere;
che l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
più bianca e più che nieve fredda in volto;
ma poi che di levarsi ebbe potere,
al camin de le navi il grido volto,
chiamò, quanto potea chiamar più forte,
più volte il nome del crudel consorte:
25
e dove non potea la debil voce,
supliva il pianto e 'l batter' palma a palma.
- Dove fuggi, crudel, così veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce
che porti il corpo, poi che porta l'alma.
-
E con le braccia e con le vesti segno
fa tuttavia, perché ritorni il legno.
26
Ma i venti che portavano le vele
per l'alto mar di quel giovene infido,
portavano anco i prieghi e le querele
de l'infelice Olimpia, e 'l pianto e 'l grido;
la qual tre volte, a se stessa crudele,
per affogarsi si spiccò dal lido:
pur al fin si levò da mirar l'acque,
e ritornò dove la notte giacque.
27
E con la faccia in giù stesa sul letto,
bagnandolo di pianto, dicea lui:
- Iersera desti insieme a dui ricetto;
perché insieme al levar non siamo dui?
O perfido Bireno, o maladetto
giorno ch'al mondo generata fui!
Che debbo far? che poss'io far qui sola?
chi mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?
28
Uomo non veggio qui, non ci veggio opra
donde io possa stimar ch'uomo qui sia;
nave non veggio, a cui salendo sopra,
speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò; né chi mi cuopra
gli occhi sarà, né chi sepolcro dia,
se forse in ventre lor non me lo dànno
i lupi, ohimè, ch'in queste selve stanno.
29
Io sto in sospetto, e già di veder parmi
di questi boschi orsi o leoni uscire,
o tigri o fiere tal, che natura armi
d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere crudel potriano farmi,
fera crudel, peggio di te morire?
darmi una morte, so, lor parrà assai;
e tu di mille, ohimè, morir mi fai.
30
Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi
nochier che per pietà di qui mi porti;
e così lupi, orsi, leoni schivi,
strazi, disagi ed altre orribil morti:
mi porterà forse in Olanda, s'ivi
per te si guardan le fortezze e i porti?
mi porterà alla terra ove son nata,
se tu con fraude già me l'hai levata?
31
Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
di parentado e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto,
per avere il dominio a te rivolto.
Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto
di che io vivea, ben che non fossi molto,
per sovenirti e di prigione trarte.
Mischina! dove andrò? non so in qual parte.
32
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
e per te non vi volsi esser regina?
il che del padre e dei fratelli miei
e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.
Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato, improverar, né disciplina
dartene; che non men di me lo sai:
or ecco il guiderdon che me ne dai.
33
Deh, pur che da color che vanno in corso
io non sia presa, e poi venduta schiava!
Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso
venga, e la tigre e ogn'altra fera brava,
di cui l'ugna mi stracci, e franga il morso;
e morta mi strascini alla sua cava.
-
Così dicendo, le mani si caccia
ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
34
Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,
e ruota il capo e sparge all'aria il crine;
e sembra forsennata, e ch'adosso abbia
non un demonio sol, ma le decine;
o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi morto Polidoro al fine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
né men d'un vero sasso, un sasso pare.
35
Ma lasciànla doler fin ch'io ritorno,
per voler di Ruggier dirvi pur anco,
che nel più intenso ardor del mezzo giorno
cavalca il lito, affaticato e stanco.
Percuote il sol nel colle e fa ritorno:
di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all'arme ch'avea indosso, poco
ad esser, come già, tutte di fuoco.
36
Mentre la sete, e de l'andar fatica
per l'alta sabbia e la solinga via
gli facean, lungo quella spiaggia aprica,
noiosa e dispiacevol compagnia;
trovò ch'all'ombra d'una torre antica
che fuor de l'onde appresso il lito uscia,
de la corte d'Alcina eran tre donne,
che le conobbe ai gesti ed alle gonne.
37
Corcate su tapeti allessandrini
godeansi il fresco rezzo in gran diletto,
fra molti vasi di diversi vini
e d'ogni buona sorte di confetto.
Presso alla spiaggia, coi flutti marini
scherzando, le aspettava un lor legnetto
fin che la vela empiesse agevol òra;
ch'un fiato pur non ne spirava allora.
38
Queste, ch'andar per la non ferma sabbia
vider Ruggier al suo viaggio dritto,
che sculta avea la sete in su le labbia,
tutto pien di sudore il viso afflitto,
gli cominciaro a dir che sì non abbia
il cor voluntaroso al camin fitto,
ch'alla fresca e dolce ombra non si pieghi,
e ristorar lo stanco corpo nieghi.
39
E di lor una s'accostò al cavallo
per la staffa tener, che ne scendesse;
l'altra con una coppa di cristallo
di vin spumante, più sete gli messe:
ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo;
perché d'ogni tardar che fatto avesse,
tempo di giunger dato avria ad Alcina,
che venìa dietro ed era omai vicina.
40
Non così fin salnitro e zolfo puro,
tocco dal fuoco, subito s'avampa;
né così freme il mar quando l'oscuro
turbo discende e in mezzo se gli accampa:
come, vedendo che Ruggier sicuro
al suo dritto camin l'arena stampa,
e che le sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira arse e di furor la terza d'elle.
41
- Tu non sei né gentil né cavalliero
(dice gridando quanto può più forte),
ed hai rubate l'arme; e quel destriero
non saria tuo per veruna altra sorte:
e così, come ben m'appongo al vero,
ti vedessi punir di degna morte;
che fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto ladron, villan, superbo, ingrato.
-
42
Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose
parole che gli usò la donna altiera,
ancor che mai Ruggier non le rispose,
che di sì vil tenzon poco onor spera;
con le sorelle tosto ella si pose
sul legno in mar, che al lor servigio v'era:
ed affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol tuttavia dietro alla riva.
43
Minaccia sempre, maledice e incarca;
che l'onte sa trovar per ogni punto.
Intanto a quello stretto, onde si varca
alla fata più bella, è Ruggier giunto;
dove un vecchio nochiero una sua barca
scioglier da l'altra ripa vede, a punto
come, avisato e già provisto, quivi
si stia aspettando che Ruggiero arrivi.
44
Scioglie il nochier, come venir lo vede,
di trasportarlo a miglior ripa lieto;
che, se la faccia può del cor dar fede,
tutto benigno e tutto era discreto.
Pose Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio ringraziando; e per lo mar quieto
ragionando venìa col galeotto,
saggio e di lunga esperienza dotto.
45
Quel lodava Ruggier, che sì se avesse
saputo a tempo tor da Alcina, e inanti
che 'l calice incantato ella gli desse,
ch'avea al fin dato a tutti gli altri amanti;
e poi, che a Logistilla si traesse,
dove veder potria costumi santi,
bellezza eterna ed infinita grazia
che 'l cor notrisce e pasce, e mai non sazia.
46
- Costei (dicea) stupore e riverenza
induce all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla meglio poi l'alta presenza:
ogn'altro ben ti par di poca stima.
Il suo amore ha dagli altri differenza:
speme o timor negli altri il cor ti lima;
in questo il desiderio più non chiede,
e contento riman come la vede.
47
Ella t'insegnerà studi più grati,
che suoni, danze, odori, bagni e cibi:
ma come i pensier tuoi meglio formati
poggin più ad alto, che per l'aria i nibi,
e come de la gloria de' beati
nel mortal corpo parte si delibi.
-
Così parlando il marinar veniva,
lontano ancora alla sicura riva;
48
quando vide scoprire alla marina
molti navili, e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;
e molta di sua gente have raccolta
per por lo stato a se stessa in ruina,
o racquistar la cara cosa tolta.
E bene è amor di ciò cagion non lieve,
ma l'ingiuria non men che ne riceve.
49
Ella non ebbe sdegno, da che nacque,
di questo il maggior mai, ch'ora la rode;
onde fa i remi sì affrettar per l'acque,
che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor né mar né ripa tacque,
ed Ecco risonar per tutto s'ode.
- Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se non, sei morto, o preso con vergogna.
-
50
Così disse il nocchier di Logistilla:
ed oltre il detto, egli medesmo prese
la tasca e da lo scudo dipartilla,
e fe' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato splendor che ne sfavilla,
gli occhi degli aversari così offese,
che li fe' restar ciechi allora allora,
e cader chi da poppa e chi da prora.
51
Un ch'era alla veletta in su la rocca,
de l'armata d'Alcina si fu accorto;
e la campana martellando tocca,
onde il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria, come tempesta, fiocca
contra chi vuole al buon Ruggier far torto:
sì che gli venne d'ogni parte aita,
tal che salvò la libertà e la vita.
52
Giunte son quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha mandate Logistilla:
la valorosa Andronica e la saggia
Fronesia e l'onestissima Dicilla
e Sofrosina casta, che, come aggia
quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla.
L'esercito ch'al mondo è senza pare,
del castello esce, e si distende al mare.
53
Sotto il castel ne la tranquilla foce
di molti e grossi legni era una armata,
ad un botto di squilla, ad una voce
giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E così fu la pugna aspra ed atroce,
e per acqua e per terra, incominciata;
per cui fu il regno sottosopra volto,
ch'avea già Alcina alla sorella tolto.
54
Oh di quante battaglie il fin successe
diverso a quel che si credette inante!
Non sol ch'Alcina alor non riavesse,
come stimossi, il fugitivo amante;
ma dele navi che pur dianzi spesse
fur sì, ch'a pena il mar ne capia tante,
fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,
con un legnetto sol misera scampa.
55
Fuggesi Alcina, e sua misera gente
arsa e presa riman, rotta e sommersa.
D'aver Ruggier perduto, ella si sente
via più doler che d'altra cosa aversa:
notte e dì per lui geme amaramente,
e lacrime per lui dagli occhi versa;
e per dar fine a tanto aspro martire,
spesso si duol di non poter morire.
56
Morir non puote alcuna fata mai,
fin che 'l sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolore assai
per muover Cloto ad inasparle il filo;
o, qual Didon, finia col ferro i guai;
o la regina splendida del Nilo
avria imitata con mortifer sonno:
ma le fate morir sempre non ponno.
57
Torniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui, che poi che fuor del legno
si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
gli era successo, al mar voltò la schiena;
ed affrettando per l'asciutto il piede,
alla rocca ne va che quivi siede.
58
Né la più forte ancor né la più bella
mai vide occhio mortal prima né dopo.
Son di più prezzo le mura di quella,
che se diamante fossino o piropo.
Di tai gemme qua giù non si favella:
ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo
che vada quivi; che non credo altrove,
se non forse su in ciel, se ne ritruove.
59
Quel che più fa che lor si inchina e cede
ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,
l'uom sin in mezzo all'anima si vede;
vede suoi vizi e sue virtudi espresse,
sì che a lusinghe poi di sé non crede,
né a chi dar biasmo a torto gli volesse:
fassi, mirando allo specchio lucente
se stesso, conoscendosi, prudente.
60
Il chiaro lume lor, ch'imita il sole,
manda splendore in tanta copia intorno,
che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal grado tuo, si può far giorno.
Né mirabil vi son le pietre sole;
ma la materia e l'artificio adorno
contendon sì, che mal giudicar puossi
qual de le due eccellenze maggior fossi.
61
Sopra gli altissimi archi, che puntelli
parean che del ciel fossino a vederli,
eran giardin sì spaziosi e belli,
che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
si puon veder fra i luminosi merli,
ch'adorni son l'estate e il verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti.
62
Di così nobili arbori non suole
prodursi fuor di questi bei giardini,
né di tai rose o di simil viole,
di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole
e nasca e viva, e morto il capo inchini,
e come lasci vedovo il suo stelo
il fior suggetto al variar del cielo:
63
ma quivi era perpetua la verdura,
perpetua la beltà de' fiori eterni:
non che benignità de la Natura
sì temperatamente li governi;
ma LogistilIa con suo studio e cura,
senza bisogno de' moti superni
(quel che agli altri impossibile parea),
sua primavera ognor ferma tenea.
64
Logistilla mostrò molto aver grato
ch'a lei venisse un sì gentil signore;
e comandò che fosse accarezzato,
e che studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da Ruggier fu di buon core.
Fra pochi giorni venner gli altri tutti,
ch'a l'esser lor Melissa avea ridutti.
65
Poi che si fur posati un giorno e dui,
venne Ruggiero alla fata prudente
col duca Astolfo, che non men di lui
avea desir di riveder Ponente.
Melissa le parlò per amendui;
e supplica la fata umilemente,
che li consigli, favorisca e aiuti,
sì che ritornin donde eran venuti.
66
Disse la fata: - Io ci porrò il pensiero,
e fra dui dì te li darò espediti.
-
Discorre poi tra sé, come Ruggiero,
e dopo lui, come quel duca aiti:
conchiude infin che 'l volator destriero
ritorni il primo agli aquitani liti;
ma prima vuol che se gli faccia un morso,
con che lo volga, e gli raffreni il corso.
67
Gli mostra come egli abbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorrà che in giro vole,
o vada ratto, o che si stia su l'ali:
e quali effetti il cavallier far suole
di buon destriero in piana terra, tali
facea Ruggier che mastro ne divenne,
per l'aria, del destrier ch'avea le penne.
68
Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da la fata gentil comiato prese,
alla qual restò poi sempre congiunto
di grande amore; e uscì di quel paese.
Prima di lui che se n'andò in buon punto,
e poi dirò come il guerriero inglese
tornasse con più tempo e più fatica
al magno Carlo ed alla corte amica.
69
Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe' già suo mal grado,
allor che sempre l'ippogrifo il tenne
sopra il mare, e terren vide di rado:
ma potendogli or far batter le penne
di qua di là, dove più gli era a grado,
volse al ritorno far nuovo sentiero,
come, schivando Erode, i Magi fero.
70
Al venir quivi, era, lasciando Spagna,
venuto India a trovar per dritta riga,
là dove il mare oriental la bagna;
dove una fata avea con l'altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
che quella dove i venti Eolo istiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo.
71
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran Quinsaì vide passando:
volò sopra l'Imavo, e Sericana
lasciò a man destra; e sempre declinando
da l'iperborei Sciti a l'onda ircana,
giunse alle parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.
72
Ben che di Ruggier fosse ogni desire
di ritornare a Bradamante presto;
pur, gustato il piacer ch'avea di gire
cercando il mondo, non restò per questo,
ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire
non volesse anco, alli Germani, e al resto
di quella boreale orrida terra:
e venne al fin ne l'ultima Inghilterra.
73
Non crediate, Signor, che però stia
per sì lungo camin sempre su l'ale:
ogni sera all'albergo se ne gìa,
schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
sì di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una matina,
sopra Tamigi il volator declina.
74
Dove ne' prati alla città vicini
vide adunati uomini d'arme e fanti,
ch'a suon di trombe e a suon di tamburini
venian, partiti a belle schiere, avanti
il buon Rinaldo, onor de' paladini;
del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
che mandato da Carlo, era venuto
in queste parti a ricercar aiuto.
75
Giunse a punto Ruggier, che si facea
la bella mostra fuor di quella terra;
e per sapere il tutto, ne chiedea
un cavallier, ma scese prima in terra:
e quel, ch'affabil era, gli dicea
che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
e de l'isole intorno eran le schiere
che quivi alzate avean tante bandiere:
76
e finita la mostra che faceano,
alla marina se distenderanno,
dove aspettati per solcar l'Oceano
son dai navili che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano,
sperando in questi che a salvar li vanno.
- Ma acciò tu te n'informi pienamente,
io ti distinguerò tutta la gente.
77
Tu vedi ben quella bandiera grande,
ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi:
quella il gran capitano all'aria spande,
e quella han da seguir gli altri stendardi.
Il suo nome, famoso in queste bande,
è Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consiglio e d'ardire in guerra mastro,
del re nipote, e duca di Lincastro.
78
La prima, appresso il gonfalon reale,
che 'l vento tremolar fa verso il monte,
e tien nel campo verde tre bianche ale,
porta Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale,
c'ha duo corna di cervio e mezza fronte.
Del duca di Chiarenza è quella face;
quel arbore è del duca d'Eborace.
79
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
gli è 'l gonfalon del duca di Nortfozia.
La fulgure è del buon conte di Cancia;
il grifone è del conte di Pembrozia.
Il duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
è del conte d'Esenia, e la ghirlanda
in campo azzurro ha quel di Norbelanda.
80
Il conte d'Arindelia è quel c'ha messo
in mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi il marchese di Barclei; e appresso
di Marchia il conte e il conte di Ritmonda:
il primo porta in bianco un monte fesso,
l'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda.
Quel di Dorsezia è conte, e quel d'Antona,
che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.
81
Il falcon che sul nido i vanni inchina,
porta Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorina;
il can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia.
La croce che là vedi cristallina,
è del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia:
è del duca Ariman di Sormosedia.
82
Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo
di quarantaduomila numer fanno.
Sono duo tanti, o di cento non fallo,
quelli ch'a piè ne la battaglia vanno.
Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo,
e di nero e d'azzur listato un panno:
Gofredo, Enrigo, Ermante ed Odoardo
guidan pedoni, ognun col suo stendardo.
83
Duca di Bocchingamia è quel dinante;
Enrigo ha la contea di Sarisberia;
signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;
quello Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso levante
sono gl'Inglesi.
Or volgeti all'Esperia,
dove si veggion trentamila Scotti,
da Zerbin, figlio del lor re, condotti.
84
Vedi tra duo unicorni il gran leone,
che la spada d'argento ha ne la zampa:
quell'è del re di Scozia il gonfalone;
il suo figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non è un sì bello in tante altre persone:
natura il fece, e poi roppe la stampa.
Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,
o tal possanza: ed è di Roscia duca.
85
Porta in azzurro una dorata sbarra
il conte d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra bandiera è del duca di Marra,
che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizzarra
mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che non è duca, conte, né marchese,
ma primo nel salvatico paese.
86
Del duca di Trasfordia è quella insegna,
dove è l'augel ch'al sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, ch'in Angoscia regna,
porta quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi là il duca d'Albania, che segna
il campo di colori azzurri e bianchi.
Quel avoltor, ch'un drago verde lania,
è l'insegna del conte di Boccania.
87
Signoreggia Forbesse il forte Armano,
che di bianco e di nero ha la bandiera;
ed ha il conte d'Erelia a destra mano,
che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gl'Ibernesi appresso il piano:
sono duo squadre; e il conte di Childera
mena la prima, e il conte di Desmonda
da fieri monti ha tratta la seconda.
88
Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente;
l'altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
la terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
ma vien di Svezia e di Norvegia gente,
da Tile, e fin da la remota Islanda:
da ogni terra, insomma, che là giace,
nimica naturalmente di pace.
89
Sedicimila sono, o poco manco,
de le spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso il viso, il petto, il fianco,
e dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
par che quel pian di lor lance s'inselve:
così Moratto il porta, il capo loro,
per dipingerlo poi di sangue Moro.
-
90
Mentre Ruggier di quella gente bella,
che per soccorrer Francia si prepara,
mira le varie insegne e ne favella,
e dei signor britanni i nomi impara;
uno ed un altro a lui, per mirar quella
bestia sopra cui siede, unica o rara,
maraviglioso corre e stupefatto;
e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.
91
Sì che per dare ancor più maraviglia,
e per pigliarne il buon Ruggier più gioco,
al volante corsier scuote la briglia,
e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il ciel per l'aria il camin piglia,
e lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poi che di banda in banda
vide gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.
92
E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta mercé par che si truove,
che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier muove
là dove la minor Bretagna lava:
e nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso.
93
Al nudo sasso, all'Isola del pianto;
che l'Isola del pianto era nomata
quella che da crudele e fiera tanto
ed inumana gente era abitata,
che (come io vi dicea sopra nel canto)
per vari liti sparsa iva in armata
tutte le belle donne depredando,
per farne a un mostro poi cibo nefando.
94
Vi fu legata pur quella matina,
dove venìa per trangugiarla viva
quel smisurato mostro, orca marina,
che di aborrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
di quei che la trovaro in su la riva
dormire al vecchio incantatore a canto,
ch'ivi l'avea tirata per incanto.
95
La fiera gente inospitale e cruda
alla bestia crudel nel lito espose
la bellissima donna, così ignuda
come Natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che richiuda
i bianchi gigli e le vermiglie rose,
da non cader per luglio o per dicembre,
di che son sparse le polite membre.
96
Creduto avria che fosse statua finta
o d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio così avinta
per artificio di scultori industri;
se non vedea la lacrima distinta
tra fresche rose e candidi ligustri
far rugiadose le crudette pome,
e l'aura sventolar l'aurate chiome.
97
E come ne' begli occhi gli occhi affisse,
de la sua Bradamante gli sovvenne.
Pietade e amore a un tempo lo trafisse,
e di piangere a pena si ritenne;
e dolcemente alla donzella disse,
poi che del suo destrier frenò le penne:
- O donna, degna sol de la catena
con chi i suoi servi Amor legati mena,
98
e ben di questo e d'ogni male indegna,
chi è quel crudel che con voler perverso
d'importuno livor stringendo segna
di queste belle man l'avorio terso? -
Forza è ch'a quel parlare ella divegna
quale è di grana un bianco avorio asperso,
di sé vedendo quelle parti ignude,
ch'ancor che belle sian, vergogna chiude.
99
E coperto con man s'avrebbe il volto,
se non eran legate al duro sasso;
ma del pianto, ch'almen non l'era tolto,
lo sparse, e si sforzò di tener basso.
E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
incominciò con fioco suono e lasso:
ma non seguì; che dentro il fe' restare
il gran rumor che si sentì nel mare.
100
Ecco apparir lo smisurato mostro
mezzo ascoso ne l'onda e mezzo sorto.
Come sospinto suol da borea o d'ostro
venir lungo navilio a pigliar porto,
così ne viene al cibo che l'è mostro
la bestia orrenda; e l'intervallo è corto.
La donna è mezza morta di paura;
né per conforto altrui si rassicura.
101
Tenea Ruggier la lancia non in resta,
ma sopra mano, e percoteva l'orca.
Altro non so che s'assimigli a questa,
ch'una gran massa che s'aggiri e torca;
né forma ha d'animal, se non la testa,
c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi;
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.
102
Poi che la prima botta poco vale,
ritorna per far meglio la seconda.
L'orca, che vede sotto le grandi ale
l'ombra di qua e di là correr su l'onda,
lascia la preda certa litorale,
e quella vana segue furibonda:
dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.
103
Come d'alto venendo aquila suole,
ch'errar fra l'erbe visto abbia la biscia,
o che stia sopra un nudo sasso al sole,
dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
non assalir da quel lato la vuole
onde la velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo la adugna, e batte i vanni,
acciò non se le volga e non la azzanni:
104
così Ruggier con l'asta e con la spada,
non dove era de' denti armato il muso,
ma vuol che 'l colpo tra l'orecchie cada,
or su le schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada,
ed a tempo giù cala, e poggia in suso:
ma come sempre giunga in un diaspro,
non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
105
Simil battaglia fa la mosca audace
contra il mastin nel polveroso agosto,
o nel mese dinanzi o nel seguace,
l'uno di spiche e l'altro pien di mosto:
negli occhi il punge e nel grifo mordace,
volagli intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar fa spesso il dente asciutto:
ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.
106
Sì forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;
tal che non sa se l'ale in aria snoda,
o pur se 'l suo destrier nuota nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo,
che brami invano avere o zucca o schifo.
107
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
di vincer con altre arme il mostro crudo:
abbarbagliar lo vuol con lo splendore
ch'era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
alla donna legata al sasso nudo
lascia nel minor dito de la mano
l'annel, che potea far l'incanto vano:
108
dico l'annel che Bradamante avea,
per liberar Ruggier, tolto a Brunello,
poi per trarlo di man d'Alcina rea,
mandato in India per Melissa a quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
in ben di molti adoperò l'annello;
indi l'avea a Ruggier restituito,
dal qual poi sempre fu portato in dito.
109
Lo dà ad Angelica ora, perché teme
che del suo scudo il fulgurar non viete,
e perché a lei ne sien difesi insieme
gli occhi che già l'avean preso alla rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo;
e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.
110
Ferì negli occhi l'incantato lume
di quella fera, e fece al modo usato.
Quale o trota o scaglion va giù pel fiume
c'ha con calcina il montanar turbato,
tal si vedea ne le marine schiume
il mostro orribilmente riversciato.
Di qua di là Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo via non truova mai.
111
La bella donna tuttavolta priega
ch'invan la dura squama oltre non pesti.
- Torna, per Dio, signor: prima mi slega
(dicea piangendo), che l'orca si desti:
portami teco e in mezzo il mar mi anniega:
non far ch'in ventre al brutto pesce io resti.
-
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
slegò la donna, e la levò dal lido.
112
Il destrier punto, ponta i piè all'arena
e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
e porta il cavalliero in su la schena,
e la donzella dietro in su la groppa.
Così privò la fera de la cena
per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
figge nel petto e negli occhi vivaci.
113
Non più tenne la via, come propose
prima, di circundar tutta la Spagna;
ma nel propinquo lito il destrier pose,
dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
dove ognor par che Filomena piagna;
ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,
e quinci e quindi un solitario monte.
114
Quivi il bramoso cavallier ritenne
l'audace corso, e nel pratel discese;
e fe' raccorre al suo destrier le penne,
ma non a tal che più le avea distese.
Del destrier sceso, a pena si ritenne
di salir altri; ma tennel l'arnese:
l'arnese il tenne, che bisognò trarre,
e contra il suo disir messe le sbarre.
115
Frettoloso, or da questo or da quel canto
confusamente l'arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto;
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto,
e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:
sì ch'io differirò l'istoria mia
in altro tempo che più grata sia.
CANTO UNDICESIMO
1
Quantunque debil freno a mezzo il corso
animoso destrier spesso raccolga,
raro è però che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga,
quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso
che dal mel non sì tosto si distolga,
poi che gli n'è venuto odore al naso,
o qualche stilla ne gustò sul vaso.
2
Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,
sì che non voglia ora pigliar diletto
d'Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante più non gli soviene,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo è se questa ancor non prezza e stima;
3
con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,
e si traea l'altre arme impaziente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il prezioso annello
che già le tolse ad Albracca Brunello.
4
Questo è l'annel ch'ella portò già in Francia
la prima volta che fe' quel camino
col fratel suo, che v'arrecò la lancia,
la qual fu poi d'Astolfo paladino.
Con questo fe' gl'incanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando ed altri una matina
tolse di servitù di Dragontina;
5
con questo uscì invisibil de la torre
dove l'avea richiusa un vecchio rio.
A che voglio io tutte sue prove accorre,
se le sapete voi così come io?
Brunel sin nel giron lel venne a torre;
ch'Agramante d'averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei, fin che le tolse il regno.
6
Or che sel vede, come ho detto, in mano,
sì di stupore e d'allegrezza è piena,
che quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alla man sua dà fede a pena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
sel chiude in bocca: e in men che non balena,
così dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il sol quando la nube il vela.
7
Ruggier pur d'ogn'intorno riguardava,
e s'aggirava a cerco come un matto;
ma poi che de l'annel si ricordava,
scornato vi rimase e stupefatto:
e la sua inavvertenza bestemiava,
e la donna accusava di quello atto
ingrato e discortese, che renduto
in ricompensa gli era del suo aiuto.
8
- Ingrata damigella, è questo quello
guiderdone (dicea), che tu mi rendi?
che più tosto involar vogli l'annello,
ch'averlo in don? Perché da me nol prendi?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello
e me ti dono, e come vuoi mi spendi;
sol che 'l bel viso tuo non mi nascondi.
Io so, crudel, che m'odi, e non rispondi.
-
9
Così dicendo, intorno alla fontana
brancolando n'andava come cieco.
Oh quante volte abbracciò l'aria vana,
sperando la donzella abbracciar seco!
Quella, che s'era già fatta lontana,
mai non cessò d'andar, che giunse a un speco
che sotto un monte era capace e grande,
dove al bisogno suo trovò vivande.
10
Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
un grande armento avea, facea soggiorno.
Le iumente pascean giù per la valle
le tenere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di là da l'antro erano stalle,
dove fuggìano il sol del mezzo giorno.
Angelica quel dì lunga dimora
là dentro fece, e non fu vista ancora.
11
E circa il vespro, poi che rifrescossi,
e le fu aviso esser posata assai,
in certi drappi rozzi aviluppossi,
dissimil troppo ai portamenti gai,
che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi
ebbe, e di quante fogge furon mai.
Non le può tor però tanto umil gonna,
che bella non rassembri e nobil donna.
12
Taccia chi loda Fillide, o Neera,
o Amarilli, o Galatea fugace;
che d'esse alcuna sì bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tra' fuor de la schiera
de le iumente una che più le piace.
Allora allora se le fece inante
un pensier di tornarsene in Levante.
13
Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran pezzo
indarno atteso s'ella si scopriva,
e che s'avide del suo error da sezzo,
che non era vicina e non l'udiva;
dove lasciato avea il cavallo, avezzo
in cielo e in terra, a rimontar veniva:
e ritrovò che s'avea tratto il morso,
e salia in aria a più libero corso.
14
Fu grave e mala aggiunta all'altro danno
vedersi anco restar senza l'augello.
Questo, non men che 'l feminile inganno,
gli preme al cor; ma più che questo e quello,
gli preme e fa sentir noioso affanno
l'aver perduto il prezioso annello;
per le virtù non tanto ch'in lui sono,
quanto che fu de la sua donna dono.
15
Oltremodo dolente si ripose
indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;
dal mar slungossi, e per le piaggie erbose
prese il camin verso una larga valle,
dove per mezzo all'alte selve ombrose
vide il più largo e 'l più segnato calle.
Non molto va, ch'a destra, ove più folta
è quella selva, un gran strepito ascolta.
16
Strepito ascolta e spaventevol suono
d'arme percosse insieme; onde s'affretta
tra pianta e pianta, e trova dui, che sono
a gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s'hanno alcun riguardo né perdono,
per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno è gigante, alla sembianza fiero;
ardito l'altro e franco cavalliero.
17
E questo con lo scudo e con la spada,
di qua di là saltando, si difende,
perché la mazza sopra non gli cada,
con che il gigante a due man sempre offende.
Giace morto il cavallo in su la strada.
Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;
e tosto inchina l'animo, e disia
che vincitore il cavallier ne sia.
18
Non che per questo gli dia alcun aiuto;
ma si tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col baston grave il più membruto
sopra l'elmo a due man del minor fere.
De la percossa è il cavallier caduto:
l'altro, che 'l vide attonito giacere,
per dargli morte l'elmo gli dislaccia;
e fa sì che Ruggier lo vede in faccia.
19
Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a cui dar morte vuol l'empio gigante:
sì che a battaglia subito l'appella,
e con la spada nuda si fa inante:
na quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende;
20
e se l'arreca in spalla, e via la porta,
come lupo talor piccolo agnello,
o l'aquila portar ne l'ugna torta
suole o colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
e vien correndo a più poter; ma quello
con tanta fretta i lunghi passi mena,
che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.
21
Così correndo l'uno, e seguitando
l'altro, per un sentiero ombroso e fosco,
che sempre si venìa più dilatando,
in un gran prato uscir fuor di quel bosco.
Non più di questo; ch'io ritorno a Orlando,
che 'l fulgur che portò già il re Cimosco,
avea gittato in mar nel maggior fondo,
acciò mai più non si trovasse al mondo.
22
Ma poco ci giovò: che 'l nimico empio
de l'umana natura, il qual del telo
fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio,
ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;
con quasi non minor di quello scempio
che ci diè quando Eva ingannò col melo,
lo fece ritrovar da un negromante,
al tempo de' nostri avi, o poco inante.
23
La machina infernal, di più di cento
passi d'acqua ove stè ascosa molt'anni,
al sommo tratta per incantamento,
prima portata fu tra gli Alamanni;
li quali uno ed un altro esperimento
facendone, e il demonio a' nostri danni
assuttigliando lor via più la mente,
ne ritrovaro l'uso finalmente.
24
Italia e Francia e tutte l'altre bande
del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande,
che liquefatto ha la fornace accesa;
bùgia altri il ferro; e chi picciol, chi grande
il vaso forma, che più e meno pesa:
e qual bombarda e qual nomina scoppio,
qual semplice cannon, qual cannon doppio;
25
qual sagra, qual falcon, qual colubrina
sento nomar, come al suo autor più agrada;
che 'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,
e ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alla fucina
per tutte l'arme c'hai, fin alla spada;
e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;
che senza, io so, non toccherai stipendi.
26
Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l'arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l'ardire
per te può in campo al paragon venire.
27
Per te son giti ed anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò sì abominosi ordigni.
28
E crederò che Dio, perché vendetta
ne sia in eterno, nel profondo chiuda
del cieco abisso quella maladetta
anima, appresso al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta
brama trovarsi all'isola d'Ebuda,
dove le belle donne e delicate
son per vivanda a un marin mostro date.
29
Ma quanto avea più fretta il paladino,
tanto parea che men l'avesse il vento.
Spiri o dal lato destro o dal mancino,
o ne le poppe, sempre è così lento,
che si può far con lui poco camino;
e rimanea talvolta in tutto spento:
soffia talor sì averso, che gli è forza
o di tornare, o d'ir girando all'orza.
30
Fu volontà di Dio che non venisse
prima che 'l re d'Ibernia in quella parte,
acciò con più facilità seguisse
quel ch'udir vi farò fra poche carte.
Sopra l'isola sorti, Orlando disse
al suo nochiero: - Or qui potrai fermarte,
e 'l battel darmi; che portar mi voglio
senz'altra compagnia sopra lo scoglio.
31
E voglio la maggior gomona meco,
e l'ancora maggior ch'abbi sul legno:
io ti farò veder perché l'arreco,
se con quel mostro ad affrontar mi vegno.
-
Gittar fe' in mare il palischermo seco,
con tutto quel ch'era atto al suo disegno.
Tutte l'arme lasciò, fuor che la spada;
e vêr lo scoglio, sol, prese la strada.
32
Si tira i remi al petto, e tien le spalle
volte alla parte ove discender vuole;
a guisa che del mare o de la valle
uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era ne l'ora che le chiome gialle
la bella Aurora avea spiegate al Sole,
mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,
non senza sdegno di Titon geloso.
33
Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
potria gagliarda man gittare un sasso,
gli pare udire e non udire un pianto;
sì all'orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto;
e posto gli occhi appresso all'onde al basso,
vede una donna, nuda come nacque,
legata a un tronco; e i piè le bagnan l'acque.
34
Perché gli è ancor lontana, e perché china
la faccia tien, non ben chi sia discerne.
Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina
con gran disio di più notizia averne.
Ma muggiar sente in questo la marina,
e rimbombar le selve e le caverne:
gonfiansi l'onde; ed ecco il mostro appare,
che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.
35
Come d'oscura valle umida ascende
nube di pioggia e di tempesta pregna,
che più che cieca notte si distende
per tutto 'l mondo, e par che 'l giorno spegna;
così nuota la fera, e del mar prende
tanto, che si può dir che tutto il tegna:
fremono l'onde.
Orlando in sé raccolto,
la mira altier, né cangia cor né volto.
36
E come quel ch'avea il pensier ben fermo
di quanto volea far, si mosse ratto;
e perché alla donzella essere schermo,
e la fera assalir potesse a un tratto,
entrò fra l'orca e lei col palischermo,
nel fodero lasciando il brando piatto:
l'ancora con la gomona in man prese;
poi con gran cor l'orribil mostro attese.
37
Tosto che l'orca s'accostò, e scoperse
nel schifo Orlando con poco intervallo,
per ingiottirlo tanta bocca aperse,
ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immerse
con quella ancora in gola, e s'io non fallo,
col battello anco; e l'ancora attaccolle
e nel palato e ne la lingua molle:
38
sì che né più si puon calar di sopra,
né alzar di sotto le mascelle orrende.
Così chi ne le mine il ferro adopra,
la terra, ovunque si fa via, suspende,
che subita ruina non lo cuopra,
mentre malcauto al suo lavoro intende.
Da un amo all'altro l'ancora è tanto alta,
che non v'arriva Orlando, se non salta.
39
Messo il puntello, e fattosi sicuro
che 'l mostro più serrar non può la bocca,
stringe la spada, e per quel antro oscuro
di qua e di là con tagli e punte tocca.
Come si può, poi che son dentro al muro
giunti i nimici, ben difender rocca;
così difender l'orca si potea
dal paladin che ne la gola avea.
40
Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi s'attuffa, e con la pancia
muove dal fondo e fa salir l'arene.
Sentendo l'acqua il cavallier di Francia,
che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:
lascia l'ancora fitta, e in mano prende
la fune che da l'ancora depende.
41
E con quella ne vien nuotando in fretta
verso lo scoglio; ove fermato il piede,
tira l'ancora a sé, ch'in bocca stretta
con le due punte il brutto mostro fiede.
L'orca a seguire il canape è costretta
da quella forza ch'ogni forza eccede,
da quella forza che più in una scossa
tira, ch'in dieci un argano far possa.
42
Come toro selvatico ch'al corno
gittar si senta un improvviso laccio,
salta di qua di là, s'aggira intorno,
si colca e lieva, e non può uscir d'impaccio;
così fuor del suo antico almo soggiorno
l'orca tratta per forza di quel braccio,
con mille guizzi e mille strane ruote
segue la fune, e scior non se ne puote.
43
Di bocca il sangue in tanta copia fonde,
che questo oggi il mar Rosso si può dire,
dove in tal guisa ella percuote l'onde,
ch'insino al fondo le vedreste aprire;
ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,
le selve, i monti e le lontane prode.
44
Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando
ode tanto rumor, sopra il mare esce;
e visto entrare e uscir de l'orca Orlando,
e al lito trar sì smisurato pesce,
fugge per l'alto oceano, obliando
lo sparso gregge: e sì il tumulto cresce,
che fatto al carro i suoi delfini porre,
quel dì Nettuno in Etiopia corre.
45
Con Melicerta in collo Ino piangendo,
e le Nereide coi capelli sparsi,
Glauci e Tritoni, e gli altri, non sappiendo
dove, chi qua chi là van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
col qual non bisognò più affaticarsi;
che pel travaglio e per l'avuta pena,
prima morì, che fosse in su l'arena.
46
De l'isola non pochi erano corsi
a riguardar quella battaglia strana;
i quai da vana religion rimorsi,
così sant'opra riputar profana:
e dicean che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nimico, e attizzar l'ira insana,
da farli porre il marin gregge in terra,
e tutta rinovar l'antica guerra;
47
e che meglio sarà di chieder pace
prima all'offeso dio, che peggio accada;
e questo si farà, quando l'audace
gittato in mare a placar Proteo vada.
Come dà fuoco l'una a l'altra face,
e tosto alluma tutta una contrada,
così d'un cor ne l'altro si difonde
l'ira ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.
48
Chi d'una fromba e chi d'un arco armato,
chi d'asta, chi di spada, al lito scende;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato,
lontano e appresso, a più poter l'offende.
Di sì bestiale insulto e troppo ingrato
gran meraviglia il paladin si prende:
pel mostro ucciso ingiuria far si vede,
dove aver ne sperò gloria e mercede.
49
Ma come l'orso suol, che per le fiere
menato sia da Rusci o da Lituani,
passando per la via, poco temere
l'importuno abbaiar di picciol cani,
che pur non se li degna di vedere;
così poco temea di quei villani
il paladin, che con un soffio solo
ne potrà fracassar tutto lo stuolo.
50
E ben si fece far subito piazza
che lor si volse, e Durindana prese.
S'avea creduto quella gente pazza
che le dovesse far poche contese,
quando né indosso gli vedea corazza,
né scudo in braccio, né alcun altro arnese;
ma non sapea che dal capo alle piante
dura la pelle avea più che diamante.
51
Quel che d'Orlando agli altri far non lece,
di far degli altri a lui già non è tolto.
Trenta n'uccise, e furo in tutto diece
botte, o se più, non le passò di molto.
Tosto intorno sgombrar l'arena fece;
e per slegar la donna era già volto,
quando nuovo tumulto e nuovo grido
fe' risuonar da un'altra parte il lido.
52
Mentre avea il paladin da questa banda
così tenuto i barbari impediti,
eran senza contrasto quei d'Irlanda
da più parte ne l'isola saliti;
e spenta ogni pietà, strage nefanda
di quel popul facean per tutti i liti:
fosse iustizia, o fosse crudeltade,
né sesso riguardavano né etade.
53
Nessun ripar fan gl'isolani, o poco;
parte, ch'accolti son troppo improviso,
parte, che poca gente ha il picciol loco,
e quella poca è di nessun aviso.
L'aver fu messo a sacco; messo fuoco
fu ne le case: il populo fu ucciso:
le mura fur tutte adeguate al suolo:
non fu lasciato vivo un capo solo.
54
Orlando, come gli appertenga nulla
l'alto rumor, le strida e la ruina,
viene a colei che su la pietra brulla
avea da divorar l'orca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
e più gli pare, e più che s'avicina:
gli pare Olimpia: ed era Olimpia certo,
che di sua fede ebbe sì iniquo merto.
55
Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
che gli fe' Amore, anco Fortuna cruda
mandò i corsari (e fu il medesmo giorno),
che la portaro all'isola d'Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno
che fa allo scoglio: ma perch'ella è nuda,
tien basso il capo; e non che non gli parli,
ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.
56
Orlando domandò ch'iniqua sorte
l'avesse fatta all'isola venire
di là dove lasciata col consorte
lieta l'avea, quanto si può più dire.
- Non so (disse ella) s'io v'ho, che la morte
voi mi schivaste, grazie a riferire,
o da dolermi che per voi non sia
oggi finita la miseria mia.
57
Io v'ho da ringraziar ch'una maniera
di morir mi schivaste troppo enorme;
che troppo saria enorme, se la fera
nel brutto ventre avesse avuto a porme.
Ma già non vi ringrazio ch'io non pera;
che morte sol può di miseria torme:
ben vi ringrazierò, se da voi darmi
quella vedrò, che d'ogni duol può trarmi.
-
58
Poi con gran pianto seguitò, dicendo
come lo sposo suo l'avea tradita;
che la lasciò su l'isola dormendo,
donde ella poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
s'andava in quella guisa che scolpita
o dipinta è Diana ne la fonte,
che getta l'acqua ad Ateone in fronte;
59
che, quanto può, nasconde il petto e 'l ventre,
più liberal dei fianchi e de le rene.
Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;
che lei, che sciolta avea da le catene,
vorria coprir d'alcuna veste.
Or mentre
ch'a questo è intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso
che 'l marin mostro era sul lito steso;
60
E che nuotando un cavallier era ito
a porgli in gola un'ancora assai grave;
e che l'avea così tirato al lito,
come si suol tirar contr'acqua nave.
Oberto, per veder se riferito
colui da chi l'ha inteso, il vero gli have,
se ne vien quivi; e la sua gente intanto
arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
61
Il re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,
di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto,
brutto del sangue che si trasse quando
uscì de l'orca in ch'era entrato tutto,
pel conte l'andò pur raffigurando;
tanto più che ne l'animo avea indutto,
tosto che del valor sentì la nuova,
ch'altri ch'Orlando non faria tal pruova.
62
Lo conoscea, perch'era stato infante
d'onore in Francia, e se n'era partito
per pigliar la corona, l'anno inante,
del padre suo ch'era di vita uscito.
Tante volte veduto, e tante e tante
gli avea parlato, ch'era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
trattasi la celata ch'avea in testa.
63
Non meno Orlando di veder contento
si mostrò il re, che 'l re di veder lui.
Poi che furo a iterar l'abbracciamento
una o due volte tornati amendui,
narrò ad Oberto Orlando il tradimento
che fu fatto alla giovane, e da cui
fatto le fu; dal perfido Bireno,
che via d'ogn'altro lo dovea far meno.
64
Le prove gli narrò, che tante volte
ella d'amarlo dimostrato avea:
come i parenti e le sustanze tolte
le furo, e al fin per lui morir volea;
e ch'esso testimonio era di molte,
e renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava, i begli occhi sereni
de la donna di lagrime eran pieni.
65
Era il bel viso suo, quale esser suole
da primavera alcuna volta il cielo,
quando la pioggia cade, e a un tempo il sole
si sgombra intorno il nubiloso velo.
E come il rosignuol dolci carole
mena nei rami alor del verde stelo,
così alle belle lagrime le piume
si bagna Amore, e gode al chiaro lume.
66
E ne la face de' begli occhi accende
l'aurato strale, e nel ruscello amorza,
che tra vermigli e bianchi fiori scende:
e temprato che l'ha, tira di forza
contra il garzon, che né scudo difende,
né maglia doppia, né ferrigna scorza;
che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,
si sente il cor ferito, e non sa come.
67
Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
che son più rare: e non la fronte sola,
gli occhi e le guance e le chiome avea belle,
la bocca, il naso, gli omeri e la gola;
ma discendendo giù da le mammelle,
le parti che solea coprir la stola,
fur di tanta eccellenza, ch'anteporse
a quante n'avea il mondo potean forse.
68
Vinceano di candor le nievi intatte,
ed eran più ch'avorio a toccar molli:
le poppe ritondette parean latte
che fuor dei giunchi allora allora tolli.
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
esser veggiàn fra picciolini colli
l'ombrose valli, in sua stagione amene,
che 'l verno abbia di nieve allora piene.
69
I rilevati fianchi e le belle anche,
e netto più che specchio il ventre piano,
pareano fatti, e quelle coscie bianche,
da Fidia a torno, o da più dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche,
che pur celare ella bramava invano?
Dirò insomma, ch'in lei dal capo al piede,
quant'esser può beltà, tutta si vede.
70
Se fosse stata ne le valli Idee
vista dal Pastor frigio, io non so quanto
Vener, sebben vincea quell'altre dee,
portato avesse di bellezza il vanto:
né forso ito saria ne le Amiclee
contrade esso a violar l'ospizio santo;
ma detto avria: - Con Menelao ti resta,
Elena pur; ch'altra io non vo' che questa.
-
71
E se fosse costei stata a Crotone,
quando Zeusi l'imagine far volse,
che por dovea nel tempio di Iunone,
e tante belle nude insieme accolse;
e che, per una farne in perfezione,
da chi una parte e da chi un'altra tolse:
non avea da torre altra che costei;
che tutte le bellezze erano in lei.
72
Io non credo che mai Bireno, nudo
vedesse quel bel corpo; ch'io son certo
che stato non saria mai così crudo,
che l'avesse lasciata in quel deserto.
Ch'Oberto se n'accende, io vi concludo,
tanto che 'l fuoco non può star coperto.
Si studia consolarla, e darle speme
ch'uscirà in bene il mal ch'ora la preme:
73
e le promette andar seco in Olanda;
né fin che ne lo stato la rimetta,
e ch'abbia fatto iusta e memoranda
di quel periuro e traditor vendetta,
non cesserà con ciò che possa Irlanda,
e lo farà quanto potrà più in fretta.
Cercare intanto in quelle case e in queste
facea di gonne e di feminee veste.
74
Bisogno non sarà, per trovar gonne,
ch'a cercar fuor de l'isola si mande;
ch'ogni dì se n'avea da quelle donne
che de l'avido mostro eran vivande.
Non fe' molto cercar, che ritrovonne
di varie fogge Oberto copia grande;
e fe' vestir Olimpia, e ben gl'increbbe
non la poter vestir come vorrebbe.
75
Ma né sì bella seta o sì fin'oro
mai Fiorentini industri tesser fenno;
né chi ricama fece mai lavoro,
postovi tempo, diligenza e senno,
che potesse a costui parer decoro,
se lo fêsse Minerva o il dio di Lenno,
e degno di coprir sì belle membre,
che forza è ad or ad or se ne rimembre.
76
Per più rispetti il paladino molto
si dimostrò di questo amor contento:
ch'oltre che 'l re non lascerebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento,
sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto
di grave e di noioso impedimento,
quivi non per Olimpia, ma venuto
per dar, se v'era, alla sua donna aiuto.
77
Ch'ella non v'era si chiarì di corto,
ma già non si chiarì se v'era stata;
perché ogn'uomo ne l'isola era morto,
né un sol rimaso di sì gran brigata.
Il dì seguente si partir del porto,
e tutti insieme andaro in una armata.
Con loro andò in Irlanda il paladino;
che fu per gire in Francia il suo camino.
78
A pena un giorno si fermò in Irlanda;
non valser preghi a far che più vi stesse:
Amor, che dietro alla sua donna il manda,
di fermarvisi più non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al re, che servi le promesse:
ben che non bisognasse; che gli attenne
molto più, che di far non si convenne.
79
Così fra pochi dì gente raccolse;
e fatto lega col re d'Inghilterra
e con l'altro di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in Frisa non gli lasciò terra;
ed a ribellione anco gli volse
la sua Selandia: e non finì la guerra,
che gli diè morte; né però fu tale
la pena, ch'al delitto andasse eguale.
80
Olimpia Oberto si pigliò per moglie,
e di contessa la fe' gran regina.
Ma ritorniamo al paladin che scioglie
nel mar le vele, e notte e dì camina;
poi nel medesmo porto le raccoglie,
donde pria le spiegò ne la marina:
e sul suo Brigliadoro armato salse,
e lasciò dietro i venti e l'onde salse.
81
Credo che 'l resto di quel verno cose
facesse degne di tenerne conto;
ma fur sin a quel tempo sì nascose,
che non è colpa mia s'or non le conto;
perché Orlando a far l'opre virtuose,
più che a narrarle poi, sempre era pronto:
né mai fu alcun de li suoi fatti espresso,
se non quando ebbe i testimoni appresso.
82
Passò il resto del verno così cheto,
che di lui non si seppe cosa vera:
ma poi che 'l sol ne l'animal discreto
che portò Friso, illuminò la sfera,
e Zefiro tornò soave e lieto
a rimenar la dolce primavera;
d'Orlando usciron le mirabil pruove
coi vaghi fiori e con l'erbette nuove.
83
Di piano in monte, e di campagna in lido,
pien di travaglio e di dolor ne gìa;
quando all'entrar d'un bosco, un lungo grido,
un alto duol l'orecchie gli ferìa.
Spinge il cavallo, e piglia il brando fido,
e donde viene il suon, ratto s'invia:
ma diferisco un'altra volta a dire
quel che seguì, se mi vorrete udire.
CANTO DODICESIMO
1
Cerere, poi che da la madre Idea
tornando in fretta alla solinga valle,
là dove calca la montagna Etnea
al fulminato Encelado le spalle,
la figlia non trovò dove l'avea
lasciata fuor d'ogni segnato calle;
fatto ch'ebbe alle guance, al petto, ai crini
e agli occhi danno, al fin svelse duo pini;
2
e nel fuoco gli accese di Vulcano,
e diè lor non potere esser mai spenti:
e portandosi questi uno per mano
sul carro che tiravan dui serpenti,
cercò le selve, i campi, il monte, il piano,
le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti,
la terra e 'l mare; e poi che tutto il mondo
cercò di sopra, andò al tartareo fondo.
3
S'in poter fosse stato Orlando pare
all'Eleusina dea, come in disio,
non avria, per Angelica cercare,
lasciato o selva o campo o stagno o rio
o valle o monte o piano o terra o mare,
il cielo e 'l fondo de l'eterno oblio;
ma poi che 'l carro e i draghi non avea,
la gìa cercando al meglio che potea.
4
L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia
per Italia cercarla e per Lamagna,
per la nuova Castiglia e per la vecchia,
e poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa così, sente all'orecchia
una voce venir, che par che piagna:
si spinge inanzi; e sopra un gran destriero
trottar si vede innanzi un cavalliero,
5
che porta in braccio e su l'arcion davante
per forza una mestissima donzella.
Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante
di gran dolore; ed in soccorso appella
il valoroso principe d'Anglante;
che come mira alla giovane bella,
gli par colei, per cui la notte e il giorno
cercato Francia avea dentro e d'intorno.
6
Non dico ch'ella fosse, ma parea
Angelica gentil ch'egli tant'ama.
Egli, che la sua donna e la sua dea
vede portar sì addolorata e grama,
spinto da l'ira e da la furia rea,
con voce orrenda il cavallier richiama;
richiama il cavalliero e gli minaccia,
e Brigliadoro a tutta briglia caccia.
7
Non resta quel fellon, né gli risponde,
all'alta preda, al gran guadagno intento,
e sì ratto ne va per quelle fronde,
che saria tardo a seguitarlo il vento.
L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde
selve s'odon sonar d'alto lamento.
Correndo usciro in un gran prato; e quello
avea nel mezzo un grande e ricco ostello.
8
Di vari marmi con suttil lavoro
edificato era il palazzo altiero.
Corse dentro alla porta messa d'oro
con la donzella in braccio il cavalliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro,
che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come è dentro, gli occhi gira;
né più il guerrier, né la donzella mira.
9
Subito smonta, e fulminando passa
dove più dentro il bel tetto s'alloggia:
corre di qua, corre di là, né lassa
che non vegga ogni camera, ogni loggia.
Poi che i segreti d'ogni stanza bassa
ha cerco invan, su per le scale poggia;
e non men perde anco a cercar di sopra,
che perdessi di sotto, il tempo e l'opra.
10
D'oro e di seta i letti ornati vede:
nulla de muri appar né de pareti;
che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
son da cortine ascose e da tapeti.
Di su di giù va il conte Orlando e riede;
né per questo può far gli occhi mai lieti
che riveggiano Angelica, o quel ladro
che n'ha portato il bel viso leggiadro.
11
E mentre or quinci or quindi invano il passo
movea, pien di travaglio e di pensieri,
Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso,
re Sacripante ed altri cavallieri
vi ritrovò, ch'andavano alto e basso,
né men facean di lui vani sentieri;
e si ramaricavan del malvagio
invisibil signor di quel palagio.
12
Tutti cercando il van, tutti gli dànno
colpa di furto alcun che lor fatt'abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;
ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia;
altri d'altro l'accusa: e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi.
13
Orlando, poi che quattro volte e sei
tutto cercato ebbe il palazzo strano,
disse fra sé: - Qui dimorar potrei,
gittare il tempo e la fatica invano:
e potria il ladro aver tratta costei
da un'altra uscita, e molto esser lontano.
-
Con tal pensiero uscì nel verde prato,
dal qual tutto il palazzo era aggirato.
14
Mentre circonda la casa silvestra,
tenendo pur a terra il viso chino,
per veder s'orma appare, o da man destra
o da sinistra, di nuovo camino;
si sente richiamar da una finestra:
e leva gli occhi; e quel parlar divino
gli pare udire, e par che miri il viso,
che l'ha da quel che fu, tanto diviso.
15
Pargli Angelica udir, che supplicando
e piangendo gli dica: - Aita, aita!
la mia virginità ti raccomando
più che l'anima mia, più che la vita.
Dunque in presenza del mio caro Orlando
da questo ladro mi sarà rapita?
più tosto di tua man dammi la morte,
che venir lasci a sì infelice sorte.
-
16
Queste parole una ed un'altra volta
fanno Orlando tornar per ogni stanza,
con passione e con fatica molta,
ma temperata pur d'alta speranza.
Talor si ferma, ed una voce ascolta,
che di quella d'Angelica ha sembianza
(e s'egli è da una parte, suona altronde),
che chieggia aiuto; e non sa trovar donde.
17
Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando
dissi che per sentiero ombroso e fosco
il gigante e la donna seguitando,
in un gran prato uscito era del bosco;
io dico ch'arrivò qui dove Orlando
dianzi arrivò, se 'l loco riconosco.
Dentro la porta il gran gigante passa:
Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa.
18
Tosto che pon dentro alla soglia il piede,
per la gran corte e per le logge mira;
né più il gigante né la donna vede,
e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.
Di su di giù va molte volte e riede;
né gli succede mai quel che desira:
né si sa imaginar dove sì tosto
con la donna il fellon si sia nascosto.
19
Poi che revisto ha quattro volte e cinque
di su di giù camere e logge e sale,
pur di nuovo ritorna, e non relinque
che non ne cerchi fin sotto le scale.
Con speme al fin che sian ne le propinque
selve, si parte: ma una voce, quale
richiamò Orlando, lui chiamò non manco;
e nel palazzo il fe' ritornar anco.
20
Una voce medesma, una persona
che paruta era Angelica ad Orlando,
parve a Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea di sé medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch'andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che più ciascun per sé brama e desia.
21
Questo era un nuovo e disusato incanto
ch'avea composto Atlante di Carena,
perché Ruggier fosse occupato tanto
in quel travaglio, in quella dolce pena,
che 'l mal'influsso n'andasse da canto,
l'influsso ch'a morir giovene il mena.
Dopo il castel d'acciar, che nulla giova,
e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova.
22
Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,
che di valore in Francia han maggior fama,
acciò che di lor man Ruggier non mora,
condurre Atlante in questo incanto trama.
E mentre fa lor far quivi dimora,
perché di cibo non patischin brama,
sì ben fornito avea tutto il palagio,
che donne e cavallier vi stanno ad agio.
23
Ma torniamo ad Angelica, che seco
avendo quell'annel mirabil tanto,
ch'in bocca a veder lei fa l'occhio cieco,
nel dito, l'assicura da l'incanto;
e ritrovato nel montano speco
cibo avendo e cavalla e veste e quanto
le fu bisogno, avea fatto disegno
di ritornare in India al suo bel regno.
24
Orlando volentieri o Sacripante
voluto avrebbe in compania: non ch'ella
più caro avesse l'un che l'altro amante;
anzi di par fu a' lor disii ribella:
ma dovendo, per girsene in Levante,
passar tante città, tante castella,
di compagnia bisogno avea e di guida,
né potea aver con altri la più fida.
25
Or l'uno or l'altro andò molto cercando,
prima ch'indizio ne trovasse o spia,
quando in cittade, e quando in ville, e quando
in alti boschi, e quando in altra via.
Fortuna al fin là dove il conte Orlando,
Ferraù e Sacripante era, la invia,
con Ruggier, con Gradasso ed altri molti
che v'avea Atlante in strano intrico avolti.
26
Quivi entra, che veder non la può il mago,
e cerca il tutto, ascosa dal suo annello;
e trova Orlando e Sacripante vago
di lei cercare invan per quello ostello.
Vede come, fingendo la sua immago,
Atlante usa gran fraude a questo e a quello.
Chi tor debba di lor, molto rivolve
nel suo pensier, né ben se ne risolve.
27
Non sa stimar chi sia per lei migliore,
il conte Orlando o il re dei fier Circassi.
Orlando la potrà con più valore
meglio salvar nei perigliosi passi:
ma se sua guida il fa, sel fa signore;
ch'ella non vede come poi l'abbassi,
qualunque volta, di lui sazia, farlo
voglia minore, o in Francia rimandarlo.
28
Ma il Circasso depor, quando le piaccia,
potrà, se ben l'avesse posto in cielo.
Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia
sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.
L'annel trasse di bocca, e di sua faccia
levò dagli occhi a Sacripante il velo.
Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne
ch'Orlando e Ferraù le sopravenne.
29
Le sopravenne Ferraù ed Orlando;
che l'uno e l'altro parimente giva
di su di giù, dentro e di fuor cercando
del gran palazzo lei, ch'era lor diva.
Corser di par tutti alla donna, quando
nessuno incantamento gli impediva:
perché l'annel ch'ella si pose in mano,
fece d'Atlante ogni disegno vano.
30
L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa
dui di questi guerrier, dei quali io canto;
né notte o dì, dopo ch'entraro in questa
stanza, l'aveano mai messi da canto;
che facile a portar, come la vesta,
era lor, perché in uso l'avean tanto.
Ferraù il terzo era anco armato, eccetto
che non avea né volea avere elmetto,
31
fin che quel non avea, che 'l paladino
tolse Orlando al fratel del re Troiano;
ch'allora lo giurò, che l'elmo fino
cercò de l'Argalia nel fiume invano:
e se ben quivi Orlando ebbe vicino,
né però Ferraù pose in lui mano;
avenne, che conoscersi tra loro
non si poter, mentre là dentro foro.
32
Era così incantato quello albergo,
ch'insieme riconoscer non poteansi.
Né notte mai né dì, spada né usbergo
né scudo pur dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli con la sella al tergo,
pendendo i morsi da l'arcion, pasceansi
in una stanza, che presso all'uscita,
d'orzo e di paglia sempre era fornita.
33
Atlante riparar non sa né puote,
ch'in sella non rimontino i guerrieri
per correr dietro alle vermiglie gote,
all'auree chiome ed a' begli occhi neri
de la donzella, ch'in fuga percuote
la sua iumenta, perché volentieri
non vede li tre amanti in compagnia,
che forse tolti un dopo l'altro avria.
34
E poi che dilungati dal palagio
gli ebbe sì, che temer più non dovea
che contra lor l'incantator malvagio
potesse oprar la sua fallacia rea;
l'annel che le schivò più d'un disagio,
tra le rosate labra si chiudea:
donde lor sparve subito dagli occhi,
e gli lasciò come insensati e sciocchi.
35
Come che fosse il suo primier disegno
di voler seco Orlando o Sacripante,
ch'a ritornar l'avessero nel regno
di Galafron ne l'ultimo Levante;
le vennero amendua subito a sdegno,
e si mutò di voglia in uno istante:
e senza più obligarsi o a questo o a quello,
pensò bastar per amendua il suo annello.
36
Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta
quelli scherniti la stupida faccia;
come il cane talor, se gli è intercetta
o lepre o volpe, a cui dava la caccia,
che d'improviso in qualche tana stretta
o in folta macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si ride Angelica proterva,
che non è vista, e i lor progressi osserva.
37
Per mezzo il bosco appar sol una strada:
credono i cavallier che la donzella
inanzi a lor per quella se ne vada;
che non se ne può andar, se non per quella.
Orlando corre, e Ferraù non bada,
né Sacripante men sprona e puntella.
Angelica la briglia più ritiene,
e dietro lor con minor fretta viene.
38
Giunti che fur, correndo, ove i sentieri
a perder si venian ne la foresta,
e cominciar per l'erba i cavallieri
a riguardar se vi trovavan pesta;
Ferraù, che potea fra quanti altieri
mai fosser, gir con la corona in testa,
si volse con mal viso agli altri dui,
e gridò lor: - Dove venite vui?
39
Tornate a dietro, o pigliate altra via,
se non volete rimaner qui morti:
né in amar né in seguir la donna mia
si creda alcun, che compagnia comporti.
-
Disse Orlando al Circasso: - Che potria
più dir costui, s'ambi ci avesse scorti
per le più vili e timide puttane
che da conocchie mai traesser lane?
40
Poi volto a Ferraù, disse: - Uom bestiale,
s'io non guardassi che senza elmo sei,
di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male,
senz'altra indugia accorger ti farei.
-
Disse il Spagnuol: - Di quel ch'a me non cale,
perché pigliarne tu cura ti dei?
Io sol contra ambidui per far son buono
quel che detto ho, senza elmo come sono.
-
41
- Deh (disse Orlando al re di Circassia),
in mio servigio a costui l'elmo presta,
tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia;
ch'altra non vidi mai simile a questa.
-
Rispose il re: - Chi più pazzo saria?
Ma se ti par pur la domanda onesta,
prestagli il tuo; ch'io non sarò men atto,
che tu sia forse, a castigare un matto.
-
42
Soggiunse Ferraù: - Sciocchi voi, quasi
che, se mi fosse il portar elmo a grado,
voi senza non ne fosse già rimasi;
che tolti i vostri avrei, vostro mal grado.
Ma per narrarvi in parte li miei casi,
per voto così senza me ne vado,
ed anderò, fin ch'io non ho quel fino
che porta in capo Orlando paladino.
-
43
- Dunque (rispose sorridente il conte)
ti pensi a capo nudo esser bastante
far ad Orlando quel che in Aspramonte
egli già fece al figlio d'Agolante?
Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,
ne tremeresti dal capo alle piante;
non che volessi l'elmo, ma daresti
l'altre arme a lui di patto, che tu vesti.
-
44
Il vantator Spagnuol disse: - Già molte
fiate e molte ho così Orlando astretto,
che facilmente l'arme gli avrei tolte,
quante indosso n'avea, non che l'elmetto;
e s'io nol feci, occorrono alle volte
pensier che prima non s'aveano in petto:
non n'ebbi, già fu, voglia; or l'aggio, e spero
che mi potrà succeder di leggiero.
-
45
Non potè aver più pazienza Orlando
e gridò: - Mentitor, brutto marrano,
in che paese ti trovasti, e quando,
a poter più di me con l'arme in mano?
Quel paladin, di che ti vai vantando,
son io, che ti pensavi esser lontano.
Or vedi se tu puoi l'elmo levarme,
o s'io son buon per torre a te l'altre arme.
46
Né da te voglio un minimo vantaggio.
-
Così dicendo, l'elmo si disciolse,
e lo suspese a un ramuscel di faggio;
e quasi a un tempo Durindana tolse.
Ferraù non perdè di ciò il coraggio:
trasse la spada, e in atto si raccolse,
onde con essa e col levato scudo
potesse ricoprirsi il capo nudo.
47
Così li duo guerrieri incominciaro,
lor cavalli aggirando, a volteggiarsi;
e dove l'arme si giungeano, e raro
era più il ferro, col ferro a tentarsi.
Non era in tutto 'l mondo un altro paro
che più di questo avessi ad accoppiarsi:
pari eran di vigor, pari d'ardire;
né l'un né l'altro si potea ferire.
48
Ch'abbiate, Signor mio, già inteso estimo,
che Ferraù per tutto era fatato,
fuor che là dove l'alimento primo
piglia il bambin nel ventre ancor serrato:
e fin che del sepolcro il tetro limo
la faccia gli coperse, il luogo armato
usò portar, dove era il dubbio, sempre
di sette piastre fatte a buone tempre.
49
Era ugualmente il principe d'Anglante
tutto fatato, fuor che in una parte:
ferito esser potea sotto le piante;
ma le guardò con ogni studio ed arte.
Duro era il resto lor più che diamante
(se la fama dal ver non si diparte);
e l'uno e l'altro andò, più per ornato
che per bisogno, alle sue imprese armato.
50
S'incrudelisce e inaspra la battaglia,
d'orrore in vista e di spavento piena.
Ferraù, quando punge e quando taglia,
né mena botta che non vada piena:
ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia
e schioda e rompe ed apre e a straccio mena.
Angelica invisibile lor pon mente,
sola a tanto spettacolo presente.
51
Intanto il re di Circassia, stimando
che poco inanzi Angelica corresse,
poi ch'attaccati Ferraù ed Orlando
vide restar, per quella via si messe,
che si credea che la donzella, quando
da lor disparve, seguitata avesse:
sì che a quella battaglia la figliuola
di Galafron fu testimonia sola.
52
Poi che, orribil come era e spaventosa,
l'ebbe da parte ella mirata alquanto,
e che le parve assai pericolosa
così da l'un come da l'altro canto;
di veder novità voluntarosa,
disegnò l'elmo tor, per mirar quanto
fariano i duo guerrier, vistosel tolto;
ben con pensier di non tenerlo molto.
53
Ha ben di darlo al conte intenzione;
na se ne vuole in prima pigliar gioco.
L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone,
e sta a mirare i cavallieri un poco.
Di poi si parte, e non fa lor sermone;
e lontana era un pezzo da quel loco,
prima ch'alcun di lor v'avesse mente:
sì l'uno e l'altro era ne l'ira ardente.
54
Ma Ferraù, che prima v'ebbe gli occhi,
si dispiccò da Orlando, e disse a lui:
- Deh come n'ha da male accorti e sciocchi
trattati il cavallier ch'era con nui!
Che premio fia ch'al vincitor più tocchi,
se 'l bel elmo involato n'ha costui? -
Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:
non vede l'elmo, e tutto avampa d'ira.
55
E nel parer di Ferraù concorse,
che 'l cavallier che dianzi era con loro
se lo portasse; onde la briglia torse,
e fe' sentir gli sproni a Brigliadoro.
Ferraù che del campo il vide torse,
gli venne dietro; e poi che giunti foro
dove ne l'erba appar l'orma novella
ch'avea fatto il Circasso e la donzella,
56
prese la strada alla sinistra il conte
verso una valle, ove il Circasso era ito:
si tenne Ferraù più presso al monte,
dove il sentiero Angelica avea trito.
Angelica in quel mezzo ad una fonte
giunta era, ombrosa e di giocondo sito,
ch'ognun che passa, alle fresche ombre invita,
né, senza ber, mai lascia far partita.
57
Angelica si ferma alle chiare onde,
non pensando ch'alcun le sopravegna;
e per lo sacro annel che la nasconde,
non può temer che caso rio le avegna.
A prima giunta in su l'erbose sponde
del rivo l'elmo a un ramuscel consegna;
poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca,
la iumenta legar, perché si pasca.
58
Il cavallier di Spagna, che venuto
era per l'orme, alla fontana giunge.
Non l'ha sì tosto Angelica veduto,
che gli dispare, e la cavalla punge.
L'elmo, che sopra l'erba era caduto,
ritor non può, che troppo resta lunge.
Come il pagan d'Angelica s'accorse,
tosto vêr lei pien di letizia corse.
59
Gli sparve, come io dico, ella davante,
come fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante
né i miseri occhi più veder la ponno.
Bestemiando Macone e Trivigante,
e di sua legge ogni maestro e donno,
ritornò Ferraù verso la fonte,
u' ne l'erba giacea l'elmo del conte.
60
Lo riconobbe, tosto che mirollo,
per lettere ch'avea scritte ne l'orlo;
che dicean dove Orlando guadagnollo,
e come e quando, ed a chi fe' deporlo.
Armossene il pagano il capo e il collo,
che non lasciò, pel duol ch'avea, di torlo;
pel duol ch'avea di quella che gli sparve,
come sparir soglion notturne larve.
61
Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa,
aviso gli è, che a contentarsi a pieno,
sol ritrovare Angelica gli resta,
che gli appar e dispar come baleno.
Per lei tutta cercò l'alta foresta:
e poi ch'ogni speranza venne meno
di più poterne ritrovar vestigi,
tornò al campo spagnuol verso Parigi;
62
temperando il dolor che gli ardea il petto,
di non aver sì gran disir sfogato,
col refrigerio di portar l'elmetto
che fu d'Orlando, come avea giurato.
Dal conte, poi che 'l certo gli fu detto,
fu lungamente Ferraù cercato;
né fin quel dì dal capo gli lo sciolse,
che fra duo ponti la vita gli tolse.
63
Angelica invisibile e soletta
via se ne va, ma con turbata fronte;
che de l'elmo le duol, che troppa fretta
le avea fatto lasciar presso alla fonte.
- Per voler far quel ch'a me far non spetta
(tra sé dicea), levato ho l'elmo al conte:
questo, pel primo merito, è assai buono
di quanto a lui pur ubligata sono.
64
Con buona intenzione (e sallo Idio),
ben che diverso e tristo effetto segua,
io levai l'elmo: e solo il pensier mio
fu di ridur quella battaglia a triegua;
e non che per mio mezzo il suo disio
questo brutto Spagnuol oggi consegua.
-
Così di sé s'andava lamentando
d'aver de l'elmo suo privato Orlando.
65
Sdegnata e malcontenta la via prese,
che le parea miglior, verso Oriente.
Più volte ascosa andò, talor palese,
secondo era oportuno, infra la gente.
Dopo molto veder molto paese,
giunse in un bosco, dove iniquamente
fra duo compagni morti un giovinetto
trovò, ch'era ferito in mezzo il petto.
66
Ma non dirò d'Angelica or più inante;
che molte cose ho da narrarvi prima:
né sono a Ferraù né a Sacripante,
sin a gran pezzo per donar più rima.
Da lor mi leva il principe d'Anglante,
che di sé vuol che inanzi agli altri esprima
le fatiche e gli affanni che sostenne
nel gran disio, di che a fin mai non venne.
67
Alla prima città ch'egli ritruova
(perché d'andare occulto avea gran cura)
si pone in capo una barbuta nuova,
senza mirar s'ha debil tempra o dura:
sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova;
sì ne la fatagion si rassicura.
Così coperto seguita l'inchiesta;
né notte, o giorno, o pioggia, o sol l'arresta.
68
Era ne l'ora, che trae i cavalli
Febo del mar con rugiadoso pelo,
e l'Aurora di fior vermigli e gialli
venìa spargendo d'ogn'intorno il cielo;
e lasciato le stelle aveano i balli,
e per partirsi postosi già il velo:
quando appresso a Parigi un dì passando,
mostrò di sua virtù gran segno Orlando.
69
In dua squadre incontrossi: e Manilardo
ne reggea l'una, il Saracin canuto,
re di Norizia, già fiero e gagliardo,
or miglior di consiglio che d'aiuto;
guidava l'altra sotto il suo stendardo
il re di Tremisen, ch'era tenuto
tra gli Africani cavallier perfetto:
Alzirdo fu, da chi 'l conobbe, detto.
70
Questi con l'altro esercito pagano
quella invernata avean fatto soggiorno,
chi presso alla città, chi più lontano,
tutti alle ville o alle castella intorno:
ch'avendo speso il re Agramante invano,
per espugnar Parigi, più d'un giorno,
volse tentar l'assedio finalmente,
poi che pigliar non lo potea altrimente.
71
E per far questo avea gente infinita;
che oltre a quella che con lui giunt'era,
e quella che di Spagna avea seguita
del re Marsilio la real bandiera
molta di Francia n'avea al soldo unita;
che da Parigi insino alla riviera
d'Arli, con parte di Guascogna (eccetto
alcune rocche) avea tutto suggetto.
72
Or cominciando i trepidi ruscelli
a sciorre il freddo giaccio in tiepide onde,
e i prati di nuove erbe, e gli arbuscelli
a rivestirsi di tenera fronde;
ragunò il re Agramante tutti quelli
che seguian le fortune sue seconde,
per farsi rassegnar l'armata torma;
indi alle cose sue dar miglior forma.
73
A questo effetto il re di Tremisenne
con quel de la Norizia ne venìa,
per là giungere a tempo, ove si tenne
poi conto d'ogni squadra o buona o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne
(come io v'ho detto) in questa compagnia,
cercando pur colei, come egli era uso,
che nel carcer d'Amor lo tenea chiuso.
74
Come Alzirdo appressar vide quel conte
che di valor non avea pari al mondo,
in tal sembiante, in sì superba fronte,
che 'l dio de l'arme a lui parea secondo;
restò stupito alle fattezze conte,
al fiero sguardo, al viso furibondo:
e lo stimò guerrier d'alta prodezza;
ma ebbe del provar troppa vaghezza.
75
Era giovane Alzirdo, ed arrogante
per molta forza, e per gran cor pregiato.
Per giostrar spinse il suo cavallo inante:
meglio per lui, se fosse in schiera stato;
che ne lo scontro il principe d'Anglante
lo fe' cader per mezzo il cor passato.
Giva in fuga il destrier di timor pieno,
che su non v'era chi reggesse il freno.
76
Levasi un grido subito ed orrendo,
che d'ogn'intorno n'ha l'aria ripiena,
come si vede il giovene, cadendo,
spicciar il sangue di sì larga vena.
La turba verso il conte vien fremendo
disordinata, e tagli e punte mena;
ma quella è più, che con pennuti dardi
tempesta il fior dei cavallier gagliardi.
77
Con qual rumor la setolosa frotta
correr da monti suole o da campagne,
se 'l lupo uscito di nascosa grotta,
o l'orso sceso alle minor montagne,
un tener porco preso abbia talotta,
che con grugnito e gran stridor si lagne;
con tal lo stuol barbarico era mosso
verso il conte, gridando: - Addosso, addosso! -
78
Lance, saette e spade ebbe l'usbergo
a un tempo mille, e lo scudo altretante:
chi gli percuote con la mazza il tergo,
chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo,
estima la vil turba e l'arme tante,
quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,
il numer de l'agnelle estimi il lupo.
79
Nuda avea in man quella fulminea spada
che posti ha tanti Saracini a morte:
dunque chi vuol di quanta turba cada
tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue già correa la strada,
capace a pena a tante genti morte;
perché né targa né capel difende
la fatal Durindana, ove discende,
80
né vesta piena di cotone, o tele
che circondino il capo in mille vòlti.
Non pur per l'aria gemiti e querele,
ma volan braccia e spalle e capi sciolti.
Pel campo errando va Morte crudele
in molti, vari, e tutti orribil volti;
e tra sé dice: - In man d'Orlando valci
Durindana per cento de mie falci.
-
81
Una percossa a pena l'altra aspetta.
Ben tosto cominciar tutti a fuggire;
e quando prima ne veniano in fretta
(perch'era sol, credeanselo inghiottire),
non è chi per levarsi de la stretta
l'amico aspetti, e cerchi insieme gire:
chi fugge a piedi in qua, chi colà sprona;
nessun domanda se la strada è buona.
82
Virtude andava intorno con lo speglio
che fa veder ne l'anima ogni ruga:
nessun vi si mirò, se non un veglio
a cui il sangue l'età, non l'ardir, sciuga.
Vide costui quanto il morir sia meglio,
che con suo disonor mettersi in fuga:
dico il re di Norizia; onde la lancia
arrestò contra il paladin di Francia.
83
E la roppe alla penna de lo scudo
del fiero conte, che nulla si mosse.
Egli ch'avea alla posta il brando nudo,
re Manilardo al trapassar percosse.
Fortuna l'aiutò; che 'l ferro crudo
in man d'Orlando al venir giù voltosse:
tirare i colpi a filo ognor non lece;
ma pur di sella stramazzar lo fece.
84
Stordito de l'arcion quel re stramazza:
non si rivolge Orlando a rivederlo;
che gli altri taglia, tronca, fende, amazza;
a tutti pare in su le spalle averlo.
Come per l'aria, ove han sì larga piazza,
fuggon li storni da l'audace smerlo,
così di quella squadra ormai disfatta
altri cade, altri fugge, altri s'appiatta.
85
Non cessò pria la sanguinosa spada,
che fu di viva gente il campo voto.
Orlando è in dubbio a ripigliar la strada,
ben che gli sia tutto il paese noto.
O da man destra o da sinistra vada,
il pensier da l'andar sempre è remoto:
d'Angelica cercar, fuor ch'ove sia,
teme, e di far sempre contraria via.
86
Il suo camin (di lei chiedendo spesso)
or per li campi or per le selve tenne:
e sì come era uscito di se stesso,
uscì di strada; e a piè d'un monte venne,
dove la notte fuor d'un sasso fesso
lontan vide un splendor batter le penne.
Orlando al sasso per veder s'accosta,
se quivi fosse Angelica reposta.
87
Come nel bosco de l'umil ginepre,
o ne la stoppia alla campagna aperta,
quando si cerca la paurosa lepre
per traversati solchi e per via incerta,
si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,
se per ventura vi fosse coperta;
così cercava Orlando con gran pena
la donna sua, dove speranza il mena.
88
Verso quel raggio andando in fretta il conte,
giunse ove ne la selva si diffonde
da l'angusto spiraglio di quel monte,
ch'una capace grotta in sé nasconde;
e trova inanzi ne la prima fronte
spine e virgulti, come mura e sponde,
per celar quei che ne la grotta stanno,
da chi far lor cercasse oltraggio e danno.
89
Di giorno ritrovata non sarebbe,
ma la facea di notte il lume aperta.
Orlando pensa ben quel ch'esser debbe;
pur vuol saper la cosa anco più certa.
Poi che legato fuor Brigliadoro ebbe,
tacito viene alla grotta coperta:
e fra li spessi rami ne la buca
entra, senza chiamar chi l'introduca.
90
Scende la tomba molti gradi al basso,
dove la viva gente sta sepolta.
Era non poco spazioso il sasso
tagliato a punte di scarpelli in volta;
né di luce diurna in tutto casso,
ben che l'entrata non ne dava molta;
ma ve ne venìa assai da una finestra
che sporgea in un pertugio da man destra.
91
In mezzo la spelonca, appresso a un fuoco,
era una donna di giocondo viso;
quindici anni passar dovea di poco,
quanto fu al conte, al primo sguardo, aviso:
ed era bella sì, che facea il loco
salvatico parere un paradiso;
ben ch'avea gli occhi di lacrime pregni,
del cor dolente manifesti segni.
92
V'era una vecchia; e facean gran contese
(come uso feminil spesso esser suole),
ma come il conte ne la grotta scese,
finiron le dispùte e le parole.
Orlando a salutarle fu cortese
(come con donne sempre esser si vuole),
ed elle si levaro immantinente,
e lui risalutar benignamente.
93
Gli è ver che si smarriro in faccia alquanto,
come improviso udiron quella voce,
e insieme entrare armato tutto quanto
vider là dentro un uom tanto feroce.
Orlando domandò qual fosse tanto
scortese, ingiusto, barbaro ed atroce,
che ne la grotta tenesse sepolto
un sì gentile ed amoroso volto.
94
La vergine a fatica gli rispose,
interrotta da fervidi signiozzi,
che dai coralli e da le preziose
perle uscir fanno i dolci accenti mozzi.
Le lacrime scendean tra gigli e rose,
là dove avien ch'alcuna se n'inghiozzi.
Piacciavi udir ne l'altro canto il resto,
Signor, che tempo è ormai di finir questo.
CANTO TREDICESIMO
1
Ben furo aventurosi i cavallieri
ch'erano a quella età, che nei valloni,
ne le scure spelonche e boschi fieri,
tane di serpi, d'orsi e di leoni,
trovavan quel che nei palazzi altieri
a pena or trovar puon giudici buoni:
donne, che ne la lor più fresca etade
sien degne d'aver titol di beltade.
2
Di sopra vi narrai che ne la grotta
avea trovato Orlando una donzella,
e che la dimandò ch'ivi condotta
l'avesse: or seguitando, dico ch'ella,
poi che più d'un signiozzo l'ha interrotta,
con dolce e suavissima favella
al conte fa le sue sciagure note,
con quella brevità che meglio puote.
3
- Ben che io sia certa (dice), o cavalliero,
ch'io porterò del mio parlar supplizio,
perché a colui che qui m'ha chiusa, spero
che costei ne darà subito indizio;
pur son disposta non celarti il vero,
e vada la mia vita in precipizio.
E ch'aspettar poss'io da lui più gioia,
che 'l si disponga un dì voler ch'io muoia?
4
Isabella sono io, che figlia fui
del re mal fortunato di Gallizia.
Ben dissi fui; ch'or non son più di lui,
ma di dolor, d'affanno e di mestizia.
Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui
dolermi più che de la sua nequizia,
che dolcemente nei principi applaude,
e tesse di nascosto inganno e fraude.
5
Già mi vivea di mia sorte felice,
gentil, giovane, ricca, onesta e bella:
vile e povera or sono, or infelice;
e s'altra è peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio sappi la prima radice
che produsse quel mal che mi flagella;
e ben ch'aiuto poi da te non esca,
poco non mi parrà, che te n'incresca.
6
Mio patre fe' in Baiona alcune giostre,
esser denno oggimai dodici mesi.
Trasse la fama ne le terre nostre
cavallieri a giostrar di più paesi.
Fra gli altri (o sia ch'Amor così mi mostre,
o che virtù pur se stessa palesi)
mi parve da lodar Zerbino solo,
che del gran re di Scozia era figliuolo.
7
Il qual poi che far pruove in campo vidi
miracolose di cavalleria,
fui presa del suo amore; e non m'avidi,
ch'io mi conobbi più non esser mia.
E pur, ben che 'l suo amor così mi guidi,
mi giova sempre avere in fantasia
ch'io non misi il mio core in luogo immondo,
ma nel più degno e bel ch'oggi sia al mondo.
8
Zerbino di bellezza e di valore
sopra tutti i signori era eminente.
Mostrammi, e credo mi portasse amore,
e che di me non fosse meno ardente.
Non ci mancò chi del commune ardore
interprete fra noi fosse sovente,
poi che di vista ancor fummo disgiunti;
che gli animi restar sempre congiunti.
9
Però che dato fine alla gran festa,
Il mio Zerbino in Scozia fe' ritorno.
Se sai che cosa è amor, ben sai che mesta
restai, di lui pensando notte e giorno;
ed era certa che non men molesta
fiamma intorno al suo cor facea soggiorno.
Egli non fece al suo disio più schermi,
se non che cercò via di seco avermi.
10
E perché vieta la diversa fede
(essendo egli cristiano, io saracina)
ch'al mio padre per moglie non mi chiede,
per furto indi levarmi si destina.
Fuor de la ricca mia patria, che siede
tra verdi campi allato alla marina,
aveva un bel giardin sopra una riva,
che colli intorno e tutto il mar scopriva.
11
Gli parve il luogo a fornir ciò disposto,
che la diversa religion ci vieta;
e mi fa saper l'ordine che posto
avea di far la nostra vita lieta.
Appresso a Santa Marta avea nascosto
con gente armata una galea secreta,
in guardia d'Odorico di Biscaglia,
in mare e in terra mastro di battaglia.
12
Né potendo in persona far l'effetto,
perch'egli allora era dal padre antico
a dar soccorso al re di Framcia astretto,
manderia in vece sua questo Odorico,
che fra tutti i fedeli amici eletto
s'avea pel più fedele e pel più amico:
e bene esser dovea, se i benefici
sempre hanno forza d'acquistar gli amici.
13
Verria costui sopra un navilio armato,
al terminato tempo indi a levarmi.
E così venne il giorno disiato,
che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte, accompagnato
di gente valorosa all'acqua e all'armi,
smontò ad un fiume alla città vicino,
e venne chetamente al mio giardino.
14
Quindi fui tratta alla galea spalmata,
prima che la città n'avesse avisi.
De la famiglia ignuda e disarmata
altri fuggiro, altri restaro uccisi,
parte captiva meco fu menata.
Così da la mia terra io mi divisi,
con quanto gaudio non ti potrei dire,
sperando in breve il mio Zerbin fruire.
15
Voltati sopra Mongia eramo a pena,
quando ci assalse alla sinistra sponda
un vento che turbò l'aria serena,
e turbò il mare, e al ciel gli levò l'onda.
Salta un maestro ch'a traverso mena,
e cresce ad ora ad ora, e soprabonda;
e cresce e soprabonda con tal forza,
che val poco alternar poggia con orza.
16
Non giova calar vele, e l'arbor sopra
corsia legar, né ruinar castella;
che ci veggian mal grado portar sopra
acuti scogli, appresso alla Rocella.
Se non ci aiuta quel che sta di sopra,
ci spinge in terra la crudel procella.
Il vento rio ne caccia in maggior fretta,
che d'arco mai non si aventò saetta.
17
Vide il periglio il Biscaglino, e a quello
usò un rimedio che fallir suol spesso:
ebbe ricorso subito al battello;
calossi, e me calar fece con esso.
Sceser dui altri, e ne scendea un drappello,
se i primi scesi l'avesser concesso;
ma con le spade li tenner discosto,
tagliar la fune, e ci allargammo tosto.
18
Fummo gittati a salvamento al lito
noi che nel palischermo eramo scesi;
periron gli altri col legno sdrucito;
in preda al mare andar tutti gli arnesi.
All'eterna Bontade, all'infinito
Amor, rendendo grazie, le man stesi,
che non m'avessi dal furor marino
lasciato tor di riveder Zerbino.
19
Come ch'io avessi sopra il legno e vesti
lasciato e gioie e l'altre cose care,
pur che la speme di Zerbin mi resti,
contenta son che s'abbi il resto il mare.
Non sono, ove scendemo, i liti pesti
d'alcun sentier, né intorno albergo appare;
ma solo il monte, al qual mai sempre fiede
l'ombroso capo il vento, e 'l mare il piede.
20
Quivi il crudo tiranno Amor, che sempre
d'ogni promessa sua fu disleale,
e sempre guarda come involva e stempre
ogni nostro disegno razionale,
mutò con triste e disoneste tempre
mio conforto in dolor, mio bene in male;
che quell'amico, in chi Zerbin si crede,
di desire arse, ed agghiacciò di fede.
21
O che m'avesse in mar bramata ancora,
né fosse stato a dimostrarlo ardito,
o cominciassi il desiderio allora
che l'agio v'ebbe dal solingo lito;
disegnò quivi senza più dimora
condurre a fin l'ingordo suo appetito;
ma prima da sé torre un de li dui
che nel battel campati eran con nui.
22
Quell'era omo di Scozia, Almonio detto,
che mostrava a Zerbin portar gran fede;
e commendato per guerrier perfetto
da lui fu, quando ad Odorico il diede.
Disse a costui, che biasmo era e difetto,
se mi traeano alla Rocella a piede;
e lo pregò ch'inanti volesse ire
a farmi incontra alcun ronzin venire.
23
Almonio, che di ciò nulla temea,
immantinente inanzi il camin piglia
alla città che 'l bosco ci ascondea,
e non era lontana oltra sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
all'altro finalmente si consiglia;
sì perché tor non se lo sa d'appresso,
sì perché avea gran confidenza in esso.
24
Era Corebo di Bilbao nomato
quel di ch'io parlo, che con noi rimase;
che da fanciullo picciolo allevato
s'era con lui ne le medesme case.
Poter con lui communicar l'ingrato
pensiero il traditor si persuase,
sperando ch'ad amar saria più presto
il piacer de l'amico, che l'onesto.
25
Corebo, che gentile era e cortese,
non lo potè ascoltar senza gran sdegno:
lo chiamò traditore, e gli contese
con parole e con fatti il rio disegno.
Grande ira all'uno e all'altro il core accese,
e con le spade nude ne fer segno.
Al trar de' ferri, io fui da la paura
volta a fuggir per l'alta selva oscura.
26
Odorico, che maestro era di guerra,
in pochi colpi a tal vantaggio venne,
che per morto lasciò Corebo in terra,
e per le mie vestigie il camin tenne.
Prestògli Amor (se 'l mio creder non erra),
acciò potesse giungermi, le penne;
e gl'insegnò molte lusinghe e prieghi,
con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.
27
Ma tutto è indarno; che fermata e certa
più tosto era a morir, ch'a satisfarli.
Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta
ebbe e minacce, e non potean giovarli,
si ridusse alla forza a faccia aperta.
Nulla mi val che supplicando parli
de la fé ch'avea in lui Zerbino avuta,
e ch'io ne le sue man m'era creduta.
28
Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,
né mi sperare altronde altro soccorso,
e che più sempre cupido e villano
a me venìa, come famelico orso;
io mi difesi con piedi e con mano,
ed adopra'vi sin a l'ugne e il morso:
pela'gli il mento, e gli graffiai la pelle,
con stridi che n'andavano alle stelle.
29
Non so se fosse caso, o li miei gridi
che si doveano udir lungi una lega,
o pur ch'usati sian correre ai lidi
quando navilio alcun si rompe o anniega;
sopra il monte una turba apparir vidi,
e questa al mare e verso noi si piega.
Come la vede il Biscaglin venire,
lascia l'impresa, e voltasi a fuggire.
30
Contra quel disleal mi fu adiutrice
questa turba, signor; ma a quella image
che sovente in proverbio il vulgo dice:
cader de la padella ne le brage.
Gli è ver ch'io non son stata sì infelice,
né le lor menti ancor tanto malvage,
ch'abbino violata mia persona:
non che sia in lor virtù, né cosa buona.
31
Ma perché se mi serban, come io sono,
vergine, speran vendermi più molto.
Finito è il mese ottavo e viene il nono,
che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandono;
che già, per quanto ho da lor detti accolto,
m'han promessa e venduta a un mercadante,
che portare al soldan mi de' in Levante.
-
32
Così parlava la gentil donzella;
e spesso con signiozzi e con sospiri
interrompea l'angelica favella,
da muovere a pietade aspidi e tiri.
Mentre sua doglia così rinovella,
o forse disacerba i suoi martiri,
da venti uomini entrar ne la spelonca,
armati chi di spiedo e chi di ronca.
33
Il primo d'essi, uom di spietato viso,
ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco;
l'altro, d'un colpo che gli avea reciso
il naso e la mascella, è fatto cieco.
Costui vedendo il cavalliero assiso
con la vergine bella entro allo speco,
volto a' compagni, disse: - Ecco augel nuovo,
a cui non tesi, e ne la rete il truovo.
-
34
Poi disse al conte: - Uomo non vidi mai
più commodo di te, né più opportuno.
Non so se ti se' apposto, o se lo sai
perché te l'abbia forse detto alcuno,
che sì bell'arme io desiava assai,
e questo tuo leggiadro abito bruno.
Venuto a tempo veramente sei,
per riparare agli bisogni miei.
-
35
Sorrise amaramente, in piè salito,
Orlando, e fe' risposta al mascalzone:
- Io ti venderò l'arme ad un partito
che non ha mercadante in sua ragione.
-
Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapito
pien di fuoco e di fumo uno stizzone,
trasse, e percosse il malandrino a caso,
dove confina con le ciglia il naso.
36
Lo stizzone ambe le palpebre colse,
ma maggior danno fe' ne la sinistra;
che quella parte misera gli tolse,
che de la luce sola, era ministra.
Né d'acciecarlo contentar si volse
il colpo fier, s'ancor non lo registra
tra quelli spirti che con suoi compagni
fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.
37
Ne la spelonca una gran mensa siede
grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,
che sopra un mal pulito e grosso piede,
cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quell'agevolezza che si vede
gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,
Orlando il grave desco da sé scaglia
dove ristretta insieme è la canaglia.
38
A chi'l petto, a chi'l ventre, a chi la testa,
a chi rompe le gambe, a chi le braccia;
di ch'altri muore, altri storpiato resta:
chi meno è offeso, di fuggir procaccia.
Così talvolta un grave sasso pesta
e fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,
gittato sopra un gran drapel di biscie,
che dopo il verno al sol si goda e liscie.
39
Nascono casi, e non saprei dir quanti:
una muore, una parte senza coda,
un'altra non si può muover davanti,
e 'l deretano indarno aggira e snoda;
un'altra, ch'ebbe più propizi i santi,
striscia fra l'erbe, e va serpendo a proda.
Il colpo orribil fu, ma non mirando,
poi che lo fece il valoroso Orlando.
40
Quei che la mensa o nulla o poco offese
(e Turpin scrive a punto che fur sette),
ai piedi raccomandan sue difese:
ma ne l'uscita il paladin si mette;
e poi che presi gli ha senza contese,
le man lor lega con la fune istrette,
con una fune al suo bisogno destra,
che ritrovò ne la casa silvestra.
41
Poi li trascina fuor de la spelonca,
dove facea grande ombra un vecchio sorbo.
Orlando con la spada i rami tronca,
e quelli attacca per vivanda al corbo.
Non bisognò catena in capo adonca;
che per purgare il mondo di quel morbo,
l'arbor medesmo gli uncini prestolli,
con che pel mento Orlando ivi attaccolli.
42
La donna vecchia, amica a' malandrini,
poi che restar tutti li vide estinti,
fuggì piangendo e con le mani ai crini,
per selve e boscherecci labirinti.
Dopo aspri e malagevoli camini,
a gravi passi e dal timor sospinti,
in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;
ma diferisco a ricontar chi fosse:
43
e torno all'altra, che si raccomanda
al paladin che non la lasci sola;
e dice di seguirlo in ogni banda.
Cortesemente Orlando la consola;
e quindi, poi ch'uscì con la ghirlanda
di rose adorna e di purpurea stola
la bianca Aurora al solito camino,
partì con Isabella il paladino.
44
Senza trovar cosa che degna sia
d'istoria, molti giorni insieme andaro;
e finalmente un cavallier per via,
che prigione era tratto, riscontraro.
chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia
tal, di chi udir non vi sarà men caro:
la figliuola d'Amon, la qual lasciai
languida dianzi in amorosi guai.
45
La bella donna, disiando invano
ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno,
stava a Marsilia, ove allo stuol pagano
dava da travagliar quasi ogni giorno;
il qual scorrea, rubando in monte e in piano,
per Linguadoca e per Provenza intorno:
ed ella ben facea l'ufficio vero
di savio duca e d'ottimo guerriero.
46
Standosi quivi, e di gran spazio essendo
passato il tempo che tornare a lei
il suo Ruggier dovea, né lo vedendo,
vivea in timor di mille casi rei.
Un dì fra gli altri, che di ciò piangendo
stava solinga, le arrivò colei
che portò ne l'annel la medicina
che sanò il cor ch'avea ferito Alcina.
47
Come a sé ritornar senza il suo amante,
dopo si lungo termine, la vede,
resta pallida e smorta, e sì tremante,
che non ha forza di tenersi in piede:
ma la maga gentil le va davante
ridendo, poi che del timor s'avede;
e con viso giocondo la conforta,
qual aver suol chi buone nuove apporta.
48
- Non temer (disse) di Ruggier, donzella,
ch'è vivo e sano, e come suol, t'adora;
ma non è già in sua libertà; che quella
pur gli ha levata il tuo nemico ancora:
ed è bisogno che tu monti in sella,
se brami averlo, e che mi segui or ora;
che se mi segui, io t'aprirò la via
donde per te Ruggier libero fia.
-
49
E seguitò, narrandole di quello
magico error che gli avea ordito Atlante:
che simulando d'essa il viso bello,
che captiva parea del rio gigante,
tratto l'avea ne l'incantato ostello,
dove sparito poi gli era davante;
e come tarda con simile inganno
le donne e i cavallier che di là vanno.
50
A tutti par, l'incantator mirando,
mirar quel che per sé brama ciascuno,
donna, scudier, compagno, amico; quando
il desiderio uman non è tutto uno.
Quindi il palagio van tutti cercando
con lungo affanno, senza frutto alcuno;
e tanta è la speranza e il gran disire
del ritrovar, che non ne san partire.
51
Come tu giungi (disse) in quella parte
che giace presso all'incantata stanza,
verrà l'incantatore a ritrovarte,
che terrà di Ruggiero ogni sembianza;
e ti farà parer con sua mal'arte,
ch'ivi lo vinca alcun di più possanza,
acciò che tu per aiutarlo vada
dove con gli altri poi ti tenga a bada.
52
Acciò l'inganni, in che son tanti e tanti
caduti, non ti colgan, sie avertita,
che se ben di Ruggier viso e sembianti
ti parrà di veder, che chieggia aita,
non gli dar fede tu; ma, come avanti
ti vien, fagli lasciar l'indegna vita:
né dubitar perciò che Ruggier muoia,
ma ben colui che ti dà tanta noia.
53
Ti parrà duro assai, ben lo conosco,
uccidere un che sembri il tuo Ruggiero:
pur non dar fede all'occhio tuo, che losco
farà l'incanto, e celeragli il vero.
Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,
sì che poi non si cangi il tuo pensiero;
che sempre di Ruggier rimarrai priva,
se lasci per viltà che 'l mago viva.
-
54
La valorosa giovane, con questa
intenzion che 'l fraudolente uccida,
a pigliar l'arme ed a seguire è presta
Melissa; che sa ben quanto l'è fida.
Quella, or per terren culto, or per foresta,
a gran giornate e in gran fretta la guida,
cercando alleviarle tuttavia
con parlar grato la noiosa via.
55
E più di tutti i bei ragionamenti,
spesso le ripetea ch'uscir di lei
e di Ruggier doveano gli eccellenti
principi e gloriosi semidei.
Come a Melissa fossino presenti
tutti i secreti degli eterni dei,
tutte le cose ella sapea predire,
ch'avean per molti seculi a venire.
56
- Deh, come, o prudentissima mia scorta
(dicea a la maga l'inclita donzella),
molti anni prima tu m'hai fatta accorta
di tanta mia viril progenie bella;
così d'alcuna donna mi conforta,
che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella
metter si può tra belle e virtuose.
-
E la cortese maga le rispose:
57
- Da te uscir veggio le pudiche donne,
madri d'imperatori e di gran regi,
reparatrici e solide colonne
di case illustri e di domìni egregi;
che men degne non son ne le lor gonne,
ch'in arme i cavallier, di sommi pregi,
di pietà, di gran cor, di gran prudenza,
di somma e incomparabil continenza.
58
E s'io avrò da narrarti di ciascuna
che ne la stirpe tua sia d'onor degna,
troppo sarà; ch'io non ne veggio alcuna
che passar con silenzio mi convegna.
Ma ti farò, tra mille, scelta d'una
o di due coppie, acciò ch'a fin ne vegna.
Ne la spelonca perché nol dicesti?
che l'imagini ancor vedute avresti.
59
De la tua chiara stirpe uscirà quella
d'opere illustri e di bei studi amica,
ch'io non so ben se più leggiadra e bella
mi debba dire, o più saggia e pudica,
liberale e magnanima Isabella,
che del bel lume suo dì e notte aprica
farà la terra che sul Menzo siede,
a cui la madre d'Ocno il nome diede:
60
dove onorato e splendido certame
avrà col suo dignissimo consorte,
chi di lor più le virtù prezzi ed ame,
e chi meglio apra a cortesia le porte.
S'un narrerà ch'al Taro e nel Reame
fu a liberar da' Galli Italia forte;
l'altra dirà: - Sol perché casta visse
Penelope, non fu minor d'Ulisse.
-
61
Gran cose e molte in brevi detti accolgo
di questa donna e più dietro ne lasso,
che in quelli dì ch'io mi levai dal volgo,
mi fe' chiare Merlin dal cavo sasso.
E s'in questo gran mar la vela sciolgo,
di lunga Tifi in navigar trapasso.
Conchiudo in somma, ch'ella avrà, per dono,
de la virtù e del ciel, ciò ch'è di buono.
62
Seco avrà la sorella Beatrice,
a cui si converrà tal nome a punto:
ch'essa non sol del ben che qua giù lice,
per quel che viverà, toccherà il punto;
ma avrà forza di far seco felice,
fra tutti i ricchi duci, il suo congiunto,
il qual, come ella poi lascerà il mondo,
così de l'infelici andrà nel fondo.
63
E Moro e Sforza e Viscontei colubri,
lei viva, formidabili saranno
da l'iperboree nievi ai lidi rubri,
da l'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno:
lei morta, andran col regno degl'Insubri,
e con grave di tutta Italia danno,
in servitute; e fia stimata, senza
costei, ventura la somma prudenza.
64
Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome
medesmo, e nasceran molt'anni prima:
di ch'una s'ornerà le sacre chiome
de la corona di Pannonia opima;
un'altra, poi che le terrene some
lasciate avrà, fia ne l'ausonio clima
collocata nel numer de le dive,
ed avrà incensi e imagini votive.
65
De l'altre tacerò; che, come ho detto,
lungo sarebbe a ragionar di tante;
ben che per sé ciascuna abbia suggetto
degno, ch'eroica e chiara tuba cante.
Le Bianche, le Lucrezie io terrò in petto,
e le Costanze e l'altre, che di quante
splendide case Italia reggeranno,
reparatrici e madri ad esser hanno.
66
Più ch'altre fosser mai, le tue famiglie
saran ne le lor donne aventurose;
non dico in quella più de le lor figlie,
che ne l'alta onestà de le lor spose.
E acciò da te notizia anco si piglie
di questa parte che Merlin mi espose,
forse perch'io 'l dovessi a te ridire,
ho di parlarne non poco desire.
67
E dirò prima di Ricciarda, degno
esempio di fortezza e d'onestade:
vedova rimarrà, giovane, a sdegno
di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.
I figli, privi del paterno regno,
esuli andar vedrà in strane contrade,
fanciulli in man degli aversari loro;
ma infine avrà il suo male amplo ristoro.
68
De l'alta stirpe d'Aragone antica
non tacerò la splendida regina,
di cui né saggia sì, né sì pudica
veggio istoria lodar greca o latina,
né a cui Fortuna più si mostri amica:
poi che sarà da la Bontà divina
elletta madre a parturir la bella
progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.
69
Costei sarà la saggia Leonora,
che nel tuo felice arbore s'inesta.
Che ti dirò de la seconda nuora,
succeditrice prossima di questa?
Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora
le beltà, la virtù, la fama onesta
e la fortuna crescerà, non meno
che giovin pianta in morbido terreno.
70
Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro,
il campestre papavero alla rosa,
pallido salce al sempre verde alloro,
dipinto vetro a gemma preziosa;
tal a costei, ch'ancor non nata onoro,
sarà ciascuna insino a qui famosa
di singular beltà, di gran prudenza,
e d'ogni altra lodevole eccellenza.
71
E sopra tutti gli altri incliti pregi
che le saranno e a viva e a morta dati,
si loderà che di costumi regi
Ercole e gli altri figli avrà dotati,
e dato gran principio ai ricchi fregi
di che poi s'orneranno in toga e armati;
perché l'odor non se ne va sì in fretta,
ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.
72
Non voglio ch'in silenzio anco Renata
di Francia, nuora di costei, rimagna,
di Luigi il duodecimo re nata,
e de l'eterna gloria di Bretagna.
Ogni virtù ch'in donna mai sia stata,
di poi che 'l fuoco scalda e l'acqua bagna,
e gira intorno il cielo, insieme tutta
per Renata adornar veggio ridutta.
73
Lungo sarà che d'Alda di Sansogna
narri, o de la contessa di Celano,
o di Bianca Maria di Catalogna,
o de la figlia del re sicigliano,
o de la bella Lippa da Bologna,
e d'altre; che s'io vo' di mano in mano
venirtene dicendo le gran lode,
entro in un alto mar che non ha prode.
-
74
Poi che le raccontò la maggior parte
de la futura stirpe a suo grand'agio,
più volte e più le replicò de l'arte
ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si fermò, poi che fu in parte
vicina al luogo del vecchio malvagio;
e non le parve di venir più inante,
acciò veduta non fosse da Atlante.
75
E la donzella di nuovo consiglia
di quel che mille volte ormai l'ha detto.
La lascia sola; e quella oltre a dua miglia
non cavalcò per un sentiero istretto,
che vide quel ch'al suo Ruggier simiglia;
e dui giganti di crudele aspetto
intorno avea, che lo stringean sì forte,
ch'era vicino esser condotto a morte.
76
Come la donna in tal periglio vede
colui che di Ruggiero ha tutti i segni,
subito cangia in sospizion la fede,
subito oblia tutti i suoi bei disegni.
Che sia in odio a Melissa Ruggier crede,
per nuova ingiuria e non intesi sdegni,
e cerchi far con disusata trama
che sia morto da lei che così l'ama.
77
Seco dicea: - Non è Ruggier costui,
che col cor sempre, ed or con gli occhi veggio?
e s'or non veggio e non conosco lui,
che mai veder o mai conoscer deggio?
perché voglio io de la credenza altrui
che la veduta mia giudichi peggio?
Che senza gli occhi ancor, sol per se stesso
può il cor sentir se gli è lontano o appresso.
-
78
Mentre che così pensa, ode la voce
che le par di Ruggier, chieder soccorso;
e vede quello a un tempo, che veloce
sprona il cavallo e gli ralenta il morso,
e l'un nemico e l'altro suo feroce,
che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la donna non rimase,
che si condusse all'incantate case.
79
De le quai non più tosto entrò le porte,
che fu sommersa nel commune errore.
Lo cercò tutto per vie dritte e torte
invan di su e di giù, dentro e di fuore;
né cessa notte o dì, tanto era forte
l'incanto: e fatto avea l'incantatore,
che Ruggier vede sempre e gli favella,
né Ruggier lei, né lui riconosce ella.
80
Ma lasciàn Bradamante, e non v'incresca
udir che così resti in quello incanto;
che quando sarà il tempo ch'ella n'esca,
la farò uscire, e Ruggiero altretanto.
Come raccende il gusto il mutar esca,
così mi par che la mia istoria, quanto
or qua or là più variata sia,
meno a chi l'udirà noiosa fia.
81
Di molte fila esser bisogno parme
a condur la gran tela ch'io lavoro.
E però non vi spiaccia d'ascoltarme,
come fuor de le stanze il popul Moro
davanti al re Agramante ha preso l'arme,
che, molto minacciando ai Gigli d'oro,
lo fa assembrare ad una mostra nuova,
per saper quanta gente si ritruova.
82
Perch'oltre i cavallieri, oltre i pedoni
ch'al numero sottratti erano in copia,
mancavan capitani, e pur de' buoni,
e di Spagna e di Libia e d'Etiopia,
e le diverse squadre e le nazioni
givano errando senza guida propia;
per dare e capo ed ordine a ciascuna,
tutto il campo alla mostra si raguna.
83
In supplimento de le turbe uccise
ne le battaglie e ne' fieri conflitti,
l'un signore in Ispagna, e l'altro mise
in Africa, ove molti n'eran scritti;
e tutti alli lor ordini divise,
e sotto i duci lor gli ebbe diritti.
Differirò, Signor, con grazia vostra,
ne l'altro canto l'ordine e la mostra.
CANTO QUATTORDICESIMO
1
Nei molti assalti e nei crudel conflitti,
ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,
morti erano infiniti, e derelitti
al lupo, al corvo, all'aquila griffagna;
e ben che i Franchi fossero più afflitti,
che tutta avean perduta la campagna;
più si doleano i Saracin, per molti
principi e gran baron ch'eran lor tolti.
2
Ebbon vittorie così sanguinose,
che lor poco avanzò di che allegrarsi.
E se alle antique le moderne cose,
invitto Alfonso, denno assimigliarsi;
la gran vittoria, onde alle virtuose
opere vostre può la gloria darsi,
di ch'aver sempre lacrimose ciglia
Ravenna debbe, a queste s'assimiglia:
3
quando cedendo Morini e Picardi,
l'esercito normando e l'aquitano,
voi nel mezzo assaliste gli stendardi
del quasi vincitor nimico ispano,
seguendo voi quei gioveni gagliardi,
che meritar con valorosa mano
quel dì da voi, per onorati doni,
l'else indorate e gl'indorati sproni.
4
Con sì animosi petti che vi foro
vicini o poco lungi al gran periglio,
crollaste sì le ricche Giande d'oro,
sì rompeste il baston giallo e vermiglio,
ch'a voi si deve il trionfale alloro,
che non fu guasto né sfiorato il Giglio.
D'un'altra fronde v'orna anco la chioma
l'aver serbato il suo Fabrizio a Roma.
5
La gran Colonna del nome romano,
che voi prendeste, e che servaste intera,
vi dà più onor che se di vostra mano
fosse caduta la milizia fiera,
quanta n'ingrassa il campo ravegnano,
e quanta se n'andò senza bandiera
d'Aragon, di Castiglia e di Navarra,
veduto non giovar spiedi né carra.
6
Quella vittoria fu più di conforto,
che d'allegrezza; perché troppo pesa
contra la gioia nostra il veder morto
il capitan di Francia e de l'impresa;
e seco avere una procella absorto
tanti principi illustri, ch'a difesa
dei regni lor, dei lor confederati,
di qua da le fredd'Alpi eran passati.
7
Nostra salute, nostra vita in questa
vittoria suscitata si conosce,
che difende che 'l verno e la tempesta
di Giove irato sopra noi non crosce:
ma né goder potiam, né farne festa,
sentendo i gran ramarichi e l'angosce,
ch'in veste bruna e lacrimosa guancia
le vedovelle fan per tutta Francia.
8
Bisogna che proveggia il re Luigi
di nuovi capitani alle sue squadre,
che per onor de l'aurea Fiordaligi
castighino le man rapaci e ladre,
che suore, e frati e bianchi e neri e bigi
violato hanno, e sposa e figlia e madre;
gittato in terra Cristo in sacramento,
per torgli un tabernaculo d'argento.
9
O misera Ravenna, t'era meglio
ch'al vincitor non fêssi resistenza;
far ch'a te fosse inanzi Brescia speglio,
che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.
Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio,
ch'insegni a questi tuoi più continenza,
e conti lor quanti per simil torti
stati ne sian per tutta Italia morti.
10
Come di capitani bisogna ora
che 'l re di Francia al campo suo proveggia,
così Marsilio ed Agramante allora,
per dar buon reggimento alla sua greggia,
dai lochi dove il verno fe' dimora,
vuol ch'in campagna all'ordine si veggia;
perché vedendo ove bisogno sia,
guida e governo ad ogni schiera dia.
11
Marsilio prima, e poi fece Agramante
passar la gente sua schiera per schiera.
I Catalani a tutti gli altri inante
di Dorifebo van con la bandiera.
Dopo vien, senza il suo re Folvirante,
che per man di Rinaldo già morto era,
la gente di Navarra; e lo re ispano
halle dato Isolier per capitano.
12
Balugante del popul di Leone,
Grandonio cura degli Algarbi piglia;
il fratel di Marsilio, Falsirone,
ha seco armata la minor Castiglia.
Seguon di Madarasso il gonfalone
quei che lasciato han Malaga e Siviglia,
dal mar di Gade a Cordova feconda
le verdi ripe ovunque il Beti inonda.
13
Stordilano e Tesira e Baricondo,
l'un dopo l'altro, mostra la sua gente:
Granata al primo, Ulisbona al secondo,
e Maiorica al terzo è ubidiente.
Fu d'Ulisbona re (tolto dal mondo
Larbin) Tesira, di Larbin parente.
Poi vien Galizia, che sua guida, in vece
di Maricoldo, Serpentino fece.
14
Quei di Tolledo e quei di Calatrava,
di ch'ebbe Sinagon già la bandiera,
con tutta quella gente che si lava
in Guadiana e bee de la riviera,
l'audace Matalista governava;
Bianzardin quei d'Asturga in una schiera
con quei di Salamanca e di Piagenza,
d'Avila, di Zamora e di Palenza.
15
Di quei di Saragosa e de la corte
del re Marsilio ha Ferraù il governo:
tutta la gente è ben armata e forte.
In questi è Malgarino, Balinverno,
Malzarise e Morgante, ch'una sorte
avea fatto abitar paese esterno;
che, poi che i regni lor lor furon tolti,
gli avea Marsilio in corte sua raccolti.
16
In questa è di Marsilio il gran bastardo,
Follicon d'Almeria, con Doriconte,
Bavarte e Largalifa ed Analardo,
ed Archidante il sagontino conte,
e Lamirante e Langhiran gagliardo,
e Malagur ch'avea l'astuzie pronte,
ed altri ed altri, di quai penso, dove
tempo sarà, di far veder le pruove.
17
Poi che passò l'esercito di Spagna
con bella mostra inanzi al re Agramante,
con la sua squadra apparve alla campagna
il re d'Oran, che quasi era gigante.
L'altra che vien, per Martasin si lagna,
il qual morto le fu da Bradamante;
e si duol ch'una femina si vanti
d'aver ucciso il re de' Garamanti.
18
Segue la terza schiera di Marmonda,
ch'Argosto morto abbandonò in Guascogna:
a questa un capo, come alla seconda
e come anco alla quarta, dar bisogna.
Quantunque il re Agramante non abonda
di capitani, pur ne finge e sogna:
dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,
e dove uopo ne fu, guida li messe.
19
Diede ad Arganio quei di Libicana,
che piangean morto il negro Dudrinasso.
Guida Brunello i suoi di Tingitana,
con viso nubiloso e ciglio basso;
che, poi che ne la selva non lontana
dal castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso,
gli fu tolto l'annel da Bradamante,
caduto era in disgrazia al re Agramante:
20
e se 'l fratel di Ferraù, Isoliero,
ch'a l'arbore legato ritrovollo,
non facea fede inanzi al re del vero,
avrebbe dato in su le forche un crollo.
Mutò, a' prieghi di molti, il re pensiero,
già avendo fatto porgli il laccio al collo:
gli lo fece levar, ma riserbarlo
pel primo error; che poi giurò impiccarlo:
21
sì ch'avea causa di venir Brunello
col viso mesto e con la testa china.
Seguia poi Farurante, e dietro a quello
eran cavalli e fanti di Maurina.
Venìa Libanio appresso, il re novello:
la gente era con lui di Constantina;
però che la corona e il baston d'oro
gli ha dato il re, che fu di Pinadoro.
22
Con la gente d'Esperia Soridano,
e Dorilon ne vien con quei di Setta;
ne vien coi Nasamoni Puliano.
Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta;
Malabuferso quelli di Fizano.
Da Finadurro è l'altra squadra retta,
che di Canaria viene e di Marocco;
Balastro ha quei che fur del re Tardocco.
23
Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,
seguono: e questa ha 'l suo signore antico;
quella n'è priva; e però il re sortilla,
e diella a Corineo suo fido amico.
E così de la gente d'Almansilla,
ch'ebbe Tanfirion, fe' re Caico;
diè quella di Getulia a Rimedonte.
Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.
24
Quell'altra schiera è la gente di Bolga:
suo re è Clarindo, e già fu Mirabaldo.
Vien Baliverzo, il qual vuò che tu tolga
di tutto il gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in tutto il campo si disciolga
bandiera ch'abbia esercito più saldo
de l'altra, con che segue il re Sobrino,
né più di lui prudente Saracino.
25
Quei di Bellamarina, che Gualciotto
solea guidare, or guida il re d'Algieri
Rodomonte, e di Sarza, che condotto
di nuovo avea pedoni e cavallieri;
che mentre il sol fu nubiloso sotto
il gran centauro e i corni orridi e fieri,
fu in Africa mandato da Agramante,
onde venuto era tre giorni inante.
26
Non avea il campo d'Africa più forte,
né Saracin più audace di costui:
e più temean le parigine porte,
ed avean più cagion di temer lui,
che Marsilio, Agramante e la gran corte
ch'avea seguito in Francia questi dui:
e più d'ogni altro che facesse mostra,
era nimico de la fede nostra.
27
Vien Prusione, il re de l'Alvaracchie;
poi quel de la Zumara, Dardinello.
Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,
o altro manco ed importuno augello,
il qual dai tetti e da le fronde gracchie
futuro mal, predetto a questo e a quello,
che fissa in ciel nel dì seguente è l'ora
che l'uno e l'altro in quella pugna muora.
28
In campo non aveano altri a venire,
che quei di Tremisenne e di Norizia;
né si vedea alla mostra comparire
il segno lor, né dar di sé notizia.
Non sapendo Agramante che si dire,
né che pensar di questa lor pigrizia,
uno scudiero al fin gli fu condutto
del re di Tremisen, che narrò il tutto.
29
E gli narrò ch'Alzirdo e Manilardo
con molti altri de' suoi giaceano al campo.
- Signor (diss'egli), il cavallier gagliardo
ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,
se fosse stato a torsi via più tardo
di me, ch'a pena ancor così ne scampo.
Fa quel de' cavallieri e de' pedoni,
che 'l lupo fa di capre e di montoni.
-
30
Era venuto pochi giorni avante
nel campo del re d'Africa un signore;
né in Ponente era, né in tutto Levante,
di più forza di lui, né di più core.
Gli facea grande onore il re Agramante,
per esser costui figlio e successore
in Tartaria del re Agrican gagliardo:
suo nome era il feroce Mandricardo.
31
Per molti chiari gesti era famoso,
e di sua fama tutto il mondo empìa;
ma lo facea più d'altro glorioso,
ch'al castel de la fata di Soria
l'usbergo avea acquistato luminoso
ch'Ettor troian portò mille anni pria,
per strana e formidabile aventura,
che 'l ragionarne pur mette paura.
32
Trovandosi costui dunque presente
a quel parlar, alzò l'ardita faccia;
e si dispose andare immantinente,
per trovar quel guerrier, dietro alla traccia.
Ritenne occulto il suo pensiero in mente,
o sia perché d'alcun stima non faccia,
o perché tema, se 'l pensier palesa,
ch'un altro inanzi a lui pigli l'impresa.
33
Allo scudier fe' dimandar come era
la sopravesta di quel cavalliero.
Colui rispose: - Quella è tutta nera,
lo scudo nero, e non ha alcun cimiero.
-
E fu, Signor, la sua risposta vera,
perché lasciato Orlando avea il quartiero;
che come dentro l'animo era in doglia,
così imbrunir di fuor volse la spoglia.
34
Marsilio a Mandricardo avea donato
un destrier baio a scorza di castagna,
con gambe e chiome nere; ed era nato
di frisa madre e d'un villan di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato,
e galoppando va per la campagna;
e giura non tornare a quelle schiere
se non truova il campion da l'arme nere.
35
Molta incontrò de la paurosa gente
che da le man d'Orlando era fuggita,
chi del figliuol, chi del fratel dolente,
ch'inanzi agli occhi suoi perdè la vita.
Ancora la codarda e trista mente
ne la pallida faccia era sculpita;
ancor, per la paura che avuta hanno,
pallidi, muti ed insensati vanno.
36
Non fe' lungo camin, che venne dove
crudel spettaculo ebbe ed inumano,
ma testimonio alle mirabil pruove
che fur raconte inanzi al re africano.
Or mira questi, or quelli morti, e muove,
e vuol le piaghe misurar con mano,
mosso da strana invidia ch'egli porta
al cavallier ch'avea la gente morta.
37
Come lupo o mastin ch'ultimo giugne
al bue lasciato morto da' villani,
che truova sol le corna, l'ossa e l'ugne,
del resto son sfamati augelli e cani;
riguarda invano il teschio che non ugne:
così fa il crudel barbaro in que' piani.
Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa,
che venne tardi e così ricca mensa.
38
Quel giorno e mezzo l'altro segue incerto
il cavallier dal negro, e ne domanda.
Ecco vede un pratel d'ombre coperto,
che sì d'un alto fiume si ghirlanda,
che lascia a pena un breve spazio aperto,
dove l'acqua si torce ad altra banda.
Un simil luogo con girevol onda
sotto Ocricoli il Tevere circonda.
39
Dove entrar si potea, con l'arme indosso
stavano molti cavallieri armati.
Chiede il pagan, chi gli avea in stuol sì grosso,
ed a che effetto insieme ivi adunati.
Gli fe' risposta il capitano, mosso
dal signoril sembiante e da' fregiati
d'oro e di gemme arnesi di gran pregio,
che lo mostravan cavalliero egregio.
40
- Dal nostro re siàn (disse) di Granata
chiamati in compagnia de la figliuola,
la quale al re di Sarza ha maritata,
ben che di ciò la fama ancor non vola.
Come appresso la sera racchetata
la cicaletta sia, ch'or s'ode sola,
avanti al padre fra l'ispane torme
la condurremo: intanto ella si dorme.
-
41
Colui, che tutto il mondo vilipende,
disegna di veder tosto la pruova,
se quella gente o bene o mal difende
la donna, alla cui guardia si ritruova.
Disse: - Costei, per quanto se n'intende,
è bella; e di saperlo ora mi giova.
A lei mi mena, o falla qui venire;
ch'altrove mi convien subito gire.
-
42
- Esser per certo dei pazzo solenne, -
rispose il Granatin, né più gli disse.
Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne
con l'asta bassa, e il petto gli trafisse;
che la corazza il colpo non sostenne,
e forza fu che morto in terra gisse.
L'asta ricovra il figlio d'Agricane,
perché altro da ferir non gli rimane.
43
Non porta spada né baston; che quando
l'arme acquistò, che fu d'Ettor troiano,
perché trovò che lor mancava il brando,
gli convenne giurar (né giurò invano)
che fin che non togliea quella d'Orlando,
mai non porrebbe ad altra spada mano:
Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima,
e Orlando or porta, Ettor portava prima.
44
Grande è l'ardir del Tartaro, che vada
con disvantaggio tal contra coloro,
gridando: - Chi mi vuol vietar la strada? -
E con la lancia si cacciò tra loro.
Chi l'asta abbassa, e chi tra' fuor la spada;
e d'ogn'intorno subito gli foro.
Egli ne fece morir una frotta,
prima che quella lancia fosse rotta.
45
Rotta che se la vede, il gran troncone
che resta intero, ad ambe mani afferra;
e fa morir con quel tante persone,
che non fu vista mai più crudel guerra.
Come tra' Filistei l'ebreo Sansone
con la mascella che levò di terra,
scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso
spenge i cavalli ai cavallieri appresso.
46
Correno a morte que' miseri a gara,
né perché cada l'un, l'altro andar cessa;
che la maniera del morire, amara
lor par più assai che non è morte istessa.
Patir non ponno che la vita cara
tolta lor sia da un pezzo d'asta fessa,
e sieno sotto alle picchiate strane
a morir giunti, come biscie o rane.
47
Ma poi ch'a spese lor si furo accorti
che male in ogni guisa era morire,
sendo già presso alli duo terzi morti,
tutto l'avanzo cominciò a fuggire.
Come del proprio aver via se gli porti,
il Saracin crudel non può patire
ch'alcun di quella turba sbigottita
da lui partir si debba con la vita.
48
Come in palude asciutta dura poco
stridula canna, o in campo àrrida stoppia
contra il soffio di borea e contra il fuoco
che 'l cauto agricultore insieme accoppia,
quando la vaga fiamma occupa il loco,
e scorre per li solchi, e stride e scoppia;
così costor contra la furia accesa
di Mandricardo fan poca difesa.
49
Poscia ch'egli restar vede l'entrata,
che mal guardata fu, senza custode;
per la via che di nuovo era segnata
ne l'erba, e al suono dei ramarchi ch'ode,
viene a veder la donna di Granata,
se di bellezze è pari alle sue lode:
passa tra i corpi de la gente morta,
dove gli dà, torcendo, il fiume porta.
50
E Doralice in mezzo il prato vede
(che così nome la donzella avea),
la qual, suffolta da l'antico piede
d'un frassino silvestre, si dolea.
Il pianto, come un rivo che succede
di viva vena, nel bel sen cadea;
e nel bel viso si vedea che insieme
de l'altrui mal si duole, e del suo teme.
51
Crebbe il timor, come venir lo vide
di sangue brutto e con faccia empia e oscura,
e'l grido sin al ciel l'aria divide,
di sé e de la sua gente per paura;
che, oltre i cavallier, v'erano guide,
che de la bella infante aveano cura,
maturi vecchi, e assai donne e donzelle
del regno di Granata, e le più belle.
52
Come il Tartaro vede quel bel viso
che non ha paragone in tutta Spagna,
e c'ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso?)
tesa d'Amor l'inestricabil ragna;
non sa se vive in terra o in paradiso:
né de la sua vittoria altro guadagna,
se non che in man de la sua prigioniera
si dà prigione, e non sa in qual maniera.
53
A lei però non si concede tanto,
che del travaglio suo le doni il frutto;
ben che piangendo ella dimostri, quanto
possa donna mostrar, dolore e lutto.
Egli, sperando volgerle quel pianto
in sommo gaudio, era disposto al tutto
menarla seco; e sopra un bianco ubino
montar la fece, e tornò al suo camino.
54
Donne e donzelle e vecchi ed altra gente,
ch'eran con lei venuti di Granata,
tutti licenziò benignamente,
dicendo: - Assai da me fia accompagnata;
io mastro, io balia, io le sarò sergente
in tutti i suoi bisogni: a Dio brigata.
-
Così, non gli possendo far riparo,
piangendo e sospirando se n'andaro;
55
tra lor dicendo: - Quanto doloroso
ne sarà il padre, come il caso intenda!
quanta ira, quanto duol ne avrà il suo sposo!
oh come ne farà vendetta orrenda!
Deh, perché a tempo tanto bisognoso
non è qui presso a far che costui renda
il sangue illustre del re Stordilano,
prima che se lo porti più lontano? -
56
De la gran preda il Tartaro contento,
che fortuna e valor gli ha posta inanzi,
di trovar quel dal negro vestimento
non par ch'abbia la fretta ch'avea dianzi.
Correva dianzi: or viene adagio e lento;
e pensa tuttavia dove si stanzi,
dove ritruovi alcun commodo loco,
per esalar tanto amoroso foco.
57
Tuttavolta conforta Doralice,
ch'avea di pianto e gli occhi e 'l viso molle:
compone e finge molte cose, e dice
che per fama gran tempo ben le volle;
e che la patria, e il suo regno felice
che 'l nome di grandezza agli altri tolle,
lasciò, non per vedere o Spagna o Francia,
ma sol per contemplar sua bella guancia.
58
- Se per amar, l'uom debbe essere amato,
merito il vostro amor; che v'ho amat'io:
se per stirpe, di me chi è meglio nato?
che'l possente Agrican fu il padre mio:
se per ricchezza, chi ha di me più stato?
che di dominio io cedo solo a Dio:
se per valor, credo oggi aver esperto
ch'esser amato per valore io merto.
-
59
Queste parole ed altre assai, ch'Amore
a Mandricardo di sua bocca ditta,
van dolcemente a consolar il core
de la donzella di paura afflitta.
Il timor cessa, e poi cessa il dolore
che le avea quasi l'anima trafitta.
Ella comincia con più pazienza
a dar più grata al nuovo amante udienza;
60
poi con risposte più benigne molto
a mostrarsegli affabile e cortese,
e non negargli di fermar nel volto
talor le luci di pietade accese:
onde il pagan, che da lo stral fu colto
altre volte d'Amor, certezza prese,
non che speranza, che la donna bella
non saria a' suo' desir sempre ribella.
61
Con questa compagnia lieto e gioioso,
che sì gli satisfà, sì gli diletta,
essendo presso all'ora ch'a riposo
la fredda notte ogni animale alletta,
vedendo il sol già basso e mezzo ascoso,
comminciò a cavalcar con maggior fretta;
tanto ch'udì sonar zuffoli e canne,
e vide poi fumar ville e capanne.
62
Erano pastorali alloggiamenti,
miglior stanza e più commoda, che bella.
Quivi il guardian cortese degli armenti
onorò il cavalliero e la donzella,
tanto che si chiamar da lui contenti;
che non pur per cittadi e per castella,
ma per tuguri ancora e per fenili
spesso si trovan gli uomini gentili.
63
Quel che fosse dipoi fatto all'oscuro
tra Doralice e il figlio d'Agricane,
a punto racontar non m'assicuro;
sì ch'al giudicio di ciascun rimane.
Creder si può che ben d'accordo furo;
che si levar più allegri la dimane,
e Doralice ringraziò il pastore,
che nel suo albergo le avea fatto onore.
64
Indi d'uno in un altro luogo errando,
si ritrovaro al fin sopra un bel fiume
che con silenzio al mar va declinando,
e se vada o se stia, mal si prosume;
limpido e chiaro sì, ch'in lui mirando,
senza contesa al fondo porta il lume.
In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,
trovar dui cavallieri e una donzella.
65
Or l'alta fantasia, ch'un sentier solo
non vuol ch'i'segua ognor, quindi mi guida,
e mi ritorna ove il moresco stuolo
assorda di rumor Francia e di grida,
d'intorno il padiglione ove il figliuolo
del re Troiano il santo Impero sfida,
e Rodomonte audace se gli vanta
arder Parigi e spianar Roma santa.
66
Venuto ad Agramante era all'orecchio,
che già l'Inglesi avean passato il mare:
però Marsilio e il re del Garbo vecchio
e gli altri capitan fece chiamare.
Consiglian tutti a far grande apparecchio,
sì che Parigi possino espugnare.
Ponno esser certi che più non s'espugna,
se nol fan prima che l'aiuto giugna.
67
Già scale innumerabili per questo
da' luoghi intorno avea fatto raccorre,
ed asse e travi, e vimine contesto,
che lo poteano a diversi usi porre;
e navi e ponti: e più facea che 'l resto,
il primo e il secondo ordine disporre
a dar l'assalto; ed egli vuol venire
tra quei che la città denno assalire.
68
L'imperatore il dì che 'l dì precesse
de la battaglia, fe' dentro a Parigi
per tutto celebrare uffici e messe
a preti, a frati bianchi, neri e bigi;
e le gente che dianzi eran confesse,
e di man tolte agl'inimici stigi,
tutti communicar, non altramente
ch'avessino a morir il dì seguente.
69
Ed egli tra baroni e paladini,
principi ed oratori, al maggior tempio
con molta religione a quei divini
atti intervenne, e ne diè agli altri esempio.
Con le man giunte e gli occhi al ciel supini,
disse: - Signor, ben ch'io sia iniquo ed empio,
non voglia tua bontà, pel mio fallire,
che 'l tuo popul fedele abbia a patire.
70
E se gli è tuo voler ch'egli patisca,
e ch'abbia il nostro error degni supplici,
almeno la punizion si differisca
sì, che per man non sia de' tuoi nemici;
che quando lor d'uccider noi sortisca,
che nome avemo pur d'esser tuo' amici,
i pagani diran che nulla puoi,
che perir lasci i partigiani tuoi.
71
E per un che ti sia fatto ribelle,
cento ti si faran per tutto il mondo;
tal che la legge falsa di Babelle
caccerà la tua fede e porrà al fondo.
Difendi queste genti, che son quelle
che 'l tuo sepulcro hanno purgato e mondo
da' brutti cani, e la tua santa Chiesa
con li vicari suoi spesso difesa.
72
So che i meriti nostri atti non sono
a satisfare al debito d'un'oncia;
né devemo sperar da te perdono,
se riguardiamo a nostra vita sconcia:
ma se vi aggiugni di tua grazia il dono,
nostra ragion fia ragguagliata e concia;
né del tuo aiuto disperar possiamo,
qualor di tua pietà ci ricordiamo.
-
73
Così dicea l'imperator devoto,
con umiltade e contrizion di core.
Giunse altri prieghi e convenevol voto
al gran bisogno e all'alto suo splendore.
Non fu il caldo pregar d'effetto voto;
però che 'l genio suo, l'angel migliore,
i prieghi tolse e spiegò al ciel le penne,
ed a narrare al Salvator li venne.
74
E furo altri infiniti in quello instante
da tali messagger portati a Dio;
che come gli ascoltar l'anime sante,
dipinte di pietade il viso pio,
tutte miraro il sempiterno Amante,
e gli mostraro il commun lor disio,
che la giusta orazion fosse esaudita
del populo cristian che chiede aita.
75
E la Bontà ineffabile, ch'invano
non fu pregata mai da cor fedele,
leva gli occhi pietosi, e fa con mano
cenno che venga a sé l'angel Michele.
- Va (gli disse) all'esercito cristiano
che dianzi in Picardia calò le vele,
e al muro di Parigi l'appresenta
sì, che 'l campo nimico non lo senta.
76
Truova prima il Silenzio, e da mia parte
gli di' che teco a questa impresa venga;
ch'egli ben proveder con ottima arte
saprà di quanto proveder convenga.
Fornito questo, subito va in parte
dove il suo seggio la Discordia tenga:
dille che l'esca e il fucil seco prenda,
e nel campo de' Mori il fuoco accenda;
77
e tra quei che vi son detti più forti
sparga tante zizzanie e tante liti,
che combattano insieme; ed altri morti,
altri ne sieno presi, altri feriti,
e fuor del campo altri lo sdegno porti
sì che il lor re poco di lor s'aiti.
-
Non replica a tal detto altra parola
il benedetto augel, ma dal ciel vola.
78
Dovunque drizza Michel angel l'ale,
fuggon le nubi, e torna il ciel sereno.
Gli gira intorno un aureo cerchio, quale
veggiàn di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via, dove si cale
il celeste corrier per fallir meno
a trovar quel nimico di parole,
a cui la prima commission far vuole.
79
Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;
e se accordaro infin tutti i pensieri,
che de frati e de monachi rinchiusi
lo può trovare in chiese e in monasteri,
dove sono i parlari in modo esclusi,
che 'l Silenzio, ove cantano i salteri,
ove dormeno, ove hanno la piatanza,
e finalmente è scritto in ogni stanza.
80
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
con maggior fretta le dorate penne;
e di veder ch'ancor Pace vi fosse,
Quiete e Carità, sicuro tenne.
Ma da la opinion sua ritrovosse
tosto ingannato, che nel chiostro venne:
non è Silenzio quivi; e gli fu ditto
che non v'abita più, fuor che in iscritto.
81
Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,
né quivi Amor, né quivi Pace mira.
Ben vi fur già, ma ne l'antiqua etade;
che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.
Di tanta novità l'angel si ammira:
andò guardando quella brutta schiera,
e vide ch'anco la Discordia v'era.
82
Quella che gli avea detto il Padre eterno,
dopo il Silenzio, che trovar dovesse.
Pensato avea di far la via d'Averno,
che si credea che tra' dannati stesse;
e ritrovolla in questo nuovo inferno
(ch'il crederia?) tra santi uffici e messe.
Par di strano a Michel ch'ella vi sia,
che per trovar credea di far gran via.
83
La conobbe al vestir di color cento,
fatto a liste inequali ed infinite,
ch'or la cuoprono or no; che i passi e 'l vento
le giano aprendo, ch'erano sdrucite.
I crini avea qual d'oro e qual d'argento,
e neri e bigi, e aver pareano lite;
altri in treccia, altri in nastro eran raccolti,
molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.
84
Di citatorie piene e di libelli,
d'esamine e di carte di procure
avea le mani e il seno, e gran fastelli
di chiose, di consigli e di letture;
per cui le facultà de' poverelli
non sono mai ne le città sicure.
Aveva dietro e dinanzi e d'ambi i lati,
notai, procuratori ed avocati.
85
La chiama a sé Michele, e le commanda
che tra i più forti Saracini scenda,
e cagion truovi, che con memoranda
ruina insieme a guerreggiar gli accenda.
Poi del Silenzio nuova le domanda:
facilmente esser può ch'essa n'intenda,
sì come quella ch'accendendo fochi
di qua e di là, va per diversi lochi.
86
Rispose la Discordia: - Io non ho a mente
in alcun loco averlo mai veduto:
udito l'ho ben nominar sovente,
e molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude, una qui di nostra gente,
che compagnia talvolta gli ha tenuto,
penso che dir te ne saprà novella; -
e verso una alzò il dito, e disse: - È quella.
-
87
Avea piacevol viso, abito onesto,
un umil volger d'occhi, un andar grave,
un parlar sì benigno e sì modesto,
che parea Gabriel che dicesse: Ave.
Era brutta e deforme in tutto il resto:
ma nascondea queste fattezze prave
con lungo abito e largo; e sotto quello,
attosicato avea sempre il coltello.
88
Domanda a costei l'angelo, che via
debba tener, sì che 'l Silenzio truove.
Disse la Fraude: - Già costui solia
fra virtudi abitare, e non altrove,
con Benedetto e con quelli d'Elia
ne le badie, quando erano ancor nuove:
fe' ne le scuole assai de la sua vita
al tempo di Pitagora e d'Archita.
89
Mancati quei filosofi e quei santi
che lo solean tener pel camin ritto,
dagli onesti costumi ch'avea inanti,
fece alle sceleraggini tragitto.
Cominciò andar la notte con gli amanti,
indi coi ladri, e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora:
veduto l'ho con l'Omicidio ancora.
90
Con quei che falsan le monete ha usanza
di ripararsi in qualche buca scura.
Così spesso compagni muta e stanza,
che 'l ritrovarlo ti saria ventura;
ma pur ho d'insegnartelo speranza:
se d'arrivare a mezza notte hai cura
alla casa del Sonno, senza fallo
potrai (che quivi dorme) ritrovallo.
-
91
Ben che soglia la Fraude esser bugiarda,
pur è tanto il suo dir simile al vero,
che l'angelo le crede; indi non tarda
a volarsene fuor del monastero.
Tempra il batter de l'ale, e studia e guarda
giungere in tempo al fin del suo sentiero,
ch'alla casa del Sonno, che ben dove
era sapea, questo Silenzio truove.
92
Giace in Arabia una valletta amena,
lontana da cittadi e da villaggi,
ch'all'ombra di duo monti è tutta piena
d'antiqui abeti e di robusti faggi.
Il sole indarno il chiaro dì vi mena;
che non vi può mai penetrar coi raggi,
sì gli è la via da folti rami tronca:
e quivi entra sotterra una spelonca.
93
Sotto la negra selva una capace
e spaziosa grotta entra nel sasso,
di cui la fronte l'edera seguace
tutta aggirando va con storto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace;
l'Ozio da un canto corpulento e grasso,
da l'altro la Pigrizia in terra siede,
che non può andare, e mal reggersi in piede.
94
Lo smemorato Oblio sta su la porta:
non lascia entrar, né riconosce alcuno;
non ascolta imbasciata, né riporta;
e parimente tien cacciato ognuno.
Il Silenzio va intorno, e fa la scorta:
ha le scarpe di feltro, e 'l mantel bruno;
ed a quanti n'incontra, di lontano,
che non debban venir, cenna con mano.
95
Se gli accosta all'orecchio e pianamente
l'angel gli dice: - Dio vuol che tu guidi
a Parigi Rinaldo con la gente
che per dar, mena, al suo signor sussidi:
ma che lo facci tanto chetamente,
ch'alcun de' Saracin non oda i gridi;
sì che più tosto che ritruovi il calle
la Fama d
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