MEMORIE, di Carlo Goldoni - pagina 1
MEMORIE
SCRITTE DAL MEDESIMO
E DEL SUO TEATRO
AVVERTENZA.
Avendo in animo di raccogliere nella Biblioteca Classica Economica le migliori commedie di Carlo Goldoni, mi parve opportuno di farle precedere dalle Memorie scritte dal medesimo.
Il lettore troverà in esse tutte le vicende ora liete e ora triste della sua vita, narrate con una ingenuità senza pari, e scoprirà il modo nel quale andò svolgendosi a poco a poco il genio drammatico del nostro immortale poeta.
Oltre di ciò le Memorie del Goldoni formano un libro di amena e istruttiva lettura, poiché in esse quasi ad ogni pagina si incontrano descrizioni e giudizi di città, d'uomini e di costumi di una maravigliosa verità.
La gioventù studiosa in ispecie, leggendo questo libro con occhio attento, vi attingerà non solo un grandissimo diletto, ma eziandio un profondo ammaestramento, sia per la condotta della vita, come per quella degli studi.
La continua e acuta osservazione dei vizi e delle virtù degli uomini, in mezzo ai quali viveva il Goldoni, valse mirabilmente a fecondare in lui quei germi di cui gli fu tanto cortese la natura.
Se a quella osservazione profonda avesse accoppiato con maggiore assiduità lo studio dei classici e l'efficace pazienza della lima, il Goldoni sarebbe riuscito senza dubbio il primo commediografo del mondo.
Ma tutti codesti pregi delle Memorie venivano, per così dire, appannati da un difetto capitale per noi, che volevamo introdurlo in una Biblioteca di Classici.
Il Goldoni scrisse le sue Memorie in Francia e in lingua francese, e quelle che si conoscono generalmente in lingua italiana sono una traduzione.
Le Memorie in francese uscirono alla luce in Parigi l'anno 1787, e nell'anno seguente lo Zatta le pubblicò tradotte in lingua italiana a Venezia.
Io, per migliorare questo libro, che credo utile e di piacevole lettura, consultai il testo francese, raffrontai le varie traduzioni e poi, senza nulla togliere della semplicità e vivezza dello stile, procurai di correggere i vocaboli, le frasi e i costrutti, che ritraevano evidentemente dall'indole della lingua francese.
Con questo bucato credo che siano scomparse dalle Memorie del Goldoni, se non tutte in grandissima parte, le macchie che offendevano l'occhio dei lettori, i quali tengono in qualche pregio la purezza e la proprietà della lingua nativa.
Con ciò non pretendo dire che la traduzione delle Memorie del nostro autore non sia capace di una maggiore perfezione; ma credo di potere affermare coscienziosamente, che la presente edizione delle Memorie di Carlo Goldoni è di gran lunga migliore di tutte le precedenti.
Francesco Costero.
PREFAZIONE
Non vi è buono o cattivo Autore, di cui la vita non sia in fronte alle sue opere o nelle memorie del suo tempo.
È vero che la vita di un uomo non dovrebbe comparire alla luce se non dopo la morte di lui, ma tali ritratti eseguiti in distanza rassomigliano essi poi agli originali? Se ne assume l'incarico un amico, le lodi alterano la verità; se un nemico, in luogo di critica s'incontra satira.
La mia vita non ha importanza.
Ma può fra qualche tempo avvenire che in un angolo d'antica biblioteca si trovi una collezione delle mie opere.
Saravvi forse alcuno curioso di sapere chi fosse quell'uomo singolare, che ha avuto in mira la riforma del teatro del suo paese, che ha posto in scena e sotto il torchio centocinquanta commedie in verso e in prosa, tanto di carattere come d'intreccio; ed ha veduto, vivendo, diciotto edizioni del suo teatro.
Si dirà senza dubbio: quest'uomo doveva esser molto ricco; perché lasciare la sua patria? Ah! convien dunque rendere ben intesa la posterità che solo in Francia trovò il Goldoni il suo riposo, la sua tranquillità, la sua prosperità, e che ha terminato la sua professione di poeta drammatico con una commedia francese, la quale, sul teatro di quella nazione, ebbe un favorevole incontro.
Ho pensato, che l'Autore sapesse egli solo delineare un prospetto verace e completo del suo carattere, de' suoi aneddoti e de' suoi scritti; ed ho creduto, che, pubblicando egli stesso le Memorie della sua vita, e non essendo smentito dai Suoi contemporanei, la posterità potesse rapportarsi alla sua buona fede.
Giusta questa idea, vedendo nel 1760 che dopo la mia prima edizione di Firenze ponevasi ovunque a saccheggio il mio teatro, e che se n'erano fatte quindici edizioni senza il mio consenso e senza darmene parte, e quel che è peggio ancora, tutte malissimo impresse; mi venne in animo di farne una seconda edizione a mie spese, e di inserire in ogni volume, invece di prefazione, una parte della mia vita, immaginandomi che al termine dell'opera l'istoria della mia persona unitamente a quella del mio teatro potrebbe riuscire completa.
Sbagliai.
Non avrei mai sospettato che il destino fosse per farmi passar l'Alpi, quando incominciai a Venezia questa edzione del Pasquali, in ottavo, con figure.
Chiamato nel 1761 in Francia, continuai a somministrare le correzioni e i cambiamenti che io mi era proposti per l'edizione di Venezia.
Ma il tumulto di Parigi, le mie nuove occupazioni e la distanza dei luoghi diminuirono dal canto mio l'attività, e portarono tal lentezza nell'esecuzione, che un'opera la quale doveva essere condotta fino al trigesimo volume, e compiuta nello spazio di otto anni, non è per anche, in capo a venti, se non al tomo XVII, né vivrei tanto da veder giunta quest'edizione al suo termine.
Quello che m'inquieta, e mi preme presentemente, è l'istoria della mia vita.
Essa non è di alcun momento, lo ripeto, ma quel che io ne ho pubblicato fino ad ora nei diciassette primi volumi fu così bene accolto, che il pubblico m'impegna a continuare; tanto più che tutto quello che ho fin qui detto non riguarda che la mia persona, laddove ciò che mi resta a dire dee trattare del mio teatro in particolare, di quello degl'italiani in generale, e in parte di quel dei francesi, che io stesso ho visto sì dappresso.
I costumi di due nazioni, il loro gusto messo a confronto, tutto ciò che ho veduto, tutto quel che ho osservato, potrebbe divenir piacevole, e anche istruttivo per i dilettanti.
Mi propongo adunque di affaticarmi quanto io potrò, e ciò con un piacere inesprimibile, per arrivare al più presto possibile a far parola del mio caro Parigi, che mi ha sì bene accolto, tanto divertito, sì utilmente occupato.
Comincio dal rimpastare e tradurre in francese tutto ciò che si trova nelle prefazioni storiche dei diciassette volumi del Pasquali.
Questo è il compendio della mia vita, dalla mia nascita fino al principio di ciò che dicesi in Italia Riforma del Teatro Italiano.
Si vedrà come questo genio comico, che fu sempre la mia passione dominante, si è in me manifestato, e poi svolto, e quanti siano stati gli sforzi inutilmente tentati per disgustarmene, e i sacrifici da me fatti a quest'idolo imperioso, che mi trasse dietro a sé stesso.
Tutto questo formerà la prima parte delle mie Memorie.
La seconda comprenderà la istoria di tutte le mie produzioni, il segreto degli accidenti che me ne hanno somministrato l'argomento, il buono o cattivo incontro delle mie commedie, la rivalità destata dalla mia buona riuscita; le cabale che ho schernite, le critiche che ho rispettate, le satire che ho sofferte in silenzio, e gl'intrighi dei commedianti che io ho superati.
Si vedrà che la natura umana è l'istessa per tutto, che per tutto s'incontra la gelosia, e che per tutto l'uomo pacifico e di sangue freddo giunge a farsi amare dal pubblico, e a stancar la perfidia de' suoi nemici.
La terza parte di queste Memorie conterrà la mia emigrazione in Francia.
Provo tal compiacenza di poterne parlare a mio bell'agio, che fui tentato di dar principio di lì alla mia opera.
Ma in tutto vuolsi metodo.
Sarei stato forse in obbligo di ritoccare le due parti precedenti, ma non mi piace riandare le cose già fatte.
Ecco quanto io aveva da dire a' miei lettori.
Prego i medesimi a leggermi, e far grazia di credermi: la verità fu sempre la mia virtù favorita, ed ho sempre trovato buono il seguirla.
Essa mi ha risparmiato la pena di studiar la menzogna, e mi ha sottratto al dispiacere del rossore.
PARTE PRIMA
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CAPITOLO I.
Nascita e genitori.
Nacqui a Venezia l'anno 1707, in grande e bella abitazione situata tra il ponte di Nomboli e quello di Donna Onesta, al canto di via di Cà Cent'anni, nella parrocchia di San Tommaso.
Giulio Goldoni, mio padre, era nato nella medesima città: tutta la sua famiglia però era di Modena.
Carlo Goldoni mio avo fece i suoi studi nel famoso collegio di Parma.
Vi conobbe due nobili veneziani, e strinse con essi la più intima amicizia.
Questi lo impegnarono ad andar seco loro a Venezia.
Seguì pertanto i compagni nella loro patria; vi si stabilì; vi fu incaricato di una commissione onorevolissima e lucrosissima nella camera dei Cinque Savi del Commercio, e sposò in prime nozze la giovine signora Barili, nata a Modena, figlia e sorella di due consiglieri di stato del duca di Parma.
Questa dunque era la mia nonna paterna.
Venuta essa a morte, il mio avo fece conoscenza con una vedova rispettabile, madre di due sole fanciulle.
Sposò la madre e diede in matrimonio a suo figlio la maggiore.
Erano esse della famiglia Salvioni e godevano, senza esser ricche, una onesta comodità.
Mia madre era bruna di colorito ma bella, un poco zoppa ma sagacissima.
Ogni loro assegnamento passò in mano di mio nonno.
Egli era un brav'uomo, ma punto economo.
Amava i piaceri, e si affaceva benissimo all'amenità dei veneziani.
Teneva a pigione una bella villa appartenente al duca di Massa di Carrara sopra il Silo nella Marca Trevisana, sei leghe distante da Venezia.
Qui viveva lautamente.
I benestanti del luogo mal soffrivano che Goldoni richiamasse nella propria casa tutte le persone del villaggio, non meno che i forestieri.
Uno dei vicini fece le pratiche per togliergli l'abitazione.
Mio nonno andò a Carrara, prese a fitto tutti i beni posseduti dal duca nello Stato Veneto e ritornò trionfante della vittoria, divenuto però più ricco a proprie spese.
Aveva in casa commedia e opera; tutti i migliori attori, tutti i più rinomati musici stavano al suo comando, vi si concorreva da ogni parte.
Io nacqui in questo strepito, in questa dovizia; potevo disprezzar gli spettacoli, potevo non amare l'allegria?
Mia madre mi diè alla luce quasi senza dolore, onde mi amò anche di più; e io non detti in pianto, vedendo la luce per la prima volta.
Questa quiete pareva manifestare fin d'allora il mio carattere pacifico, che non si è mai in seguito smentito.
Ero la gioia di casa.
La mia governante diceva che avevo ingegno.
Mia madre prese cura di educarmi, e il mio genitore di divertirmi.
Fece fabbricare un teatro di marionette, le maneggiava in persona con tre o quattro suoi amici, e in età di quattr'anni trovai esser questo un delizioso divertimento.
Nel 1712 morì mio nonno.
Un mal di petto acquistato in una partita di piacere lo condusse alla tomba in sei giorni.
Mia nonna lo seguì poco dopo.
Ecco l'istante di una mutazione terribile nella nostra famiglia, la quale precipitò tutt'a un tratto dalla comodità più felice nella mediocrità più disagiata.
Mio padre non ebbe l'educazione che gli si conveniva.
Non gli mancava ingegno, ma non si era avuta bastantemente cura di lui.
Non potè mantenersi nell'impiego del padre, che un accorto Greco seppe togliergli.
I beni liberi di Modena erano venduti, i beni di sostituzione ipotecati.
Non restavano che quelli di Venezia, che formavano la dote di mia madre e l'assegnamento di mia zia.
Per colmo di disgrazia, mia madre diede alla luce un secondo figlio, Giovanni Goldoni, mio fratello.
Mio padre era alle strette, e siccome non gradiva troppo di gemere sotto il peso di riflessioni ipocondriache, prese risoluzione di fare un viaggio a Roma per distrarsi.
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