LA VITA NUDA, di Luigi Pirandello - pagina 31
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Ricordò che la moglie non voleva ch'egli si fermasse a guardar quelle Najadi sguajate.
E non si fermò.
Povera Cesira! Com'era sdegnata che il corpo della donna fosse esposto in atteggiamenti cosí procaci agli sguardi maligni e indiscreti degli uomini! Ci vedeva come un'irrisione, una mancanza di rispetto per il suo sesso, e voleva sapere perché nelle fontane i signori scultori non esponevano invece uomini nudi.
Ma in Piazza Navona, veramente...
la fontana del Moro...
E poi, gli uomini nudi...
in atteggiamenti procaci...
via, forse sarebbero stati un pochino piú scandalosi...
Teodoro Piovanelli, cosí pensando, ebbe un barlume di sorriso su le labbra amare; e imboccò Via Nazionale.
A mano a mano che andava, sopite immagini, impressioni rimaste nella sua coscienza d'altri tempi, non cancellate, sí svanite a lui per il sovrapporsi d'altri stati di coscienza opprimenti, gli si ridestavano, sommovendo e disgregando a poco a poco, con un senso di dolce pena, la triste compagine della coscienza presente.
E ascoltò dentro di sé la voce lontana lontana di lui stesso, qual era in gioventú; la voce delle memorie sepolte, che risorgevano al respiro di quell'aria notturna, al suono de' suoi passi nel silenzio della via.
Arrivato all'imboccatura di Via del Boschetto, s'arrestò, come se qualcuno a un tratto lo avesse trattenuto.
Si guardò attorno; poi, perplesso, con infinita tristezza, guardò giú per quella via, e scosse mestamente il capo.
Tutti i ricordi, le immagini, le impressioni del suo vagabondare notturno d'altri tempi, del tempo in cui era scapolo, si associavano al pensiero di una donna, di quell'unica ch'egli aveva conosciuta prima delle nozze, donna non sua solamente, ma a cui egli, per abitudine, per timidezza, era pure stato sempre fedele, come poi alla moglie.
Quella donna stava lí, allora, in Via del Boschetto.
Si chiamava Annetta; lavorava d'astucci e di sopraffondi; ma le piaceva vestir bene e gli ori le piacevano e i giojelli, anche falsi...
Finché aveva avuta la madre, s'era mantenuta onesta; poi la madre le era morta, e lei non aveva piú saputo veder la ragione di sacrificarsi a vivere in quel modo, senza il compenso di qualche godimento...
Cosí era caduta.
Ogni volta, come per rialzarsi innanzi a se stessa, per non sentir l'avvilimento di ciò che stava per fare, affliggeva quei pochi fidati che andavano a trovarla narrando quanto aveva fatto durante la lunga malattia della madre, tutte le cure che le aveva prodigate, i medicinali costosi che le aveva comperati, quasi per assicurare se stessa che, almeno per questo, non doveva aver rimorsi.
Ebbene, Teodoro Piovanelli, abbandonato in quella sua prima uscita ai ricordi d'allora, guidato naturalmente dall'istintiva esemplare fedeltà cosí crudelmente misconosciuta e negata dalla moglie, ecco, s'era proprio arrestato là, all'imboccatura di Via del Boschetto.
Si vietò d'assumer coscienza del pensiero sortogli d'improvviso, che non sarebbe stato un tradimento alla memoria della moglie, un venir meno al giuramento che le aveva fatto di non avvicinare mai piú altra donna, se fosse ritornato a quella, che già la moglie sapeva per sua stessa confessione.
Quella non sarebbe stata un'altra; quella era già stata sua; ed egli non avrebbe smentito, con quella, la sua fedeltà.
La avrebbe anzi confermata.
No: non se lo volle dire; non se lo volle fare questo ragionamento.
Scese per Via del Boschetto soltanto per curiosità, ecco; per la voluttà amara di seguir la traccia del tempo lontano: senza alcun altro scopo.
Del resto, non sapeva piú neppure se colei stesse ancora lí.
Era molto difficile, dopo nove anni...
L'aveva riveduta tre o quattro volte per via, vestita poveramente, invecchiata, imbruttita, certo caduta piú in basso; ma, naturalmente, aveva fatto finta non solo di non riconoscerla, ma di non averla mai conosciuta.
Quando, di pochi passi lontano dal portoncino ben noto, a destra, scorse la finestretta quadra del mezzanino, sulla porta, con le persiane accostate, che dalle stecche e da sotto lasciavano intravedere il lume della cameretta, Teodoro Piovanelli si turbò profondamente, assalito dall'imagine precisa, là, vivente, del ricordo lontano...
Tutto, tal quale, come allora! Ma ci stava proprio lei, là, ancora? S'accostò al muro, cauto, trepidante, e passò rasente, sotto la finestra; alzò il capo; scorse dietro alle persiane un'ombra, una donna...
- lei? - Passò oltre, tutto sconvolto, insaccato nelle spalle, col sangue che gli frizzava per le vene, come sotto l'imminenza di qualche cosa che dovesse cadergli addosso.
Violentemente gli si ricompose la coscienza tetra e dura del suo stato presente; rivide in un baleno col pensiero la camera dei bambini e quel ritratto, là, vigilante, terribile, della moglie; e s'arrestò affannato nella corsa che aveva preso.
A casa! a casa!
Se non che, davanti al portoncino...
ma sí, lei...
lei ch'era scesa...
Annetta, sí.
Egli la riconobbe subito.
E anche lei lo riconobbe:
- Doro...
tu?
E stese una mano.
Egli si schermí.
- Lasciami...
No, ti prego...
Non posso...
Lasciami...
- Come! - fece lei, ridendo e trattenendolo.
- Se sei venuto a cercarmi...
T'ho visto, sai? Caro...
caro...
sei tornato!...
Sú, via! Perché no? Se sei tornato a me...
Sú, sú...
E lo trasse per forza dentro il portoncino, e poi su per la scala, tenendolo per il braccio.
Egli ansava, col cuore in tumulto, la mente scombujata.
Voleva svincolarsi e non sapeva, non sapeva.
Rivide la cameretta, tal quale anch'essa, dal tetto basso...
il letto, il cassettone, il divanuccio...
le oleografie alle pareti...
Ma quando ella, tra tante parole affollate di cui egli non udiva altro che il suono, gli tolse il cappello e il bastone e poi i guanti, e fece per abbracciarlo, Teodoro Piovanelli, che già tremava tutto, la respinse, si portò le mani al volto, vacillò, come per una vertigine.
- Che hai? - domandò ella sorpresa, un po' costernata: e lo trasse a sedere sul divanuccio.
Un impeto di pianto scosse le spalle di lui.
Ella si provò a staccargli le mani dal volto; ma egli squassò il capo rabbiosamente.
- No! no!
- Tu piangi? - domandò la donna; poi, dopo aver guardato il cappello fasciato di lutto: - Forse...
forse t'è morta?...
Egli accennò di sí col capo.
- Ah, poveretto...
- sospirò lei, pietosamente.
Teodoro Piovanelli scattò in piedi, convulso; prese i guanti, il bastone, si buttò in capo il cappello; balbettò, soffocato:
- Impossibile...
impossibile...
lasciami andare...
Ella non si provò piú a trattenerlo; lo accompagnò, dolente, fino alla porta.
Poi lí, sicurissima ormai che sarebbe ritornato, gli domandò, con voce mesta e con un mesto sorriso:
- T'aspetto, eh, Doro?...
Presto...
Ma egli s'era messo sulla bocca il fazzoletto listato di nero, e non le rispose.
DISTRAZIONE
Nero tra il baglior polverulento d'un sole d'agosto che non dava respiro, un carro funebre di terza classe si fermò davanti al portone accostato d'una casa nuova d'una delle tante vie nuove di Roma, nel quartiere dei Prati di Castello.
Potevano esser le tre del pomeriggio.
Tutte quelle case nuove, per la maggior parte non ancora abitate, pareva guardassero coi vani delle finestre sguarnite quel carro nero.
Fatte da cosí poco apposta per accogliere la vita, invece della vita - ecco qua - la morte vedevano, che veniva a far preda giusto lí.
Prima della vita, la morte.
E se n'era venuto lentamente, a passo, quel carro.
Il cocchiere, che cascava a pezzi dal sonno, con la tuba spelacchiata, buttata a sghembo sul naso, e un piede sul parafango davanti, al primo portone che gli era parso accostato in segno di lutto, aveva dato una stratta alle briglie, l'arresto al manubrio della martinicca, e s'era sdrajato a dormire piú comodamente su la cassetta.
Dalla porta dell'unica bottega della via s'affacciò, scostando la tenda di traliccio, unta e sgualcita, un omaccio spettorato, sudato, sanguigno, con le maniche della camicia rimboccate su le braccia pelose.
- Ps! - chiamò, rivolto al cocchiere.
- Ahò! Piú là...
Il cocchiere reclinò il capo per guardar di sotto la falda della tuba posata sul naso; allentò il freno; scosse le briglie sul dorso dei cavalli e passò avanti alla drogheria, senza dir nulla.
Qua o là, per lui, era lo stesso.
E davanti al portone, anch'esso accostato della casa piú in là, si fermò e riprese a dormire.
- Somaro! - borbottò il droghiere, scrollando le spalle.
- Non s'accorge che tutti i portoni a quest'ora sono accostati.
Dev'essere nuovo del mestiere.
Cosí era veramente.
E non gli piaceva per nientissimo affatto, quel mestiere, a Scalabrino.
Ma aveva fatto il portinajo, e aveva litigato prima con tutti gl'inquilini e poi col padron di casa; il sagrestano a San Rocco, e aveva litigato col parroco; s'era messo per vetturino di piazza e aveva litigato con tutti i padroni di rimessa, fino a tre giorni fa.
Ora, non trovando di meglio in quella stagionaccia morta, s'era allogato in una Impresa di pompe funebri.
Avrebbe litigato pure con questa - lo sapeva sicuro - perché le cose storte, lui, non le poteva soffrire.
E poi era disgraziato, ecco.
Bastava vederlo.
Le spalle in capo; gli occhi a sportello; la faccia gialla, come di cera, e il naso rosso.
Perché rosso, il naso? Perché tutti lo prendessero per ubriacone; quando lui neppure lo sapeva che sapore avesse il vino.
- Puh!
Ne aveva fino alla gola, di quella vitaccia porca.
E un giorno o l'altro, l'ultima litigata per bene l'avrebbe fatta con l'acqua del fiume, e buona notte.
Per ora là, mangiato dalle mosche e dalla noja, sotto la vampa cocente del sole, ad aspettar quel primo carico.
Il morto.
O non gli sbucò, dopo una buona mezz'ora, da un altro portone in fondo, dall'altro lato della via?
- Te possino...
(al morto) - esclamò tra i denti, accorrendo col carro, mentre i becchini, ansimanti sotto il peso d'una misera bara vestita di mussolo nero, filettata agli orli di fettuccia bianca, sacravano e protestavano:
- Te possino...
(a lui) - Te pij n'accidente - E che er nummero der portone non te l'aveveno dato?
Scalabrino fece la voltata senza fiatare; aspettò che quelli aprissero lo sportello e introducessero il carico nel carro.
- Tira via!
E si mosse, lentamente, a passo, com'era venuto: ancora col piede alzato sul parafango davanti e la tuba sul naso.
Il carro, nudo.
Non un nastro, non un fiore.
Dietro, una sola accompagnatrice.
Andava costei con un velo nero trapunto, da messa, calato sul volto; indossava una veste scura, di mussolo rasato, a fiorellini gialli, e un ombrellino chiaro aveva, sgargiante sotto il sole, aperto e appoggiato su la spalla.
Accompagnava il morto, ma si riparava dal sole con l'ombrellino.
E teneva il capo basso, quasi piú per vergogna che per afflizione.
- Buon passeggio, ah Rosi'! - le gridò dietro il droghiere scamiciato, che s'era fatto di nuovo alla porta della bottega.
E accompagnò il saluto con un riso sguajato, scrollando il capo.
L'accompagnatrice si voltò a guardarlo attraverso il velo; alzò la mano col mezzo guanto di filo per fargli un cenno di saluto, poi l'abbassò per riprendersi di dietro la veste, e mostrò le scarpe scalcagnate.
Aveva però i mezzi guanti di filo e l'ombrellino, lei.
- Povero sor Bernardo, come un cane, - disse forte qualcuno dalla finestra d'una casa.
Il droghiere guardò in sú, seguitando a scrollare il capo.
- Un professore, con la sola servaccia dietro...
- gridò un'altra voce, di vecchia, da un'altra finestra.
Nel sole, quelle voci dall'alto sonavano nel silenzio della strada deserta, strane.
Prima di svoltare, Scalabrino pensò di proporre all'accompagnatrice di pigliare a nolo una vettura per far piú presto, già che nessun cane era venuto a far coda a quel mortorio.
- Con questo sole...
a quest'ora...
Rosina scosse il capo sotto il velo.
Aveva fatto giuramento, lei, che avrebbe accompagnato a piedi il padrone fino all'imboccatura di via San Lorenzo.
- Ma che ti vede il padrone?
Niente! Giuramento.
La vettura, se mai, l'avrebbe presa, lassú, fino a Campoverano.
- E se te la pago io? - insistette Scalabrino.
Niente.
Giuramento.
Scalabrino masticò sotto la tuba un'altra imprecazione e seguitò a passo, prima per il ponte Cavour, poi per Via Tomacelli e per Via Condotti e per Piazza di Spagna e Via Due Macelli e Capo le Case e Via Sistina.
Fin qui, tanto o quanto, si tenne sú, sveglio, per scansare le altre vetture, i tram elettrici e le automobili, considerando che a quel mortorio lí nessuno avrebbe fatto largo e portato rispetto.
Ma quando, attraversata sempre a passo Piazza Barberini, imboccò l'erta via di San Niccolò da Tolentino, rialzò il piede sul parafango, si calò di nuovo la tuba sul naso e si riaccomodò a dormire.
I cavalli, tanto, sapevano la via.
I rari passanti si fermavano e si voltavano a mirare, tra stupiti e indignati.
Il sonno del cocchiere su la cassetta e il sonno del morto dentro il carro: freddo e nel bujo, quello del morto; caldo e nel sole, quello del cocchiere; e poi quell'unica accompagnatrice con l'ombrellino chiaro e il velo nero abbassato sul volto: tutto l'insieme di quel mortorio, insomma, cosí zitto zitto e solo solo, a quell'ora, bruciata, faceva proprio cader le braccia.
Non era il modo, quello, d'andarsene all'altro mondo! Scelti male il giorno, l'ora, la stagione.
Pareva che quel morto lí avesse sdegnato di dare alla morte una conveniente serietà.
Irritava.
Quasi quasi aveva ragione il cocchiere che se la dormiva.
E cosí avesse seguitato a dormire Scalabrino fino al principio di Via San Lorenzo! Ma i cavalli, appena superata l'erta, svoltando per Via Volturno, pensarono bene d'avanzare un po' il passo; e Scalabrino si destò.
Ora, destarsi, veder fermo sul marciapiedi a sinistra un signore allampanato, barbuto, con grossi occhiali neri, stremenzito in un abito grigio, sorcigno, e sentirsi arrivare in faccia, su la tuba, un grosso involto, fu tutt'uno!
Prima che Scalabrino avesse tempo di riaversi, quel signore s'era buttato innanzi ai cavalli, li aveva fermati e, avventando gesti minacciosi, quasi volesse scagliar le mani, non avendo piú altro da scagliare, urlava, sbraitava:
- A me? a me? mascalzone! canaglia! manigoldo! a un padre di famiglia? a un padre di otto figliuoli? manigoldo! farabutto!
Tutta la gente che si trovava a passare per via e tutti i bottegai e gli avventori s'affollarono di corsa attorno al carro e tutti gl'inquilini delle case vicine s'affacciarono alle finestre, e altri curiosi accorsero, al clamore, dalle prossime vie, i quali, non riuscendo a sapere che cosa fosse accaduto, smaniavano, accostandosi a questo e a quello, e si drizzavano su la punta dei piedi.
- Ma che è stato?
- Uhm...
pare che...
dice che...
non so!
- Ma c'è il morto?
- Dove?
- Nel carro, c'è?
- Uhm!...
Chi è morto?
- Gli pigliano la contravvenzione!
- Al morto?
- Al cocchiere...
- E perché?
- Mah!...
pare che...
dice che...
Il signore grigio allampanato seguitava intanto a sbraitare presso la vetrata d'un caffè, dove lo avevano trascinato; reclamava l'involto scagliato contro il cocchiere; ma non s'arrivava ancora a comprendere perché glielo avesse scagliato.
Sul carro, il cocchiere cadaverico, con gli occhi miopi strizzati, si rimetteva in sesto la tuba e rispondeva alla guardia di città che, tra la calca e lo schiamazzo, prendeva appunti su un taccuino.
Alla fine il carro si mosse tra la folla che gli fece largo, vociando; ma, come apparve di nuovo, sotto l'ombrellino chiaro, col velo nero abbassato sul volto, quell'unica accompagnatrice - silenzio.
Solo qualche monellaccio fischiò.
Che era insomma accaduto?
Niente.
Una piccola distrazione.
Vetturino di piazza fino a tre giorni fa, Scalabrino, stordito dal sole, svegliato di soprassalto, s'era scordato di trovarsi su un carro funebre: gli era parso d'essere ancora su la cassetta d'una botticella e, avvezzo com'era ormai da tanti anni a invitar la gente per via a servirsi del suo legno, vedendosi guardato da quel signore sorcigno fermo lí sul marciapiede, gli aveva fatto segno col dito, se voleva montare.
E quel signore, per un piccolo segno, tutto quel baccano...
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