LA SUOCERA E LA NUORA, di Carlo Goldoni - pagina 1
La famiglia dell'antiquario
ossia
La suocera e la nuora
di Carlo Goldoni
Introduzione tratta dal Goldoni
Riportiamo ciò che Goldoni scrisse nelle sue Memorie, da Scelte Commedie di Carlo Goldoni, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811, vol.
I, cap.
LXI, pp.
267-269
Ma ecco una Commedia di un genere affatto diverso da quello della precedente (L'adulatore, ndr.), essendo questa presa nella classe dei ridicoli, alternativa, non inutile alla successiva produzione di molte rappresentazioni teatrali.
Questa è la Famiglia dell'Antiquario, che fu la sesta delle 16 progettate Commedie.
Dapprima l'aveva intitolata semplicemente l'Antiquario, che n'è il Protagonista; ma temendo che i contrasti fra sua moglie e sua nuora producessero un doppio interesse, diedi un titolo alla Commedia, che abbraccia in una volta tutti i soggetti, tanto più che il ridicolo delle due donne, e quello del Capo di famiglia si danno la mano, e contribuiscono egualmente alla condotta comica ed alla moralità della rappresentazione.
Il nome d'Antiquario s'applica del pari in Italia a quelli che dànnosi allo studio dell'antichità, che a quelli che senza intelligenza raccolgono copie per originali, e cose inutili per preziosi monumenti; ed è appunto fra questi ultimi che il mio soggetto fu preso.
Si fida nel farne acquisto di certi truffatori che sempre lo ingannano, e formasi a grandi spese una ridicola galleria.
Questi ha una moglie, che in età d'esser nonna ha tutte le pretensioni della gioventù, ed una nuora, che non potendo soffrir la subordinazione, freme di non essere l'assoluta padrona.
Il Conte Giacinto, figlio dell'una e marito dell'altra, non osando fare alcun dispiacere a sua madre per contentare sua moglie, trovasi imbarazzatissimo, e ne porta le sue lagnanze al Capo di casa.
L'Antiquario essendo tutto occupato nell'osservazione d'un Pescenio, medaglia rarissima, che aveva allora comprato a carissimo prezzo, e che vedevasi contraffatta, rimanda indietro bruscamente suo figlio, senza curarsi delle contese domestiche.
Intanto le cose van tanto innanzi, che l'Antiquario non può fare a meno d'entrarci.
Egli teme di parlare a tu per tu con donne così poco ragionevoli, e domanda un congresso di tutta la sua famiglia.
Stabilito il giorno, vi si portano ancora diversi comuni amici.
Il figlio è uno de' primi che compariscono, e le Dame vengono l'ultime, accompagnate ciascuna dal suo cicisbeo.
Posti tutti a sedere, il Conte Anselmo, che aveva il suo posto in mezzo del circolo, comincia il suo discorso sulla necessità della pace domestica.
Voltandosi da dritta a sinistra, getta gli occhi sopra una bagattella attaccata all'orologio di sua nuora, e crede di riconoscere in essa un'antichità preziosa.
Vuol vederla più da vicino, scioglie il cordone, tira fuor la sua lente, esamina il giojello, e si vede una testa bellissima.
Mostrasi desideroso d'averla, e gli viene accordata.
Esultante di tal acquisto ne ringrazia distintamente sua nuora, e la moglie offendendosene, si leva dispettosa e va via.
Ecco dunque l'assemblea finita, e rimesso l'affare ad un'altra sessione.
In questo frattempo succedono molte cose spiacevoli per l'Antiquario.
Fa vedere a persone intendenti la sua galleria, e queste lo illuminano e lo disingannano.
Rimanendone convinto, rinunzia alla sua follia.
Vede il bisogno estremo di ristabilire la tranquillità della sua famiglia, e dimanda un secondo congresso, a cui tutti si portano.
Si propongono molti accomodamenti, ma gli uni dispiacciono alla suocera, e gli altri alla nuora.
Finalmente ne trovan uno, che rende l'una e l'altra contenta; ed è quello di stabilire due governi domestici, e di separarle per sempre.
Tutti si contentano, e la Commedia finisce.
Dopo alcuni anni vidi dare a Parma questa Commedia tradotta in francese dal Signor Collet, Secretario degli ordini di Madama l'Infanta.
Questo Autore per tutti i riguardi stimabilissimo, e notissimo a Parigi per le graziosissime rappresentazioni date alla Commedia francese, ha ottimamente tradotta questa mia Commedia, e fu egli senza dubbio che la fece valere.
Ma cambiò lo sviluppo; egli credette che la mia Commedia finisse male, lasciando partir disgustate insieme suocera e nuora, e le riconciliò sulla scena.
Se questo accomodamento potesse esser solido, avrebbe ben fatto: ma chi può assicurare che queste due Dame ritrose non rinnovassero nel giorno appresso le lor contese?
Posso ingannarmi; ma il mio sviluppo parmi più naturale.
L'autore a chi legge
In questa commedia non ho fatto che scrivere la parte del Brighella e dell'Arlecchino, li quali furono da me prima lasciati in libertà, acciocché si sfogassero questi due personaggi, malcontenti forse di me, siccome io non di essi, ma delle loro maschere, non son contento.
Osservate però che dopo il primo e secondo anno non ho lasciato le Maschere in libertà, ma dove ho creduto doverle introdurre, le ho legate a parte studiata, mentre ho veduto per esperienza che il personaggio talora pensa più a se medesimo che alla commedia; e pur che gli riesca di far ridere, non esamina se quanto dice convenga al suo carattere e alle sue circostanze; e sovente, senza avvedersene, imbroglia la Scena e precipita la Commedia.
Io sono costantissimo a non voler dir nulla sopra le mie Commedie; e molto meno a volerle difendere dalle critiche, che hanno con ragione o senza ragione sofferte.
Ho letto il libro ultimamente uscito alla luce, e con una risata ho terminato di leggerlo.
Può bene parlar degli altri chi non la perdona a se stesso, ed io sono molto contento di trovarmi colà in un fascio con Plauto, con Terenzio, con Aristofane e con cent'altri ch'io non ho letto, siccome letti non li averà né tampoco quel medesimo che li ha citati.
Circa il titolo della Commedia, io l'ho intitolata in due maniere, cioè: La famiglia dell'antiquario, o sia La Suocera e la Nuora, lo stesso trovandosi in quasi tutte le Commedie di Molier e in altre d'antichi Autori.
I due titoli mi pare che convengano perfettamente.
La Suocera e la Nuora sono le due persone che formano l'azione principale della Commedia; e l'Antiquario, capo di casa, per ragione del suo fanatismo per le antichità, non badano agl'interessi della famiglia, non accorgendosi de' disordini, e non prendendosi cura di correggere a tempo la Moglie e la Nuora, dà adito alle loro pazzie e alle loro dissensioni perpetue, onde e nell'una e nell'altra maniera la Commedia può essere intitolata.
Aggiungerò soltanto aver io rilevato che alcuni giudicano la presente Commedia terminar male, perché non seguendo alcuna pacificazione fra Suocera e Nuora, manca, secondo loro, il fine della morale istruttiva, che dovrebbe essere, nel caso nostro, d'insegnar agli uomini a pacificare queste due persone, per ordinario nemiche.
Ma io rispondo, che quanto facile mi sarebbe stato il renderle sulla scena pacificate, altrettanto sarebbe impossibile dar ad intendere agli Uditori che fosse per essere la loro pacificazione durevole; e desiderando io di preferire la verità disaggradevole ad una deliziosa immaginazione, ho voluto dar un esempio della costanza femminile nell'odio.
Ciò però non sarà senza profitto di chi si trovasse nel caso.
I Capi di famiglia si specchieranno nell'Antiquario, e trovandosi disattenti alle case loro, se non per ragione della Galleria, per qualche altra, o di conversazione, o di giuoco, potranno rimediare per tempo alle discordie domestiche, alle pretensioni delle donne, e soprattutto ai rapporti maligni della servitù.
PERSONAGGI
Il Conte Anselmo Terrazzani, dilettante di antichità
La Contessa Isabella, sua moglie
Il Conte Giacinto, loro figlio
Doralice, sposata al Conte Giacinto, figlia di Pantalone
Pantalone de' Bisognosi, mercante ricco veneziano
Il Cavaliere del Bosco
Il dottore Anselmi, uomo d'età avanzata, amico della Contessa Isabella
Colombina, cameriera della Contessa Isabella
Brighella, servitore del Conte Anselmo
Arlecchino, amico, e paesano di Brighella
Pancrazio, intendente di antichità
Servitori del Conte Anselmo
La scena si rappresenta in Palermo
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera del Conte Anselmo, con vari tavolini, statue, busti e altre cose antiche
Il Conte Anselmo ad un tavolino, seduto sopra una poltrona, esaminando alcune medaglie, con uno scrigno sul tavolino medesimo; poi Brighella.
ANSELMO Gran bella medaglia! questo è un Pescennio originale.
Quattro zecchini? L'ho avuto per un pezzo di pane.
BRIGHELLA Lustrissimo (con vari fogli in mano).
ANSELMO Guarda, Brighella, se hai veduto mai una medaglia più bella di questa.
BRIGHELLA Bellissima.
De medaggie no me ne intendo troppo, ma la sarà bella.
ANSELMO I Pescenni sono rarissimi; e questa pare coniata ora.
BRIGHELLA Gh'è qua ste do polizze...
ANSELMO Ho fatto un bell'acquisto.
BRIGHELLA Comàndela, che vada via?
ANSELMO Hai da dirmi qualche cosa?
BRIGHELLA Gh'ho qua ste do polizze.
Una del mercante da vin, e l'altra de quello della farina.
ANSELMO Gran bella testa! Gran bella testa! (osservando la medaglia).
BRIGHELLA I xé qua de fóra, i voleva intrar, ma gh'ho dito che la dorme.
ANSELMO Hai fatto bene.
Non voglio essere disturbato.
Quanto avanzano?
BRIGHELLA Uno sessanta scudi, e l'altro cento e trenta.
ANSELMO Tieni questa borsa, pàgali, e màndali al diavolo (leva una borsa dallo scrigno).
BRIGHELLA La sarà servida (parte).
ANSELMO Ora posso sperare di fare la collana perfetta degl'imperatori romani.
Il mio museo a poco a poco si renderà famoso in Europa.
BRIGHELLA Lustrissimo (torna con altri fogli).
ANSELMO Che cosa c'è? Se venisse quell'Armeno con i cammèi, fallo passare immediatamente.
BRIGHELLA Benissimo; ma son capitadi altri tre creditori: el mercante de' panni, quel della tela, e el padron de casa che vuol l'affitto.
ANSELMO E ben, pàgali e màndali al diavolo.
BRIGHELLA Da qua avanti no la sarà tormentada dai creditori.
ANSELMO Certo che no.
Ho liberate tutte le mie entrate.
Sono padrone del mio.
BRIGHELLA Per la confidenza che vossustrissima se degna de donarme, ardisso dir che l'ha fatto un bon negozio a maridar l'illustrissimo signor contin, suo degnissimo fiol, con la fia del sior Pantalon.
ANSELMO Certo che i ventimila scudi di dote, che mì ha portato in casa in tanti bei denari contanti, è stato il mio risorgimento Io aveva ipotecate, come sai, tutte le mie rendite.
BRIGHELLA Za che la xé in pagar debiti, la sappia che, co vago fóra de casa, no me posso salvar: quattro ducati qua, tre là; a chi diése lire, a chi otto, a chi sié; s'ha da dar a un mondo de botteghieri.
ANSELMO E bene, che si paghino, che si paghino.
Se quella borsa non basta, vi è ancor questa, e poi è finito (mostra un'altra borsa, che è nello scrigno).
BRIGHELLA De ventimile scudi no la ghe n' ha altri?
ANSELMO Per dir tutto a te, che sei il mio servitor fedele, ho riposto duemila scudi per il mio museo, per investirli in tante statue, in tante medaglie.
BRIGHELLA La me perdona; ma buttar via tanti bezzi in ste cosse...
ANSELMO Buttar via? Buttar via? Ignorantaccio! Senti se vuoi avere la mia protezione, non mì parlar mai contro il buon gusto delle antichità; altrimenti ti licenzierò di casa mia.
BRIGHELLA Diseva cussì, per quello che sento a dir in casa; per altro accordo anca mì, che el studio delle medaggie l'è da omeni letterati; che sto diletto è da cavalier nobile e de bon gusto; e che son sempre ben spesi quei denari che contribuisce all'onor della casa e della città.
(El vol esser adulà? bisogna adularlo) (parte).
SCENA SECONDA
Il Conte Anselmo solo.
ANSELMO Bravo.
Brighella è un servitore di merito.
Ecco un bell'anello etrusco.
Con questi anelli gli antichi Toscani sposavano le loro donne.
Quanto pagherei avere un lume eterno, di quelli che ponevano i Gentili nelle sepolture de' morti! Ma a forza d'oro, l'avrò senz'altro.
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