LA DAMA PRUDENTE, di Carlo Goldoni - pagina 1
LA DAMA PRUDENTE
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia il Carnovale dell'anno 1751.
A SUA ECCELLENZA
LA NOBILE DONNA MARINA
SAGREDO PISANI
Che dirà il Mondo di me, Nobilissima Dama.
una Commedia mia veggendomi al venerabile Nome Vostro arditamente raccomandare? Ammireranno i più docili la benignità e la clemenza, onde accogliermi sotto il Patrocinio Vostro non isdegnate; e imputeranno a temerità mia gl'indiscreti un simile avanzamento.
Vadano pure a declamare ad altissima voce per le botteghe contro di me non solo, ma entro quelli ancora che delle opere mie si compiacciono, maltrattando la Commedia in genere, le mie biasimando in specie.
Non verrà ad essi fatto di screditarmi con tutto lo sforzo dell'arte loro oratoria.
Il Nome grande dell'E.
V.
basterà ad avvilirli; poiché quantunque imperfette sieno le mie, Commedie, quando sofferte sono ed ascoltate da una Dama di tanto sapere e di sì ottimo gusto fornita, può ciaschedun altro imputare a se medesimo la noia che ne risente.
Iddio ha collocato l'E.
V.
in un posto luminoso, onde risplender possano le di Lei virtù.
La Famiglia Sagredo, dov'Ella è nata, quella de' Pisani, dov'è collocata, sono delle più antiche, delle più illustri e delle più doviziose della repubblica.
Rimasta Ella vedova in età verde ancora, diè prove assai manifeste della più rara prudenza, vegliando all'educazione dell'unico suo figliuolo, in cui della Repubblica Serenissima riposano le più giulive speranze.
Molto promette in vero il nobilissimo pargoletto, ripieno di quello spirito che ammirasi nell'alta sua Genitrice, e che col tempo lo renderà di tutte le di Lei virtù imitatore e partecipe.
Infiniti sono i pregi che adornano l'E.
V., né vaglio io a descriverli, né d'uopo è farlo in una Città che li conosce, li venera, e fa di essi sua gloria; ma siami lecito almeno far parola così di volo d'una virtù, che in voi fra le altre risplende, siccome il sole tra l'infinito numero delle stelle.
Questa è la preziosa umiltà di cuore, regolata dalla prudenza, la quale, senza togliere il suo diritto alla Nobiltà, odia il soverchio fasto, e si fa padrona de' cuori.
La superbia è la passione più ingannevole di tutte l'altre, privando ella medesima di quel bene, che col mezzo lusinga gli uomini di conseguire.
Fa torto a se medesimo chi mendica dall'alterigia il rispetto; ed è un tesoro maggiore di tutti gli altri, possedere l'amore delle persone, e lodare la Provvidenza che abbia sì bene i doni suoi collocati.
Chi più dell'E.
V.
ragione avrebbe d'insuperbire per la nascita, per la ricchezza e per la virtù medesima? Ma quest'ultimo fregio, quello è che, a fronte degli altri due, mantiene nell'animo vostro una esemplare moderazione, onde sì bene sostener sapete il decoro del grado vostro sublime, ed usare insieme atti d'umanità, di benignità e gentilezza cogli inferiori medesimi.
Questi accrescer non possono la grandezza vostra, ma si consolano che in voi risplenda, e degna vi conoscono di possederla.
Io, più degli altri misero di talento e di fortuna, appena ebbe l'onore di presentarmi a V.
E., conobbi la giustizia che tutto il Mondo vi rende, e per quell'abito che fatto mi sono di scandagliare gli animi delle persone, ho trovato nell'E.
V.
virtù vera, virtù singolare, che anima, che consola, e che a me medesimo diè coraggio di offerirvi coll'umilissima servitù mia questa fortunata opera della mia penna.
La Dama Prudente è un argomento che a Voi perfettamente conviene.
Vero è che le contingenze di Donna Eularia sono stravagantissime, e dalla situazione vostra remote; ma la Prudenza è sempre la virtù medesima, in qualunque circostanza ritrovisi; e nel dedicare all'E.
V.
questa Commedia ho avuto in animo di scegliere un argomento, che vaglia più di qualunque altro a piacervi.
Se tale avventura posso, promettermi, felice me, e felicissimo me oltremodo, se mi concedete l'onore di poter essere, quale con profondissimo ossequio mi sottoscrivo,
Di Vostra Eccellenza
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Se noi leggiamo le Opere degli antichi, vedremo nelle Tragedie gli eroi dipinti: i Re, i Principi, i capitani, o biasimati, o esaltati; e nelle Commedie loro i schiavi, i servi, la bassa plebe, o al più qualche mercantuzzo, o qualche povero cittadino introdotti.
Quel rango di personaggi, che in ogni tempo tenuto ha il luogo fra l'ordine della sovranità e quello del volgo, vale a dire quelle persone che nobili noi chiamiamo, o per nascita, o per dignità, o per fortuna, non avevano parte sopra le scene antiche, ed Aristofane, che contro il filosofo Socrate e contro il tragico poeta Euripide nelle sue Commedie satirizzava, facevalo con allegorie e con misteri.
Don Lopez de Vega, don Pietro Calderone, spagnuoli, hanno persone nobili nelle Commedie introdotte, ma queste unicamente all'intreccio servir facevano, nulla delle loro virtù e dei loro vizi trattando, limitato ai servi il ridicolo, ed al loro Grazioso principalmente, che corrisponde all'Arlecchino degli Italiani.
Moliere è stato il primo, che tratto abbia il ridicolo dai Marchesi, dai cortigiani, dalle persone di qualità, e il suo novello ardire, spalleggiato dalla protezione di un Re, che lo eccitava non solo, ma fra i soggetti della sua Corte gli additava i più comici e i più originali, produsse de' buoni effetti, e furono le sue Commedie ottime e fortunate lezioni.
Correva nel passato secolo in Parigi un fanatismo di letteratura ridicola, fra le donne nobili principalmente; e gli uomini le secondavano, adulandole per compiacenza, onde le conversazioni loro erano accademie d'errori, i quali si estendevano sino agli articoli di Religione.
Le Donne sapienti e Le Preziose ridicole furono le due Commedie che un tale abuso corressero.
Vidersi così al vivo dipinte le donne di tal carattere, e tanto il ridicolo del costume loro compresero, che in poco tempo abbandonarono la vanità de' studiati ragionamenti, conobbero il loro inganno, e cambiarono in più adatti trattenimenti le tesi, le poesie ed i sofismi.
Con un sì bell'esempio dinanzi agli occhi, ogni comico scrittore si fece lecito di far lo stesso; in fatti, sendo la Commedia un'immagine della vita comune, il fine suo dev'essere di far vedere sul Teatro i difetti de' particolari, per guarire i difetti del pubblico, e di correggere le persone col timore di esser poste in ridicolo.
Di un sì gran benefizio devono tutti gli ordini essere a parte, e siccome nel fare altrui una correzione, dee l'uomo saggio servirsi delle ragioni e dei termini al grado ed alla condizione delle persone più convenevoli, difficilmente avverrà che si corregga il nobile di quel vizio, che vede essere in un plebeo deriso, o perché i modi della derisione non sieno alla delicatezza sua convenienti, o perché in sé creda esser lecito ciò che nell'inferior si condanna.
Necessario è, al parer mio, che uno scrittor di Commedie tragga da tutti gli ordini delle opere sue gli argomenti, e niuno può di ciò lagnarsi, quando la critica sia generale, e non arrivi la temerità dell'Autore a dipingere una persona in modo che possa essere riconosciuta.
Molto meno di me, spero, si lagneranno le genti, poiché non solo cerco di porre i vizi generalmente in ridicolo; ma studio mio particolare si è di esaltar le virtù e queste nelle persone nobili spezialmente, siccome quelle che, per la nascita e per la educazione, le fanno maggiormente risplendere.
Nella presente Commedia mia piacemi di porre in veduta la prudenza di una consorte nobile, angustiata da un marito geloso.
La gelosia è una passione comune a tutti gli ordini delle persone, siccome è comune a tutti l'amore.
Ma quest'amore violentato, sospettoso, inquieto, varia gli effetti suoi, secondo la varietà delle persone che amano.
L'uomo di basso rango, se ha gelosia della moglie, non trovasi da soggezione stimolato a celare la sua debolezza.
Comanda con libertà alla sua sposa, le vieta francamente di conversare, e se in occasione ritrovisi di aver sospetto, non cerca dissimularlo, e non ha difficoltà di sfogare la sua passione anche con uno schiaffo alla moglie.
Non così pensano i mariti di condizione.
Devono alle convenienze, alla civiltà, al costume sagrificare moltissimo; ed un povero geloso, che si vergogni d'esserlo, parmi un carattere assai ridicolo sulle scene, ed è in uno stato che merita di essere consigliato e soccorso.
Ma siccome a pochi, e forse a nessuno, confida egli la sua passione, e niuno ardisce favellargli della sua debolezza, qual altro miglior mezzo potrebbe egli avere per ispecchiarsi e correggersi, oltre quello d'una Commedia? Voglia Dio che ciò segua in alcuno dei spettatori, che bisogno ne avesse; ma voglia Dio altresì, che nella Dama Prudente si specchino tante mogli, che non potendo soffrir in pace le gelosie del marito, mantengono una perpetua guerra domestica, e per vendetta de' suoi sospetti, gliene recano de' più violenti.
A questo fine non ho io intitolata questa Commedia: Il Marito geloso, ma La Dama prudente, acciò più del ridicolo di un Marito, spiccasse la virtù d'una Moglie, e servisse ella di specchio, di consiglio e di norma a chi nel di lei caso per sua fatalità si trovasse.
PERSONAGGI
Donna EULARIA dama prudente;
Don ROBERTO suo marito;
Il marchese ERNESTO;
Il conte ASTOLFO;
Donna RODEGONDA moglie del giudice criminale;
Donna EMILIA dama abitante in Castello;
COLOMBINA cameriera di donna Eularia;
ANSELMO maggiordomo di don Roberto;
Un PAGGIO di donna Eularia;
Uno STAFFIERE di donna Eularia;
Un CAMERIERE di donna Rodegonda;
Un SERVITORE del Marchese.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera di donna Eularia.
COLOMBINA che sta facendo una scuffia, ed il PAGGIO.
COL.
Paggio, fatemi un piacere, datemi quelle spille.
PAGG.
Volentieri, ora ve le do.
(le va a prendere da un tavolino)
COL.
Non vi è cosa che mi dia maggior fastidio, quanto il far le scuffie.
Poche volte riescono bene.
La mia padrona è facile da contentare; non è tanto delicata, ma se va in conversazione, subito principiano a dire: Oh, donna Eularia, quella scuffia non è alla moda.
Oh, quelle ale sono troppo grandi! La parte diritta vien più avanti della sinistra.
Il nastro non è messo bene; chi ve l'ha fatta? La cameriera? Oh, che ignorante! Non la terrei, se mi pagasse.
Ed io non istarei con quelle sofistiche, se mi facessero d'oro.
PAGG.
Eccovi le spille.
COL.
Caro paggino, venite qui.
Sedete appresso di me.
Tenetemi compagnia.
PAGG.
Sì, sì, starò qui con voi, giacché la padrona mi ha mandato via dall'anticamera, e mi ha ordinato non andare, se non mi chiama.
COL.
Ha visite la padrona?
PAGG.
Oibò: vi è il padrone in camera con esso lei.
COL.
Sì sì, vi è il padrone, e vi hanno mandato via? Ho capito.
PAGG.
Io so perché mi hanno mandato via.
COL.
Oh, vi avranno mandato via, perché quando marito e moglie parlano insieme, il paggio non ha da sentire.
PAGG.
Non parlavano.
(ridendo)
COL.
Che cosa facevano?
PAGG.
Il padrone gridava.
COL.
Con chi gridava?
PAGG.
Colla padrona.
COL.
E ella che cosa diceva?
PAGG.
Ella parlava piano, e non potevo intendere.
Solo sentivo che gli diceva: Dite piano, non vi fate sentire dalla servitù.
COL.
Ma il padrone perché gridava?
PAGG.
Diceva: Sia maladetto quando mi sono ammogliato.
COL.
(Che diavolo di uomo! Impazzisce per la gelosia, ed ha una moglie prudente, che è lo specchio dell'onestà e della modestia).
(da sé)
PAGG.
Oh! ho sentito da lei queste parole: Non anderò in nessun luogo, starò in casa; e il padrone ha risposto: Alla conversazione bisogna andare.
COL.
(Sì, sì, è vero.
Vuol ch'ella vada alla conversazione, permette che riceva visite, che si lasci servire, e poi more, e spasima, e la tormenta per gelosia).
(da sé)
PAGG.
Oh, questa è bella.
Sentite cosa le ha detto: Voi, dice, vi fate bella per piacere alla conversazione.
COL.
Ed ella che cosa ha risposto?
PAGG.
Non ho potuto sentire.
Non mi ricordo un'altra cosa...
e sì era bella...
Oh sì, ora mi sovviene.
Dice: Non voglio che andiate tanto scoperta.
La padrona si è messa a ridere; e il padrone si è cavata con rabbia la parrucca di testa, e l'ha gettata sul fuoco.
...
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