I PUNTIGLI DOMESTICI, di Carlo Goldoni - pagina 1
I PUNTIGLI DOMESTICI
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per
la prima volta in Milano l'Estate
dell'anno 1752,
A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR
ANTONIO CONTARINI
PATRIZIO VENETO
Vostra Eccellenza mi ha onorato della sua protezione senza conoscermi, per certa compiacenza che le Opere mie le recavano, ed io ammiratore sono stato del di lei merito e della di lei Virtù, per quello che da più parti ragionarne intesi.
Il Conte Orazio Arrighi Landini Fiorentino, Uomo di Lettere, mio caro amico, godendo egli la grazia e la protezione di V.
E., mi ha procurato l'onore di essere io in persona a ringraziarla della benignità sua, e supplicarla a volermi di essa continovare gli effetti, congratulandomi io con me medesimo d'aver conosciuto più da vicino un Cavaliere, i di cui pregi sorpassano la fama che li decanta.
Quai sieno questi, non è sì facile che io sappia dirlo, né d'uopo è che io lo dica in una Città, che conosce perfettamente l' E.
V.
e l'ammira, e pruove magnanime aspetta di quella Virtù, che in età verde ancora la fa risplendere.
Fortuna è nascere con quella docilità di animo e chiarezza di mente, che in lei si ammirano.
Fortuna l'avere dinanzi agli occhi un esemplare vicino, che ecciti alle virtù.
L'Eccellentissimo Signor Simeone Contarini Procurator di San Marco, Padre amorosissimo dell'E.
V., è quel modello che a tutti gli uomini nobilmente nati può servire di regola, e molto più a quelli che sono nei gradi, e negli onori, e nei pesi della Repubblica iniziati; e quanto maggiore è l'attaccamento che per natura ha con esso lui l'E.
V., tanto più forte nel di lei animo farà impressione l'esempio suo.
Principiò Egli a sagrificar se medesimo a pro della Patria nell'età verde ancora, e unendosi in lui perfettamente il genio ed il talento, militando ancor giovanetto nelle Provincie della Dalmazia e dell'Albania, nell'aspra guerra co' Turchi, sotto il comando del Serenissimo Doge Sebastian Mocenigo suo zio, gli fu da quello addossato l'onorevole carico di Luogotenente Generale, onde coraggiosamente condottosi agli assedi di Antivari e di Dulcigno, diè pruove tali del suo valore, e tanto mostrò coraggio, ancorché tinto del proprio sangue, per grave ferita sparso, che fu dall'ammirazione e dalla gratitudine dell'eccelsa Patria con estraordinario esempio Senatore eletto nell'anno vigesimoterzo dell'età sua.
Ciò servì a lui di stimolo per maggiormente accendersi del vero amore di Cittadino, non risparmiando fatica a pro della Repubblica, e questa gareggiò sempre coi esso lui nel caricarlo di onori.
Resse due volte la Città di Padova, ed una quella di Brescia.
Provveditore alla Sanità in Dalmazia, assicurò ben presto la salute comune, estirpando affatto colà ogni contagioso malore.
Alla Porta Ottomana, Bailo per la Repubblica Serenissima, quai prove non ha egli date del suo sapere e della sua ammirabile condotta? E alla suprema carica eletto di Provveditor Generale nella Terra Ferma, dopo aver conseguita la veste insigne Procuratoria, con qual zelo, con qual merito e con qual vigilanza non sostenne egli un tale onorevole peso?
Tutto ciò basta per ravvisare quali e quante sieno le di lui virtù, perché senza di esse né si merita tanto, né tanto si conseguisce.
Che però, torno a ripetere con fondamento, che un esemplare sì grande, sì interessante,.
e sì prossimo all'E.
V., non può che animarla ad operare e a risplendere, additandole quel sentiero, per cui a tanta gloria si arriva.
Bella felicitò di un Genitore magnanimo, mirar sì ben disposti ad imitarlo i figli suoi, e certamente l'E.
V.
forma la di lui maggiore speranza e la più perfetta consolazione.
Di questa a parte sono gli amici e ì servidori tutti della di lei Eccellentissima Casa, ed io che mi lusingo di essere nel numero di questi ultimi, riconosco nell'E.
V.
un mio amorosissimo Protettore.
La fiducia che io ho nella di lei benignissima protezione, mi anima ad offerirle un miserabile parto della mia penna, ponendo in fronte a questa Commedia mia il venerabilissimo nome dell'E.
V., gloria per me essendo che un tanto onore mi si conceda, siccome quello di potermi qui sottoscrivere con venerazione ed ossequio
Di V.
E.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Habent sua sidera lites, sogliono dire i Forensi: io dirò lo stesso delle Commedie.
Alcune che meriterebbero miglior fortuna, sono sgraziate nell'esito, ed altre lo hanno più felice di quello che al merito loro promettere si poteva.
Questa che ha per titolo I Puntigli Domestici, è una di quelle che chiamerò sfortunate, poiché fatto io le aveva un più felice presagio, e con mio rammarico l'ho veduta meno applaudita di altre Commedie mie, le quali, secondo me, meritavano meno.
Parmi che l'argomento sia interessante, la condotta semplice e naturale, il dialogo proporzionato agli Attori, e gli accidenti non solo verisimili, ma che si possono creder veri.
Con tutto ciò pochissima accoglienza le venne fatta.
Ma perché mai? Il perché parmi di averlo rilevato.
I caratteri sono mediocri, leggieri e comuni.
Ecco il motivo, per cui la Commedia risalta poco.
Or dove sono coloro, che quando veggono un carattere un poco troppo forzato, esclamano: È troppo forte, eccede il verisimile, è caricato? Signori miei, come la volete? Calda o fredda? Voi mi fareste impazzire, se vi dessi retta.
Ma, grazie al Signore, ho un paio di buonissime orecchie.
Fo il fatto mio, e in verità non mi voglio confondere.
La necessità di far molte Commedie in un anno mi obbliga a variare nella maniera di scriverle.
Così a chi una non piace, l'altra soddisfa meglio.
Questa mi basta sia esaminata e compatita da quei che della Commedia s'intendono, e spero la ritroveranno più regolare di molte altre.
PERSONAGGI
Il conte OTTAVIO
La contessa BEATRICE vedova, sua cognata.
La contessina ROSAURA figliuola della Contessa.
Il conte LELIO figliuolo della Contessa.
Il marchese FLORINDO destinato sposo della Contessina.
PANTALONE de' BISOGNOSI mercante veneziano, amico del conte Ottavio.
Il dottore BALANZONI avvocato.
BRIGHELLA servitore del conte Ottavio.
CORALLINA cameriera della contessa Beatrice.
ARLECCHINO servitore del marchese Florindo.
Un GARZONE di scuderia.
Un MESSO della curia.
Un SERVITORE d'Ottavio.
La Scena si rappresenta in Napoli.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Appartamento del conte Ottavio.
BRIGHELLA ad un tavolino, che sta rapando un bastone di tabacco;
poi CORALLINA colla rocca, filando.
BRIGH.
Vardè cossa che i s'ha inventà per far sfadigar la povera servitù! Grattar el tabacco! Invece de pestarlo, grattarlo! Quel che doveria far i facchini, l'ha da far i poveri servitori.
(va rapando)
COR.
Brighella, la padrona vi domanda.
BRIGH.
Se la me domanda, no vedì cossa che fazzo?
COR.
Lasciate di rapare(1), e andate a vedere che cosa vuole.
BRIGH.
El padron el vol una scatola de tabacco.
COR.
E intanto che la padrona aspetti: siete pure incivile!
BRIGH.
Corallina, mi ve voio ben; ma sto perderme el respetto, farà che ve perda l'amor.
COR.
Già me l'ha detto la padrona.
Vedrai che colui non verrà.
(filando)
BRIGH.
L'ha dito colui?
COR.
È un pezzo che la signora contessa Beatrice vi ha in mala opinione.
In questa casa vi vedo e non vi vedo.
BRIGH.
Donca gh'averessi gusto che andasse via.
Bell'amor! Brava! Me confido che ella no comanda.
Comanda el conte Ottavio, che l'è el me padron.
COR.
Comanda anch'ella.
È sua cognata, è stata moglie di suo fratello.
È madre del conte Lelio e della contessina Rosaura: sarebbe bella che ella non comandasse.
BRIGH.
Basta: a mi no la me comanda.
Vôi finir de rapar.
(rapando)
COR.
Lo dirò al conte Ottavio, e la verrete a servire.
(fila)
BRIGH.
Eh via! (rapando)
COR.
Oh, se ci verrete.
(fila)
BRIGH.
Signora no, non ci verrò.
COR.
No? basterebbe che io volessi.
La mia padrona fa più conto di me, che di suo cognato.
BRIGH.
E el me padron el fa più capital de mi, che de tutta la so fameia.
COR.
Io ho persuaso la mia padrona a contentarsi che la sua figliuola si sposi al marchesino Florindo.
Non lo voleva fare per niente; anzi aveva intenzione di darla al marchese Riccardo, e quasi quasi gliel'avea promessa; ma per me ha cangiato opinione.
BRIGH.
Col me padron avesse volsudo, el gh'ha una testa che fa far a so modo.
COR.
Anche la mia padrona non burla.
Quando dice voglio, ha da essere.
BRIGH.
Sì ben; per ostinazion no gh'è un par suo.
COR.
Quel vostro satiro del conte Ottavio, non è la cosa più odiosa di questo mondo?
BRIGH.
Lo vorressi metter colla vostra padrona, che l'è nata quando el diavolo se pettenava la coda?
COR.
E il vostro è stato concepito col tuono, e partorito fra le saette.
BRIGH.
Brava! Oh che bei concetti! Oh che signora de garbo!
COR.
Certo che non sono una ignorante come siete voi.
BRIGH.
Cossa voleu cara fia, tutti gh'avemo i nostri difetti.
Mi ignorante, e vu pettegola.
COR.
Se foste ignorante, sarebbe poco.
(fila con rabbia)
BRIGH.
Gh'è de pezo(2)?
COR.
Una piccola bagattella.
Avete dell'asino.
BRIGH.
Tutti avemo la nostra parte.
Mi aseno, e vu...
COR.
Portatemi rispetto.
Sono una fanciulla dabbene.
BRIGH.
Le fanciulle da ben no le parla cussì coi omeni onorati della mia sorte.
COR.
Lo dirò alla padrona.
BRIGH.
E mi lo dirò al padron.
COR.
E vi farò mandar via.
BRIGH.
Poderia esser che zoghessimo de briccòla.
COR.
Ecco lì non rapa, non fa niente, e non vuol venire dalla padrona.
BRIGH.
La vaga a far i fatti soi, e la me lassa far quel che ho da far.
(rapa)
COR.
Servitori? Nemici dei padroni.
(fila)
BRIGH.
Serve? Pettegolezzi de casa.
(rapa)
COR.
Non sono buoni che a mangiare.
(fila)
BRIGH.
No le sa far altro che far l'amor.
(rapa)
COR.
Son bravi a burlare.
(fila)
BRIGH.
El so forte l'è far le mezzane.
(rapa)
COR.
Parla di me, signore?
BRIGH.
E ella parlela de mi, padrona?
COR.
Se non mi vendico, possa io essere filata come questo lino.
(fila)
BRIGH.
Se no me reffo, che sia grattà come sto baston de rapè.
(rapa)
COR.
Villano! (fila)
BRIGH.
Insolente! (rapa)
COR.
A me insolente? Giuro al cielo! non so chi mi tenga, che non ti salti al collo, e non ti strappi la lingua.
Ma senti, qualche brutto giuoco ti farò.
A me insolente? Voglio vendicarmi, se credessi di perdere la casa, il pane e la vita.
(parte)
SCENA SECONDA
BRIGHELLA, poi il conte OTTAVIO
BRIGH.
Pettegola maledetta! Tolè su, questo è quel che s'avanza a far l'amor con ste sporche.
Le se tol confidenza, e le strapazza.
OTT.
Hai mai finito di rapare questo tabacco?
BRIGH.
Sior...
se la savesse...
Più che se gh'ha voggia de far ben a sto mondo, e più se vien perseguitadi.
OTT.
Che cosa è stato?
BRIGH.
Son qua che gratto el tabacco, e vien Corallina a insolentarme...
(rapando con rabbia)
OTT.
Ho pur detto che la gente di mia cognata non ha da venire nelle mie camere.
BRIGH.
E mi, lustrissimo, oi da lassar de rapar el tabacco per servir la lustrissima siora Beatrice?
OTT.
Tu servi me, e non lei.
Come ci entra la contessa a comandare alla mia servitù?
BRIGH.
Se ghe l'ho dito.
I m'ha tolto per el facchin de casa.
(rapando)
OTT.
Che cosa è stato?
BRIGH.
Ghe dirò, signor, era qua che fava i fatti mii, per servizio del me padron; vien Corallina, e la dise che la signora contessa me vol mandar in t'un servizio.
Digo: aspettè; sior no.
Lassè che fenissa de rapar, sior no.
Vegnirò adess'adesso; sior no.
In somma la dis cussì che tutti i servitori i è al so comando.
Che l'è padrona, e che s'ha da lassar tutto per servirla ella.
OTT.
Lasciar tutto per servir lei? (con caricatura) Finisci di rapare.
BRIGH.
La servo.
(rapando) Certo, se no la giera ella, no se faceva sto matrimonio.
(con ironia)
OTT.
Che matrimonio?
BRIGH.
Eh niente, lustrissimo! Rido de una certa espression de Corallina.
OTT.
Che cosa ha detto?
BRIGH.
Eh, l'è una donna; non occorre badarghe.
(rapando)
OTT.
Ma dimmi, che cosa ha detto?
BRIGH.
Ghe dirò.
La pretende che la so padrona ghe voggia ben, e che la fazza tutto a so modo.
E cussì, circa al matrimonio che i ha stabilido tra la signora contessina e 'l sior marchese Florindo, la dis Corallina: se non era io, la padrona non lo faceva.
...
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