IL GIUOCATORE, di Carlo Goldoni - pagina 1
IL GIUOCATORE
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia
il Carnovale dell'Anno 1751.
ALL'ILLUSTRISSIMO SIG.
CONTE
PARMENIONE TRISSINO
PATRIZIO VICENTINO
Niuno meglio di Lei, Illustriss.
Sig.
Conte, può giustificare, se sia vero che da un genio Comico sino ne' primi mani dell'età mia trasportato io fossi; poiché avendo io l'onore di esser seco frequentemente fin d'allora, il nostro più geniale trastullo, i nostri fanciulleschi diporti, consistevano principalmente nell'abbozzare piccole Commediole per uso de' Burattini, che dalle nostre mani medesime venivano poi regolati.
Oh, dove sono eglino andati que' felicissimi giorni, ne' quali tanto piacere io provava nel passar l'ore colla di Lei amabilissima compagnia? I soli voti ch'io porgeva all'amorosa mia Madre erano questi, o di poter io frequentare la di Lei Casa, o impetrare ch'Ella si degnasse di passar nella mia.
E tanto amore e tanta benignità avea per essa la nobilissima di Lei Genitrice, nata dalla illustre, eccelsa Famiglia degli Estensi Tassoni, che con generosa condescendenza non cessava di secondar le mie brame.
Il Padre mio in quel tempo trovavasi dalla di lui Famiglia lontano; molti anni lasciò la Moglie e due Figli senza la di lui presenza e custodia, poiché vendutasi al pubblico incanto quella carica di Notaro al Magistrato Eccellentissimo de' cinque Savi alla Mercanzia in Venezia, che per quarant'anni aveva esercitata per grazia e dono della pubblica beneficenza, non trovandosi in grado di soccombere il gravoso sborso, tentò di cercare altrove miglior destino, e stette in Roma parecchi anni ad imparare la Medicina, nella quale poscia si esercitò per tutto il tempo di vita sua, e morì Medico condotto nella grossa terra di Bagnacavallo, situata nel Ferrarese.
Trovandomi io dunque senza l'educazione del Padre, con quella soltanto di una Madre amorosa e sollecita del bene de' propri Figliuoli, avea io necessità certamente che io mi provvedesse de' buoni esemplari, di ottime guide per battere il miglior cammino, in quella età in cui le buone e le cattive inclinazioni si vanno a poco a poco formando.
Felicissimo non per tanto posso io chiamarmi, e lo riconosco per effetto della Provvidenza Divina, aver io in quel tempo della mia puerizia avuto dinanzi agli occhi lo specchio ammirabile della di Lei saviezza, e dietro la scorta di quelle virtù che in Lei superavano di gran lunga l'età, andava io formando il cuore ed apprendendo le migliori massime, affetto prendendo agli studi, alle lettere, ed ai meno pericolosi trattenimenti.
Il destino poscia ci separò.
Io nell'età di anni dodici chiamato dal Padre mio in Perugia colà feci il corso di quegli studi, che dalle Scuole dei venerabili ed al Mondo utilissimi Padri della Compagnia di Gesù con tanto profitto alla gioventù si offeriscono.
Indi nel Collegio Ghislieri della città di Pavia studiai per tre anni la Legge, e poscia nell'Università di Padova presi la Laurea Dottorale per esercitare in Venezia, come feci per qualche tempo, la professione dell'Avvocato.
Ella, Illustriss.
Sig.
Conte, passò in Vicenza nobilissima Patria sua dove de più secoli l'antichissima di Lei Casa sostiene cospicuo grado ed infiniti onori.
Colà aspettato da' Nobilissimi Congiunti suoi e dalla città tutta, che in Lei prevedeva un vero Erede de' Trissini valorosi, onore della Patria lor non meno che di tutta la Repubblica Letteraria, e fu alla comune aspettazione seconda la mirabile di Lei condotta, la saviezza e prudenza sua, e le di Lei virtù corrispondono fedelmente a quelle illustri e magnanime de' suoi gloriosi Antenati.
Con qual contentezza non mirerà egli dal Cielo un sì degno Nipote, un così illustre posseditore de' suoi talenti e saggio imitatore delle sue più belle virtù, quel Gio.
Giorgio Trissino, che nel secolo XVI tanto splendore recò all'Italia tanto illustrò la Tragica Poesia colla Sofonisba, e l'Epica Poesia con l'Italia liberata da' Goti, nelle quali Opere insigni fu egli il primo fra gl'Italiani, ed eccitò i più felici talenti ad imitarlo e seguirlo?
Ella ha perfettamente ereditato il suo genio, il suo merito e le sue inclinazioni, e nella cospicua carica di Bibliotecario, che in Vicenza sostiene, fa mirabilmente spiccare il di Lei talento felice, l'amore che serba alle lettere, e il desiderio vivissimo che la gloria si aumenti della Patria sua e della sua gloriosa Famiglia.
Dio volesse che siccome studiai d'imitarla primi tempi, ne' quali l'umano intelletto forze non ha bastanti per conoscere ed abbracciare le migliori scienze, avessi poi potuto coll'andar degli anni, mercè del chiaro esempio suo, seguirla, che ora non piangerei l'abbandonamento de' migliori studi per seguir questo della Comica Poesia, da sì spine circondato, e sì malagevole.
Solletica qualche fiata l'applauso popolare, che a qualche Comica rappresentazione si dona, ma non è questa bastevole compensazione alle fatiche incessanti dello spirito, che consumasi al tavolino, alle critiche sanguinose, alle quali soggette sono anche le Opere più fortunate, ed al rammarico tormentoso, allora quando alcune di esse veggonsi, malgrado lo studio e l'applicazione, dal Pubblico disapprovate.
Il Padre ama egualmente tutti i di lui Figliuoli, non conosce í difetti loro, e sono tante ferite pel di lui animo le dicerie che contro di quelli vengono pronunziate.
Due volte degg'io andare incontro colle Opere mie ad un sì incerto destino: l'una, quando le do al Pubblico dalle Scene; l'altra, allorché le rendo pubbliche colle stampe.
La prima volta vanno elleno senza presidio alcuno abbandonate alla discrezione degli Uditori, i quali sono per la maggior parte a lacerarle inclinati; ma la seconda fiata, siccome durevole esser deve, qualunque siasi, la comparsa loro agli occhi dell'Universale, fo studio di provvedere ciascuna di esse di un autorevole Protettore.
Ecco dunque che questa, la quale ha per titolo Il Giuocatore, viene a V.
S.
Illustriss.
da me utilmente raccomandata.
Sarà essa indegna per certo della di Lei Protezione, ma non diffido almen per questo, che Ella non voglia coll'autorità sua difenderla e sostenerla; e mi anima ciò a sperare l'innata benignità del di Lei animo generoso, e quella antica parzialità ch'Ella ha avuto per me nel tempo della nostra puerizia, la quale so essersi in Lei a mio favore aumentata, non perché siasi in me accresciuto il merito, ma perché la di Lei bontà e gentilezza cresce nel di Lei animo ogni dì più, e si aumenta l'inclinazione che Ella ha sortito dalla grandezza de' suoi natali di aggradire, proteggere e beneficare.
All'interesse, a cui grandemente aspiro, d'onorare questa mia Commedia col prestantissimo di Lei Nome, aggiungesi ancora la brama ch'io nutro di render pubblica al Mondo 1'umilissima servitù mia verso un sì benigno, magnanimo Protettore e Padrone, a cui ho l'onore di protestarmi con profondissimo ossequio
Di V.
S.
Illustriss.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Non sarò io il primo che abbia al pubblico esposto in una Commedia il Giuocatore; ma tale Argomento è questo, che meriterebbe essere con più e più Commedie in varie guise trattato, fintanto che si estirpasse il vizio che, secondo me, lo credo il peggiore di tutti.
Experto crede Roberto, dicesi per proverbio.
Anch'io ho provato le pessime conseguenze di questo affannoso piacere.
Il maggior benefizio ch'io abbia riportato dall'impegno di scrivere più Commedie in un anno è questo, che occupato quotidianamente in tale esercizio, poco tempo mi resta per divertirmi, e quelle ore che ho destinato al respiro, non le sagrifico ad un tavoliere, dove si perde il tempo, i denari, la salute, e talvolta pur troppo la riputazione.
S'io avessi posto in iscena un Giuocator fortunato, brillante, allegro, generoso e felice, avrei formata una Commedia più viva, più gioconda, e forse assai più dall'Universale gradita, ma avrebbe ella servito a solleticare gli animi al vizio, ed avrei innamorato gli Ascoltatori di una lusinghiera e falsissima compiacenza.
Il mio Giuocatore facendolo sfortunato, come per la maggior parte tali sono i Giuocatori viziosi, fa conoscere al Mondo i pregiudizi di una sì funesta passione, la quale a poco a poco conduce l'uomo ad uno stato miserabile, e a perdere di vista l'interesse, gl'impegni, le convenienze e l'onore.
Io non pretendo già che le mie Commedie abbiano ad essere la scuola degli uomini; ma questa sì vorrei che lo fosse, e in questa ho studiato di farla da Precettore, quanto mai ho potuto; perché avendone io nel tempo passato avuto bisogno, avrei desiderato mirar su le Scene un esemplare, che mi avesse svegliato e corretto.
Ma all'incontro non ho veduto rappresentare che Giuocatori, i quali menando una vita commoda ed allegra per ragione delle vicende del giuoco, non facevano che lusingare la mia passione.
Non occorre adularsi: chi giuoca, giuoca per vincere, e il desiderio di vincere ha il suo principio o dall'avarizia, o dalla scostumatezza; nel primo caso cerca il Giuocatore di vincere per accumulare, nel secondo per appagare le sue voglie, non misurate colla sua condizione.
Vi è un altro piccolo eccitamento al giuoco, proveniente dalla poca volontà del far bene.
Arricchirsi, o satisfarsi almeno con poca fatica, senza studio e senza merito, è una cosa che agli oziosi piace infinitamente; ma siccome spesse volte accade loro di perdere il poco certo, per la speranza del molto incerto, ciò dovrebbe al fine disingannarli.
Ed ecco perché ho scelto io nella mia Commedia un Giuocatore di tal carattere, il quale se non piacerà a molti, gioverà a pochi, ed io desidero che sia di profitto a tutti gli Amici miei.
PERSONAGGI
PANTALONE de' BISOGNOSI mercante veneziano;
ROSAURA sua figliuola, promessa sposa a Florindo;
FLORINDO giovine civile, giuocatore;
BEATRICE amante di Florindo;
LELIO giuocatore;
AGAPITO altro giuocatore;
TIBURZIO giuocatore di vantaggio;
GANDOLFA vecchia sorella di Pantalone;
PANCRAZIO vecchio amico di Gandolfa;
COLOMBINA cameriera di Rosaura;
BRIGHELLA custode del casino, ovvero delle stanze del giuoco;
ARLECCHINO servitore di Florindo;
Un SERVITORE del casino del giuoco;
MENICO servitore d'Agapito;
Un SERVITORE di Lelio;
Un SERVITORE di Tiburzio.
La Scena si rappresenta in Venezia.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera da giuoco nel casino
FLORINDO al tavolino da giuoco con lumi e carte, numerando denari; poi BRIGHELLA
FLOR.
Chi è di là?
BRIGH.
Illustrissimo.
FLOR.
Che ora è?
BRIGH.
Per dirghela, illustrissimo, me son indormenzà un pochetto, e no so che ora sia.
FLOR.
Andate a vedere che ora è.
BRIGH.
La servo.
(Che bella vita! Da ieri a vintidò ore fina adesso, che l'è sentà al tavolin).
(parte, poi torna)
FLOR.
Cinquecento zecchini in una notte non è piccolo guadagno, ma poteva guadagnare assai più.
Se teneva quel sette, quel maledetto sette, se lo teneva, era un gran colpo per me.
Mi ha detto quel sette fra il dare e l'avere altri mille zecchini.
Ho quel maledetto vizio di voler tenere i quartetti, e sempre li do, e sempre li pago.
Ah, bisogna ch'io ascolti le suggestioni del cuore; quando li ho da tenere, mi sento proprio lo spirito che mi brilla nelle mani, e quando hanno a venir secondi, la mano mi trema; da qui avanti mi saprò regolare.
BRIGH.
Sala che ora è? (torna di nuovo)
FLOR.
Ebbene, che ora è?
BRIGH.
L'è ora de smorzar i lumi, avrir le finestre, e gòder el sol.
FLOR.
Come? È giorno?
BRIGH.
Zorno chiaro, chiarissimo.
FLOR.
Oh diavolo! Ho passata la notte senza che me ne sia accorto.
BRIGH.
Mah, quando la va ben, se tira de longo senza abbadar all'ore.
FLOR.
Oh maledetta la mia disgrazia!
BRIGH.
Ala perso?
FLOR.
Non ho perso.
Ho vinto cinquecento zecchini, ma a che servono?
BRIGH.
La ghe dise poco?
FLOR.
Oh, se teneva un sette! Maledetto quel sette!
BRIGH.
(Ecco qua, i zogadori no i se contenta mai.
Se i perde i pianze, se i guadagna i se despera, perché no i ha guadagnà tutto quel che i voleva.
Oh, che vita infelice l'è quella del zogador!) (da sé) Cossa vólela far? Un'altra volta.
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