IL GELOSO AVARO, di Carlo Goldoni - pagina 1
Carlo Goldoni
IL GELOSO AVARO
La presente Commedia di carattere, in tre Atti in prosa, fu rappresentata per la prima volta in Livorno nell'Estate dell'anno 1753.
A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR
ALVISE VENDRAMINI
PATRIZIO VENETO
Sanno tutti quelli che mi conoscono, ch'io scrivo in Venezia presentemente le opere mie per uso di quel Teatro, di cui è Padrone l'Eccellentiss.
Signor Francesco, Padre di V.
E., e mio benignissimo Protettore.
Tutti però non sanno con quanta generosa bontà mi tratti il Cavaliere umanissimo, e questo avrei voluto che si sapesse, ringraziandolo con una lettera mia ossequiosa, posta in fronte ad alcuna delle mie Commedie.
Egli che, fra le altre Virtù, ha quella della più esemplare molestia, col più grazioso artifizio del mondo ha penetrato sin nell'animo mio, e mi ha impedito di farlo, temendo forse sentirsi dir quelle lodi ch'ei merita, e che in faccia sua sdegna di sofferire.
Buon per me, che in un sì rigoroso divieto non ha compreso la venerata persona di Vostra Eccell., onde a Lei potrò rivolgermi impunemente, e favellando col Figlio, mi sembrerà in un tempo di favellare col Padre, essendo, e per natura, e per legge, una stessa persona considerati.
Pure per questa istessa ragione dorrà trattenere il corso della mia penna, ove lodar tentassi o la di Lei Famiglia, o i di Lei meriti personali, perch'egli, se non lo aggradisce, non condanni almeno quest'atto del mio sincero rispetto.
Ma che giova parlare della Famiglia antichissima de' Vendramini, s'ella è bastantemente conosciuta dal Mondo? Ne parlai brevemente, vivente ancora l'Eccellentiss.
Signor Antonio, Zio Paterno di Vostra Eccell., di onorevole ricordanza, e fra le lettere della edizione mia Fiorentina non lasciai di dargli in allora un pubblico testimonio del mio ossequio e della mia gratitudine.
Ora dunque dovrei parlare soltanto dell'Eccell.
Vostra, ma nell'età giovanile in cui tuttavia si ritrova, non potrei che additare i semi di quelle Virtù, che luminose un giorno risplenderanno a pro della Patria e del suo glorioso Casato.
Vedesi in Lei accoppiato all'avvenenza della persona il brio dello spirito; e la dolcezza de' suoi costumi, e la chiarezza della sua mente presagiscono, in Lei ai gradi eminenti della Repubblica un degno erede de' suoi gloriosi antenati.
Ma questo rispettoso mio foglio non ha da essere un panegirico alle di Lei Virtù, ché io atto non sono per sì grand'opera, e male collocato vedrebbesi fra le Commedie.
Mia intenzione è soltanto manifestare per questa via il mio sincero giubbilo, per l'onore onde vengono le mie fatiche illustrate.
Sono oramai quattr'anni ch'io scrivo per il teatro rinomatissimo de' Vendramini, e spero di continuar fin ch'io viva, o almeno fin che avrò lena per scrivere.
Il nuovo mio REALE PADRONE lasciami in libertà di poterlo fare, e tanto più volentieri lo faccio, quanto veggo le opere stie dalla comica compagnia valorosamente eseguite.
Il Teatro de' Vendramini sempre fu rispettabile e accreditato, ma ora più che mai può vantarsi di essere di egregi attori fornito, capaci di ogni più difficile Rappresentazione, Tragica sia, o sia Comica, trovando in essi partitamente l'abilità di rappresentare i caratteri più originali del mondo.
Non ho riguardo di replicare in pubblico una proposizione detta da me sinceramente in privato: Se le mie Commedie recitate da una tal compagnia non incontreranno, non sarà per difetto dei Comici, ma di me soltanto.
Sono parecchi anni ch'io mi struggo in un tal mestiere, ed è eccedente il numero delle cose fatte da me sinora, e però il mondo ha da aspettare di quando in quando dei frutti secchi.
Le piante ancora, dopo un abbondante prodotto de' loro frutti, in qualche anno si mostrano meno feconde, e il Giardiniero le soffre, colla speranza di rivederle più fertili nell'avvenire.
Chi mai creduto avrebbe, Eccellenza, ch'io dar dovessi in quest'anno al di Lei Teatro una Commedia sì fortunata qual fu l'Ircana in Ispaan? Io stesso non me ne sarei lusingato.
Dopo la Sposa Persiana, dopo il seguito alla medesima, intitolato Ircana, dopo un argomento consumato in due rappresentazioni, fu temerario l'azzardo di lavorarvi sopra la terza; e pure sa l'Eccellenza Vostra se miglior esito si poteva desiderare.
Voglio dire con ciò, che lavorando quasi continuamente, con animo di far il meglio che far si possa, escono dei parti più e meno felici, e di questi non si ha l'uomo da insuperbire siccome per la sfortuna degli altri non dee avvilirsi.
Ma io l'averò ben bene annoiata con questo foglio in cui saltando, come dir si suole, di palo in frasca, dirà Ella che prima di scrivere non sapeva io medesimo l'argomento della mia lettera.
Ma se mi hanno traviato alcune cose fuor del proposito, l'argomento è però soltanto per manifestare al mondo l'ossequio mio verso la di Lei Eccellentissima casa, e protestarmi con il più profondo rispetto
Di V.
E.
Umiliss.
Dev.
Obblig.
Servitore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
L'avaro è un buon carattere comico originale; l'hanno trattato i migliori Poeti, ed io pure l'ho adoperato per episodio nella Commedia che ha per titolo Il vero amico.
Il Geloso è parimenti un carattere da Commedia ed io e tutti gli scrittori comici se ne sono serviti.
Un uomo con due difetti notabili diviene ancora più comico, e molto più se i due difetti si contrastino fra di loro.
La gelosia e l'avarizia possono facilmente verificarsi in uno stesso soggetto, senza che una passione si risenta dell'altra, ma dar si possono delle occasioni, in cui divengano fra di loro nemiche.
L'arte del Poeta può ritrovare in natura dei punti essenziali per un tale contrasto, senza escire dalla ragione, dal verisimile e dall'esempio ancora.
Io non dirò aver copiato a puntino il mio geloso e avaro Protagonista, ché di tali pitture inoneste e pericolose sono costantemente nemico, ma confessare degg'io averlo bensì disegnato sul modello rappresentatomi al vivo da persona degna di fede, che ebbe la carità e la prudenza di non nominarmi il soggetto.
Ignaro io dunque della persona, non ebbi scrupolo di valermi del suo carattere, tanto più che son certo trovarsi lo sconosciuto da noi lontano.
Se mai per avventura però giungesse questa mia Commedia alle di lui mani (giacché per la sua avarizia non è sperabile ch'ei la veda in teatro rappresentare) gli servirebbe di un bel rimprovero, e forse di correzione.
Ma non sarà egli solo al mondo con questi due malanni d'intorno, e il caso forse ne farà incappare più d'uno.
Questa è la prima Commedia mia, che fu rappresentata in Venezia nel teatro che dicesi di San Luca, della nobilissima casa de' Vendramini.
Non ebbe, per dir il vero, molto felice incontro, e il personaggio che rappresentava il Geloso Avaro, quantunque abilissimo in altre parti giocose, in questa non riuscì bene.
Ciò mi fece risolvere appoggiar tal carattere al Pantalone, ch'era in allora il graziosissimo Francesco Rubini; e non m'ingannai, poiché alle di lui mani comparve mirabilmente, e la Commedia fece in Genova un buon effetto.
Morì poco dopo il valoroso Rubini, e la mancanza dell'incomparabile attore fe' sì che di tal Commedia non si è parlato più oltre.
Conosco anch'io che il carattere è troppo odioso, col confronto massime di una moglie afflitta, virtuosa, che merita compassione, e senza una grazia originale del personaggio non può universalmente piacere.
Anche il fine un poco tragico della Commedia può riuscire pericoloso, ma io ho voluto condurre la peripezia di quest'uomo più al morale, che al fin giocoso.
Non manca la Commedia per questo del suo ridicolo, non manca d'intreccio e di episodi, ed ha avuto i suoi partigiani.
Ella esce presentemente alla vista del pubblico colle stampe, soggetta al destino di tante altre, e se non avrà la fortuna di soddisfare il genio de' leggitori, potrà nascondersi facilmente tra la folla delle cinquanta che la precedono, e di quelle che dopo di lei nel nuovo mio Teatro compariranno.
PERSONAGGI
PANTALONE mercante veneziano, avaro e geloso
Donna EUFEMIA sua moglie
Don LUIGI
Donna ASPASIA sorella di don Luigi
Don ONOFRIO marito di donna Aspasia, smemoriato
Don GISMONDO auditore della Vicarìa
IL DOTTORE BALANZONI padre di donna Eufemia
Ser AGAPITO procuratore
BRIGHELLA servitore di don Luigi
TRACCAGNINO servitore di Pantalone
ARGENTINA cameriera di donna Eufemia
La SANDRA donna
La GIULIA donna
PASQUINA ragazza
FELICINA ragazza
GIANNINO servitore del Dottor Balanzoni
La Scena si rappresenta in Napoli.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di don Luigi.
DON LUIGI con un ritratto in mano, e poi BRIGHELLA.
LUI.
E sarà vero che tu m'abbia a far sospirare? Maledetto ritratto! ti getterò tra le fiamme.
E poi, incenerito che sarà il ritratto, mi staccherò dal cuore l'originale? Ah no, s'io non mi strappo il cuore medesimo, in cui il perfido amore ha stampato l'effigie della mia tiranna.
BRIGH.
Signor...
LUI.
Va al diavolo.
BRIGH.
Servitor umilissimo.
(vuol partire)
LUI.
Che cosa vuoi?
BRIGH.
Voleva darghe una lettera, che m'è stada dada alla Posta.
LUI.
Da' qui.
BRIGH.
Eccola, signor.
LUI.
Hai nulla da dirmi di donna Eufemia?
BRIGH.
Niente, signor.
LUI.
T'ho pur detto che tu andassi per la risposta del mio viglietto.
BRIGH.
Son andà; ma no gh'è niente.
LUI.
Niente?
BRIGH.
Niente affatto.
LUI.
Che tu sia maledetto.
Niente?
BRIGH.
Che colpa ghe n'oia mi?
LUI.
Perché non cercare di Traccagnino, servitore di casa? Perché non introdurti con Argentina, cameriera di donna Eufemia? Perché non procurare tu stesso questa risposta, che cotanto sai che mi preme?
BRIGH.
Ho procurà; ho fatto el possibile, e se la savesse...
LUI.
Via, parla.
BRIGH.
No vorria che la se alterasse.
La va in collera facilmente.
LUI.
Parla, parla, non vi è pericolo che mi riscaldi.
BRIGH.
La signora donna Eufemia non vol risponder.
LUI.
Non vuol rispondere? Oh maledetta la mia fortuna! (batte i piedi, e straccia la lettera che gli diede Brighella)
BRIGH.
(Schiavo, siori! l'è andà).
Caro signor padron...
LUI.
Va via.
BRIGH.
Vado.
(Vuol partire)
LUI.
Vieni qui.
BRIGH.
La comandi.
LUI.
Donna Eufemia non vuol rispondere?
BRIGH.
La perdoni.
No sala in che soggezion che la tien el signor Pantalon so marido, geloso come una bestia?
LUI.
Non mi averà risposto, perché non averà avuto tempo.
BRIGH.
Comandela altro da mi?
LUI.
Vuoi forse ritornare da donna Eufemia?
BRIGH.
Se la se contenta, vorria andar a comprar el bisognevole per el pranzo.
LUI.
Va dove vuoi.
BRIGH.
Cossa comandela ella da pranzo?
LUI.
Del veleno.
BRIGH.
Per amor del cielo, signor padron...
LUI.
Son disperato.
BRIGH.
La so passion l'è granda, ma la me permetta che diga.
El mal mazor l'è questo, che no la vol ascoltar nissun; se l'ascoltasse, fursi fursi la ghe remedierave al so mal.
LUI.
Hai tu nulla da dirmi per rimediar al mio male?
BRIGH.
Se la me dasse permission de parlar, me par a mi che qualcossa diria in sto proposito...
LUI.
Parla.
BRIGH.
No vorria po...
LUI.
Parla.
BRIGH.
Cossa sarà mai? parlerò.
Caro signor padron, gh'è tante donne in sta città de Napoli, e la va a incapricciarse in una donna maridada: in una donna, che ha el marido più fastidioso del mondo, geloso, avaro, sufistico, sospettoso.
E po la signora donna Eufemia l'è la più savia, la più onesta donna del mondo: no la se lassaria guadagnar da nissun amor, quand'anca l'avesse la libertà de farlo; figurarse po adesso, che dal marido con tanta gelosia l'è custodida.
No gh'è pericolo.
No la farà niente...
LUI.
Non vi è pericolo? Non farò niente? Sei una bestia.
BRIGH.
Servitor umilissimo.
(parte)
SCENA SECONDA
DON LUIGI e poi DONNA ASPASIA.
LUI.
Il diavolo che ti porti; non farò niente? Se Pantalone è geloso, non mancano mezzi per deludere le sue cautele.
S'egli è avaro, molto meglio per me.
L'oro, pascolando la sua avarizia, vincerà i stimoli della gelosia.
Sia pure onestissima donna Eufemia; nulla pretendo da lei, che possa offendere la sua modestia: bramo solo un'amichevole corrispondenza, e questa tanto meno saprà negarmela, quanto più le si rende odioso il marito.
E tu dici non farò niente? Se torni a dirlo, ti spezzo il capo, come spezzata ho quella lettera.
...
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