IL CAVALIER DI BUON GUSTO, di Carlo Goldoni - pagina 1
IL CAVALIER DI BUON GUSTO.
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia
l'Autunno dell'anno 1750.
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
GIOVANNI MOCENIGO
NOBILE PATRIZIO VENETO
Una Commedia che rappresenta un Cavalier di buon gusto, a chi mai può esser meglio che all'E.
V.
raccomandata? ella è il prototipo de' Cavalieri, ed il di Lei buon gusto può servire di regola, di moderazione, di esempio.
Quando ho io questa mia Commedia formata, non avea la fortuna ancora di conoscere perfettamente l'E.
V.
Io in vero ammirava in qualche distanza gl'infiniti suoi meriti, ma non potea distinguerli da vicino, non essendo fra 'l numero degli attuali suoi servitori: la fortuna ha voluto beneficarmi coll'acquisto di un Padrone, di un Protettore sì grande.
Se ora formar dovessi il Cavalier di buon gusto, o lo farei con una inesplicabile facilità, non lo farei altrimenti, per non proporre un modello difficilissimo da imitarsi.
Quali sono que' pregi, que' costumi, quegli esercizi, che possono caratterizzare il vero Cavalier di buon gusto? Eccoli: sono quelli che ammiransi nell'E.
V.
verificati.
Generosità, gentilezza, contegno, amor per le Lettere, inclinazione per le belle Arti, brio nelle conversazioni, magnificenza ne' trattamenti, spirito pronto, feconda lingua e sincerissimo cuore.
Parrà difficile che tutte queste belle Virtù sieno con armonia perfetta in un oggetto solo verificate; eppure chi ha l'onor di conoscere l'E.
V., chi ha la fortuna di possedere o la sua amicizia, o la sua protezione, non solo tutti cotesti pregi può in Lei riconoscere, ma tanti altri, che io o non arrivo a discernere, o bastantemente non so colla penna delineare.
Diranno forse taluni (quelli cioè che per invidia o per astio cercano di oscurare il merito e la verità), diranno essere tante Virtù derivate nell'E.
V.
per necessità, poiché un Cavaliere che trae l'origine dai chiarissimi fonti di Genitori illustri, magnanimi, eccelsi; che nella serie degli antichissimi Avi suoi conta un numero prodigioso d'Eroi, di Padri meritissimi della Patria, di Serenissimi Dogi, di Condottieri d'Armate, dovea sortire il talento grande, le inclinazioni magnanime, che nell'E.
V.
mirabilmente risplendono.
Sì, accordo loro che, anche per ragione di sangue, Ella tiene quel luogo fra i Padri eccelsi della Repubblica Serenissima, che in Cielo tengono fra le stelle i pianeti, ma sarà sempre merito dell'E.
V.
l'onor ch'Ella rende a chi grande lo ha fatto nascere, e i fregi ch'Ella ha accresciuto al purissimo sangue che nelle vene le scorre.
Ella si è sempre creduta in debito di doverlo fare.
Tutte le azioni sue sono state all'onorato fine dirette di accrescer lustro alla Famiglia ed ai Posteri che succederanno.
Un nuovo oggetto d'assicurarlo state sono le felicissime Nozze di V.
E.
colla nobilissima Dama la Signora Caterina Loredan, Nipote degnissima del Serenissimo Regnante Doge.
Nozze più liete non poteansi per la Repubblica celebrare, poiché innestandosi due principali rami di essa, due rami che per ragione delle nobilissime Genitrici loro derivando egualmente da una Regina di Cipro, promettono frutti alle comuni speranze corrispondenti.
Voglia Dio concederli all'E.
V.
ed alla Patria Augusta, che li sospira! Bella fortuna avranno certamente cotali Figli, mentre sortiranno dall'E.
V.
l'essere, l'educazione, l'esempio! Ella non insegnerà loro, per vero dire, né una finta pietà, né una studiata simulazione, per procurarsi gli onori, per acquistarsi il credito e le aderenze, Comunicherà loro piuttosto le di Lei massime, le quali sono di sempre pronunziare la Verità, di non confonderla cogli umani rispetti, di preferirla all'utile, al comodo ed al costume medesimo che trionfa.
Farà loro conoscere la vera Giustizia insidiata dall'Impostura, illuminandoli che le umane passioni possono avvelenar il cuore, e che chi è destinato da Dio ai Governi, ai Tribunali, alle Magistrature, deve affatto di queste religiosamente spogliarsi.
Di questa sorta d'Eroi ne ha sempre dati alla Repubblica Serenissima l'antichissima Casa de' Mocenighi, e splendono anche adesso i vivi luminari di cotal Cielo, i quali unendo alla pietà vera la giustizia umana, fanno punire il vizio e proteggere l'innocenza.
Che dunque potrò io temere sotto la protezione di un Cavaliere sì grande, che per origine e per costume sa compatire, difendere e beneficare? Ecco quel che poss'io giustamente temere: non esser degno della di Lei protezione.
Un Cavaliere di sì ottimo gusto, di così fino discernimento, come può mai di me contentarsi? Eppure ho motivo di lusingarmi di un tanto bene, ad onta di tutto ciò che potrebbe disingannarmi.
V.
E.
si è compiaciuta più volte dell'Opere mie, forse unicamente per questo, perché di tratto in tratto la Verità vi si scorge.
Oh bellissima Verità, quanto sei preziosa! Con te sola al fianco fianco incontro ad una schiera di Maldicenti, di Critici, d'Impostori.
Sì, con te sola, sicurissimo d'aver comune con te il presidio, la protezione di un Cavaliere che ti conosce, che ti ama, che ti sostiene.
Eccomi a' piedi dell'E.
V., colla scorta alla Verità, ad offerirle, unito a questa mia miserabile Commedia, il mio umilissimo cuore, e a protestare in faccia del Mondo tutto, che sopra qualunque altra terrena felicità apprezzo quella di essere, quale con profondo ossequio mi rassegno,
Di V.
E.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Il mio Cavalier di buon gusto ha bisogno di una giustificazione, che da me gli è dovuta; in grazia principalmente di quelli che credono non convenire a chi è nato nobile la mercatura.
M'hanno alcuni, di cotal genere, rimproverato aver io fatto mercanteggiare il mio Cavaliere senza necessità, poiché soltanto ch'io lo facessi essere un po' più ricco, potrebbe far valere il buon gusto, senza mendicare i suffragi da una Società di Negozio.
Risponderò in primo luogo, essere una malinconia da curarsi lo scrupolo che la Mercatura tolga qualche fregio alla Nobiltà.
Non voglio io formare una Dissertazione per provarlo; bastandomi soltanto poter addurre di questa verità gli esempi.
Veggiamo noi ne' Paesi Oltramontani non solo, ed Oltremarini, ma nell'Italia nostra ancora, Persone illustri, di antichissima Nobiltà, di Ordini purgatissimi insignite, di titoli, di onori, di dignità fregiate, tener banchi aperti, negozi vivi, ragioni ne' loro nomi, firmar lettere, agire, negoziare in fine, senza un minimo pregiudizio della venerabile Nobiltà per la ragione medesima che non si offende vendendo e comperando vino, grano, cavalli e cose simili, le quali non differiscono che nella specie, e nel nome, e nella opinione, dal panno, dalla seta e da altre simili merci.
I Principi stessi non solo hanno dichiarata nobile la Mercatura con privilegi, diplomi, editti; non solo hanno decorato di cariche e di fregi illustri i Nobili Mercatanti, ma interessandosi ne' principali Negozi, hanno altrui insegnato essere onesta e lodevol cosa mantenere col proprio denaro l'abbondanza nello Stato, il cambio de' propri generi cogli stranieri, l'impiego de' poveri e l'utilissimo commercio delle Città, delle Provincie e del Mondo.
Da ciò vengono anche ad aumentarsi il lustro, la magnificenza, il piacere onesto, i comodi della vita; ed ecco la seconda ragione per cui non ricchissimo piacquemi di figurare il mio Cavaliere, per dimostrare a quelli che per avventura non lo sapessero, come si può essere di buon gusto, senza il pericolo di rovinarsi.
Ne aggiungerò una terza, che pure inutile non mi sembra.
Un Cavaliere assai ricco, il quale abbia abbondantissimi beni di fortuna, e possa a suo talento profondere, può facilmente essere di buon gusto, e lo è spesse volte perché tale le sue ricchezze lo fanno essere; ma chi ha solamente tanto, quanto al decoro ed al comodo della famiglia sua è necessario, renderà più ammirabile il suo buon gusto, procacciandosi i mezzi per mantenerlo.
Sciolta dunque l'obiezione che ferisce la delicatezza di alcuni pochi, crediamo noi che ben si convenga al mio Cavaliere il titolo che gli ho appropriato? A me pare certamente che sì.
Può essere che le Signore Donne non me la menino buona, e certamente le compatisco, se spiace loro l'immagine di un Uomo franco, il quale fa la conversazione con tutte e di nessuna si accende.
Si consolino però esse, che in questa parte pochi pur troppo saranno gli imitatori del Conte Ottavio, e poco vagliono le mie Scene in confronto de' loro vezzi.
Per altro poi ingegnato mi sono a renderlo di buon gusto nelle migliori cose del Mondo: tavola, servitù, trattamento, conversazioni, protezioni, corrispondenze, buona filosofia, sano discernimento, prontezza di spirito, ragionamenti fondati, barzellette graziose, inclinazione per le lettere, amor delle belle arti, pulizia esterna ed interna sincerità; sono cose che unite insieme in un Uomo, lo costituiscono in grado di ammirazione.
Facendo la rassegna delle ottime inclinazioni del mio Cavaliere, trovo assai commendabile sopra tutte le altre quella delle Lettere, le quali formano veramente l'Uomo.
Piacemi infinitamente il costume di soddisfarsi in ogni piccola o grande difficoltà.
Per un tal uso giovano assaissimo i Dizionari, servendosene però cautamente, siccome nella scena VI dell'Atto Primo si avverte.
A proposito de' Dizionari, Lettore mio gentilissimo, voglio con questa occasione pubblicare l'idea, che da qualche tempo ho concepito, di formare un Dizionario Comico, per cui ho di già preparato de' materiali non pochi; e terminato che avrò la stampa laboriosissima delle mie cinquanta Commedie, darò mano alla compilazione di un'Opera che formerà due grossi volumi in quarto.
Dio voglia che questo mio Dizionario non abbia poi a essere uno di quelli che in luogo di portar utile alla Repubblica Letteraria, scorno e pregiudizio le recano.
Di que' Dizionari, che posti in un canto nelle Librerie, accrescono inutilmente il numero de' volumi, e fanno in confronto di tanti altri quel che sogliono far le ombre contrapposte alla luce.
Ella è facilissima cosa e materialissima operazione l'impresa di un Dizionario, quando altro non facciasi che copiar dagli altri, spogliar gli Autori alla cieca, senza criterio, senza conoscere quai sieno i migliori; trascurando le cose più utili e più necessarie, le critiche e le illustrazioni, empiendo i fogli di cose inutili, ridicole e spesse volte anche false.
Con tutte codeste prevenzioni, con tali miserabili esempi dinanzi agli occhi, procurerò certamente di rendere, per quanto mi sarà possibile, utile, esatto e completo il Dizionario che ho divisato di fare.
Avanzo al pubblico un cotal cenno per due ragioni: la prima per non essere prevenuto da quelli che si dilettano di profittare delle altrui invenzioni, avendone a qualche amico comunicata l'idea; la seconda, per osservare se con applauso sia il mio pensamento dal pubblico ricevuto, a fine d'animarmi al proseguimento, o d'abbandonarne l'impresa.
L'idea che ho concepita, è di formare un Dizionario abbondante, diffuso e completo che tratti del Teatro, e della Commedia, e degli usi, e degli abiti, e degli Autori antichi e moderni, a' quali tutti procurerò di rendere quell'onore che a me medesimo piacerebbe.
Principierò sin da ora a dar quella lode che gli si conviene all'Autore della Scena XI dell'Atto Primo della presente Commedia mia, stampata in Venezia dal Bettinelli nel Tomo VI, Commedia XXII, a carte 18, scritta in carattere corsivo, acciò sappiasi non esser opera della mia penna.
Questo è un eccesso di modestia di chi l'ha scritta, temendo forse che la varietà dello stile potesse offender l'orecchio di chi non sapesse il mistero; egli in queste cose è delicatissimo, e non ha potuto dispensarsi d'innestare nella mia Commedia codesta Scena, perché la reputa forse necessarissima, o almeno gli avranno dato ad intendere che ella sia tale.
Io per altro, con sua permissione, continuo a crederla inutile affatto, e mi perdonerà se nella mia edizione castro la Commedia, levandola da quel posto.
Non voglio però defraudare il Pubblico di un sì bel pezzo, pieno di sali spiritosi e brillanti, perché certamente senza di lui sarebbe la mia edizione imperfetta.
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