GERUSALEMME LIBERATA, di Torquato Tasso - pagina 1
GERUSALEMME LIBERATA
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
CANTO PRIMO
che 'l gran sepolcro liberò di Cristo.
segni ridusse i suoi compagni erranti.
2 O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte
d'altri diletti, che de' tuoi, le carte.
3 Sai che là corre il mondo ove piú versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che 'l vero, condito in molli versi,
i piú schivi allettando ha persuaso.
Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l'inganno suo vita riceve.
4 Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l'onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i' porto.
Forse un dí fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch'or n'accenna.
5 È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace
il buon popol di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l'alto imperio de' mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi.
6 Già 'l sesto anno volgea, ch'in oriente
passò il campo cristiano a l'alta impresa;
e Nicea per assalto, e la potente
Antiochia con arte avea già presa.
L'avea poscia in battaglia incontra gente
di Persia innumerabile difesa,
e Tortosa espugnata; indi a la rea
stagion diè loco, e 'l novo anno attendea.
7 E 'l fine omai di quel piovoso inverno,
che fea l'arme cessar, lunge non era;
quando da l'alto soglio il Padre eterno,
ch'è ne la parte piú del ciel sincera,
e quanto è da le stelle al basso inferno,
gli occhi in giú volse, e in un sol punto e in una
vista mirò ciò ch'in sé il mondo aduna.
8 Mirò tutte le cose, ed in Soria
s'affisò poi ne' principi cristiani;
e con quel guardo suo ch'a dentro spia
nel piú secreto lor gli affetti umani,
vide Goffredo che scacciar desia
de la santa città gli empi pagani,
e pien di fé, di zelo, ogni mortale
gloria, imperio, tesor mette in non cale.
9 Ma vede in Baldovin cupido ingegno,
ch'a l'umane grandezze intento aspira:
vede Tancredi aver la vita a sdegno,
tanto un suo vano amor l'ange e martira:
e fondar Boemondo al novo regno
suo d'Antiochia alti princípi mira,
e leggi imporre, ed introdur costume
ed arti e culto di verace nume;
10 e cotanto internarsi in tal pensiero,
ch'altra impresa non par che piú rammenti:
scorge in Rinaldo e animo guerriero
e spirti di riposo impazienti;
non cupidigia in lui d'oro o d'impero,
ma d'onor brame immoderate, ardenti:
scorge che da la bocca intento pende
di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende.
11 Ma poi ch'ebbe di questi e d'altri cori
scòrti gl'intimi sensi il Re del mondo,
chiama a sé da gli angelici splendori
Gabriel, che ne' primi era secondo.
È tra Dio questi e l'anime migliori
interprete fedel, nunzio giocondo:
giú i decreti del Ciel porta, ed al Cielo
riporta de' mortali i preghi e 'l zelo.
12 Disse al suo nunzio Dio: "Goffredo trova,
e in mio nome di' lui: perché si cessa?
perché la guerra omai non si rinova
a liberar Gierusalemme oppressa?
Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova
a l'alta impresa: ei capitan fia d'essa.
Io qui l'eleggo; e 'l faran gli altri in terra,
già suoi compagni, or suoi ministri in guerra."
13 Cosí parlogli, e Gabriel s'accinse
veloce ad esseguir l'imposte cose:
ed al senso mortal la sottopose.
Umane membra, aspetto uman si finse,
ma di celeste maestà il compose;
tra giovene e fanciullo età confine
prese, ed ornò di raggi il biondo crine.
14 Ali bianche vestí, c'han d'or le cime,
sovra la terra e sovra il mar con queste.
Cosí vestito, indirizzossi a l'ime
parti del mondo il messaggier celeste:
pria sul Libano monte ei si ritenne,
e si librò su l'adeguate penne;
15 e vèr le piagge di Tortosa poi
drizzò precipitando il volo in giuso.
Sorgeva il novo sol da i lidi eoi,
parte già fuor, ma 'l piú ne l'onde chiuso;
e porgea matutini i preghi suoi
Goffredo a Dio, come egli avea per uso;
quando a paro co 'l sol, ma piú lucente,
l'angelo gli apparí da l'oriente;
16 e gli disse: "Goffredo, ecco opportuna
già la stagion ch'al guerreggiar s'aspetta;
perché dunque trapor dimora alcuna
a liberar Gierusalem soggetta?
Tu i principi a consiglio omai raguna,
tu al fin de l'opra i neghittosi affretta.
Dio per lor duce già t'elegge, ed essi
sopporran volontari a te se stessi.
17 Dio messaggier mi manda: io ti rivelo
la sua mente in suo nome.
Oh quanta spene
aver d'alta vittoria, oh quanto zelo
de l'oste a te commessa or ti conviene!"
Tacque; e, sparito, rivolò del cielo
a le parti piú eccelse e piú serene.
Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,
d'occhi abbagliato, attonito di core.
18 Ma poi che si riscote, e che discorre
chi venne, chi mandò, che gli fu detto,
se già bramava, or tutto arde d'imporre
fine a la guerra ond'egli è duce eletto.
Non che 'l vedersi a gli altri in Ciel preporre
d'aura d'ambizion gli gonfi il petto,
ma il suo voler piú nel voler s'infiamma
del suo Signor, come favilla in fiamma.
19 Dunque gli eroi compagni, i quai non lunge
erano sparsi, a ragunarsi invita;
lettere a lettre, e messi a messi aggiunge,
sempre al consiglio è la preghiera unita;
ciò ch'alma generosa alletta e punge,
ciò che può risvegliar virtù sopita,
tutto par che ritrovi, e in efficace
modo l'adorna sí che sforza e piace.
20 Vennero i duci, e gli altri anco seguiro,
e Boemondo sol qui non convenne.
Parte fuor s'attendò, parte nel giro
e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne.
(glorioso senato) in dí solenne.
Qui il pio Goffredo incominciò tra loro,
augusto in volto ed in sermon sonoro:
21 "Guerrier di Dio, ch'a ristorar i danni
de la sua fede il Re del Cielo elesse,
e securi fra l'arme e fra gl'inganni
de la terra e del mar vi scòrse e resse,
sí ch'abbiam tante e tante in sí pochi anni
ribellanti provincie a lui sommesse,
e fra le genti debellate e dome
stese l'insegne sue vittrici e 'l nome,
22 già non lasciammo i dolci pegni e 'l nido
nativo noi (se 'l creder mio non erra),
né la vita esponemmo al mare infido
ed a i perigli di lontana guerra,
per acquistar di breve suono un grido
vulgare e posseder barbara terra,
premio, e in danno de l'alme il sangue sparso.
23 Ma fu de' pensier nostri ultimo segno
espugnar di Sion le nobil mura,
e sottrarre i cristiani al giogo indegno
di servitù cosí spiacente e dura,
fondando in Palestina un novo regno,
ov'abbia la pietà sede secura;
né sia chi neghi al peregrin devoto
d'adorar la gran tomba e sciòrre il voto.
24 Dunque il fatto sin ora al rischio è molto,
piú che molto al travaglio, a l'onor poco,
nulla al disegno, ove o si fermi o vòlto
sia l'impeto de l'armi in altro loco.
Che gioverà l'aver d'Europa accolto
sí grande sforzo, e posto in Asia il foco,
quando sia poi di sí gran moti il fine
non fabbriche di regni, ma ruine?
25 Non edifica quei che vuol gl'imperi
su fondamenti fabricar mondani,
ove ha pochi di patria e fé stranieri
fra gl'infiniti popoli pagani,
ove ne' Greci non conven che speri,
e i favor d'Occidente ha sí lontani;
ma ben move ruine, ond'egli oppresso
sol construtto un sepolcro abbia a se stesso.
26 Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono
e di nome magnifico e di cose)
opre nostre non già, ma del Ciel dono
furo, e vittorie fur meravigliose.
Or se da noi rivolte e torte sono
contra quel fin che 'l donator dispose,
temo ce 'n privi, e favola a le genti
quel sí chiaro rimbombo al fin diventi.
27 Ah non sia alcun, per Dio, che sí graditi
doni in uso sí reo perda e diffonda!
A quei che sono alti princípi orditi
di tutta l'opra il filo e 'l fin risponda.
Ora che i passi liberi e spediti,
ora che la stagione abbiam seconda,
ché non corriamo a la città ch'è mèta
d'ogni nostra vittoria? e che piú 'l vieta?
28 Principi, io vi protesto (i miei protesti
udrà il mondo presente, udrà il futuro,
l'odono or su nel Cielo anco i Celesti):
il tempo de l'impresa è già maturo;
men diviene opportun piú che si resti,
incertissimo fia quel ch'è securo.
Presago son, s'è lento il nostro corso,
avrà d'Egitto il Palestin soccorso."
29 Disse, e a i detti seguí breve bisbiglio;
ma sorse poscia il solitario Piero,
che privato fra' principi a consiglio
sedea, del gran passaggio autor primiero:
"Ciò ch'essorta Goffredo, ed io consiglio,
né loco a dubbio v'ha, sí certo è il vero
e per sé noto: ei dimostrollo a lungo,
voi l'approvate, io questo sol v'aggiungo:
30 se ben raccolgo le discordie e l'onte
quasi a prova da voi fatte e patite,
i ritrosi pareri, e le non pronte
e in mezzo a l'esseguire opre impedite,
reco ad un'altra originaria fonte
la cagion d'ogni indugio e d'ogni lite,
a quella autorità che, in molti e vari
d'opinion quasi librata, è pari.
31 Ove un sol non impera, onde i giudíci
pendano poi de' premi e de le pene,
onde sian compartite opre ed uffici,
ivi errante il governo esser conviene.
Deh! fate un corpo sol de' membri amici,
fate un capo che gli altri indrizzi e frene,
date ad un sol lo scettro e la possanza,
e sostenga di re vece e sembianza."
32 Qui tacque il veglio.
Or quai pensier, quai petti
son chiusi a te, sant'Aura e divo Ardore?
Inspiri tu de l'Eremita i detti,
e tu gl'imprimi a i cavalier nel core;
sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti
di sovrastar, di libertà, d'onore,
sí che Guglielmo e Guelfo, i piú sublimi,
chiamàr Goffredo per lor duce i primi.
33 L'approvàr gli altri: esser sue parti denno
deliberare e comandar altrui.
Imponga a i vinti legge egli a suo senno,
porti la guerra e quando vòle e a cui;
gli altri, già pari, ubidienti al cenno
siano or ministri de gl'imperii sui.
Concluso ciò, fama ne vola, e grande
per le lingue de gli uomini si spande.
34 Ei si mostra a i soldati, e ben lor pare
degno de l'alto grado ove l'han posto,
e riceve i saluti e 'l militare
applauso, in volto placido e composto.
...
[Pagina successiva]