[Pagina precedente]...ma ch'ognun dica "qui fuggí
Astolfo, uomo da ben", che "qui morí".
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Glori', a tua posta! Morti che noi siamo,
può sonar mona Fama con la piva,
che in polvere di Cipri ci pos[s]iamo
con lauro, con mirto e con l'uliva,
e tanto de le lodi ci sentiamo
quanto de le vergogne Elena diva
o la Zaffetta, a ben che 'l sappia ognuno
del dato benemerito trentuno".
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Rinaldo in questo si scusa con Carlo
dicendo che a combatter anderia
se l'armi avessi (et obligo ha di farlo),
le quali sono in pegno a l'osteria.
Eccoti Cardo, del cui valor ciarlo,
che vede Astolfo che pian pian s'invia
per ascondersi in luoco ove sue lancia
non fori a lui la venerabil pancia:
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- Ahi, famoso poltrone! ahi, paladino!
ahi, guerrier de la tavola ritonda!
Con le spalle s'affronta il saracino?
Guardami in viso pria che ti nasconda! -
Come la furia de l'acqua un mulino
volge per forza o qual se 'l vento fronda,
tal la vergogna con superba voce
rifece Astolfo vilmente feroce.
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Onde animo si fece col bravare,
come chi canta per timor di notte,
con dir: - Non fugo, ma givo a pisciare,
che con altr'uom ho de le lancie rotte.
Tu credi forse un vigliacco affrontare,
pagan, can traditor, squarta-ricotte!
Presto, giú scendi de la tua giraffa,
fammi un inchino e scortami la staffa;
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se non, per l'elmo, idest la visiera,
ti piglierò, a onta di Macone,
e lancierotti con terribil ciera
dove tien la concubina Endimione
e giú non tornerai fino a stasera,
stupir facendo il cielo e le persone
perché le mosche affamate a 'mproviso
t'aran pappato gli occhi, il naso e il viso.
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Tal ferita vo' darti con la spada
ch'una vela di nave andrà per tasta.
Parrà ch'el mondo al dí giudicio cada
ne lo incontrar ch'io ti farò con l'asta,
con cui nel petto vo' farti una strada
che dirai: "Non di carne, son di pasta!".
Tu intendi: se sei savio smonta e scorta
la staffa e fa' con riverenza accorta -.
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L'almansor, ch'ode quel bravar furioso,
somiglia un uom a cui rimira un cane,
il qual è brutto e ner, tutto piloso,
che abbaia e poi non morderebbe il pane
e pare in vista tutto dannoloso,
sta su l'empir le calze de ambracane;
cotal facea lo armorum dictum Cardo
al bravar magno del guerier dal pardo.
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Al fin: - Prendi del campo - disse -, che io
ti stimo pazzo, buffone, ignorante.
- Misericordia! mamma e babbo mio! -
diceva alor ser Astolfo galante.
- Se a questa scampo faccio voto a Dio
gir al Sepulcro, pellegrino errante,
a Loreto, a Galizia, al giubileo.
Pagan, maran, saracino e giudeo! -
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Cosí dicendo il suo caval leggiero
col cor tremante el me' che pote esprona,
la lancia arresta e vuol parer pur fiero.
Astolfo mio, Dio ce la mandi buona!
Ecco il re Cardo che ha mosso il destriero,
che 'l paladin vuol trovar in persona,
e lo trovò nel scudo e sí lo pose
a far la ninfa fra viole e rose.
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Come l'inglese, specchio di prudenza,
trovòsi in su l'erbette a gambe alzate,
gridò: - Magnificenza, Onnipotenza,
Serenità, Maiestà e Potestate,
Reverendissimo, Illustre et Eccelenza,
Viro, Domenedio e Santitate,
non por le mani al stocco, ch'io me arendo -.
Ma al canto sono e me vobis comendo.
CANTO SECONDO
1
Voglia proprio mi vien di disperarmi,
andar ne' frati o doventar romita,
sí, perché Marte lascia portar le armi
de arcipoltron a la turba infinita,
che a sentir solamente dir armi! armi!
cercon fuggir lor manigolda vita
ne' cacatoi, ne' fossi, ne le grotte:
di dí, pensate ciò che fan di notte.
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Molti soldati, cavallier e fanti,
che portan pica, lancia et archibuso,
che hanno men cor che riverenz' a i santi
il luterano, eretico e tristo uso,
mentre a tavola stanno, - Avanti! avanti! -
gridon bevendo, il cul levando suso,
e poi che ad arme dà tromba o tamburo
affrontano i nimici doppo un muro.
3
E ch'io non parli per dir male o fola,
del mio dir testimonio Astolfo sia;
ma non è questo quel che mi sconsola,
che ad altro luoco vien la robba mia;
io dirò pure una mala parola:
può far Domenedio che tuttavia
ogni principe elegga a' sommi onori
i piú poltroni, i piú goff', i peggiori?
4
Vedete Carlo, ch'ha scielti in dozzina
certi squassa-penacchi, squarta-poggi
a tavola e in bordello e in cucina,
e pare a·llui che ognun col brando sfoggi;
vol destrugger la setta saracina
con dodici sbisai, che se al dí de oggi
andassero or a questo or a quel soldo
non ci è uom che li desse caposoldo.
5
Forse che i laurati alti poeti
non stillano il cervel co i paladini
mettendoli su in ciel sopra i pianeti
e facendoli dei, non che divini?
State, di grazia, trium virium, cheti,
Boiardi, Ariosti et Aretini,
che Astolfo valent'uom pietà domanda,
in ginochion a Cardo se accomanda.
6
- Chi sei tu? - disse Cardo. - Astolfo sono,
arma virum qui cano, in terra a piei,
bontà de un mio caval non troppo bono
e de un error che con la lancia fei.
Non cavar fuor la spada, che perdono,
signor, ti chiedo: miserere mei! -
Rise Cardo di Astolfo e disse: - Parmi
che torni al signor tuo pedon senza armi -.
IL FINE