DECAMERON, di Giovanni Boccaccio - pagina 123
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Chi dunque, lasciata star la volontà e con ragion riguardando, più i vostri consigli commenderà che quegli del mio Gisippo? Certo niuno.
E adunque Sofronia ben maritata a Tito Quinzio Fulvo, nobile, antico e ricco cittadin di Roma e amico di Gisippo; per che chi di ciò si duole o si ramarica, non fa quello che dee né sa quello che egli si fa.
Saranno forse alcuni che diranno non dolersi Sofronia esser moglie di Tito, ma dolersi del modo nel quale sua moglie è divenuta, nascosamente, di furto, senza saperne amico o parente alcuna cosa.
E questo non è miraculo, né cosa che di nuovo avvenga.
Io lascio stare volentieri quelle che già contro a volere de' padri hanno i mariti presi; e quelle che i sono con li loro amanti fuggite, e prima amiche sono state che mogli; e quelle che prima con le gravidezze e co' parti hanno i matrimoni palesati che con la lingua, e hagli fatti la necessità aggradire; quello che di Sofronia non è avvenuto; anzi ordinatamente, discretamente e onestamente da Gisippo a Tito è stata data.
E altri diranno colui averla maritata a cui di maritarla non apparteneva.
Sciocche lamentanze son queste e femminili, e da poca considerazion procedenti.
Non usa ora la fortuna di nuovo varie vie e istrumenti nuovi a recare le cose agli effetti diterminati.
Che ho io a curare se il calzolaio più tosto che il filosafo avrà d'un mio fatto secondo il suo giudicio disposto o in occulto o in palese, se il fine è buono? Debbomi io ben guardare, se il calzolaio non è discreto, che egli più non ne possa fare, e ringraziarlo del fatto.
Se Gisippo ha ben Sofronia maritata, l'andarsi del modo dolendo e di lui è una stultizia superflua.
Se del suo senno voi non vi confidate, guardatevi che egli più maritar non ne possa, e di questa il ringraziate.
Nondimeno dovete sapere che io non cercai ne con ingegno né con fraude d'imporre alcuna macula all'onestà e alla chiarezza del vostro sangue nella persona di Sofronia; e quantunque io l'abbia occultamente per moglie presa, io non venni come rattore a torle la sua virginità, né come nimico la volli men che onestamente avere, il vostro parentado rifiutando, ma ferventemente acceso della sua vaga bellezza e della virtù di lei; conoscendo, se con quello ordine che voi forse volete dire cercata l'avessi, che, essendo ella molto amata da voi, per tema che io a Roma menata non ne l'avessi, avuta non l'avrei.
Usai adunque l'arte occulta che ora vi puote essere aperta, e feci Gisippo, a quello che egli di fare non era disposto, consentire in mio nome; e appresso, quantunque io ardentemente l'amassi, non come amante ma come marito i suoi congiugnimenti cercai, non appressandomi prima a lei, sì come essa medesima può con verità testimoniare, che io con le debite parole e con l'anello l'ebbi sposata, domandandola se ella me per marito volea, a che ella rispose del sì.
Se esser le pare ingannata, non io ne son da riprender, ma ella, che me non domandò chi io fossi.
Questo è adunque il gran male, il gran peccato, il gran fallo adoperato da Gisippo amico e da me amante, che Sofronia occultamente sia divenuta moglie di Tito Quinzio; per questo il lacerate, minacciate e insidiate.
E che ne fareste voi più, se egli ad un villano, ad un ribaldo, ad un servo data l'avesse? Quali catene, qual carcere, quali croci ci basterieno?
Ma lasciamo ora star questo: egli è venuto il tempo il quale io ancora non aspettava, cioè che mio padre sia morto e che a me conviene a Roma tornare, per che, meco volendone Sofronia menare, v'ho palesato quello che io forse ancora v'avrei nascoso; il che, se savi sarete, lietamente comporterete, per ciò che, se ingannare o oltraggiare v'avessi voluto, schernita ve la poteva lasciare; ma tolga Iddio via questo, che in romano spirito tanta viltà albergar possa giammai.
Ella adunque, cioè Sofronia, per consentimento degl'iddii e per vigore delle leggi umane, e per lo laudevole senno del mio Gisippo, e per la mia amorosa astuzia è mia; la qual cosa voi, per avventura più che gli iddii o che gli altri uomini savi tenendovi, bestialmente in due maniere forte a me noiose mostra che voi danniate.
L'una è Sofronia tenendovi, nella quale, più che mi piaccia, alcuna ragion non avete; e l'altra è il trattar Gisippo, al quale meritamente obligati siete, come nimico.
Nelle quali quanto scioccamente facciate, io non intendo al presente di più aprirvi, ma come amici vi consigliare che si pongano giuso gli sdegni vostri, e i crucci presi si lascino tutti, e che Sofronia mi sia restituita, acciò che io lietamente vostro parente mi parta e viva vostro; sicuri di questo che, o piacciavi o non piacciavi quel che è fatto, se altramenti operare intendeste, io vi torrò Gisippo, e senza fallo, se a Roma pervengo, io riavrò colei che è meritamente mia, malgrado che voi n'abbiate; e quanto lo sdegno de' romani animi possa, sempre nimicandovi, vi farò per esperienzia conoscere.
Poi che Tito così ebbe detto, levatosi in piè tutto nel viso turbato, preso Gisippo per mano, mostrando d'aver poco a cura quanti nel tempio n'erano, di quello, crollando la testa e minacciando, s'uscì.
Quegli che là entro rimasono, in parte dalle ragioni di Tito al parentado e alla sua amistà indotti, e in parte spaventati dall'ultime sue parole, di pari concordia diliberarono es sere il miglior d'aver Tito per parente, poi che Gisippo non aveva esser voluto, che aver Gisippo per parente perduto e Tito nimico acquistato.
Per la qual cosa andati, ritrovar Tito e dissero che piaceva lor che Sofronia fosse sua, e d'aver lui per caro parente e Gisippo per buono amico; e fattasi parentevole e amichevole festa insieme, si dipartirono e Sofronia gli rimandarono.
La qua le, sì come savia, fatta della necessità virtù, l'amore il quale aveva a Gisippo prestamente rivolse a Tito; e con lui se n'andò a Roma, dove con grande onore fu ricevuta.
Gisippo rimasosi in Atene, quasi da tutti poco a capital tenuto, dopo non molto tempo, per certe brighe cittadine, con tutti quegli di casa sua, povero e meschino fu d'Atene cacciato e dannato ad essilio perpetuo.
Nel quale stando Gisippo, e divenuto non solamente povero ma mendico, come potè il men male a Roma se ne venne, per provare se di lui Tito si ricordasse; e saputo lui esser vivo e a tutti i romani grazioso, e le sue case apparate, dinanzi ad esse si mise a star tanto che Tito venne; al quale egli per la miseria nella quale era non ardì di far motto, ma ingegnossi di farglisi vedere, acciò che Tito riconoscendolo il facesse chiamare; per che, passato oltre Tito, e a Gisippo parendo che egli veduto l'avesse e schifatolo, ricordandosi di ciò che già per lui fatto aveva, sdegnoso e disperato si dipartì.
Ed essendo già notte ed esso digiuno e senza denari, senza sapere dove s'andasse, più che d'altro di morir disideroso, s'avvenne in uno luogo molto salvatico della città, dove veduta una gran grotta, in quella per istarvi quella notte si mise, e sopra la nuda terra e male in arnese, vinto dal lungo pianto, s'addormentò.
Alla qual grotta due, li quali insieme erano la notte andati ad imbolare, col furto fatto andarono in sul matutino, e a quistion venuti, l'uno, che era più forte, uccise altro e andò via.
La qual cosa avendo Gisippo sentita e veduta, gli parve alla morte molto da lui disiderata, senza uccidersi egli stesso, aver trovata via; e per ciò, senza partirsi, tanto stette che i sergenti della corte, che già il fatto aveva sentito, vi vennero e Gisippo furiosamente ne menarono preso.
Il quale essaminato confessò sé averlo ucciso, né mai poi esser potuto della grotta partirsi; per la qual cosa il pretore, che Marco Varrone era chiamato, comandò che fosse fatto morire in croce, sì come allor s'usava.
Era Tito per ventura in quella ora venuto al pretorio; il quale, guardando nel viso il misero condennato e avendo udito il perché, subitamente il riconobbe esser Gisippo, e maravigliossi della sua misera fortuna e come quivi arrivato fosse; e ardentissimamente disiderando d'aiutarlo, né veggendo alcuna altra via alla sua salute se non d'accusar sé e di scusar lui, prestamente si fece avanti e gridò:
- Marco Varrone, richiama il povero uomo il quale tu dannato hai, per ciò che egli è innocente.
Io ho assai con una colpa offesi gl'iddii, uccidendo colui il quale i tuoi sergenti questa mattina morto trovarono, senza volere ora con la morte d'un altro innocente offendergli.
Varrone si maravigliò, e dolfegli che tutto il pretorio l'avesse udito; e non potendo con suo onore ritrarsi di far quello che comandavan le leggi, fece indietro ritornar Gisippo, e in presenzia di Tito gli disse:
- Come fostu sì folle che, senza alcuna pena sentire, tu confessassi quello che tu non facesti giammai, andandone la vita? Tu dicevi che eri colui il quale questa notte avevi ucciso l'uomo, e questi or viene e dice che non tu ma egli l'ha ucciso.
Gisippo guardò e vide che colui era Tito, e assai ben conobbe lui far questo per la sua salute, sì come grato del servigio già ricevuto da lui.
Per che, di pietà piagnendo, disse:
- Varrone, veramente io l'uccisi, e la pietà di Tito alla mia salute è omai troppo tarda.
Tito d'altra parte diceva:
- Pretore, come tu vedi, costui è forestiere, e senza arme fu trovato allato all'ucciso, e veder puoi la sua miseria dargli cagione di voler morire; e per ciò liberalo, e me, che l'ho meritato, punisci.
Maravigliossi Varrone della instanzia di questi due, e già presummeva niuno dovere essere colpevole, e pensando al modo della loro assoluzione, ed ecco venire un giovane, chiamato Publio Ambusto, di perduta speranza e a tutti i Romani notissimo ladrone, il quale veramente l'omicidio aveva commesso; e conoscendo niuno de' due esser colpevole di quello che ciascun s'accusava, tanta fu la tenerezza che nel cuor gli venne per la innocenzia di questi due, che, da grandissima compassion mosso, venne dinanzi a Varrone, e disse:
- Pretore, i miei fati mi traggono a dover solvere la dura quistion di costoro, e non so quale iddio dentro mi stimola e infesta a doverti il mio peccato manifestare; e per ciò sappi niun di costoro esser colpevole di quello che ciascuno sé medesimo accusa.
Io son veramente colui che quello uomo uccisi istamane in sul dì, e questo cattivello che qui è, là vid'io che si dormiva, mentre che io i furti fatti divideva con colui cui io uccisi.
Tito non bisogna che io scusi: la sua fama è chiara per tutto, lui non essere uomo di tal condizione; adunque liberagli, e di me quella pena piglia che le leggi m'impongono.
Aveva già Ottaviano questa cosa sentita, e fattiglisi tutti e tre venire, udir volle che cagion movesse ciascuno a volere essere il condannato, la quale ciascun narrò.
Ottaviano li due, per ciò che erano innocenti, e il terzo per amor di loro liberò.
Tito, preso il suo Gisippo, e molto prima della sua tiepidezza e diffidenzia ripresolo, gli fece maravigliosa festa, e a casa sua nel menò, là dove Sofronia con pietose lagrime il ricevette come fratello; e ricreatolo alquanto, e rivestitolo e ritornatolo nello abito debito alla sua virtù e gentilezza, primieramente con lui ogni suo tesoro e possessione fece comune, e appresso, una sua sorella giovinetta, chiamata Fulvia, gli diè per moglie; e quindi gli disse:
- Gisippo, a te sta omai o il volere qui appresso di me dimorare, o volerti con ogni cosa che donata t'ho in Acaia tornare.
Gisippo, costrignendolo da una parte l'essilio che aveva della sua città e d'altra l'amore il qual portava debitamente alla grata amistà di Tito, a divenir romano s'accordò.
Dove con la sua Fulvia, e Tito con la sua Sofronia, sempre in una casa gran tempo e lietamente vissero, più ciascun giorno, se più potevano essere, divenendo amici.
Santissima cosa adunque è l'amistà, e non solamente di singular reverenzia degna, ma d'essere con perpetua laude commendata, sì come discretissima madre di magnificenzia e d'onestà, sorella di gratitudine e di carità, e d'odio e d'avarizia nimica, sempre, senza priego aspettar, pronta a quello in altrui virtuosamente operare che in sé vorrebbe che fosse operato.
Li cui sacratissimi effetti oggi radissime volte si veggono in due, colpa e vergogna della misera cupidigia de' mortali, la qual solo alla propria utilità riguardando, ha costei fuor degli estremi termini della terra in essilio perpetuo re legata.
Quale amore, qual ricchezza, qual parentado avrebbe il fervore, le lagrime e'sospiri di Tito con tanta efficacia fatti a Gisippo nel cuor sentire, che egli per ciò la bella sposa gentile e amata da lui avesse fatta divenir di Tito, se non costei? Quali leggi, quali minacce, qual paura le giovanili braccia di Gisippo ne'luoghi solitari, ne'luoghi oscuri, nel letto proprio avrebbe fatto astenere dagli abbracciamenti della vaga giovane, forse talvolta invitatrice, se non costei? Quali stati, qua'meriti, quali avanzi avrebbon fatto Gisippo non curar di perdere i suoi parenti e quei di Sofronia, non curar de' disonesti mormorii del popolazzo, non curar delle beffe e de gli scherni, per sodisfare all'amico, se non costei?
E d'altra parte, chi avrebbe Tito, senza alcuna diliberazione (possendosi egli onestamente infignere di vedere) fatto prontissimo a procurar la propria morte per levar Gisippo dalla croce la quale egli stesso si procacciava, se non costei? Chi avrebbe Tito senza alcuna dilazione fatto liberalissimo a comunicare il suo ampissimo patrimonio con Gisippo, al quale la fortuna il suo aveva tolto, se non costei? Chi avrebbe Tito senza alcuna suspizione fatto ferventissimo a concedere la propia sorella per moglie a Gisippo, il quale vedeva poverissimo e in estrema miseria posto, se non costei?
Disiderino adunque gli uomini la moltitudine dei consorti, le turbe de' fratelli, e la gran quantità de' figliuoli, e con gli lor denari il numero de' servidori s'accrescano, e non guardino, qualunque s'è l'uno di questi, ogni minimo suo pericolo più temere, che sollicitudine aver di tor via i grandi del padre o del fratello o del signore, dove tutto il contrario far si vede all'amico.
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Novella Nona
Il Saladino in forma di mercatante è onorato da messer Torello Fassi il passaggio; messer Torello dà un termine alla donna sua a rimaritarsi; è preso, e per acconciare uccelli viene in notizia del soldano; il quale, riconosciutolo e sé fatto riconoscere, sommamente l'onora; messer Torello inferma, e per arte magica in una notte n'è recato a Pavia, e alle nozze, che della rimaritata sua moglie si facevano, da lei riconosciuto, con lei a casa sua se ne torna.
Aveva alle sue parole già Filomena fatta fine, e la magnifica gratitudine di Tito da tutti parimente era stata commendata molto, quando il re, il deretano luogo riservando a Dioneo, così cominciò a parlare.
Vaghe donne, senza alcun fallo Filomena in ciò che del l'amistà dice racconta 'l vero, e con ragione nel fine delle sue parole si dolfe lei oggi così poco da' mortali esser gradita.
E se noi qui per dover correggere i difetti mondani, o pur per riprendergli, fossimo, io seguiterei con diffuso sermone le sue parole; ma per ciò che altro è il nostro fine, a me è caduto nel animo di dimostrarvi forse con una istoria assai lunga, ma piacevol per tutto, una delle magnificenzie del Saladino, acciò che per le cose che nella mia novella udirete, se pienamente l'amicizia d'alcuno non si può per li nostri vizi acquistare, al meno diletto prendiamo del servire, sperando che, quando che sia, di ciò merito ci debba seguire.
Dico adunque che, secondo che alcuni affermano, al tempo dello imperadore Federigo primo a racquistare la Terra Santa si fece per li cristiani un general passaggio.
La qual cosa il Saladino, valentissimo signore e allora soldano di Babilonia, alquanto dinanzi sentendo, seco propose di volere personalmente vedere gli apparecchiamenti de' signori cristiani a quel passaggio, per meglio poter provvedersi.
E ordinato in Egitto ogni suo fatto, sembiante faccendo d'andare in pellegrinaggio, con due de' suoi maggiori e più savi uomini e con tre famigliari solamente, in forma di mercatante si mise in cammino.
E avendo cerche molte provincie cristiane, e per Lombardia cavalcando per passare oltre a' monti, avvenne che, andando da Melano a Pavia, ed essendo già vespro, si scontrarono in un gentile uomo, il cui nome era messer Torello di Strà da Pavia, il quale con suoi famigliari e con cani e con falconi se n'andava a dimorare ad un suo bel luogo il quale sopra 'l Tesino aveva.
Li quali come messer Torel vide, avvisò che gentili uomini e stranier fossero, e disiderò d'onorargli.
Per che, domandando il Saladino un de' suoi famigliari quanto ancora avesse di quivi a Pavia, e se ad ora giugner potesser d'entrarvi, Torello non lasciò rispondere al famigliare, ma rispose egli:
- Signori, voi non potrete a Pavia pervenire ad ora che dentro possiate entrare.
- Adunque, - disse il Saladino - piacciavi d'insegnarne, per ciò che stranier siamo, dove noi possiamo meglio albergare.
Messer Torello disse:
- Questo farò io volentieri; io era testé in pensiero di mandare un di questi miei infin vicin di Pavia per alcuna cosa; io nel manderò con voi, ed egli vi conducerà in parte dove voi albergherete assai convenevolmente.
E al più discreto de' suoi accostatosi, gl'impose quello che egli avesse a fare, e mandol con loro; ed egli al suo luogo andatosene prestamente, come si potè il meglio fece ordinare una bella cena e metter le tavole in un suo giardino; e questo fatto, sopra la porta se ne venne ad aspettargli.
Il famigliare, ragionando co' gentili uomini di diverse cose, per certe strade gli trasviò, e al luogo del suo signore, senza che essi se n'accorgessero, condotti gli ebbe.
Li quali come messer Torel vide, tutto a piè fattosi loro incontro, ridendo disse:
- Signori, voi siate i molto ben venuti.
Il Saladino, il quale accortissimo era, s'avvide che questo cavaliere aveva dubitato che essi non avesser tenuto lo 'nvito, se quando gli trovò invitati gli avesse; per ciò, acciò che negar non potesser d'esser la sera con lui, con ingegno a casa sua gli aveva condotti; e risposto al suo saluto, disse:
- Messere, se dei cortesi uomini l'uom si potesse ramaricare, noi ci dorremmo di voi, il quale, lasciamo stare del nostro cammino che impedito alquanto avete, ma, senza altro essere stata da noi la vostra benivolenza meritata che d'un sol saluto, a prender sì alta cortesia, come la vostra è, n'avete quasi costretti.
Il cavaliere, savio e ben parlante, disse:
- Signori, questa che voi ricevete da me, a rispetto di quella che vi si converrebbe, per quello che io ne'vostri aspetti comprenda, fia povera cortesia; ma nel vero fuor di Pavia voi non potreste essere stati in luogo alcun che buon fosse; e per ciò non vi sia grave l'avere alquanto la via traversata, per un poco men disagio avere.
E così dicendo, la sua famiglia venuta dattorno a costoro, come smontati furono, i cavalli adagiarono; e messer Torello i tre gentili uomini menò alle camere per loro apparecchiate, dove gli fece scalzare e rinfrescare alquanto con freschissimi vini, e in ragionamenti piacevoli infino all'ora di poter cenare gli ritenne.
Il Saladino e'compagni e'famigliari tutti sapevan latino, per che molto bene intendevano ed erano intesi, e pareva a ciascun di loro che questo cavaliere fosse il più piacevole e 'l più costumato uomo, e quegli che meglio ragionasse che alcun altro che ancora n'avesser veduto.
A messer Torello d'altra parte pareva che costoro fossero magnifichi uomini e da molto più che avanti stimato non avea, per che seco stesso si dolea che di compagnia e di più solenne convito quella sera non gli poteva onorare; laonde egli pensò di volere la seguente mattina ristorare, e informato un de' suoi famigli di ciò che far voleva, alla sua donna, che savissima era e di grandissimo animo, nel mandò a Pavia assai quivi vicina e dove porta alcuna non si serrava.
E appresso questo menati i gentili uomini nel giardino, cortesemente gli domandò chi e'fossero e donde e dove andassero; al quale il Saladino rispose:
- Noi siamo mercatanti cipriani e di Cipri vegniamo, e per nostre bisogne andiamo a Parigi.
Allora disse messer Torello:
- Piacesse a Dio che questa nostra contrada producesse così fatti gentili uomini, chenti io veggio che Cipri fa mercatanti.
E di questi ragionamenti in altri stati alquanto, fu di cenar tempo; per che a loro l'onorarsi alla tavola commise, e quivi, secondo cena sprovveduta, furono assai bene e ordinatamente serviti.
Né guari, dopo le tavole levate, stettero che, avvisandosi messer Torello loro essere stanchi, in bellissimi letti gli mise a riposare, ed esso similmente poco appresso s'andò a dormire.
Il famigliare mandato a Pavia fe'l'ambasciata alla donna, la quale non con feminile animo, ma con reale, fatti prestamente chiamare degli amici e de' servidori di messer Torello assai, ogni cosa opportuna a grandissimo convito fece apparecchiare, e a lume di torchio molti de' più nobili cittadini fece al convito invitare, e fe'torre panni e drappi e vai, e compiutamente mettere in ordine ciò che dal marito l'era stato mandato a dire.
Venuto il giorno, i gentili uomini si levarono, coi quali messer Torello montato a cavallo e fatti venire i suoi falconi, ad un guazzo vicin gli menò, e mostrò loro come essi volassero.
Ma dimandando il Saladin di alcuno che a Pavia e al migliore albergo gli conducesse, disse messer Torello:
- Io sarò desso, per ciò che esser mi vi conviene.
Costoro credendolsi furon contenti, e insieme con lui entrarono in cammino; ed essendo già terza ed essi alla città pervenuti, avvisando d'essere al migliore albergo inviati, con messer Torello alle sue case pervennero, dove già ben cinquanta de' maggiori cittadini eran venuti per ricevere i gentili uomini, a' quali subitamente furon dintorno a' freni e alle staffe.
La qual cosa il Saladino e'compagni veggendo, troppo s'avvisaron ciò che era, e dissono:
- Messer Torello, questo non è ciò che noi v'avam domandato; assai n'avete questa notte passata fatto, e troppo più che noi non vagliamo, per che acconciamente ne potevate lasciare andare al cammin nostro.
A'quali messer Torello rispose:
- Signori, di ciò che iersera vi fu fatto, so io grado alla fortuna più che a voi, la quale ad ora vi colse in cammino che bisogno vi fu di venire alla mia piccola casa; di questo di stamattina sarò io tenuto a voi, e con meco insieme tutti questi gentili uomini che dintorno vi sono, a' quali, se cortesia vi par fare il negar di voler con loro desinare, far lo potete se voi volete.
Il Saladino e'compagni vinti smontarono, e ricevuti da' gentili uomini lietamente furono alle camere menati, le quali ricchissimamente per loro erano apparecchiate; e posti giù gli arnesi da camminare e rinfrescatisi alquanto, nella sala, dove splendidamente era apparecchiato, vennero.
E data l'acqua alle mani e a tavola messi con grandissimo ordine e bello, di molte vivande magnificamente furon serviti, in tanto che, se lo 'mperadore venuto vi fosse, non si sarebbe più potuto fargli d'onore.
E quantunque il Saladino e'compagni fossero gran signori e usi di vedere grandissime cose, nondimeno si maravigliarono essi molto di questa, e lor pareva delle maggiori, avendo rispetto alla qualità del cavaliere, il qual sapevano che era cittadino e non signore.
Finito il mangiare e le tavole levate, avendo alquanto d'alte cose parlato, essendo il caldo grande, come a messer Torel piacque, i gentili uomini di Pavia tutti s'andarono a riposare, ed esso con li suoi tre rimase, e con loro in una camera entratosene, acciò che niuna sua cara cosa rimanesse che essi veduta non avessero, quivi si fece la sua valente donna chiamare.
La quale, essendo bellissima e grande della persona, e di ricchi vestimenti ornata, in mezzo di due suoi figlioletti, che parevano due agnoli, se ne venne davanti a costoro e piacevolmente gli salutò.
Essi vedendola si levarono in piè, e con reverenzia la ricevettono, e fattala sedere fra loro, gran festa fecero de' due belli suoi figlioletti.
Ma poi che con loro in piacevoli ragionamenti entrata fu, essendosi alquanto partito messer Torello, essa piacevolmente donde fossero e dove andassero gli domandò; alla qual i gentili uomini così risposero come a messer Torello avevan fatto.
Allora la donna con lieto viso disse:
- Adunque veggo che il mio feminile avviso sarà utile, e per ciò vi priego, che di spezial grazia mi facciate di non rifiutare né avere a vile quel piccioletto dono il quale io vi farò venire; ma, considerando che le donne secondo il lor piccol cuore piccole cose danno, più al buono animo di chi dà riguardando che alla quantità del dono, il prendiate.
E fattesi venire per ciascuno due paia di robe, l'un foderato di drappo e l'altro di vaio, non miga cittadine né da mercatanti, ma da signore, e tre giubbe di zendalo e pannilini, disse:
- Prendete queste: io ho delle robe il mio signore vestito con voi; l'altre cose, considerando che voi siete alle vostre donne lontani, e la lunghezza del cammin fatto e quel la di quel che è a fare, e che i mercatanti son netti e dilicati uomini, ancor che elle vaglian poco, vi potranno esser care.
I gentili uomini si maravigliarono, e apertamente conobber messer Torello niuna parte di cortesia voler lasciare a far loro, e dubitarono, veggendo la nobiltà delle robe non mercatantesche, di non esser da messer Torello conosciuti; ma pure alla donna rispose l'un di loro:
- Queste son, madonna, grandissime cose e da non dover di leggier pigliare, se i vostri prieghi a ciò non ci strignessero, alli quali dir di no non si puote.
Questo fatto, essendo già messer Torello ritornato, la donna, accomandatigli a Dio, da lor si partì, e di simili cose di ciò, quali a loro si convenieno, fece provvedere a' famigliari.
Messer Torello con molti prieghi impetrò da loro che tutto quel dì dimorasson con lui; per che, poi che dormito ebbero, vestitisi le robe loro, con messer Torello alquanto cavalcar per la città, e l'ora della cena venuta, con molti onorevoli compagni magnificamente cenarono.
E, quando tempo fu, andatisi a riposare, come il giorno venne su si levarono, e trovarono in luogo de' loro ronzini stanchi tre grossi pallafreni e buoni, e similmente nuovi cavalli e forti alli loro famigliari.
La qual cosa veggendo il Saladino, rivolto a' suoi compagni disse:
- Io giuro a Dio, che più compiuto uomo né più corte se né più avveduto di costui non fu mai; e se li re cristiani son così fatti re verso di sé chente costui è cavaliere, al soldano di Babilonia non ha luogo d'aspettare pure un, non che tanti, quanti, per addosso andargliene, veggiam che s'apparecchiano; - ma sappiendo che il rinunziargli non avrebbe luogo, assai cortesemente ringraziandolne, montarono a cavallo.
Messer Torello con molti compagni gran pezza di via gli accompagnò fuor della città; e quantunque al Saladino il partirsi da messer Torello gravasse (tanto già innamorato se n'era), pure, strignendolo l'andata, il pregò che indietro se ne tornasse.
Il quale, quantunque duro gli fosse il partirsi da loro, disse:
- Signori, io il farò poi che vi piace, ma così vi vo' dire: io non so chi voi vi siete, né di saperlo, più che vi piaccia, addomando; ma chi che voi vi siate, che voi siate mercatanti non lascerete voi per credenza a me questa volta; e a Dio vi comando.
Il Saladino, avendo già da tutti i compagni di messer Torello preso commiato, gli rispose dicendo:
- Messere, egli potrà ancora avvenire che noi vi farem vedere di nostra mercatantia, per la quale noi la vostra credenza raffermeremo; e andatevi con Dio.
Partissi adunque il Saladino e'compagni, con grandissimo animo, se vita gli durasse e la guerra la quale aspettava nol disfacesse, di fare ancora non minore onore a messer Torello che egli a lui fatto avesse; e molto e di lui e del la sua donna e di tutte le sue cose e atti e fatti ragionò co' compagni, ogni cosa più commendando.
Ma poi che tutto il Ponente non senza gran fatica ebbe cercato, entrato in mare, co' suoi compagni se ne tornò in Alessandria, e pienamente informato si dispose alla difesa.
Messer Torello se ne tornò in Pavia, e in lungo pensier fu chi questi tre esser potessero, né mai al vero non aggiunse né s'appressò.
Venuto il tempo del passaggio, e faccendosi l'apparecchiamento grande per tutto, messer Torello, non ostante i prieghi della sua donna e le lagrime, si dispose ad andarvi del tutto; e avendo ogni appresto fatto, ed essendo per cavalcare, disse alla sua donna, la quale egli sommamente amava:
- Donna come tu vedi, io vado in questo passaggio sì per onor del corpo e sì per salute dell'anima; io ti raccomando le nostre cose, e 'l nostro onore; e per ciò che io sono dell'andar certo, e del tornare, per mille casi che posson sopravvenire, niuna certezza ho, voglio io che tu mi facci una grazia; che che di me s'avvegna, ove tu non abbi certa novella della mia vita, che tu m'aspetti uno anno e un mese e un dì senza rimaritarti, incominciando da questo dì che io mi parto.
La donna, che forte piagneva, rispose:
- Messer Torello, io non so come io mi comporterò il dolore nel qual, partendovi voi, mi lasciate; ma, dove la mia vita sia più forte di lui e altro di voi avvenisse, vivete e morite sicuro che io viverò e morrò moglie di messer Torello e della sua memoria.
Alla qual messer Torello disse:
- Donna, certissimo sono, che, quanto in te sarà, che questo che tu mi prometti avverrà; ma tu se'giovane donna, e se'bella e se'di gran parentado, e la tua virtù è molta ed è conosciuta per tutto; per la qual cosa io non dubito che molti grandi e gentili uomini, se niente di me si suspicherà, non ti domandino a' tuoi fratelli e a' parenti; dagli stimoli de' quali, quantunque tu vogli, non ti potrai difendere, e per forza ti converrà compiacere a' voler loro; e questa è la cagion per la quale io questo termine, e non maggiore, ti dimando.
La donna disse:
- Io farò ciò che io potrò di quello che detto v'ho; e quando pure altro far mi convenisse, io v'ubidirò, di questo che m'imponete, certamente.
Priego io Iddio che a così fatti termini né voi né me rechi a questi tempi.
Finite le parole, la donna piagnendo abbracciò messer Torello, e trattosi di dito un anello, gliele diede dicendo:
- Se egli avviene che io muoia prima che io vi rivegga, ricordivi di me quando il vedrete.
Ed egli presolo montò a cavallo, e detto ad ogn'uomo addio, andò a suo viaggio; e pervenuto a Genova con sua compagnia, montato in galea andò via, e in poco tempo per venne ad Acri, e con l'altro essercito de' cristiani si congiunse.
Nel quale quasi a mano a man cominciò una grandissima infermeria e mortalità; la qual durante, qual che si fosse l'arte o la fortuna del Saladino, quasi tutto il rimaso degli scampati cristiani da lui a man salva fur presi, e per molte città divisi e imprigionati; fra'quali presi messer Torello fu uno, e in Alessandria menato in prigione.
Dove non essendo conosciuto e temendo esso di farsi conoscere, da necessità costretto si diede a conciare uccelli, di che egli era grandissimo maestro, e per questo a notizia venne del Saladino: laonde egli di prigione il trasse, e ritennelo per suo falconiere.
Messer Torello, che per altro nome che il Cristiano dal Saladino non era chiamato, il quale egli non riconosceva né il soldano lui, solamente in Pavia l'animo avea e più volte di fuggirsi aveva tentato, né gli era venuto fatto; per che esso, venuti certi genovesi per ambasciadori al Saladino per la ricompera di certi lor cittadini, e dovendosi partire, pensò di scrivere alla donna sua come egli era vivo e a lei come più tosto potesse tornerebbe, e che ella l'attendesse; e così fece; e caramente pregò un degli ambasciadori che conoscea, che facesse che quelle alle mani dell'abate di San Pietro in Ciel d'oro, il qual suo zio era, pervenissero.
E in questi termini stando messer Torello, avvenne un giorno che, ragionando con lui il Saladino di suoi uccelli, messer Torello cominciò a sorridere e fece uno atto con la bocca, il quale il Saladino, essendo a casa sua a Pavia, aveva molto notato.
Per lo quale atto al Saladino tornò alla mente messer Torello, e cominciò fiso a riguardallo e parvegli desso; per che, lasciato il primo ragionamento, disse:
- Dimmi, Cristiano, di che paese se'tu di Ponente?
- Signor mio, - disse messer Torello - io sono lombardo, d'una città chiamata Pavia, povero uomo e di bassa condizione.
Come il Saladino udì questo, quasi certo di quello che dubitava, fra sé lieto disse: - Dato m'ha Iddio tempo di mostrare a costui quanto mi fosse a grado la sua cortesia; - e senza altro dire, fattisi tutti i suoi vestimenti in una camera acconciare, vel menò dentro e disse:
- Guarda, Cristiano, se tra queste robe n'è alcuna che tu vedessi giammai.
Messer Torello cominciò a guardare, e vide quelle che al Saladino aveva la sua donna donate, ma non estimò dover potere essere che desse fossero, ma tuttavia rispose:
- Signor mio, niuna ce ne conosco; è ben vero, che quelle due somiglian robe di che io già con tre mercatanti, che a casa mia capitarono, vestito ne fui.
Allora il Saladino, più non potendo tenersi, teneramente l'abbracciò, dicendo:
- Voi siete messer Torel di Strà, e io sono l'uno de' tre mercatanti a' quali la donna vostra donò queste robe; e ora è venuto il tempo di far certa la vostra credenza qual sia la mia mercatantia, come nel partirmi da voi dissi che potrebbe avvenire.
Messer Torello questo udendo, cominciò ad esser lietissimo e a vergognarsi; ad esser lieto d'avere avuto così fatto oste; a vergognarsi che poveramente gliele pareva aver ricevuto.
A cui il Saladin disse:
- Messer Torello, poi che Iddio qui mandato mi v'ha, pensate che non io oramai, ma voi qui siate il signore.
E fattasi la festa insieme grande, di reali vestimenti il fe'vestire, e nel cospetto menatolo di tutti i suoi maggiori baroni, e molte cose in laude del suo valor dette, comandò che da ciascun che la sua grazia avesse cara, così onorato fosse come la sua persona.
Il che da quindi innanzi ciascun fece, ma molto più che gli altri i due signori li quali compagni erano stati del Saladino in casa sua.
L'altezza della subita gloria, nella qual messer Torel si vide, alquanto le cose di Lombardia gli trassero della mente, e massimamente per ciò che sperava fermamente le sue lettere dovere essere al zio pervenute.
Era nel campo ovvero essercito de' cristiani, il dì che dal Saladino furon presi, morto e sepellito un cavalier provenzale di piccol valore, il cui nome era messer Torello di Dignes; per la qual cosa, essendo messer Torello di Strà - per la sua nobiltà per lo essercito conosciuto, chiunque udir dir: - messer Torello è morto, - credette di messer Torel di Strà, e non di quel di Dignes; e il caso, che sopravvenne, della presura, non lasciò sgannar gl'ingannati; per che molti italici tornarono con questa novella, tra'quali furono de' sì presuntuosi che ardiron di dire sé averlo veduto morto ed essere stati alla sepoltura.
La qual cosa saputa dalla donna e da' parenti di lui fu di grandissima e inestimabile doglia cagione, non solamente a loro, ma a ciascuno che conosciuto l'avea.
Lungo sarebbe a mostrare qual fosse e quanto il dolore e la tristizia e 'pianto della sua donna, la quale dopo al quanti mesi che con tribulazion continua doluta s'era e a men dolersi avea cominciato, essendo ella da' maggiori uomini di Lombardia domandata, da' fratelli e dagli altri suoi parenti fu cominciata a sollicitare di rimaritarsi.
Il che ella molte volte e con grandissimo pianto avendo negato, costretta, alla fine le convenne far quello che vollero i suoi parenti, con questa condizione che ella dovesse stare senza a marito andarne tanto quanto ella aveva promesso a messer Torello.
Mentre in Pavia eran le cose della donna in questi termini, e già forse otto dì al termine del doverne ella andare a marito eran vicini, avvenne che messer Torello in Alessandria vide un dì uno, il qual veduto avea con gli ambasciadori genovesi montar sopra la galea che a Genova ne venia; per che, fattolsi chiamare, il domandò che viaggio avuto avessero, e quando a Genova fosser giunti.
Al quale costui disse:
- Signor mio, malvagio viaggio fece la galea, sì come in Creti sentii, là dove io rimasi; per ciò che, essendo ella vicina di Cicilia, si levò una tramontana pericolosa che nelle secche di Barberia la percosse, né ne scampò testa, e intra gli altri, due miei fratelli vi perirono.
Messer Torello, dando alle parole di costui fede, che eran verissime, e ricordandosi che il termine ivi a pochi dì finiva da lui domandato alla donna, e avvisando niuna cosa di suo stato doversi sapere a Pavia, ebbe per constante la donna dovere essere rimaritata; di che egli in tanto dolor cadde, che, perdutone il mangiare e a giacer postosi, diliberò di morire.
La qual cosa come il Saladin sentì, che sommamente l'amava, venne da lui; e dopo molti prieghi e grandi fattigli, saputa la cagion del suo dolore e della sua infermità, il biasimò molto che avanti non gliele aveva detto, e appresso il pregò che si confortasse, affermandogli che, dove questo facesse, egli adopererebbe sì che egli sarebbe in Pavia al termine dato, e dissegli come.
Messer Torello, dando fede alle parole del Saladino, e avendo molte volte udito dire che ciò era possibile e fatto s'era assai volte, si 'ncominciò a confortare, e a sollicitare il Saladino che di ciò si diliberasse.
Il Saladino ad un suo nigromante, la cui arte già espermentata aveva, impose che egli vedesse via come messer Torello sopra un letto in una notte fosse portato a Pavia; a cui il nigromante rispose che ciò saria fatto, ma che egli per ben di lui il facesse dormire.
Ordinato questo, tornò il Saladino a messer Torello, e trovandol del tutto disposto a volere pure essere in Pavia al termine dato, se esser potesse, e se non potesse, a voler morire, gli disse così:
- Messer Torello, se voi affettuosamente amate la donna vostra e che ella d'altrui non divegna dubitate, sallo Iddio che io in parte alcuna non ve ne so riprendere, per ciò che di quante donne mi parve veder mai ella è colei li cui costumi, le cui maniere e il cui abito, lasciamo star la bellezza che è fior caduco, più mi paion da commendare e da aver care.
Sarebbemi stato carissimo, poi che la fortuna qui v'aveva mandato, che quel tempo che voi e io viver dobbiamo, nel governo del regno che io tengo, parimente signori vivuti fossimo insieme; e se questo pur non mi dovea esser conceduto da Dio, dovendovi questo cader nell'animo, o di morire o di ritrovarvi al termine posto in Pavia, sommamente avrei disiderato d'averlo saputo a tempo, che io con quello onore, con quella grandezza, con quella compagnia che la vostra virtù merita, v'avessi fatto porre a casa vostra; il che poi che conceduto non m'è, e voi pur disiderate d'esser là di presente, come io posso, nella forma che detta v'ho, ve ne manderò.
Al qual messer Torello disse:
- Signor mio, senza le vostre parole m'hanno gli effetti assai dimostrato della vostra benivolenzia, la qual mai da me in sì supremo grado non fu meritata, e di ciò che voi dite, eziandio non dicendolo, vivo e morrò certissimo; ma poi che così preso ho per partito, io vi priego che quello che mi dite di fare si faccia tosto, per ciò che domane è l'ultimo dì che io debbo essere aspettato.
Il Saladino disse che ciò senza fallo era fornito; e il seguente dì, attendendo di mandarlo via la veniente notte, fece il Saladin fare in una gran sala un bellissimo e ricco letto di materassi, secondo la loro usanza, tutti di velluti e di drappi ad oro, e fecevi por suso una coltre lavorata a certi compassi di perle grossissime e di carissime pietre preziose, la qual fu poi di qua stimata infinito tesoro, e due guanciali quali a così fatto letto si richiedeano.
E questo fatto, comandò che a messer Torello, il quale era già forte, fosse messa in dosso una roba alla guisa saracinesca, la più ricca e la più bella cosa che mai fosse stata veduta per alcuno, e in testa alla lor guisa gli fece una del le sue lunghissime bende ravvolgere.
Ed essendo già l'ora tarda, il Saladino con molti de' suoi baroni nella camera là dove messer Torello era, se n'andò, e postoglisi a sedere allato, quasi lagrimando a dir cominciò:
- Messer Torello, l'ora che da voi divider mi dee s'appressa, e per ciò che io non posso né accompagnarvi né far vi accompagnare, per la qualità del cammino che a fare ave te che nol sostiene, qui in camera da voi mi convien prender commiato, al qual prendere venuto sono.
E per ciò, prima che io a Dio v'accomandi, vi priego per quello amore e per quella amistà, la qual è tra noi, che di me vi ricordi; e, se possibile è, anzi che i nostri tempi finiscano, che voi, avendo in ordine poste le vostre cose di Lombardia, una volta almeno a veder mi vegniate, acciò che io possa in quella, essendomi d'avervi veduto rallegrato, quel difetto supplire che ora per la vostra fretta mi convien commettere; e infino che questo avvenga, non vi sia grave visitarmi con lettere, e di quelle cose che vi piaceranno richiedermi, che più volentier per voi che per alcuno uom che viva le farò certamente.
Messer Torello non potè le lagrime ritenere, e per ciò da quelle impedito, con poche parole rispose impossibil dover essere che mai i suoi benefici e il suo valore di mente gli uscissero, e che senza fallo quello che egli gli domandava farebbe, dove tempo gli fosse prestato.
Per che il Sa ladino, teneramente abbracciatolo e baciatolo, con molte lagrime gli disse: - Andate con Dio; - e della camera s'uscì, e gli altri baroni appresso tutti da lui s'accomiatarono, e col Saladino in quella sala ne vennero, là dove egli avea fatto il letto acconciare.
Ma, essendo già tardi e il nigromante aspettando lo spaccio e affrettandolo, venne un medico con un beveraggio, e fattogli vedere che per fortificamento di lui gliele dava, gliel fece bere; né stette guari che addormentato fu.
E così dormendo fu portato per comandamento del Saladino in su il bel letto, sopra il quale esso una grande e bella corona pose di gran valore, e sì la segnò, che apertamente fu poi compreso quella dal Saladino alla donna di messer Torello esser mandata.
Appresso mise in dito a messer Torello uno anello, nel quale era legato un carbunculo, tanto lucente che un torchio acceso pareva, il valor del quale appena si poteva stimare; quindi gli fece una spada cignere, il cui guernimento non si saria di leggieri apprezzato; e oltre a questo un fermaglio gli fe'davanti appiccare, nel qual erano perle mai simili non vedute, con altre care pietre assai; e poi da ciascun de' lati di lui due grandissimi bacin d'oro pieni di doble fe'porre, e molte reti di perle e anella e cinture e altre cose, le quali lungo sarebbe a raccontare, gli fece metter da torno.
E questo fatto, da capo baciò messer Torello, e al nigromante disse che si spedisse; per che incontanente in presenzia del Saladino il letto con tutto messer Torello fu tolto via, e il Saladino co' suoi baroni di lui ragionando si rimase.
Era già nella chiesa di San Piero in Ciel d'oro di Pavia, sì come dimandato avea, stato posato messer Torello con tutti i sopradetti gioielli e ornamenti, e ancor si dormiva, quando, sonato già il matutino, il sagrestano nella chiesa entrò con un lume in mano, e occorsogli subitamente di vedere il ricco letto, non solamente si maravigliò, ma, avuta grandissima paura, indietro fuggendo si tornò; il quale l'abate e'monaci veggendo fuggire, si maravigliarono e domandarono della cagione.
Il monaco la disse.
- Oh, - disse l'abate e sì non se'tu oggimai fanciullo né se'in questa chiesa nuovo, che tu così leggermente spaventar ti debbi; ora andiam noi, veggiamo chi t'ha fatto baco.
Accesi adunque più lumi, l'abate con tutti i suoi monaci nella chiesa entrati videro questo letto così maraviglioso e ricco, e sopra quello il cavalier che dormiva; e mentre dubitosi e timidi, senza punto al letto accostarsi, le nobili gioie riguardavano, avvenne che, essendo la virtù del beveraggio consumata, che messer Torello destatosi gittò un gran sospiro.
Li monaci come questo videro, e l'abate con loro, spaventati e gridando: - Domine aiutaci, - tutti fuggirono.
Messer Torello, aperti gli occhi e dattorno guatatosi, conobbe manifestamente sé essere là dove al Saladino domandato avea, di che forte fu seco contento; per che, a seder levatosi e partitamente guardando ciò che dattorno avea, quantunque prima avesse la magnificenzia del Saladin conosciuta, ora gli parve maggiore e più la conobbe.
Non per tanto, senza altramenti mutarsi, sentendo i monaci fuggire e avvisatosi il perché, cominciò per nome a chiamar l'abate e a pregarlo che egli non dubitasse, per ciò che egli era Torel suo nepote.
L'abate, udendo questo, divenne più pauroso, come co lui che per morto l'avea di molti mesi innanzi; ma dopo alquanto, da veri argomenti rassicurato, sentendosi pur chiamare, fattosi il segno della santa croce, andò a lui.
Al quale messer Torel disse:
- O padre mio, di che dubitate voi? Io son vivo, la Dio mercé, e qui d'oltre mar ritornato.
L'abate, con tutto che egli avesse la barba grande e in abito arabesco fosse, pure dopo alquanto il raffigurò e, rassicuratosi tutto, il prese per la mano e disse: - Figliuol mio, tu sii il ben tornato; - e seguitò: - Tu non ti dei maravigliare della nostra paura, per ciò che in questa terra non ha uomo che non creda fermamente che tu morto sii, tanto che io ti so dire che madonna Adalieta tua moglie, vinta dai prieghi e dalle minacce de' parenti suoi, e contro a suo volere, è rimaritata, e questa mattina ne dee ire al nuovo marito, e le nozze e ciò che a festa bisogno fa è apparecchiato.
Messer Torello, levatosi d'in su il ricco letto e fatta all'abate e a' monaci maravigliosa festa, ognun pregò che di questa sua tornata con alcun non parlasse, infino a tanto che egli non avesse una sua bisogna fornita.
Appresso questo, fatto le ricche gioie porre in salvo, ciò che avvenuto gli fosse infino a quel punto raccontò all'abate.
L'abate, lieto delle sue fortune, con lui insieme rendè grazie a Dio.
Appresso questo domandò messer Torel l'abate, chi fosse il nuovo marito della sua donna.
L'abate gliele disse.
A cui messer Torel disse:
- Avanti che di mia tornata si sappia, io intendo di veder che contenenza sia quella di mia mogliere in queste nozze; e per ciò, quantunque usanza non sia le persone religiose andare a così fatti conviti, io voglio che per amor di me voi ordiniate che noi v'andiamo.
L'abate rispose che volentieri; e come giorno fu fatto, mandò al nuovo sposo dicendo che con un compagno voleva essere alle sue nozze; a cui il gentile uomo rispose che molto gli piaceva.
Venuta dunque l'ora del mangiare, messer Torello, in quello abito che era, con lo abate se n'andò alla casa del novello sposo, con maraviglia guatato da chiunque il vedeva, ma riconosciuto da nullo; e l'abate a tutti diceva lui essere un saracino mandato dal soldano al re di Francia ambasciadore.
Fu adunque messer Torel messo ad una tavola appunto rimpetto alla donna sua, la quale egli con grandissimo piacer riguardava, e nel viso gli pareva turbata di queste nozze.
Ella similmente alcuna volta guardava lui; non già per conoscenza alcuna che ella n'avesse, ché la barba grande e lo strano abito e la ferma credenza che ella aveva che fosse morto, gliele toglievano, ma per la novità dell'abito.
Ma poi che tempo parve a messer Torello di volerla tentare se di lui si ricordasse, recatosi in mano l'anello che dalla donna nella sua partita gli era stato donato, si fece chiamare un giovinetto che davanti a lei serviva, e dissegli:
- Di'da mia parte alla nuova sposa, che nelle mie contrade s'usa quando alcun forestiere, come io son qui, mangia al convito d'alcuna sposa nuova, come ella è, in segno d'aver caro che egli venuto vi sia a mangiare, ella la coppa con la quale bee gli manda piena di vino, con la quale, poi che il forestiere ha bevuto quello che gli piace, ricoperchiata la coppa, la sposa bee il rimanente.
Il giovinetto fe'l'ambasciata alla donna, la quale, sì come costumata e savia, credendo costui essere un gran barbassoro, per mostrare d'avere a grado la sua venuta, una gran coppa dorata, la qual davanti avea, comandò che lavata fosse ed empiuta di vino e portata al gentile uomo, e così fu fatto.
Messer Torello, avendosi l'anello di lei messo in bocca, sì fece che bevendo il lasciò cadere nella coppa, senza avvedersene alcuno, e poco vino lasciatovi, quella ricoperchiò e mandò alla donna.
La quale presala, acciò che l'usanza di lui compiesse, scoperchiatala, se la mise a bocca e vide l'anello, e senza dire alcuna cosa alquanto il riguardò; e riconosciuto che egli era quello che dato avea nel suo partire a messer Torello, presolo e fiso guardato colui il qual forestiere credeva, e già conoscendolo, quasi furiosa divenuta fosse, gittata in terra la tavola che davanti aveva, gridò:
- Questi è il mio signore; questi veramente è messer Torello.
E corsa alla tavola alla quale esso sedeva, senza aver riguardo a' suoi drappi o a cosa che sopra la tavola fosse, gittatasi oltre quanto potè, l'abbracciò strettamente, né mai dal suo collo fu potuta, per detto o per fatto d'alcuno che quivi fosse, levare, infino a tanto che per messer Torello non le fu detto che alquanto sopra sé stesse, per ciò che tempo da abbracciarlo le sarebbe ancor prestato assai.
Allora ella dirizzatasi, essendo già le nozze tutte turbate, e in parte più liete che mai per lo racquisto d'un così fatto cavaliere, pregandone egli, ogni uomo stette cheto; per che messer Torello dal dì della sua partita infino a quel punto ciò che avvenuto gli era a tutti narrò, conchiudendo che al gentile uomo, il quale, lui morto credendo, aveva la sua donna per moglie presa, se egli essendo vivo la si ritoglieva, non doveva spiacere.
Il nuovo sposo, quantunque alquanto scornato fosse, liberamente e come amico rispose che delle sue cose era nel suo volere quel farne che più gli piacesse.
La donna e l'anella e la corona avute dal nuovo sposo quivi lasciò, e quello che della coppa aveva tratto si mise, e similmente la corona mandatale dal soldano; e usciti della casa dove erano, con tutta la pompa delle nozze infino alla casa di messer Torel se n'andarono; e quivi gli sconsolati amici e parenti e tutti i cittadini, che quasi per un miracolo il riguardavano, con lunga e lieta festa racconsolarono.
Messer Torello, fatta delle sue care gioie parte a colui che avute avea le spese delle nozze e all'abate e a molti altri, e per più d'un messo significata la sua felice repatriazione al Saladino, suo amico e suo servidore ritenendosi, più anni con la sua valente donna poi visse, più cortesia usando che mai.
Cotale adunque fu il fin delle noie di messer Torello e di quelle della sua cara donna, e il guiderdone delle lor liete e preste cortesie.
Le quali molti si sforzano di fare, che, benché abbian di che, sì mal far le sanno, che prima le fanno assai più comperar che non vagliono, che fatte l'abbiano, per che, se loro merito non ne segue, né essi né altri maravigliar se ne dee.
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Novella Decima
Il marchese di Saluzzo, da' prieghi de' suoi uomini costretto di pigliar moglie, per prenderla a suo modo, piglia una figliuola d'un villano, della quale ha due figlioli, li quali le fa veduto di uccidergli.
Poi, mostrando lei essergli rincresciuta e avere altra moglie presa, a casa faccendosi ritornare la propria figliuola come se sua moglie fosse, lei avendo in camicia cacciata e ad ogni cosa trovandola paziente, più cara che mai in casa tornatalasi, i suoi figliuoli grandi le mostra, e come marchesana l'onora e fa onorare.
Finita la lunga novella del re, molto a tutti nel sembiante piaciuta, Dioneo ridendo disse:
- Il buono uomo che aspettava la seguente notte di fare abbassare la coda ritta della fantasima, avrebbe dati men di due denari di tutte le lode che voi date a messer Torello; - e appresso, sappiendo che a lui solo restava il dire, incominciò.
Mansuete mie donne, per quel che mi paia, questo dì d'oggi è stato dato a re e a soldani e a così fatta gente; e per ciò, acciò che io troppo da voi non mi scosti, vo'ragionar d'un marchese, non cosa magnifica, ma una matta bestialità, come che bene ne gli seguisse alla fine.
La quale io non consiglio alcun che segua, per ciò che gran peccato fu che a costui ben n'avvenisse.
Già è gran tempo, fu tra'marchesi di Saluzzo il maggior della casa un giovane chiamato Gualtieri, il quale, essendo senza moglie e senza figliuoli, in niuna altra cosa il suo tempo spendeva che in uccellare e in cacciare, né di prender moglie né d'aver figliuoli alcun pensiere avea, di che egli era da reputar molto savio.
La qual cosa a' suoi uomini non piacendo, più volte il pregarono che moglie prendesse, acciò che egli senza erede né essi senza signor rimanessero, offerendosi di trovargliele tale e di sì fatto padre e madre discesa, che buona speranza se ne potrebbe avere, ed esso contentarsene molto.
A'quali Gualtieri rispose:
- Amici miei, voi mi strignete a quello che io del tutto aveva disposto di non far mai, considerando quanto grave cosa sia a poter trovare chi co' suoi costumi ben si convenga, e quanto del contrario sia grande la copia, e come dura vita sia quella di colui che a donna non bene a sé conveniente s'abbatte.
E il dire che voi vi crediate a' costumi de' padri e delle madri le figliuole conoscere, donde argomentate di darlami tal che mi piacerà, è una sciocchezza; con ciò sia cosa che io non sappia dove i padri possiate conoscere, né come i segreti delle madri di quelle; quantunque, pur conoscendoli, sieno spesse volte le figliuole a' padri e alle madri dissimili.
Ma poi che pure in queste catene vi piace d'annodarmi, e io voglio esser contento; e acciò che io non abbia da dolermi d'altrui che di me, se mal venisse fatto, io stesso ne voglio essere il trovatore, affermandovi che, cui che io mi tolga, se da voi non fia come donna onorata, voi proverete con gran vostro danno quanto grave mi sia l'aver contra mia voglia presa mogliere a' vostri prieghi.
I valenti uomini risposon ch'eran contenti, sol che esso si recasse a prender moglie.
Erano a Gualtieri buona pezza piaciuti i costumi d'una povera giovinetta che d'una villa vicina a casa sua era, e parendogli bella assai, estimò che con costei dovesse aver vita assai consolata; e per ciò, senza più avanti cercare, costei propose di volere sposare; e fattosi il padre chiamare, con lui, che poverissimo era, si convenne di torla per moglie.
Fatto questo, fece Gualtieri tutti i suoi amici della contrada adunare, e disse loro:
- Amici miei, egli v'è piaciuto e piace che io mi disponga a tor moglie, e io mi vi son disposto più per compiacere a voi che per disiderio che io di moglie avessi.
Voi sapete quello che voi mi prometteste, cioè d'esser contenti e d'onorar come donna qualunque quella fosse che io togliessi; e per ciò venuto è il tempo che io sono per servare a voi la promessa, e che io voglio che voi a me la serviate.
Io ho trovata una giovane secondo il cuor mio, assai presso di qui, la quale io intendo di tor per moglie e di menarlami fra qui a pochi dì a casa; e per ciò pensate come la festa delle nozze sia bella, e come voi onorevolmente ricever la possiate, acciò che io mi possa della vostra promession chiamar contento, come voi della mia vi potrete chiamare.
I buoni uomini lieti tutti risposero ciò piacer loro, e che, fosse chi volesse, essi l'avrebber per donna e onorerebbonla in tutte cose sì come donna.
Appresso questo, tutti si misero in assetto di far bella e grande e lieta festa, e il simigliante fece Gualtieri.
Egli fece preparare le nozze grandissime e belle, e invitarvi molti suoi amici e parenti e gran gentili uomini e altri dattorno; e oltre a questo fece tagliare e far più robe belle e ricche al dosso d'una giovane, la quale della persona gli pareva che la giovinetta la quale avea proposto di sposare; e oltre a questo apparecchiò cinture e anella e una ricca e bella corona, e tutto ciò che a novella sposa si richiedea.
E venuto il dì che alle nozze predetto avea, Gualtieri in su la mezza terza montò a cavallo, e ciascuno altro che ad onorarlo era venuto; e ogni cosa opportuna avendo disposta, disse:
- Signori, tempo è d'andare per la novella sposa; - e messosi in via con tutta la compagnia sua pervennero alla villetta.
E giunti a casa del padre della fanciulla, e lei trovata che con acqua tornava dalla fonte in gran fretta, per andar poi con altre femine a veder venire la sposa di Gualtieri, la quale come Gualtieri vide, chiamatala per nome, cioè Griselda, domandò dove il padre fosse; al quale ella vergognosamente rispose:
- Signor mio, egli è in casa.
Allora Gualtieri smontato e comandato ad ogn'uomo che l'aspettasse, solo se n'entrò nella povera casa, dove trovò il padre di lei che aveva nome Giannucole, e dissegli:
- Io son venuto a sposar la Griselda, ma prima da lei voglio sapere alcuna cosa in tua presenzia; - e domandolla se ella sempre, togliendola egli per moglie, s'ingegnerebbe di compiacergli e di niuna cosa che egli dicesse o facesse non turbarsi, e s'ella sarebbe obbediente, e simili altre cose assai, delle quali ella a tutte rispose del sì.
Allora Gualtieri, presala per mano, la menò fuori, e in presenzia di tutta la sua compagnia e d'ogni altra persona la fece spogliare ignuda, e fattisi quegli vestimenti venire che fatti aveva fare, prestamente la fece vestire e calzare, e sopra i suoi capegli così scarmigliati com'egli erano le fece mettere una corona, e appresso questo, maravigliandosi ogn'uomo di questa cosa, disse:
- Signori, costei è colei la quale io intendo che mia moglie sia, dove ella me voglia per marito; - e poi a lei rivolto, che di sé medesima vergognosa e sospesa stava, le disse: - Griselda, vuo'mi tu per tuo marito?
A cui ella rispose:
- Signor mio, sì.
Ed egli disse:
- E io voglio te per mia moglie; - e in presenza di tutti la sposò.
E fattala sopra un pallafren montare, onorevolmente accompagnata a casa la si menò.
Quivi furon le nozze belle e grandi e la festa non altramenti che se presa avesse la figliuola del re di Francia.
La giovane sposa parve che co' vestimenti insieme l'animo e i costumi mutasse.
Ella era, come già dicemmo, di persona e di viso bella, e così come bella era, divenne tanto avvenevole, tanto piacevole e tanto costumata, che non figliuola di Giannucole e guardiana di pecore pareva stata, ma d'alcun nobile signore; di che ella faceva maravigliare ogn'uom che prima conosciuta l'avea.
E oltre a questo era tanto obbediente al marito e tanto servente, che egli si teneva il più contento e il più appagato uomo del mondo; e similmente verso i sudditi del marito era tanto graziosa e tanto benigna, che niun ve n'era che più che sé non l'amasse e che non l'onorasse di grado, tutti per lo suo bene e per lo suo stato e per lo suo essaltamento pregando; dicendo, dove dir solieno Gualtieri aver fatto come poco savio d'averla per moglie presa, che egli era il più savio e il più avveduto uomo che al mondo fosse; per ciò che niun altro che egli avrebbe mai potuto conoscere l'alta virtù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto l'abito villesco.
E in brieve non solamente nel suo marchesato, ma per tutto, anzi che gran tempo fosse passato, seppe ella sì fare che ella fece ragionare del suo valore e del suo bene adoperare, e in contrario rivolgere, se alcuna cosa detta s'era contra 'l marito per lei quando sposata l'avea.
Ella non fu guari con Gualtieri dimorata, che ella ingravidò, e al tempo partorì una fanciulla, di che Gualtieri fece gran festa.
Ma poco appresso, entratogli un nuovo pensier nell'animo, cioè di volere con lunga esperienzia e con cose intollerabili provare la pazienzia di lei, primieramente la punse con parole, mostrandosi turbato e dicendo che i suoi uomini pessimamente si contentavano di lei per la sua bassa condizione, e spezialmente poi che vedevano che ella portava figliuoli; e della figliuola che nata era tristissimi, altro che mormorar non facevano.
Le quali parole udendo la donna, senza mutar viso o buon proponimento in alcuno atto, disse:
- Signor mio, fa di me quello che tu credi che più tuo onore e consolazion sia, ché io sarò di tutto contenta, sì come colei che conosco che io sono da men di loro, e che io non era degna di questo onore al quale tu per tua cortesia mi recasti.
Questa risposta fu molto cara a Gualtieri, conoscendo costei non essere in alcuna superbia levata, per onor che egli o altri fatto l'avesse.
Poco tempo appresso, avendo con parole generali detto alla moglie che i sudditi non potevan patir quella fanciulla di lei nata, informato un suo famigliare, il mandò a lei, il quale con assai dolente viso le disse:
- Madonna, se io non voglio morire, a me conviene far quello che il mio signor mi comanda.
Egli m'ha comandato che io prenda questa vostra figliuola e ch'io...
- e non disse più.
La donna, udendo le parole e vedendo il viso del famigliare, e delle parole dette ricordandosi, comprese che a costui fosse imposto che egli l'uccidesse; per che prestamente presala della culla e baciatala e benedettala, come che gran noia nel cuor sentisse, senza mutar viso in braccio la pose al famigliare e dissegli:
- Te': fa compiutamente quello che il tuo e mio signore t'ha imposto; ma non la lasciar per modo che le bestie e gli uccelli la divorino, salvo se egli nol ti comandasse.
Il famigliare, presa la fanciulla, e fatto a Gualtieri sentire ciò che detto aveva la donna, maravigliandosi egli della sua costanzia, lui con essa ne mandò a Bologna ad una sua parente, pregandola che, senza mai dire cui figliuola si fosse, diligentemente l'allevasse e costumasse.
Sopravenne appresso che la donna da capo ingravidò, e al tempo debito partorì un figliuol maschio, il che carissimo fu a Gualtieri; ma, non bastandogli quello che fatto avea, con maggior puntura trafisse la donna, e con sembiante turbato un dì le disse:
- Donna, poscia che tu questo figliuol maschio facesti, per niuna guisa con questi miei viver son potuto, sì duramente si ramaricano che uno nepote di Giannucole dopo me debba rimaner lor signore; di che io mi dotto, se io non ci vorrò esser cacciato, che non mi convenga far di quello che io altra volta feci, e alla fine lasciar te e prendere un'altra moglie.
La donna con paziente animo l'ascoltò, né altro rispose se non:
- Signor mio, pensa di contentar te e di sodisfare al piacer tuo, e di me non avere pensiere alcuno, per ciò che niuna cosa m'è cara se non quant'io la veggo a te piacere.
Dopo non molti dì Gualtieri, in quella medesima maniera che mandato avea per la figliuola, mandò per lo figliuolo, e similmente dimostrato d'averlo fatto uccidere, a nutricar nel mandò a Bologna, come la fanciulla aveva mandata; della qual cosa la donna né altro viso né altre parole fece che della fanciulla fatto avesse; di che Gualtieri si maravigliava forte e seco stesso affermava niun'altra femina questo poter fare che ella faceva; e se non fosse che carnalissima de' figliuoli, mentre gli piacea, la vedea, lei avrebbe creduto ciò fare per più non curarsene, dove come savia lei farlo cognobbe.
I sudditi suoi, credendo che egli uccidere avesse fatti i figliuoli, il biasimavan forte e reputavanlo crudele uomo, e alla donna avevan grandissima compassione; la quale con le donne, le quali con lei de' figliuoli così morti si condoleano, mai altro non disse se non che quello ne piaceva a lei che a colui che generati gli avea.
Ma, essendo più anni passati dopo la natività della fanciulla, parendo tempo a Gualtieri di fare l'ultima pruova della sofferenza di costei, con molti de' suoi disse che per niuna guisa più sofferir poteva d'aver per moglie Griselda e che egli cognosceva che male e giovenilmente aveva fatto quando l'aveva presa, e per ciò a suo poter voleva procacciar col papa che con lui dispensasse che un'altra donna prender potesse e lasciar Griselda; di che egli da assai buoni uomini fu molto ripreso.
A che null'altro rispose, se non che convenia che così fosse.
La donna, sentendo queste cose e parendole dovere sperare di ritornare a casa del padre e forse a guardar le pecore come altra volta aveva fatto e vedere ad un'altra donna tener colui al quale ella voleva tutto il suo bene, forte in sé medesima si dolea; ma pur, come l'altre ingiurie della fortuna avea sostenute, così con fermo viso si dispose a questa dover sostenere.
Non dopo molto tempo Gualtieri fece venire sue lettere contraffatte da Roma, e fece veduto a' suoi sudditi il papa per quelle aver seco dispensato di poter torre altra moglie e lasciar Griselda.
Per che, fattalasi venir dinanzi, in presenza di molti le disse:
- Donna, per concession fattami dal papa, io posso altra donna pigliare e lasciar te; e per ciò che i miei passati sono stati gran gentili uomini e signori di queste contrade, dove i tuoi stati son sempre lavoratori, io intendo che tu più mia moglie non sia, ma che tu a casa Giannucole te ne torni con la dote che tu mi recasti, e io poi un'altra, che trovata n'ho convenevole a me, ce ne menerò.
La donna, udendo queste parole, non senza grandissima fatica, oltre alla natura delle femine, ritenne le lagrime, e rispose:
- Signor mio, io conobbi sempre la mia bassa condizione alla vostra nobilità in alcun modo non convenirsi, e quello che io stata son con voi, da Dio e da voi il riconoscea, né mai, come donatolmi, mio il feci o tenni, ma sempre l'ebbi come prestatomi; piacevi di rivolerlo, e a me dee piacere e piace di renderlovi; ecco il vostro anello col quale voi mi sposaste, prendetelo.
Comandatemi che io quella dote me ne porti che io ci recai, alla qual cosa fare, né a voi pagator né a me borsa bisognerà né somiere, per ciò che di mente uscito non m'è che ignuda m'aveste: e se voi giudicate onesto che quel corpo, nel qual io ho portati figliuoli da voi generati, sia da tutti veduto, io me n'andrò ignuda; ma io vi priego, in premio della mia verginità, che io ci recai e non ne la porto, che almeno una sola camicia sopra la dote mia vi piaccia che io portar ne possa.
Gualtieri, che maggior voglia di piagnere avea che d'altro, stando pur col viso duro, disse:
- E tu una camicia ne porta.
Quanti dintorno v'erano il pregavano che egli una roba le donasse, ché non fosse veduta colei, che sua moglie tredici anni e più era stata, di casa sua così poveramente e così vituperosamente uscire, come era uscirne in camicia; ma in vano andarono i prieghi; di che la donna, in camicia e scalza e senza alcuna cosa in capo, accomandatili a Dio, gli uscì di casa, e al padre se ne tornò con lagrime e con pianto di tutti coloro che la videro.
Giannucole, che creder non avea mai potuto questo esser vero che Gualtieri la figliuola dovesse tener moglie, e ogni dì questo caso aspettando guardati l'aveva i panni che spogliati s'avea quella mattina che Gualtieri la sposò; per che recatigliele ed ella rivestitiglisi, ai piccoli servigi della paterna casa si diede, sì come far soleva, con forte animo sostenendo il fiero assalto della nimica fortuna.
Come Gualtieri questo ebbe fatto, così fece veduto a' suoi che presa aveva una figliuola d'uno dei conti da Panago; e faccendo fare l'appresto grande per le nozze, mandò per Griselda che a lui venisse, alla quale venuta disse:
- Io meno questa donna la quale io ho nuovamente tolta, e intendo in questa sua prima venuta d'onorarla; e tu sai che io non ho in casa donne che mi sappiano acconciare le camere né fare molte cose che a così fatta festa si richeggiono; e per ciò tu, che meglio che altra persona queste cose di casa sai, metti in ordine quello che da far ci è, e quelle donne fa invitare che ti pare, e ricevile come se donna di qui fossi; poi, fatte le nozze, te ne potrai a casa tua tornare.
Come che queste parole fossero tutte coltella al cuore di Griselda, come a colei che non aveva così potuto por giù l'amore che ella gli portava, come fatto avea la buona fortuna, rispose:
- Signor mio, io son presta e apparecchiata.
Ed entratasene co' suoi pannicelli romagnuoli e grossi in quella casa, della qual poco avanti era uscita in camicia, cominciò a spazzare le camere e ordinarle, e a far porre capoletti e pancali per le sale, a fare apprestare la cucina, e ad ogni cosa, come se una piccola fanticella della casa fosse, porre le mani; né mai ristette che ella ebbe tutto acconcio e ordinato quanto si convenia.
E appresso questo, fatto da parte di Gualtieri invitare tutte le donne della contrada, cominciò ad attender la festa; e venuto il giorno delle nozze, come che i panni avesse poveri in dosso, con animo e con costume donnesco tutte le donne che a quelle vennero, e con lieto viso, ricevette.
Gualtieri, il quale diligentemente aveva i figliuoli fatti allevare in Bologna alla sua parente, che maritata era in casa de' conti da Panago, essendo già la fanciulla d'età di dodici anni la più bella cosa che mai si vedesse, e il fanciullo era di sei, avea mandato a Bologna al parente suo, pregandol che gli piacesse di dovere con questa sua figliuola e col figliuolo venire a Saluzzo, e ordinare di menare bella e orrevole compagnia con seco, e di dire a tutti che costei per sua mogliere gli menasse, senza manifestare alcuna cosa ad alcuno chi ella si fosse altramenti.
Il gentile uomo, fatto secondo che il marchese il pregava, entrato in cammino, dopo alquanti dì con la fanciulla e col fratello e con nobile compagnia in su l'ora del desinare giunse a Saluzzo, dove tutti i paesani e molti altri vicini dattorno trovò, che attendevan questa novella sposa di Gualtieri.
La quale dalle donne ricevuta, e nella sala dove erano messe le tavole venuta, Griselda, così come era, le si fece lietamente incontro dicendo: - Ben venga la mia donna.
- Le donne (che molto avevano, ma invano, pregato Gualtieri che o facesse che la Griselda si stesse in una camera, o che egli alcuna delle robe che sue erano state le prestasse, acciò che così non andasse davanti a' suoi forestieri) furon messe a tavola, e cominciate a servire.
La fanciulla era guardata da ogn'uomo, e ciascun diceva che Gualtieri aveva fatto buon cambio; ma intra gli altri Griselda la lodava molto, e lei e il suo fratellino.
Gualtieri, al qual pareva pienamente aver veduto quantunque disiderava della pazienza della sua donna, veggendo che di niente la novità delle cose la cambiava, ed essendo certo ciò per mentecattaggine non avvenire, per ciò che savia molto la conoscea, gli parve tempo di doverla trarre dell'amaritudine, la quale estimava che ella sotto il forte viso nascosa tenesse.
Per che, fattalasi venire, in presenzia d'ogn'uomo sorridendo le disse:
- Che ti par della nostra sposa?
- Signor mio, - rispose Griselda - a me ne par molto bene; e se così è savia come ella è bella, che 'l credo, io non dubito punto che voi non dobbiate con lei vivere il più consolato signore del mondo; ma quanto posso vi priego che quelle punture, le quali all'altra, che vostra fu, già deste, non diate a questa; ché appena che io creda che ella le potesse sostenere, sì perché più giovane è, e sì ancora perché in dilicatezze è allevata, ove colei in continue fatiche da piccolina era stata.
Gualtieri, veggendo che ella fermamente credeva costei dovere esser sua moglie, né per ciò in alcuna cosa men che ben parlava, la si fece sedere allato, e disse:
- Griselda, tempo è omai che tu senta frutto della tua lunga pazienza, e che coloro, li quali me hanno reputato crudele e iniquo e bestiale, conoscano che ciò che io faceva, ad antiveduto fine operava, vogliendo a te insegnar d'esser moglie e a loro di saperla torre e tenere, e a me partorire perpetua quiete mentre teco a vivere avessi; il che, quando venni a prender moglie, gran paura ebbi che non mi intervenisse, e per ciò, per prova pigliarne, in quanti modi tu sai ti punsi e trafissi.
E però che io mai non mi sono accorto che in parola né in fatto dal mio piacer partita ti sii, parendo a me aver di te quella consolazione che io disiderava, intendo di rendere a te ad una ora ciò che io tra molte ti tolsi, e con somma dolcezza le punture ristorare che io ti diedi; e per ciò con lieto animo prendi questa, che tu mia sposa credi, e il suo fratello: sono i nostri figliuoli, li quali e tu e molti altri lungamente stimato avete che io crudelmente uccider facessi; e io sono il tuo marito, il quale sopra ogn'altra cosa t'amo, credendomi poter dar vanto che niuno altro sia che, sì com'io, si possa di sua moglie contentare.
E così detto, l'abbracciò e baciò, e con lei insieme, la qual d'allegrezza piagnea, levatosi, n'andarono là dove la figliuola tutta stupefatta queste cose ascoltando sedea, e abbracciatala teneramente e il fratello altressì, lei e molti altri che quivi erano sgannarono.
Le donne lietissime levate dalle tavole, con Griselda n'andarono in camera, e con migliore augurio trattile i suoi pannicelli, d'una nobile roba delle sue la rivestirono, e come donna, la quale ella eziandio negli stracci pareva, nella sala la rimenarono.
E quivi fattasi co' figliuoli maravigliosa festa, essendo ogn'uomo lietissimo di questa cosa, il sollazzo e ' festeggiare multiplicarono e in più giorni tirarono; e savissimo reputaron Gualtieri, come che troppo reputassero agre e intollerabili l'esperienze prese della sua donna; e sopra tutti savissima tenner Griselda.
Il conte da Panago si tornò dopo alquanti dì a Bologna, e Gualtieri, tolto Giannucole dal suo lavorio, come suocero il puose in istato, che egli onoratamente e con gran consolazione visse e finì la sua vecchiezza.
Ed egli appresso, maritata altamente la sua figliuola, con Griselda, onorandola sempre quanto più si potea, lungamente e consolato visse.
Che si potrà dir qui, se non che anche nelle povere case piovono dal cielo de' divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien più degni di guardar porci che d'avere soprauomini signoria? Chi avrebbe, altri che Griselda, potuto col viso, non solamente asciutto ma lieto, sofferire le rigide e mai più non udite prove da Gualtieri fatte? Al quale non sarebbe forse stato male investito d'essersi abbattuto a una, che quando fuor di casa l'avesse in camicia cacciata, s'avesse sì ad un altro fatto scuotere il pelliccione, che riuscita ne fosse una bella roba.
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Conclusione
La novella di Dioneo era finita, e assai le donne, chi d'una parte e chi d'altra tirando, chi biasimando una cosa e chi un'altra intorno ad essa lodandone, n'avevan favellato, quando il re, levato il viso verso il cielo, e vedendo che il sole era già basso all'ora di vespro, senza da seder levarsi, così cominciò a parlare:
- Adorne donne, come io credo che voi conosciate, il senno de' mortali non consiste solamente nell'avere memoria le cose preterite o conoscere le presenti, ma per l'una e per l'altra di queste sapere antiveder le future è da' solenni uomini senno grandissimo reputato.
Noi, come voi sapete, domane saranno quindici dì, per dovere alcun diporto pigliare a sostentamento della nostra sanità e della vita, cessando le malinconie e'dolori e l'angoscie, le quali per la nostra città continuamente, poi che questo pestilenzioso tempo incominciò, si veggono, uscimmo di Firenze; il che secondo il mio giudicio noi onestamente abbiam fatto; per ciò che, se io ho saputo ben riguardare, quantunque liete novelle e forse attrattive a concupiscenzia dette ci sieno, e del continuo mangiato e bevuto bene, e sonato e cantato, cose tutte da incitare le deboli menti a cose meno oneste, niuno atto, niuna parola, niuna cosa né dalla vostra parte né dalla nostra ci ho conosciuta da biasimare; continua onestà, continua concordia, continua fraternal dimestichezza mi ci è paruta vedere e sentire.
Il che senza dubbio in onore e servigio di voi e di me m'è carissimo.
E per ciò, acciò che per troppa lunga consuetudine alcuna cosa che in fastidio si convertisse nascer non ne potesse, e perché alcuno la nostra troppo lunga dimoranza gavillar non potesse, e avendo ciascun di noi, la sua giornata, avuta la sua parte dell'onore che in me ancora dimora, giudicherei, quando piacer fosse di voi, che convenevole cosa fosse omai il tornarci là onde ci partimmo.
Senza che, se voi ben riguardate, la nostra brigata, già da più altre saputa dattorno, per maniera potrebbe multiplicare che ogni nostra consolazion ci torrebbe; e per ciò, se voi il mio consiglio approvate, io mi serverò la corona donatami per infino alla nostra partita, che intendo che sia domattina; ove voi altramenti diliberaste, io ho già pronto cui per lo dì seguente ne debbia incoronare.
I ragionamenti furon molti tra le donne e tra'giovani, ma ultimamente presero per utile e per onesto il consiglio del re, e così di fare diliberarono come egli aveva ragionato; per la qual cosa esso, fattosi il siniscalco chiamare, con lui del modo che a tenere avesse nella seguente mattina parlò, e licenziata la brigata infino all'ora della cena, in piè si levò.
Le donne e gli altri levatisi, non altramenti che usati si fossero, chi ad un diletto e chi ad un altro si diede.
E l'ora del la cena venuta, con sommo piacere furono a quella, e dopo quella a cantare e a sonare e a carolare cominciarono; e menando la Lauretta una danza, comandò il re alla Fiammetta che dicesse una canzone, la quale assai piacevolmente così in cominciò a cantare:
S'amor venisse senza gelosia,
io non so donna nata
lieta com'io sarei, e qual vuol sia.
Se gaia giovinezza
in bello amante dee donna appagare,
o pregio di virtute,
o ardire o prodezza,
senno, costume o ornato parlare,
o leggiadrie compiute,
io son colei per certo in cui salute,
essendo innamorata,
tutte le veggio en la speranza mia.
Ma per ciò ch'io m'avveggio
che altre donne savie son com'io,
io triemo di paura,
e pur credendo il peggio,
di quello avviso en l'altre esser disio
ch'a me l'anima fura,
e così quel che m'è somma ventura
mi fa isconsolata
sospirar forte e stare in vita ria.
Se io sentissi fede
nel mio signor, quant'io sento valore,
gelosa non sarei;
ma tanto se ne vede,
pur che sia chi 'nviti l'amadore,
ch'io gli ho tutti per rei.
Questo m'accuora, e volentier morrei,
e di chiunque il guata
sospetto, e temo non mel porti via.
Per Dio dunque ciascuna
donna pregata sia che non s'attenti
di farmi in ciò oltraggio;
ché, se ne fia nessuna
che con parole o cenni o blandimenti
in questo il mio dannaggio
cerchi o procuri, s'io il risapraggio,
se io non sia svisata,
piagner farolle amara tal follia.
Come la Fiammetta ebbe la sua canzone finita, così Dioneo, che allato l'era, ridendo disse:
- Madonna, voi fareste una gran cortesia a farlo cognoscere a tutte, acciò che per ignoranza non vi fosse tolta la possessione, poi che così ve ne dovete adirare.
Appresso questa se ne cantarono più altre, e già essendo la notte presso che mezza, come al re piacque, tutti s'andarono a riposare.
E come il nuovo giorno apparve, levati, avendo già il siniscalco via ogni lor cosa mandata, dietro alla guida del discreto re verso Firenze si ritornarono.
E i tre giovani, lasciate le sette donne in Santa Maria Novella, donde con loro partiti s'erano, da esse accommiatatisi, a loro altri piaceri attesero; ed esse, quando tempo lor parve, se ne tornarono alle loro case..
Finisce la decima giornata del Decameron
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Conclusioni dell'Autore
Nobilissime giovani, a consolazion delle quali io a così lunga fatica messo mi sono, io mi credo, aiutantemi la divina grazia, sì come io avviso, per li vostri pietosi prieghi, non già per li miei meriti, quello compiutamente aver fornito che io nel principio della presente opera promisi di dover fare; per la qual cosa Iddio primieramente, e appresso voi ringraziando, è da dare alla penna e alla man faticata riposo.
Il quale prima che io le conceda, brievemente ad alcune cosette, le quali forse alcuna di voi o altri potrebbe dire (con ciò sia cosa che a me paia esser certissimo queste non dovere avere spezial privilegio più che l'altre cose, anzi non averlo mi ricorda nel principio della quarta giornata aver mostrato), quasi a tacite quistioni mosse, di rispondere intendo.
Saranno per avventura alcune di voi che diranno che io abbia nello scriver queste novelle troppa licenzia usata, sì come fare alcuna volta dire alle donne e molte spesso ascoltare cose non assai convenienti né a dire né ad ascoltare ad oneste donne.
La qual cosa io nego, per ciò che niuna sì disonesta n'è, che, con onesti vocaboli dicendola, si disdica ad alcuno; il che qui mi pare assai convenevolmente bene aver fatto.
Ma presupponiamo che così sia (ché non intendo di piatir con voi, che mi vincereste), dico, a rispondere perché io abbia ciò fatto, assai ragioni vengon prontissime.
Primieramente se alcuna cosa in alcuna n'è, la qualità delle novelle l'hanno richesta, le quali se con ragionevole occhio da intendente persona fien riguardate, assai aperto sarà conosciuto (se io quelle della lor forma trar non avessi voluto) altramenti raccontar non poterle.
E se forse pure alcuna particella è in quelle, alcuna paroletta più liberale che forse a spigolistra donna non si conviene, le quali più le parole pesano che'fatti e più d'apparer s'ingegnano che d'esser buone, dico che più non si dee a me esser disdetto d'averle scritte, che generalmente si disdica agli uomini e alle donne di dir tutto dì "foro e caviglia e mortaio e pestello e salciccia e mortadello",e tutto pieno di simiglianti cose.
Senza che alla mia penna non dee essere meno d'autorità conceduta che sia al pennello del dipintore, il quale senza alcuna riprensione, o almen giusta, lasciamo stare che egli faccia a san Michele ferire il serpente con la spada o con la lancia, e a san Giorgio il dragone dove gli piace; ma egli fa Cristo maschio ed Eva femina, e a Lui medesimo che volle per la salute della umana generazione sopra la croce morire, quando con un chiovo e quando con due i piè gli conficca in quella.
Appresso assai ben si può cognoscere queste cose non nella chiesa, delle cui cose e con animi e con vocaboli onestissimi si convien dire (quantunque nelle sue istorie d'altramenti fatte, che le scritte da me, si truovino assai), né ancora nelle scuole de' filosofanti, dove l'onestà non meno che in altra par te è richesta, dette sono, né tra'cherici né tra'filosofi in alcun luogo, ma ne'giardini, in luogo di sollazzo, tra persone giovani, benché mature e non pieghevoli per novelle, in tempo nel quale andar con le brache in capo per iscampo di sé era alli più onesti non disdicevole, dette sono.
Le quali, chenti che elle si sieno, e nuocere e giovar possono, sì come possono tutte l'altre cose, avendo riguardo allo ascoltatore.
Chi non sa ch'è il vino ottima cosa a' viventi, secondo Cinciglione e Scolaio e assai altri, e a colui che ha la febbre è nocivo? Direm noi, per ciò che nuoce a' febricitanti, che sia malvagio? Chi non sa che 'l fuoco è utilissimo, anzi necessario a' mortali? Direm noi, per ciò che egli arde le case e le ville e le città, che sia malvagio? L'arme similmente la salute difendon di coloro che pacificamente di viver disiderano, e anche uccidon gli uomini molte volte, non per malizia di loro, ma di coloro che malvagiamente l'adoperano.
Niuna corrotta mente intese mai sanamente parola; e così come le oneste a quella non giovano, così quelle che tanto oneste non sono la ben disposta non posson contaminare, se non come il loto i solari raggi o le terrene brutture le bellezze del cielo.
Quali libri, quali parole, quali lettere son più sante, più degne, più riverende, che quelle della divina Scrittura? E sì sono egli stati assai che, quelle perversamente intendendo, sé e altrui a perdizione hanno tratto.
Ciascuna cosa in sé medesima è buona ad alcuna cosa, e male adoperata può essere nociva di molte; e così dico delle mie novelle.
Chi vorrà da quelle malvagio consiglio o malvagia operazion trarre, elle nol vieteranno ad alcuno, se forse in sé l'hanno, e torte e tirate fieno ad averlo; e chi utilità e frutto ne vorrà, elle nol negheranno, né sarà mai che altro che utili e oneste sien dette o tenute, se a que'tempi o a quelle persone si leggeranno, per cui s e pe'quali state sono raccontate.
Chi ha a dir paternostri o a fare il migliaccio o la torta al suo divoto, lascile stare: elle non correranno di dietro a niuna a farsi leggere; benché e le pinzochere altressì dicono e anche fanno delle cosette otta per vicenda.
Saranno similmente di quelle che diranno qui esserne alcune, che non essendoci sarebbe stato assai meglio.
Concedasi: ma io non poteva né doveva scrivere se non le raccontate, e per ciò esse che le dissero le dovevan dir belle, e io l'avrei scritte belle.
Ma se pur presupporre si volesse che io fossi stato di quelle e lo 'nventore e lo scrittore (che non fui), dico che io non mi vergognerei che tutte belle non fossero per ciò che maestro alcun non si truova, da Dio in fuori, che ogni cosa faccia bene e compiutamente; e Carlo Magno, che fu il primo facitore de' Paladini, non ne seppe tanti creare che esso di lor soli potesse fare oste.
Conviene nella moltitudine delle cose, diverse qualità di cose trovarsi.
Niun campo fu mai sì ben coltivato, che in esso o ortica o triboli o alcun pruno non si trovasse mescolato tra l'erbe migliori.
Senza che, ad avere a favellare a semplici giovinette come voi il più siete, sciocchezza sarebbe stata l'andar cercando e faticandosi in trovar cose molto esquisite, e gran cura porre di molto misuratamente parlare.
Tuttavia chi va tra queste leggendo, lasci star quelle che pungono, e quelle che dilettano legga.
Esse, per non ingannare alcuna personar tutte nella fronte portan segnato quello che esse dentro dal loro seno nascoso tengono.
E ancora, credo, sarà tal che dirà che ce ne son di troppo lunghe.
Alle quali ancora dico, che chi ha altra cosa a fare, follia fa a queste leggere, eziandio se brievi fossero.
E come che molto tempo passato sia da poi che io a scriver cominciai, infino a questa ora che io al fine vengo della mia fatica, non m'è per ciò uscito di mente me avere questo mio affanno offerto alle oziose e non all'altre; e a chi per tempo passar legge, niuna cosa puote esser lunga, se ella quel fa per che egli l'adopera.
Le cose brievi si convengon molto meglio agli studianti, li quali non per passare ma per utilmente adoperare il tempo faticano, che a voi, donne, alle quali tanto del tempo avanza quanto negli amorosi piaceri non ispendete.
E oltre a questo, per ciò che né ad Atene né a Bologna o a Parigi alcuna di voi non va a studiare, più distesamente parlar vi si conviene che a quegli che hanno negli studi gl'ingegni assottigliati.
Né dubito punto che non sien di quelle ancor che diranno le cose dette esser troppo piene e di motti e di ciance e mal convenirsi ad uno uom pesato e grave aver così fattamente scritto.
A queste son io tenuto di render grazie e rendo, per ciò che, da buon zelo movendosi, tenere son della mia fama.
Ma così alla loro opposizione vo'rispondere: io confesso d'esser pesato, e molte volte de' miei dì essere stato; e per ciò, parlando a quelle che pesato non m'hanno, affermo che io non son grave, anzi son io sì lieve che io sto a galla nell'acqua; e considerato che le prediche fatte da' frati, per rimorder delle lor colpe gli uomini, il più oggi piene di motti e di ciance e di scede [sono], estimai che quegli medesimi non stesser male nelle mie novelle, scritte per cacciar la malinconia delle femine.
Tuttavia, se troppo per questo ridessero, il lamento di Geremia, la passione del Salvatore e il ramarichio della Maddalena ne le potrà agevolmente guerire.
E chi starà in pensiero che di quelle ancor non si truovino che diranno che io abbia mala lingua e velenosa, per ciò che in alcun luogo scrivo il ver de' frati? A queste che così diranno si vuol perdonare, per ciò che non è da credere che altra che giusta cagione le muova, per ciò che i frati son buone persone e fuggono il disagio per l'amor di Dio, e macinano a raccolta e nol ridicono; e se non che di tutti un poco viene del caprino, troppo sarebbe più piacevole il piato loro.
Confesso nondimeno le cose di questo mondo non avere stabilità alcuna, ma sempre essere in mutamento, e così potrebbe della mia lingua esser intervenuto; la quale, non credendo io al mio giudicio (il quale a mio potere io fuggo nelle mie cose) non ha guari mi disse una mia vicina che io l'aveva la migliore e la più dolce del mondo; e in verità, quando questo fu, egli erano poche a scrivere delle soprascritte novelle.
E per ciò che animosamente ragionan quelle cotali, voglio che quello che è detto basti lor per risposta.
E lasciando omai a ciascheduna e dire e credere come le pare, tempo è da por fine alle parole, Colui umilmente ringraziando che dopo sì lunga fatica col suo aiuto n'ha al desiderato fine condotto.
E voi, piacevoli donne, con la sua grazia in pace vi rimanete, di me ricordandovi, se ad alcuna forse alcuna cosa giova l'averle lette.
QUI FINISCE LA DECIMA E ULTIMA GIORNATA DEL LIBRO CHIAMATO DECAMERON, COGNOMINATO PRENCIPE GALEOTTO
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