BRUTO SECONDO, di Vittorio Alfieri - pagina 3
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Non ebbe in dono
Cesare stesso anch'ei sua vita, a Roma
or sí fatale? in don la vita anch'egli,
per grazia espressa, e vieppiú espresso errore,
non ricevea da Silla?
BRUTO
È vero; eppure
mai non mi scordo i beneficj altrui:
ma il mio dover, e la mia patria a un tempo,
in cor ben fitti io porto.
A Bruto, in somma,
Cesare è tal, che dittator tiranno,
(qual è, qual fassi ogni dí piú) nol vuole
Bruto lasciare a patto nullo in vita;
e vuol svenarlo, o esser svenato ei stesso...
Ma, tale in un Cesare a Bruto appare,
che libertade, e impero, e nerbo, e vita
render, per ora, ei solo il puote a Roma,
s'ei cittadin ritorna.
È della plebe
l'idolo giá; norma divenga ai buoni;
faccia de' rei terrore esser le leggi:
e, finché torni al prisco stato il tutto,
dal disfar leggi al custodirle sia
il suo poter converso.
Ei d'alti sensi
nacque; ei fu cittadino: ancor di fama
egli arde: è cieco, sí; ma tal lo han fatto
sol la prospera sorte, e gli empj amici,
che fatto gli hanno della gloria vera
l'orme smarrire.
O che il mio dire è un nulla;
o ch'io parole sí incalzanti e calde
trar dal mio petto, e sí veraci e forti
ragion tremende addur saprogli, e tante,
ch'io sí, sforzar Cesare spero; e farlo
grande davvero, e di virtú sí pura,
ch'ei sia d'ogni uom, d'ogni Romano, il primo;
senza esser piú che un cittadin di Roma.
Sol che sua gloria a Roma giovi, innanzi
io la pongo alla mia: ben salda prova
questo disegno mio, parmi, saranne.
-
Ma, se a Cesare or parla indarno Bruto,
tu il vedi, o Cassio con me sempre io 'l reco;
ecco il pugnal, ch'a uccider lui fia ratto,
piú che il tuo brando...
CICERONE
Oh cittadin verace!
Grande sei troppo tu; mal da te stesso
tu puoi conoscer Cesare tiranno.
CASSIO
Sublime Bruto, una impossibil cosa,
ma di te degna, in mente volgi; e solo
tentarla puoi.
Non io mi oppongo: ah! trarti
d'inganno appien, Cesare solo il puote.
CIMBRO
Far d'un tiranno un cittadino? O Bruto,
questa tua speme generosa, è prova
ch'esser tu mai tiranno non potresti.
BRUTO
Chiaro in breve fia ciò: d'ogni oprar mio
qui poi darovvi pieno conto io stesso.
-
Ov'io vano orator perdente n'esca,
tanto piú acerbo feritor gagliardo
a' cenni tuoi, Cassio, mi avrai; tel giuro.
ATTO TERZO
SCENA PRIMA
CESARE, ANTONIO.
ANTONIO
Cesare, sí; fra poco a te vien Bruto
in questo tempio stesso, ove a te piacque
gli arroganti suoi sensi udir pur dianzi,
e tollerarli.
Il riudrai fra breve
da solo a sol, poiché tu il vuoi.
CESARE
Ten sono
tenuto assai: lieve non era impresa
il piegar Bruto ad abboccarsi or meco;
né ad altri mai, fuorché ad Antonio, darne
osato avrei lo incarco.
ANTONIO
Oh! quanto duolmi,
che a' detti miei tu sordo ognor, ti ostini
in sopportar codesto Bruto! Il primo
de' tuoi voler fia questo, a cui si arrenda
di mala voglia Antonio.
In suon d'amico
pregar pur volli, e in nome tuo, colui,
che mortal tuo nemico a certa prova
esser conosco, e come tale abborro.
CESARE
Odian Cesare molti: eppur, sol uno
nemico io conto, che di me sia degno:
e Bruto egli è.
ANTONIO
Quindi or, non Bruto solo,
ma Bruto prima, e i Cassj, e i Cimbri poscia,
e i Tullj, e tanti uccider densi, e tanti.
CESARE
Quant'alto è piú, quanto piú acerbo e forte
il nemico, di tanto a me piú sempre
piacque il vincerlo; e il fea, piú che con l'armi,
spesso assai col perdono.
Ai queti detti
ricorrer, quando adoprar puossi il ferro;
persuader, convincere, far forza
a un cor pien d'odio, e farsi essere amico
l'uomo, a cui torre ogni esser puossi; ah! questa
contro a degno nemico è la vendetta
la piú illustre; e la mia.
ANTONIO
Cesare apprenda
sol da se stesso ad esser grande: il fea
natura a ciò: ma il far securi a un tempo
Roma e sé, da chi gli ama ambo del pari
oggi ei l'apprenda: e sovra ogni uom, quell'uno
son io.
Non cesso di ridirti io mai,
che se Bruto non spegni, in ciò ti preme
piú assai la vana tua gloria privata,
che non la vera della patria; e poco
mostri curar la securtá di entrambi.
CESARE
E atterrir tu con vil sospetto forse
Cesare vuoi?
ANTONIO
Se non per sé, per Roma
tremar ben può Cesare anch'egli, e il debbe.
CESARE
Morir per Roma, e per la gloria ei debbe;
non per sé mai tremar, né mai per essa.
Vinti ho di Roma io gl'inimici in campo;
quei soli eran di Cesare i nemici.
Tra quei che il ferro contro a lei snudaro,
un d'essi è Bruto; io giá coll'armi in mano
preso l'ebbi, e perire allor nol fea
col giusto brando della guerra; ed ora
fra le mura di Roma, inerme (oh cielo!)
col reo pugnal di fraude, o con la ingiusta
scure, il farei trucidar io? Non havvi
ragion, che trarmi a eccesso tal mai possa:
s'anco il volessi, ...
ah! forse...
io nol...
potrei.
-
Ma in somma, ai tanti mie' trionfi manca
quello ancora dei Parti, e quel di Bruto:
questo all'altro fia scala.
Amico farmi
Bruto voglio, a ogni costo.
Il far vendetta
del trucidato Crasso, a tutto innanzi
per ora io pongo; e può giovarmi assai
Bruto all'impresa, in cui riposta a un tempo
fia la gloria di Cesare e di Roma.
ANTONIO
Puoi tu accrescerti fama?
CESARE
Ove da farsi
altro piú resta, il da me fatto io stimo
un nulla: è tal l'animo mio.
Mi tragge
or contra il Parto irresistibil forza.
Vivo me, Roma rimanersi vinta?
Ah! mille volte pria Cesare pera.
-
Ma, di discordie, e d'atri umor perversi,
piena lasciar pur la cittá non posso,
mentre in Asia guerreggio: né lasciarla
piena di sangue e di terror vorrei;
benché a frenarla sia tal mezzo il certo.
Bruto può sol tutto appianarmi...
ANTONIO
E un nulla
reputi Antonio dunque?
CESARE
- Di me parte
sei tu nelle guerriere imprese mie:
quindi terror dei Parti anche te voglio
al fianco mio.
Giovarmi in altra guisa
di Bruto io penso.
ANTONIO
Io ogni guisa io presto
sono a servirti; e il sai.
Ma, cieco troppo
sei, quanto a Bruto.
CESARE
Assai piú cieco è forse
ei quanto a me.
Ma il dí fia questo, io spero,
che il potrò tor d'inganno: oggi mi è forza
ciò almen tentare...
ANTONIO
Eccolo appunto.
CESARE
Or, seco
lasciami; in breve a te verronne.
ANTONIO
Appieno,
deh! tu d'inganno trar te stesso possa;
e in tempo ancor conoscer ben costui!
SCENA SECONDA
BRUTO, CESARE.
BRUTO
Cesare, antichi noi nemici siamo:
ma il vincitor sei tu finora, ed anco
il piú felice sembri.
Io, benché il vinto
paia, di te men misero pur sono.
Ma, qual che il nostro animo sia, battuta,
vinta, egra, oppressa, moribonda, è Roma.
Pari desir, cagion diversa molto,
tratti qui ci hanno ad abboccarci.
A dirmi
gran cose hai tu, se Antonio il ver narrommi;
ed io pure alte cose a dirti vengo,
se ascoltarle tu ardisci.
CESARE
Ancor che Bruto
stato sia sempre a me nemico, a Bruto
non l'era io mai, né il son; né, se il volessi,
esserlo mai potrei.
Venuto io stesso
a favellarti in tua magion saria;
ma temea, che ad oltraggio tel recassi;
Cesare osarne andar, dove consorte
a Bruto sta del gran Caton la suora:
quind'io con preghi a qui venirne invito
ti fea.
- Me sol, senza littori, e senza
pompa nessuna, vedi; in tutto pari
a Bruto; ove pur tale ei me non sdegni.
Qui non udrai, né il dittator di Roma,
né il vincitor del gran Pompeo...
BRUTO
Corteggio
sol di Cesare degno, è il valor suo:
e vieppiú quando ei si appresenta a Bruto.
-
Felice te, se addietro anco tu puoi,
come le scuri ed i littor, lasciarti
ed i rimorsi e il perpetuo terrore,
di un dittator perpetuo!
CESARE
Terrore?
Non che al mio cor, non è parola questa,
nota pure al mio orecchio.
BRUTO
Ignota ell'era
al gran Cesare in campo invitto duce;
non l'è a Cesare in Roma, ora per forza
suo dittatore.
È generoso troppo,
per negarmelo.
Cesare: e, senz'onta,
può confessarlo a Bruto.
Osar ciò dirmi,
di tua stessa grandezza è assai gran parte.
Franchi parliam: degno è d'entrambi.
- Ai molti
incuter mai timor non puote un solo,
senza ei primo tremare.
Odine, in prova
qual sia ver me il tuo stato.
Uccider Bruto,
senza contrasto il puoi: sai, ch'io non t'amo;
sai, che a tua iniqua ambizione inciampo
esser poss'io: ma pur, perché nol fai?
Perché temi, che a te piú danno arrechi
l'uccidermi ora.
Favellarmi, intanto,
e udirmi vuoi, perché il timor ti è norma
unica omai; né il sai tu stesso forse;
o di saperlo sfuggi.
CESARE
Ingrato! ...
e il torre
di Farsaglia nei campi a te la vita,
forse in mia man non stette?
BRUTO
Ebro tu allora
di gloria, e ancor della battaglia caldo,
eri grande: e per esserlo sei nato:
ma qui, te di te stesso fai minore,
ogni dí piú.
- Ravvediti; conosci,
che tu, freddo pacifico tiranno
mai non nascesti, io te l'affermo...
CESARE
Eppure,
misto di oltraggi il tuo laudar mi piace.
T'amo; ti estimo: io vorrei solo al mondo
esser Bruto, s'io Cesare non fossi.
BRUTO
Ambo esser puoi; molto aggiungendo a Bruto,
nulla togliendo a Cesare: ten vengo
a far l'invito io stesso.
In te sta solo
l'esser grande davvero: oltre ogni sommo
prisco Romano, essere tu il puoi: fia il mezzo
semplice molto; osa adoprarlo: io primo
te ne scongiuro; e di romano pianto,
in ciò dirti, mi sento umido il ciglio...
-
Ma, tu non parli? Ah! tu ben sai, qual fora
l'alto mio mezzo: in cor tu 'l senti, il grido
di veritá, che imperiosa tuona.
Ardisci, ardisci; il laccio infame scuoti,
che ti fa nullo a' tuoi stessi occhi; e avvinto
ti tiene, e schiavo, piú che altrui non tieni.
A esser Cesare impara oggi da Bruto.
S'io di tua gloria invido fossi, udresti
or me pregarti ad annullar la mia?
Conosco il ver; me non lusingo: in Roma,
a te minor di dignitade, e d'anni,
e di possanza, e di trionfi, io sono,
come di fama.
Se innalzarsi il nome
di Bruto può col proprio volo, il puote
soltanto omai su la rovina intera
del nome tuo.
Sommessa odo una voce,
timida, e quindi non romana affatto,
Bruto appellar liberator di Roma,
come oppressor ten chiama.
A farmi io tale,
ch'io ti sconfigga, o ch'io ti spenga, è d'uopo.
Lieve il primo non è; piú che nol credi
lieve il secondo: e, se a me sol pensassi,
tolto il signor giá mi sarei: ma penso,
romano, a Roma; e sol per essa io scelgo
di te pregar, quando te uccider debbo,
Cesare, ah! sí, tu cittadin tornarne
a forza dei, da me convinto.
A Roma
tu primo puoi, tu sol, tu mille volte
piú il puoi di Bruto, a Roma render tutto;
pace, e salvezza, e gloria, e libertade:
quanto le hai tolto, in somma.
Ancor per breve
tu cittadin tua regia possa adopra,
nel render forza alle abbattute leggi,
nel tor per sempre a ogni uom l'ardire e i mezzi
d'imitarti tiranno; e hai tolto a un tempo
a ogni uom, per quanto ei sia roman, l'ardire
di pareggiarti cittadino.
- Or, dimmi:
ti estimi tu minor di Silla? Ei, reo
piú assai di te, piú crudo, di piú sangue
bagnato e sazio; ei, cittadin pur anco
farsi ardiva, e fu grande.
Oh! quanto il fora
Cesare piú, che di possanza è giunto
oltre a Silla di tanto! Altra, ben altra
fia gloria a te, se tu spontaneo rendi
a chi si aspetta, ciò che possa ed arte
ti dier; se sai meglio apprezzar te stesso;
se togli, in somma, che in eterno in Roma
nullo Cesare mai, né Silla, rieda.
CESARE
- Sublime ardente giovine; il tuo ratto
forte facondo favellar, pur troppo!
vero è fors'anche.
Ignota forza al core
mi fan tuoi detti; e allora che a me ti chiami
minore, io 'l sento, ad onta mia, di quanto
maggior mi sei.
Ma, il confessarlo io primo,
e il non n'essere offeso, e il non odiarti
sicure prove esser ti denno, e immense,
che un qualche strano affetto io pur nudrisco
per te nel seno.
- A me sei caro, il credi;
e molto il sei.
- Ciò ch'io di compier, tempo
omai non ho, meglio da te compiuto
vo' ch'ei sia, dopo me.
Lascia, ch'io aggiunga
a' miei trionfi i debellati Parti:
ed io contento muojo.
In campo ho tratto
di mia vita gran parte; il campo tomba
mi fia sol degna.
Ho tolta, è vero, in parte
la libertá, ma in maggior copia ho aggiunto
gloria a Roma, e possanza: al cessar mio,
ammenderai di mie vittorie all'ombra
tu, Bruto, i danni, ch'io le fea.
Secura
posare in me piú non può Roma: il bene
ch'io vorrei farle, avvelenato ognora
fia dal mal che le ho fatto.
Io quindi ho scelto,
in mio pensiero, alle sue interne piaghe
te sanatore: integro sempre, e grande,
stato sei tu: meglio di me, puoi grandi
far tu i Romani, ed integri tornarli.
Io, qual padre, ti parlo;...
e, piú che figlio,
o Bruto mio, mi sei.
BRUTO
...
Non m'è ben chiaro
questo tuo favellare.
A me non puote
in guisa niuna mai toccar la ingiusta
sterminata tua possa.
E che? tu parli
di Roma giá, quasi d'un tuo paterno
retaggio?...
CESARE
Ah! m'odi.
- A te piú omai non posso
nasconder cosa, che a te nota, or debbe
cangiarti affatto in favor mio.
BRUTO
Cangiarmi
puoi, se ti cangi; e se te stesso vinci;
trionfo sol, che a te rimanga...
CESARE
Udito
che avrai l'arcano, altro sarai.
BRUTO
Romano
sarò pur sempre.
Ma, favella.
CESARE
...
O Bruto,
nel mio contegno teco, e ne' miei sguardi,
e ne' miei detti, e nel tacer mio stesso,
di', non ti par che un smisurato affetto
per te mi muova e mi trasporti?
BRUTO
È vero;
osservo in te non so qual moto; e parmi
d'uom piú assai, che di tiranno: e finto
creder nol posso; e schietto, attribuirlo
a che non so.
CESARE
...
Ma tu, per me quai senti
moti entro al petto?
BRUTO
Ah! mille: e invidia tranne,
tutti per te provo a vicenda i moti.
Dir non li so; ma, tutti in due gli stringo:
se tiranno persisti, ira ed orrore;
s'uom tu ritorni e cittadino, immenso
m'inspiri amor di maraviglia misto.
Qual vuoi dei due da Bruto?
CESARE
Amore io voglio:
e a me tu il dei...
Sacro, infrangibil nodo
a me ti allaccia.
BRUTO
A te? qual fia?...
CESARE
Tu nasci
vero mio figlio.
BRUTO
Oh ciel! che ascolto?...
CESARE
Ah! vieni,
figlio, al mio seno...
BRUTO
Esser potria?...
CESARE
Se forse
a me nol credi, alla tua madre istessa
il crederai.
Questo è un suo foglio; io l'ebbi
in Farsaglia, poche ore anzi alla pugna.
Mira; a te nota è la sua mano: ah! leggi.
BRUTO(1)
«Cesare (oh ciel!) stai per combatter forse,
Pompeo non pure, e i cittadini tuoi,
ma il tuo proprio figliuolo.
È Bruto il frutto
de' nostri amori giovenili.
È forza,
ch'io te lo sveli; a ciò null'altro trarmi
mai non potrebbe, che il timor di madre.
Inorridisci, o Cesare; sospendi,
se ancor n'è tempo, il brando: esser tu ucciso
puoi dal tuo figlio; o di tua man tu stesso
puoi trucidarlo.
Io tremo...
Il ciel, deh! voglia,
che udito in tempo abbiami un padre!...
Io tremo...
Servilia.» - Oh colpo inaspettato e fero!
Io di Cesare figlio?
CESARE
Ah! sí, tu il sei.
Deh! fra mie braccia vieni.
BRUTO
Oh padre!...
Oh Roma!
Oh natura!...
Oh dover!...
- Pria d'abbracciarti,
mira, a' tuoi piè prostrato Bruto cade;
né sorgerá, se in te di Roma a un tempo
ei non abbraccia il padre.
CESARE
Ah! sorgi, o figlio.
-
Deh! come mai sí gelido e feroce
rinserri il cor, che alcun privato affetto
nulla in te possa?
BRUTO
E che? credi or tu forse
d'amar tuo figlio? Ami te stesso; e tutto
serve in tuo core al sol desio di regno.
Mostrati, e padre, e cittadin; che padre
non è tiranno mai: deh! tal ti mostra;
e un figlio in me ritroverai.
La vita
dammi due volte: io schiavo, esser nol posso;
tiranno, esser nol voglio.
O Bruto è figlio
di liber'uom, libero anch'egli, in Roma
libera: o Bruto, esser non vuole.
Io sono
presto a versar tutto per Roma il sangue;
e in un per te, dove un Roman tu sii,
vero di Bruto padre...
Oh gioja! io veggo
sul tuo ciglio spuntare un nobil pianto?
Rotto è del cor l'ambizioso smalto;
padre or tu sei.
Deh! di natura ascolta
per bocca mia le voci; e Bruto, e Roma,
per te sien uno.
CESARE
...
Il cor mi squarci...
Oh dura
necessitá!...
Seguir del core i moti
soli non posso.
- Odimi, amato Bruto.
-
Troppo il servir di Roma è omai maturo:
con piú danno per essa, e men virtude,
altri terralla, ove tenerla nieghi
Bruto di man di Cesare...
BRUTO
Oh parole!
Oh di corrotto animo servo infami
sensi! - A me, no, non fosti, né sei padre.
Pria che svelarmi il vil tuo core, e il mio
vil nascimento, era pietá piú espressa
me trucidar, tu, di tua mano...
CESARE
Oh figlio!...
BRUTO
Cedi, o Cesare...
CESARE
Ingrato, ...
snaturato...
che far vuoi dunque?
BRUTO
O salvar Roma io voglio,
o perir seco.
CESARE
Io ravvederti voglio,
o perir di tua mano.
Orrida, atroce
è la tua sconoscenza...
Eppure, io spero,
ch'onta ed orror ne sentirai tu innanzi
che in senato ci vegga il dí novello.
-
Ma, se allor poi nel non volermi padre
ti ostini, ingrato; e se, qual figlio, sdegni
meco divider tutto; al dí novello,
signor mi avrai.
BRUTO
- Giá pria d'allora, io spero,
l'onta e l'orror d'esser tiranno indarno,
ti avran cangiato in vero padre.
- In petto
non puommi a un tratto germogliar di figlio
l'amor, se tu forte e sublime prova
pria non mi dai del tuo paterno amore.
D'ogni altro affetto è quel di padre il primo;
e nel tuo cor de' vincere.
Mi avrai
figlio allora, il piú tenero, il piú caldo,
il piú sommesso, che mai fosse...
Oh padre!
Qual gioja allor, quanta dolcezza, e quanto
orgoglio avrò d'esserti figlio!...
CESARE
Il sei,
qual ch'io mi sia: né mai contro al tuo padre
volger ti puoi, senza esser empio...
BRUTO
Ho nome
Bruto; ed a me, sublime madre è Roma.
-
Deh! non sforzarmi a reputar mio vero
genitor solo quel romano Bruto,
che a Roma e vita e libertá, col sangue
de' propri suoi svenati figli, dava.
SCENA TERZA
CESARE.
CESARE
Oh me infelice!...
E fia pur ver, che il solo
figliuol mio da me vinto or non si dica,
mentr'io pur tutto il vinto mondo affreno?
ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
CASSIO, CIMBRO.
CIMBRO
Quant'io ti dico, è certo: uscir fu visto
Bruto or dianzi di qui; turbato in volto,
pregni di pianto gli occhi, ei si avviava
ver le sue case.
Oh! potrebbe egli mai
cangiarsi?...
CASSIO
Ah! no.
Bruto ama Roma; ed ama
la gloria, e il retto.
A noi verrá tra breve,
come il promise.
In lui, piú che in me stesso,
credo, e mi affido.
Ogni suo detto, ed opra,
d'alto cor nasce; ei della patria sola
l'util pondera, e vede.
CIMBRO
Eccolo appunto.
CASSIO
Non tel diss'io?
SCENA SECONDA
BRUTO, CASSIO, CIMBRO.
BRUTO
Che fia? voi soli trovo?
CASSIO
E siam noi pochi, ove tu a noi ti aggiungi?
BRUTO
Tullio manca...
CIMBRO
Nol sai? precipitoso
ei con molti altri senatori usciva
di Roma or dianzi.
CASSIO
Il gel degli anni in lui
l'ardir suo prisco, e la virtude agghiaccia...
BRUTO
Ma non l'estingue.
Ah! niun Romano ardisca
il gran Tullio spregiar.
Per esso io 'l giuro,
che a miglior uopo, a pro di Roma, ei serba
e libertade e vita.
CASSIO
Oh noi felici!
Noi certi almen, siam certi, o di venirne
a onorata laudevole vecchiezza,
liberi; o certi, di perir con Roma,
nel fior degli anni.
BRUTO
Ah! sí; felici voi!...
Nol son io, no; cui riman scelta orrenda
fra il morir snaturato, o il viver servo.
CASSIO
Che dir vuoi tu?
CIMBRO
Dal favellar tuo lungo
col dittator, che ne traesti?
BRUTO
Io?...
nulla
per Roma; orrore e dolor smisurato
per me; stupor per voi, misto fors'anco
di un giusto sprezzo.
CIMBRO
E per chi mai?
BRUTO
Per Bruto.
CIMBRO
Spregiarti noi?
CASSIO
Tu, che di Roma sei,
e di noi, l'alma?...
BRUTO
Io son,...
chi 'l crederia?...
Misero me!...
Finor tenuto io m'era
del divin Cato il genero, e il nipote;...
e del tiranno Cesare io son figlio.
CIMBRO
Che ascolto? Esser potrebbe?...
CASSIO
E sia: non toglie,
che il piú fero nemico del tiranno
non sia Bruto pur sempre: ah! Cassio il giura.
BRUTO
Orribil macchia inaspettata io trovo
nel mio sangue; a lavarla, io tutto il deggio
versar per Roma.
CASSIO
O Bruto, di te stesso
figlio esser dei.
CIMBRO
Ma pur, quai prove addusse
Cesare a te? Come a lui fede?...
BRUTO
Ah! prove,
certe pur troppo, ei mi adducea.
Qual padre
ei da pria mi parlava: a parte pormi
dell'esecrabil suo poter volea
per ora, e farmen poscia infame erede.
Dal tirannico ciglio umano pianto
scendea pur anco; e del suo guasto cuore,
senza arrossir, le piú riposte falde,
come a figlio, ei mi apriva.
A farmi appieno
convinto in fine, un fatal foglio (oh cielo!)
legger mi fea.
Servilia a lui vergollo
di proprio pugno.
In quel funesto foglio,
scritto pria che si alzasse il crudel suono
della tromba farsalica, tremante
Servilia svela, e afferma, ch'io son frutto
dei loro amori; e in brevi e caldi detti,
ella scongiura Cesare a non farsi
trucidator del proprio figlio.
CIMBRO
Oh fero,
funesto arcano! entro all'eterna notte
che non restasti?...
CASSIO
E se qual figlio ei t'ama,
nel veder tanta in te virtú verace,
nell'ascoltar gli alti tuoi forti sensi,
come resister mai di un vero padre
potea pur l'alma? Indubitabil prova
ne riportasti omai, che nulla al mondo
Cesare può dal vil suo fango trarre.
BRUTO
Talvolta ancora il ver traluce all'ebbra
mente sua, ma traluce in debil raggio.
Uso in campo a regnar or giá molti anni,
fero un error lo invesca; ei gloria somma
stima il sommo poter; quindi ei s'ostina
a voler regno, o morte.
CIMBRO
E morte egli abbia
tal mostro dunque.
CASSIO
Incorreggibil, fermo
tiranno egli è.
Pensa omai dunque, o Bruto,
che un cittadin di Roma non ha padre...
CIMBRO
E che un tiranno non ha figli mai...
BRUTO
E che in cor mai non avrá Bruto pace.
-Sí,
generosi amici, al nobil vostro
cospetto io 'l dico: a voi, che in cor sentite
sublimi e sacri di natura i moti;
a voi, che impulso da natura, e norma,
pigliate all'alta necessaria impresa,
ch'or per compiere stiamo; a voi, che solo
per far securi in grembo al padre i figli,
meco anelate or di troncar per sempre
la tirannia che parte e rompe e annulla
ogni vincol piú santo; a voi non temo
tutto mostrare il dolore, e l'orrore,
che a brani a brani il cuor squarciano a gara
di me figlio di Cesare e di Roma.
Nemico aspro, implacabil, del tiranno
io mi mostrava in faccia a lui; né un detto,
né un moto, né una lagrima appariva
di debolezza in me; ma, lunge io appena
dagli occhi suoi, di mille furie in preda
cadeami l'alma.
Ai lari miei men corro:
ivi, sicuro sfogo, alto consiglio,
cor piú sublime assai del mio, mi è dato
di ritrovar: fra' lari miei la illustre
Porzia di Cato figlia, a Cato pari,
moglie alberga di Bruto...
CASSIO
E d'ambo degna
è la gran donna.
CIMBRO
Ah! cosí stata il fosse
anco Servilia!
BRUTO
Ella, in sereno e forte
volto, bench'egra giaccia or da piú giorni,
me turbato raccoglie.
Anzi ch'io parli,
dice ella a me: «Bruto, gran cose in petto
da lungo tempo ascondi; ardir non ebbi
di domandarten mai, fin che a feroce
prova, ma certa, il mio coraggio appieno
non ebbi io stessa conosciuto.
Or, mira;
donna non sono».
E in cosí dir, cadersi
lascia del manto il lembo, e a me discuopre
larga orribile piaga a sommo il fianco.
Quindi soggiunge: «Questa immensa piaga,
con questo stil, da questa mano, è fatta,
or son piú giorni: a te taciuta sempre,
e imperturbabilmente sopportata
dal mio cor, benché infermo il corpo giaccia;
degna al fin, s'io non erro, questa piaga
fammi e d'udire, e di tacer, gli arcani
di Bruto mio».
CIMBRO
Qual donna!
CASSIO
A lei qual puossi
uom pareggiare?
BRUTO
A lei davante io quindi,
quasi a mio tutelar Genio sublime,
prostrato caddi, a una tal vista; e muto,
piangente, immoto, attonito, mi stava.
-
Ripresa poscia la favella, io tutte
l'aspre tempeste del mio cor le narro.
Piange al mio pianger ella; ma il suo pianto
non è di donna, è di Romano.
Il solo
fato avverso ella incolpa: e in darmi forse
lo abbraccio estremo, osa membrarmi ancora,
ch'io di Roma son figlio, a Porzia sposo,
e ch'io Bruto mi appello.
- Ah! né un istante
mai non diedi all'oblio tai nomi, mai:
e a giurarvelo, vengo.
- Altro non volli,
che del mio stato orribile accennarvi
la minor parte; e d'amistá fu sfogo
quant'io finora dissi.
- Or, so; voi primi
convincer deggio, che da Roma tormi,
né il può natura stessa...
Ma, il dolore,
il disperato dolor mio torrammi
poscia, pur troppo! e per sempre, a me stesso.
CIMBRO
Romani siamo, è ver; ma siamo a un tempo
uomini; il non sentirne affetto alcuno,
ferocia in noi stupida fora...
Oh Bruto!...
Il tuo parlar strappa a me pure il pianto.
CASSIO
Sentir dobbiam tutti gli umani affetti;
ma, innanzi a quello della patria oppressa,
straziata, e morente, taccion tutti:
o, se pur parlan, l'ascoltargli a ogni uomo,
fuor che a Bruto, si dona.
BRUTO
In reputarmi
piú forte e grande ch'io nol son, me grande
e forte fai, piú ch'io per me nol fora.
-
Cassio,ecco omai rasciutto ho il ciglio appieno.
-
Giá si appressan le tenebre: il gran giorno
doman sará.
Tutto di nuovo io giuro,
quanto è fra noi giá risoluto.
Io poso
del tutto in voi; posate in me: null'altro
chieggo da voi, fuor che aspettiate il cenno
da me soltanto.
CASSIO
Ah! dei Romani il primo
davver sei tu.
- Ma, chi mai vien?...
CIMBRO
Che veggio?
Antonio!
BRUTO
A me Cesare or certo il manda.
State; e ci udite.
SCENA TERZA
ANTONIO, CASSIO, BRUTO, CIMBRO.
ANTONIO
In traccia, o Bruto, io vengo
di te: parlar teco degg'io.
BRUTO
Favella:
io t'ascolto.
ANTONIO
Ma, dato emmi l'incarco
dal dittatore...
BRUTO
E sia ciò pure.
ANTONIO
Io debbo
favellare a te solo.
BRUTO
Io qui son solo.
Cassio, di Giunia a me germana è sposo;
del gran Caton mio suocero, l'amico
era Cimbro, e il piú fido: amor di Roma,
sangue, amistá, fan che in tre corpi un'alma
sola siam noi.
Nulla può dire a Bruto
Cesare mai, che nol ridica ei tosto
a Cassio, e a Cimbro.
ANTONIO
Hai tu comun con essi
anco il padre?
BRUTO
Diviso han meco anch'essi
l'onta e il dolor del tristo nascer mio:
tutto ei sanno.
Favella.
- Io son ben certo,
che in sé tornato Cesare, ei t'invia,
generoso, per tormi or la vergogna
d'esser io stato d'un tiranno il figlio.
Tutto esponi, su dunque: aver non puoi
del cangiarsi di Cesare sublime,
da re ch'egli era in cittadin, piú accetti
testimon mai, di questi.
- Or via, ci svela
il suo novello amore alto per Roma;
le sue per me vere paterne mire;
ch'io benedica il dí, che di lui nacqui.
ANTONIO
- Di parlare a te solo m'imponeva
il dittatore.
Ei, vero padre, e cieco
quanto infelice, lusingarsi ancora
pur vuol, che arrender ti potresti al grido
possente e sacro di natura.
BRUTO
E in quale
guisa arrendermi debbo? a che piegarmi?...
ANTONIO
A rispettare e amar chi a te diè vita:
ovver, se amar tuo ferreo cuor non puote,
a non tradire il tuo dover piú sacro;
a non mostrarti immemore ed indegno
dei ricevuti benefizj; in somma,
a mertar quei, ch'egli a te nuovi appresta.
-
Troppo esser temi uman, se a ciò ti pieghi?
BRUTO
Queste, ch'or vuote ad arte a me tu dai,
parole son; stringi, e rispondi.
È presto
Cesare, al dí novello, in pien senato,
a rinunziar la dittatura? è presto
senza esercito a starsi? a scior dal rio
comun terror tutti i Romani? a sciorne
e gli amici, e i nemici, e in un se stesso?
a render vita alle da lui sprezzate
battute e spente leggi sacrosante?
a sottoporsi ad esse sole ei primo? -
Questi son, questi, i benefizj espressi,
cui far può a Bruto il genitor suo vero.
ANTONIO
Sta bene.
- Altro hai che dirmi?
BRUTO
Altro non dico
a chi udirmi non merta.
- Al signor tuo
riedi tu dunque, e digli; che ancor spero,
anzi, ch'io credo, e certo son, che al nuovo
sole in senato utili cose ed alte,
per la salvezza e libertá di Roma,
ei proporrá: digli, che Bruto allora,
di Roma tutta in faccia, a' piedi suoi
cadrá primier, qual cittadino e figlio;
dove pur padre e cittadino ei sia.
E digli in fin, ch'ardo in mio core al paro
di far riviver per noi tutti Roma,
come di far rivivere per essa
Cesare...
ANTONIO
Intendo.
- A lui dirò quant'io,
(pur troppo invan!) gran tempo è giá, gli dissi.
BRUTO
Maligno messo, ed infedel, ti estimo,
infra Cesare e Bruto: ma, s'ei pure
a ciò te scelse, a te risposta io diedi.
ANTONIO
Se a me credesse, e all'utile di Roma.
Cesare omai, messo ei non altro a Bruto
dovria mandar, che coi littor le scuri.
SCENA QUARTA
BRUTO, CASSIO, CIMBRO.
CIMBRO
Udiste?...
CASSIO
Oh Bruto!...
il Dio tu sei di Roma.
CIMBRO
Questo arrogante iniquo schiavo, anch'egli
punir si debbe...
BRUTO
Ei di nostr'ira, parmi,
degno non fora.
- Amici, ultima prova
domane io fo: se vana ell'è, promisi
io di dar cenno, e di aspettarlo voi:
v'affiderete in me?
CASSIO
Tu a noi sei tutto.
-
Usciam di qui: tempo è d'andarne ai pochi
che noi scegliemmo; e che a morir per Roma
doman con noi si apprestano.
BRUTO
Si vada.
ATTO QUINTO
La scena è nella curia di Pompeo
SCENA PRIMA
BRUTO, CASSIO, SENATORI, che si vanno collocando
ai lor luoghi
CASSIO
Scarsa esser vuol questa adunanza, parmi;
minor dell'altra assai...
BRUTO
Pur che minore
non sia il cor di chi resta; a noi ciò basta.
CASSIO
Odi tu, Bruto, la inquieta plebe,
come giá di sue grida assorda l'aure?
BRUTO
Varian sue grida ad ogni nuovo evento:
lasciala; anch'essa in questo dí giovarne
forse potrá.
CASSIO
Mai non ti vidi io tanto
securo, e in calma.
BRUTO
Arde il periglio.
CASSIO
Oh Bruto!...
Bruto, a te solo io cedo.
BRUTO
Il gran Pompeo,
che marmoreo qui spira, e ai pochi nostri
par ch'or presieda, omai securo fammi,
quanto il vicin periglio.
CASSIO
Ecco, appressarsi
del tiranno i littori.
BRUTO
E Casca, e Cimbro?...
CASSIO
Feri scelto hanno il primo loco, a forza:
sieguon dappresso Cesare.
BRUTO
Pensasti
ad impedir che l'empio Antonio?...
CASSIO
A bada
fuor del senato il tratterranno a lungo
Fulvio e Macrin; s'anco impedirlo è d'uopo,
con la forza il faranno.
BRUTO
Or, ben sta il tutto.
Pigliam ciascuno il loco nostro.
- Addio,
Cassio.
Noi qui ci disgiungiam pur schiavi;
liberi, spero, abbraccieremci in breve,
ovver morenti.
- Udrai da pria gli estremi
sforzi di un figlio; ma vedrai tu poscia
di un cittadin gli ultimi sforzi.
CASSIO
Oh Bruto!
Ogni acciar pende dal solo tuo cenno.
SCENA SECONDA
SENATORI seduti.
BRUTO E CASSIO ai lor luoghi.
CESARE, preceduto dai Littori, che poscia lo lasciano; CASCA, CIMBRO, e molti altri, lo seguono.
Tutti sorgono all'entrar di Cesare, finch'egli seduto non sia.
CESARE
Oh! che mai fu? mezzo il senato appena,
benché sia l'assegnata ora trascorsa?...
Ma, tardo io stesso oltre il dover, vi giungo.
-
Padri Coscritti, assai mi duol di avervi
indugiati...
Ma pur, qual fia cagione,
che di voi sí gran parte ora mi toglie?
Silenzio universale.
BRUTO
Null'uom risponde? - A tutti noi pur nota
è la cagion richiesta.
- Or, non te l'apre,
Cesare, appieno il tacer di noi tutti? -
Ma, udirla vuoi? - Quei che adunar qui vedi,
il terror gli adunò; quei che non vedi,
gli ha dispersi il terrore.
CESARE
A me novelli
non son di Bruto i temerari accenti;
come a te non è nuova la clemenza
generosa di Cesare.
- Ma invano;
che ad altercar qui non venn'io...
BRUTO
Né invano
ad offenderti noi.
- Mal si avvisaro,
certo, quei padri, che in sí lieto giorno
dal senato spariro: e mal fan quelli,
che in senato or stan muti.
- Io, conscio appieno
degli alti sensi che a spiegar si appresta
Cesare a noi, mal rattener di gioja
gl'impeti posso; e disgombrar mi giova
il falso altrui terrore.
- Ah! no, non nutre
contro alla patria omai niun reo disegno
Cesare in petto; ah! no: la generosa
clemenza sua, che a Bruto oggi ei rinfaccia,
e che adoprar mai piú non dee per Bruto,
tutta or giá l'ha rivolta egli all'afflitta
Roma tremante.
Oggi, vel giuro, un nuovo
maggior trionfo a' suoi trionfi tanti
Cesare aggiunge; ei vincitor ne viene
qui di se stesso, e della invidia altrui.
Vel giuro io, sí, nobili padri; a questo
suo trionfo sublime oggi vi aduna
Cesare: ei vuole ai cittadini suoi
rifarsi pari; e il vuol spontaneo: e quindi,
infra gli uomini tutti al mondo stati,
mai non ebbe, né avrá.
Cesare il pari.
CESARE
Troncar potrei.
Bruto, il tuo dir...
BRUTO
Né paia
temeraria arroganza a voi la mia;
pretore appena, osare io pure i detti
preoccupar del dittatore.
È Bruto
col gran Cesare omai sola una cosa.
-
Veggio inarcar dallo stupor le ciglia:
oscuro ai padri è il mio parlar; ma tosto,
d'un motto sol, chiaro il farò.
- Son figlio
io di Cesare...
Grida universale di stupore.
BRUTO
Sí; di lui son nato;
e assai men pregio; poiché Cesare oggi,
di dittator perpetuo ch'egli era,
perpetuo e primo cittadin si è fatto.
Grida universale di gioja.
CESARE
...
Bruto è mio figlio, è ver; l'arcano or dianzi
glie ne svelava io stesso.
A me gran forza
fean l'eloquenza, l'impeto, l'ardire,
e un non so che di sovruman, che spira
il suo parlar: nobil, bollente spirto,
vero mio figlio, è Bruto.
Io quindi, a farvi,
Romani, il ben che in mio poter per ora
non sta di farvi, assai di me piú degno
lui, dopo me, trascelgo: a lui la intera
mia possanza lasciar, disegno; in esso
fondata io l'ho: Cesare avrete in lui...
BRUTO
Securo io stommi: ah! di ciò mai capace,
non che gli amici, né i nemici stessi
piú acerbi e implacabili di Bruto,
nol credon, no.
- Cesare a me sua possa
cede, o Romani: e in ciò vuol dir, che ai preghi
di me suo figlio, il suo poter non giusto
Cesare annulla, e in libertá per sempre
Roma ei ripone.
Grida universale di gioja.
CESARE
Or basti.
Al mio cospetto
tu, come figlio, e come a me minore,
tacerti dei.
- Cesare, o Padri, or parla.
-
Ir contra i Parti, irrevocabilmente
ho fermo in mio pensiero.
All'alba prima,
colle mie fide legioni, io muovo
ver l'Asia: inulta ivi di Crasso l'ombra,
da gran tempo mi appella, e a forza tragge.
Lascio Antonio alla Italia; abbialo Roma
quasi un altro me stesso: alle assegnate
provincie lor tornino e Cassio, e Cimbro,
e Casca: al fianco mio Bruto starassi.
Spenti i nemici avrò di Roma appena,
a darmi in man de' miei nemici io riedo:
e, o dittatore, o cittadino, o nulla,
qual piú vorrá.
Roma a sua posta avrammi.
Silenzio universale.
BRUTO
- Non di Romano al certo, né di padre,
né di Cesare pur, queste che udimmo,
eran parole.
I rei comandi questi
fur di assoluto re.
- Deh! padre, ancora
m'odi una volta; i pianti ascolta, e i preghi
di un cittadin, di un figlio.
Odimi; tutta
meco ti parla, or per mia bocca, Roma.
Mira quel Bruto, cui null'uom mai vide
finor né pianger, né pregar; tu il mira
a' piedi tuoi.
Di Bruto esser vuoi padre,
e non l'esser di Roma?
CESARE
Omai preghiere,
che son pubblico oltraggio, udir non voglio.
Sorgi, e taci.
- Appellarmi osa tiranno
costui; ma, nol son io: se il fossi, a farmi
sí atroce ingiuria in faccia a Roma, io stesso
riserbato lo avrei? - Quanto in sua mente
il dittator fermava, esser de' tutto.
L'util cosí di Roma impera; e ogni uomo,
che di obbedirmi omai dubita, o niega,
è di Roma nemico; e lei rubello,
traditor empio egli è.
BRUTO
- Come si debbe
da cittadini veri, omai noi tutti
obbediam dunque al dittatore.(2)
CIMBRO
Muori,
tiranno, muori.
CASSIO
E ch'io pur anco il fera.
CESARE
Traditori...
BRUTO
E ch'io sol ferir nol possa?...
ALCUNI SENATORI
Muoia, muoia, il tiranno.
ALTRI SENATORI, fuggendosi
Oh vista! Oh giorno!
CESARE(3)
Figlio,...
e tu pure?...
Io moro...
BRUTO
Oh padre!...
Oh Roma!...
CIMBRO
Ma, dei fuggenti al grido, accorre in folla
il popol giá...
CASSIO
Lascia, che il popol venga:
spento è il tiranno.
A trucidar si corra
Antonio anch'ei.
SCENA TERZA
POPOLO, BRUTO, CESARE, morto.
POPOLO
Che fu? quai grida udimmo?
qual sangue è questo? Oh! col pugnale in alto
Bruto immobile sta?
BRUTO
Popol di Marte,
(se ancora il sei) lá, lá rivolgi or gli occhi:
mira chi appiè del gran Pompeo sen giace...
POPOLO
Cesare? oh vista! Ei nel suo sangue immerso?...
Oh rabbia!...
BRUTO
Sí; nel proprio sangue immerso
Cesare giace: ed io, benché non tinto
di sangue in man voi mi vediate il ferro,
io pur cogli altri, io pur, Cesare uccisi...
POPOLO
Ah traditor! tu pur morrai...
BRUTO
Giá volta
sta dell'acciaro al petto mio la punta:
morire io vo': ma, mi ascoltate pria.
POPOLO
Si uccida pria chi Cesare trafisse...
BRUTO
Altro uccisore invan cercate: or tutti
dispersi giá fra l'ondeggiante folla,
i feritor spariro: invan cercate
altro uccisor, che Bruto.
Ove feroci
a vendicare il dittator qui tratti
v'abbia il furore, alla vendetta vostra
basti il capo di Bruto.
- Ma, se in mente,
se in cor pur anco a voi risuona il nome
di vera e sacra libertade, il petto
a piena gioja aprite: è spento al fine,
è spento lá, di Roma il re.
POPOLO
Che parli?
BRUTO
Di Roma il re, sí, vel confermo, e il giuro:
era ei ben re: tal qui parlava; e tale
mostrossi ei giá ne' Lupercali a voi,
quel dí che aver la ria corona a schivo
fingendo, al crin pur cinger la si fea
ben tre volte da Antonio.
A voi non piacque
la tresca infame; e a certa prova ei chiaro
vide, che re mai non saria, che a forza.
Quindi a guerra novella, or, mentre esausta
d'uomini, e d'armi, e di tesoro è Roma,
irne in campo ei volea; certo egli quindi
di re tornarne a mano armata, e farvi
caro costare il mal negato serto.
L'oro, i banchetti, le lusinghe, i giuochi,
per far voi servi, ei profondea: ma indarno
l'empio il tentò; Romani voi, la vostra
libertá non vendete: e ancor
...
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